BELVEDERE, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)

BELVEDERE, Andrea

Carla Guglielmi Faldi
Ada Zapperi

Si ritiene che la data di nascita di questo pittore, letterato e filodrammatico, invece che nell'anno 1646, riferito dal De Dominici, sia da porre intorno al 1652, in base al rinvenimento, ad opera dei Prota Giurleo, dell'atto di morte da cui risulta che egli morì a Napoli il 27 giugno 1732 all'età "d'anni 80 in c.a.".

L'attività pittorica dell'abate B. - personalità di rilievo nella Napoli del suo tempo - si svolge per un ventennio, esattamente dal 1674 al 1694, anno in cui egli, preceduto evidentemente dalla sua notorietà, si trasferisce in Spagna, chiamato dal re Carlo II. Il soggiomo spagnolo si protrae fino al 1700, ma al ritorno a Napoli il B. abbandona la pittura per dedicarsi completamente all'attività teatrale. A sentire il De Dominici, a far convocare l'abate presso la corte di Spagna sarebbe stato Luca Giordano, presente a Madrid in quegli anni, e Luca stesso sarebbe stato poi la causa del ritomo in patria del B., il quale non avrebbe tollerato di vedersi soppiantato dal Giordano nel favore della corte. Più verosimile è che il ritorno a Napoli sia avvenuto a causa della morte di Carlo II, accaduta appunto nel 1700.

Per il B. ci si orientava, sino a tempi a noi assai vicini, proprio sulla lunga e più o meno romanzata biografia del De Dominici, e si deve agli studi recentissimi, in particolare a quelli del Causa, la "messa a fuoco" dell'artista in una meritata rivalutazione, con un giusto ridimensionamento dell'opera autografa, costituita da pochi dipinti dei quali nessuno datato e appena 4 o 5 firmati.

Il B. muove dalla grande arte di Paolo Porpora, cioè dal momento più intensamente caravaggesco della pittura di natura morta e di fiori, e già del Porpora sente a sé congeniale il rifiuto di ogni valore meramente "decorativo" della pittura di genere. Questo senso di meditato e insieme commosso pensamento innanzi al dato di natura si fa in lui più profondo al contatto con l'arte di Giuseppe Recco e si arricchisce rinnovandosi in un esaltante senso di luce e di vitalità, quali gli derivano dalla straordinaria ma mai retorica esuberanza "barocca" di G. B. Ruoppolo.

Mai però, e qui appare subito l'autonomia dei grande artista, il B. è scaduto a compromessi eclettici, ché anzi la sua pittura si caratterizza in una continua ricerca di verità, in un'adesione intima alla più profonda realtà dell'immagine, in una sorta di ansia costante di rinnovamento, con un'espressione formale che si affida alla forza e alla gagliardia di una pennellata densa che fa palpitare viva e intensa la materia nella luce.

Per quel che riguarda poi il rapporto con Abramo Brueghel, più che di influssi veri e propri, quali in genere si invocavano quasi a completamento della formazione del B., è da vedere nell'artista napoletano un'attenta osservazione della maniera vivace., brillante, libera del pittore fiammingo tradotta subito polemicamente in un forte senso della misura, nella direzione che potremmo appunto definire quasi romanticamente intimista. Fatti che si arricchiscono anche attraverso la conoscenza dell'attività romana dei pittori dell'ambiente di Mario dei Fiori e del Porpora, e specialmente di Franz Werrier Tamm. Né, più tardi, a fine secolo, egli rifiuterà stimoli francesi, apprezzando artisti come il Monnoyer e il Blain de Fontenay.

Così il B. si caratterizza come l'unico grande pittore di natura morta in un momento in cui a Napoli questo genere andava oramai rapidamente declinando attardandosi in convenzionalismi barocchi o comunque accademizzanti: a cavaliere tra il Seicento e il Settecento, egli è già in realtà artista del secolo nuovo, anche se la sua attività pittorica si è svolta tutta nella seconda metà del sec. XVII. La forza e l'originalità della sua arte attrassero a lui un notevole numero di più giovani artisti.

Tra le opere sono da ricordare soprattutto: Ghirlanda di fiori (Sorrento, Museo Correale), databile intorno al 1670; i due bei "pendants" dello stesso museo (Bottiglia con tulipani e Bottiglia con garofani), nonché le Peonie, pure là conservate, da porsi tutti tra 1670 e 1680, momento in cui cadono anche i due dipinti con Garofani e Tulipani e garofani del Museo "Duca di Martina" a Napoli; Pesci (firmato, unico quadro non di fiori, sotto l'influenza del Recco) del Museo di S. Martino a Napoli; segue poi lo straordinario quadro con un ramo fiorito di sambuco comunemente noto come Oriensie, nel Museo di Capodimonte (citato dal De Dominici in casa Valletta). Nel successivo decennio trovano posto le Anatre e fiori di Firenze (Pitti; firmato) e i Fiori, frutta e anatre (Sorrento, Museo Correale); tra il 1690 e il 1695 i Fiori nella conca di rame e i Fiori, frutta, uccelli dello stesso museo. Ricorderemo, infine, Fiori attorno a un'erma del Museo Stibbert di Firenze. Unico documento del periodo spagnolo sono due quadri di Fiori conservati al Prado, cui fanno riscontro altri due dello stesso soggetto nella Pinacoteca Vaticana: essi attestano però ormai una fase d'involuzione.

Bibl.: Lo studio di R. Causa, A. B. pittore di fiori, Milano 1964, oltre ad essere il più completo sull'artista, comprende un'analisi critica della bibl. Cfr. inoltre: B. De Dominici, Vite de' pittori, scultori ed architetti napoletani, III, Napoli 1744, pp. 570-578; G. J. Hoogewerff, "Nature morte" italiane dei Seicento e del Settecento, II, in Dedalo, IV (1923-24), 3, p. 721; U. OjettiL. Dami-N. Tarchiani, La Pittura ital. del Seicento e del Settecento alla Mostra di Pal. Pitti, Milano-Roma 1924, p. 51; A. de Rinaldis, Pinacoteca del Museo Naz. di Napoli, Napoli 1928, pp. 22 s., 424; Id., La pittura del Seicento nell'Italia merid., Verona 1929, pp. 15, 36; V. Costantini, La pittura ital. del Seicento, I, Milano 1930, p. 87; G. Morazzoni, Il Museo Correale di Sorrento, Roma 1938, pp. 8, 9, 12; S. Ortolani, La pittura napol. dal Sei all'Ottocento, in Emporium, XLIV (1938), 4, p. 184; Id., La Pittura napol. del secolo XVII, in Mostra della Pittura napol. dei secc. XVII, XVIII, XIX (catal.), Napoli 1938, p. 113; C. Lorenzetti, La Pittura napol. del sec. XVIII, ibid., pp. 175-177, 326 s.; R. Causa, P. Porpora e il primo tempo della "natura morta" napoletana, in Paragone, II (1951), n. 15, pp. 32, 34-36; C. Sterling, La nature morte de l'antiquité à nos iours, Paris 1952, pp. 60 s.; R. Causa, Il riordinamento del Museo Correale di Sorrento, in Bollett. d'arte, XXXVIII (1953), I, pp. 92 s.; U. Prota-Giurleo, Pittori napol. del Seicento, Napoli 1953, pp. 2530; R. Causa, Pittura napol. dal XV al XIX secolo, Bergamo 1957, p. 76; B. Molajoli, Notizie su Capodimonte, Napoli 1957, p. 81; F. Bologna, F. Solimena, Napoli 1958, pp. 65, 66 s., 183; R. Causa, in La peinture italienne au XVIIIe siècle (catal.), Paris 1960-61, nn. 1-4; G. Delogu, Natura morta ital., Bergamo 1962, pp. 154-156, 197 s.; R. Roli, in La natura morta ital. Catalogo della mostra - Napoli-Zurigo-Rotterdam 1964-65, Milano 1964, pp. 60 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, III, p. 282; Encicl. Ital., VI, p. 587; S. Bottari, sub voce Natura morta, in Encicl. Universale dell'Arte, IX, col. 821.

A Napoli il B. aveva organizzato una compagnia di filodrammatici, fra i quali si distingueva Ignazio Marotta, ricco negoziante di lana, interprete ineguagliato (il satiro) dell'Aminta del Tasso e del personaggio di don Pietro Acuña nel dramma spagnolo Amparar el enemigo di Antonio de Solis, ridotto dal B. in Proteggere l'inimico. Oltre al Marotta, erano notevoli esecutori delle commedie rappresentate il maestro di musica Giampaolo de Dominici (o De Dominicis) e il giovane Gaetano la Planche (o la Planca), educato dallo stesso B., che lo lasciò poi erede di tutti i suoi beni. Il successo non mancava: particolarmente acclamate furono l'Alvida di F. D'Isa, non rappresentata da molto tempo, l'Aminta del Tasso e una tragedia contemporanea vicina al gusto del B., gli Orazii e Curiazii di S. Pansuti (o Panzuti), recitata a Monte Oliveto in modo tale che "ne rimarrà per molti, e molti anni la memoria a' posteri ..." (De Dominici., p. 395)

Nella seconda metà dei Seicento Napoli era stata invasa dai famosi drammi di "espada y capa" di pura marca spagnola: in Italia però non arrivavano i grandi rappresentanti del "sIglo de oro", ma soltanto gli imitatori, e a Napoli inoltre se ne tentavano imitazioni ancora più scadenti. Da qui la richiesta del B. e di qualche altro appassionato sostenitore del "naturale", come N. Amenta, forse suo buon amico, benché il poeta N. Capasso desse a intendere fosse nemico e rivale. Ciò che propugnava il B. era di "rappresentare con naturalezza artificiosa", sfrondando la trama di quelle commedie inverosimilmente infarcite di ratti, fughe notturne, duelli, equivoci, raggiri, nelle quali la storia si intrecciava con fatti fantastici fra comico ed eroico. Pur di raggiungere la tanto ficercata "naturalezza artificiosa" egli non si stancava di trovare espedienti'che lo aiutassero: il Marotta, suo attore, educato e istruito pazientemente al gusto della recitazione naturale, in Proteggere l'inimico per narrare i suoi fatti si serviva di versi dell'Ariosto opportunamente inframmezzati.

La ricerca del B. non era volta solo alla recitazione, bensi alla scoperta di drammi e tragedie che si attenessero alle regole classiche: aveva scelto infatti la commedia dei Solis perché "delle più regolari e naturali di quelle spagnole" ; riprese il Trespolo tutore di G. B. Ricciardi, indubbiamente la "più comica e meno inverisirrule" di questo autore, e il Cicisbeo sconsolato di G. B. Fagiuoli, alla prova della quale, avvenuta in casa del B. nel 1727, assistettero il Metastasio e la Bulgarelli-Benti (lettera del Metastasio alla Bulgarelli, da Vienna, in data 23 febbr. 1732). Passò poi alle pastorali del sec. XVI, alle commedie italiane del Seicento immuni dal gusto spagnolo, non trascurando i contemporanei, italiani e spagnoli, purché si attenessero alle regole classiche.

Questa battaglia letteraria si identificò subito in una aperta rivalità con Carlo Celano, scrittore di drammi molto in voga, naturalmente composti secondo la moda spagnoleggiante. Il Celano aveva un gran numero di "parziali" che lo sostenevano a spada tratta contro il B. e i suoi fautori: ne nascevano tafferugli e dispute a non finire, con gran divertimento di tutta la cittadinanza. Il B. temeva le critiche dei "parziali" al punto che, avendo scritto una tragedia, la lesse ai suoi amici letterati, ma non la pubblicò mai, paventando che "il biasimo dato da lui ad altre commedie e tragedie uscite di fresco alla luce, non si riversasse sopra di lui" (De Dominici, p. 396). Ma se non osò dare alle stampe alcun lavoro originale, ridusse però molti drammi: i più notevoli sono Chi non sa fingere non sa vivere, La ruota della fortuna, Lo sposalizio tra i sepolcri, Amore è cieco, tutte raffazzonate da vari modelli spagnoli per cui si rende impossibile individuare gli originali.

È molto probabile che il B. non si proponesse di operare una vera e propria riforma del gusto teatrale del tempo: le difficoltà erano troppo grandi rispetto alle sue forze. Ma l'esigenza stessa - costantemente da lui ribadita - di una maggiore regolarità nella rappresentazione scenica, segna un momento abbastanza importante nella storia della riforma teatrale. Il Napoli-Signorelli non esitò a definirlo "padre del buon gusto teatrale e della vera maniera di recitar commedie" (p. 97).

Fonti e Bibl.: P. Metastasio, Lettere, a cura di B. Brunelli, III, Milano 1951, pp. 63, 1189; P. Napoli-Signorelli, Vicende della cultura nelle due Sicilie…, IV, Napoli 1811, pp. 92-98; R. Zagabria, Vita e opere di N. Amenta, Bari 1913, pp. 69-74; B. Croce, I teatri di Napoli..., Bari 1916, pp. 126 s., 128-130, 154; F. Galiani, Del dialetto napol., con intr. e note di F. Nicolini, Napoli 1923, p. 206 n.; A. O. Quintavalle, Rivalutaz. del Settecento napol., III, A. B., in Il Marzocco, XXXIII (1928), pp. 2 s.; F. Mancini, Scenografia napoletana dell'età barocca, Napoli 1964, pp. 145 s.; Enc. d. Spett., II, Coll. 220 s.

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