ANDREA Bogoljubscki, principe della schiatta di Rjurik, sovrano della Suzdalia, granduca di tutte le Russie

Enciclopedia Italiana (1929)

ANDREA Bogoljubscki (cioè Amadio), principe della schiatta di Rjurik, sovrano della Suzdalia, granduca di tutte le Russie

Andrea Caffi

Nato circa il 1119, ucciso il 29 giugno 1174. Figlio terzogenito del granduca Giorgio, detto Longimano (Dolgorukij), quindi nipote di Vladimir Monomaco, per madre ebbe una donna di sangue turco, figlia d'un capo tribù dei Cumani. Risiedette fino a trent'anni nella regione di Rostov, fra selve e paludi, quando il principe Giorgio, respingendo il grande stato dei Bulgari, cominciava a dissodarvi estese plaghe, costruirvi borghi e castelli, attirarvi immigranti, trasferendo la sua stessa residenza da Rostov a Suzdal. A. visse, cioè, in un ambiente molto diverso - per le condizioni di natura non meno che per i costumi sociali - da quello degli emporî boristenici e delle steppe, dei cavallereschi tumulti e degli intrighi drammatici attorno al trono di Kiev; ed a questa particolare patria, quasi creata sotto i suoi occhi, egli si legò strettamente. Avuta in appannaggio dal padre la terra di Vladimir sul fiume Kljazma, colonia recente e di poca importanza, diede prova di valore nelle spedizioni contro i Bulgari e di pacato senno, sì da diventare presto prezioso sostegno, braccio destro di Giorgio. "Della gloria A. non si curava, aspettando approvazione: da Dio solo": questa frase del cronista - seppur sa di panegirico - sottolinea il contrasto fra l'indole del primo caratteristico rappresentante di una Russia nordica (turanizzata) e le spavalde, esuberanti figure di paladini che la discendenza dei Vikinghi aveva moltiplicato nelle pianure lungo il Dniepr. Nel 1149-1150 Giorgio, padre di A., ritenne venuto il momento di assicurarsi della sede di Kiev, al cui titolare spettava giuridicamente la supremazia (sempre più difficilmente attuata) su tutti i ducati di casa Rjurik: sede contesa allora fra i due rami della famiglia, la progenie del Monomaco, e i discendenti di Svjatoslav, allora rappresentati da Izjaslav di Mstislav. Andrea condusse l'esercito e il successo fu merito suo. Entrato nella capitale, il padre lo investì del feudo (più prossimo a Kiev) di Vyšgorod, poi gli affidò la difesa della frontiera occidentale contro gli Ungheresi, che appoggiavano il granduca scacciato. La cronaca s'indugia in particolari minuti sulla battaglia di Luzk (contro le "genti d'Occidente") per dare risalto all'eroismo di A. Ma nella miglior fortuna egli non cessò di far udire al padre consigli di moderazione. Vedeva per la prima volta uomini e cose del Mezzogiorno russo, e per tutta la vita doveva ricordarsi con sdegno della "perfida versatilità" di questa gente: i Kioviani infatti male sopportavano le masnade nordiche e, non appena Giorgio con l'esercito era uscito da una porta della città, per la porta opposta facevano entrare il rivale Izlaslav. Nella campagna del 1151 (per riconquistare la capitale perduta), A. subì una decisiva disfatta sulle rive della grande Rut ed allora insistette perché il padre si ritirasse con lui nel nord: "in questo paese nulla abbiamo da cercare" diceva della Kiovia. La morte di Iziaslav permetteva a Giorgio di insediarsi nella capitale (1155), quasi senza incontrare opposizione; ma dopo pochi mesi, A. abbandonò il possesso di Vyšgorod, nuovamente affidatogli, e ritornò nella sua prediletta Vladimir, recando con sé un'icona che in seguito diventò quasi il Palladio della nazione russa, sotto il nome di Vergine miracolosa di Vladimir. Né alla morte di Giorgio (16 maggio 1157), quando Iziaslav di Davide usurpò il trono granducale e i Suzdaliani di guarnigione a Kiev furono massacrati, egli intervenne, tutto assorto com'era al consolidamento della sua separata signoria. Impadronitosi di Rostov e di Suzdal, procedette all'espulsione (spodestamento) di tutti i boiari principali di suo padre: cioè si sbarazzò del comitato composto di nobili abbastanza indipendenti, e poggiò la sua autorità su servitori d'origine oscura che a lui avrebbero dovuto ogni loro fortuna (buona parte di questa gente nuova sembra essere stata di razza asiatica, Turchi e Bulgari). Deluse anche le città che lo avevano acclamato, fissando la capitale a Vladimir, che non aveva tradizioni e quindi velleità d'autonomia; procedendo così al consolidamento d'un regime autocratico, quale ancora non s'era praticato in Russia. Esteso e fortificato, lo stato di Suzdalia dominava la parte essenziale di un sistema di comunicazioni, per cui da tempi antichissimi si effettuava il traffico tra le regioni del Caspio e quelle del Baltico. Come obiettivo naturale si presentava dunque alla politica d'espansione suzdaliana la riduzione di due grandi emporî finitimi: quello di Bolgari ad Oriente, e quello di Novgorod verso il nord-ovest. Verso questa ultima città una politica d'intimidazioni continuate diede rìsultati parziali e segnò l'inizio di una lotta accanita che si continuerà fino al sec. XV. Trionfo clamoroso fu quello che coronò la grande spedizione contro i Bulgari nel 1164: l'esercito nemico fu annientato, conquistata "l'illustre città" di Brjachimov e tre altre città bruciate. Per moglie, A. prese la figlia d'un umiliato sovrano dei Bulgari.

Per dare lustro alla sua capitale, Vladimir, che avrebbe voluto metropolìa, cioè sottratta dalla giurisdizione ecclesiastica di Kiev, vi fece erigere la cattedrale di Uspenie e molte chiese, tra cui quella dell'Intercessione della Vergine, costruita sulla Nerl nel 1165, che meglio esprime lo stile suzdaliano (il quale fa epoca nella storia dell'arte in Russia). Accanto ai forti influssi dell'arte d'Armenia e di Georgia (penetrata per la via di Bolgari), certi tratti romanici avvalorano le succinte notizie delle cronache su "maestri venuti da paesi tedeschi" (forse Lombardi). Oltre al gusto delle arti, sembra che A. avesse pure quello delle lettere ("molto si dedicava alla lettura di libri").

Dopo essersi disinteressato per dodici anni delle faccende di Kiev, A. decise però d'intervenire quando Mstislav di Kiev tentò di estendere la propria signoria su Novgorod, minacciando gl'interessi suzdaliani. Cinta d'assedio (1169), Kiev dopo tre giorni dovette capitolare; e i vincitori "non risparmiarono né le chiese, né le donne, né i fanciulli". Fu un sacco memorando, da cui la santa metropoli della terra russa non si risollevò. A. non volle neppure vedere la nuova conquista, e ne assegnò il governo al fratello Gleb (già duca di Perejaslavl), serbando per sé l'effettiva supremazia su tutta la stirpe di Rjurik. Sicché, per qualche tempo, Kiev perdette la dignità di capitale. Perciò principi e popolazioni del Mezzogiorno ben presto s'affermarono ostilissimi contro la tirannide inconsueta. Gleb fu cacciato, tornò con l'aiuto dei Turchi, morì nel 1171. Dopo quattro mesi, durante i quali regnò Vladimir di Mstislav "principe randagio e sciagurato", al quale l'ironia della sorte concesse di morire granduca a Kiev, A. designò per questa sede Romano figlio di Rostislav (dei duchi di Smolensk). Trovatolo poco docile alla prima prova, gli mandò a dire brutalmente che "subito se ne andasse". L'inaudita forma di questo messaggio provocava la ribellione aperta ("Giacché ci tratti non come tuoi fratelli ma come subalterni..."). A. raccolse un esercito di 50.000 lance e costrinse venti duchi, di regioni vicine alla Suzdalia, ad aggregarvisi. Ma l'opposizione degli avversarî, asserragliati in castelli, fu tale che l'esercito suzdaliano di elementi eterogenei reclutati in fretta, si sbandô.

Crollò così l'egemonia suzdaliana nel Mezzogiorno. A. stava preparando una formidabile riscossa, quando una congiura di palazzo troncò con la sua vita i grandi disegni da lui concepiti. Significativa è la coincidenza (anche cronologica) nelle vicende cui andarono incontro condottieri di sangue normanno in due punti estremi della cristianità: partiti per avventurose conquiste con compagni d'armi, sui quali limitatissima era la loro autorità di comando, si sono elevati a sovrani quasi autocrati, gli uni, i discendenti del Guiscardo, carpendo l'eredità degli emiri musulmani in Sicilia, gli altri, i figli di Giorgio Longimano, insediandosi come emuli del "grande Bulgaro" (pure musulmano) sul Volga. In ambedue i casi l'esperienza è stata presto interrotta da catastrofi esteriori (in Russia, l'arrivo dei Mongoli). E si potrebbe alle congiure dei baroni contro il re di Palermo far corrispondere il complotto di boiari, del quale cadde vittima A. L'eredità sua fu raccolta dal fratello Vsevolod, già rifugiato alla corte di Manuele Comneno in Bisanzio. Dei figli di A., Izjaslav era morto nel 1163, Mstislav (il saccheggiatore di Kiev) nel 1172. Un terzo figlio, Giorgio, dopo romanzesche avventure divenne principe consorte della regina di Georgia, la grande Tamara. E la distanza fra il livello di civiltà raggiunto nel Caucaso e quello a cui stavano allora i Russi, è bene indicato dall'orrore espresso nelle cronache georgiane (tradotte da Brosset, Hist. de Géorgie, I, p. 412-416) per quel "vero Scita, dai pensieri barbari, dai vizî mostruosi", che sarebbe stato il figlio di A., principe di Suzdalia.

Bibl.: Ključevskij, Geschichte Russlands (trad. tedesca), I, Berlino 1925; Šmurlo, Storia della Russia, I, Roma 1928.

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