BONTEMPI, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 12 (1971)

BONTEMPI, Andrea

Enzo Petrucci

Nacque a Perugia nel 1326, da quanto si può congetturare da una bolla di Innocenzo VI, da Martino, figlio di quel Lello Bontempi, che gli scrittori di cose perugine ricordano come celebre giureconsulto (cfr. G. Vincioli, p. 29). Sono ricordati della stessa famiglia, tra gli altri, un Agnolello e un Alessandro di Giovannello, dottore, inviati in diverse occasioni come ambasciatori del Comune (Pellini, pp. 465, 470,, 484, 487). Appartenente dunque a una famiglia tradizionalmente colta, il B. dové seguire un corso regolare di studi fino ad addottorarsi in diritto canonico, se più tardi, nell'anno accademico 1353-54, leggerà il Sesto delle Decretali e le Clementine, nello Studio della sua città (G. Ermini, p. 39). Canonico regolare nell'ordine del diaconato della chiesa di S. Lorenzo, cattedrale di Perugia, godeva certamente di una grande stima tra i suoi confratelli, dacché essi, il 31 luglio 1348, riuniti in capitolo, affidarono a lui, benché giovanissimo (non aveva che ventidue anni) e già priore della comunità, il compito di scegliere i rettori delle chiese vacanti dipendenti dalla cattedrale (i quali poi, approvati dal vescovo Francesco Graziani, furono ammessi come canonici estrinseci), e di ricevere e accettare gli oblati che avrebbero dovuto servire nella chiesa cattedrale (Cernicchi, doc. n. 58, p. 75). Ma la stima e la fiducia dai canonici riposta nel B. si palesò in tutta la sua misura quando lo elessero a soli ventisette anni vescovo della città.

Tutti gli storici di Perugia hanno posto l'elezione del B. nel 1352, ma il suo predecessore, Francesco Graziani, era ancora in vita il 7 marzo 1353, come risulta da un rogito notarile di Giacomo di ser Nicola di Porta Eburnea, in cui egli fa rifidanza all'ospedale della Misericordia di un fiorino d'oro per un canone annuo (Arch. di Stato di Perugia, Ospedale della Misericordia, Serie di contratti vari n. 10, f. 97v;cfr. Ricordi di Rifidanze passive [1348-1793], p. 9). Epoiché solo nel marzo 1354 il B.interruppe il suo insegnamento nello Studio perugino, certamente per recarsi in Curia, la morte del Graziani e l'elezione del successore si dovranno necessariamente spostare non solo a dopo il 7 marzo del 1353, ma forse fino all'inizio dell'anno seguente.

In ogni caso il B. alla fine di aprile del 1354 era certamente giunto ad Avignone, e il papa Innocenzo VI, con bolla datata da Villanova il 2 maggio 1354, pur dichiarando nulla l'elezione fatta dai canonici, essendo la Chiesa di Perugia "ad Romanam ecclesiam nullo medio pertinente", lo nominava vescovo di quella città e, secondo la prassi, ne dava contemporaneamente comunicazione al capitolo della cattedrale, al clero e al popolo della città e della diocesi di Perugia. Con la bolla di conferma del 4 maggio 1354, il papa concedeva al B., che aveva allora soltanto ventotto anni, la dispensa dall'età minima richiesta dai canoni per essere consacrato vescovo.

È interessante rilevare che, nonostante il dichiarato diritto di riserva, con la solita finzione dell'ignoranza di esso da parte del capitolo e dell'eletto, Innocenzo VI confermò la scelta dei canonici perugini, ricorrendo persino alla dispensa per difetto d'età del designato. Il diritto di riserva permetteva ai papi d'Avignone di scegliere per le sedi vacanti persone su cui contare interamente, specie in Italia, per la realizzazione della loro politica. Ma, in questa occasione, a prescindere dalle qualità e dai meriti del B., conosciuto personalmente tra i cardinali almeno da Pietro Roger de Beaufort (il futuro Gregorio XI), il papa, impegnato nella guerra contro il prefetto Giovanni di Vico, all'inizio della riconquista albornoziana dello Stato della Chiesa, non aveva alcun vero interesse a turbare, con una diversa nomina, i buoni rapporti con Perugia, la quale, tra l'altro, manteneva anche un contingente di armati nell'esercito della Chiesa. Del resto la nomina del B. aveva fruttato alla Camera apostolica una bella somma: il nuovo vescovo, infatti, oltre a pagare per i "servitia communia" la tariffa di 600 fiorini stabilita per Perugia, ne aveva dovuti pagare altri 4000, somma probabilmente calcolata sul valore dei beni del vescovo defunto, ereditati dalla S. Sede per diritto di spoglio. Per poter pagare una così ingente tassa, il B. dovette ricorrere ai suoi parenti e amici per un prestito, che non riuscì a restituire con i soli beni mobili lasciati dal suo predecessore: con lettera del 15 luglio 1355il papa gli concedeva facoltà di alienare i beni inimobili acquistati a titolo personale da Francesco Graziani, che non fossero stati incorporati nella mensa vescovile, sino all'ammontare di 1500fiorini (Reg. Vat. 229, f. 190v).

Ottenuta infine la consacrazione episcopale, il B. riceveva, il 7 luglio 1354, licenza di lasciare la Curia, con l'ordine di raggiungere la sua sede (Reg. Vat. 227, f. 341v). Ma egli si dovette trattenere ad Avignone, o altrove, ancora qualche mese, giacché giunse a Perugia solo il 9 ott. 1354 (Cronaca del Graziani, p. 174; Pellini, I, p. 948). La popolazione lo accolse con manifestazioni di giubilo, e il Comune, in aggiunta al presente ordinario di cera e di confetture, gli fece dono di due cavalli, e inoltre indisse in suo onore grandi festeggiamenti e giuochi pubblici con la partecipazione di quaranta giostratori (ibid.).

Preso possesso della sua sede, il B. spiegò un'intensa attività pastorale, amministrativa e anche di giurisdizione civile, per quanto si può dedurre da due protocolli di due suoi notai, Pietro di Francesco di Petriolo e Angelo di ser Vanni di Lamberto. Aveva come principale collaboratore il vicario generale, che lo coadiuvava in tutte le sue mansioni, rappresentandolo anche nelle stipulazioni notarili e nell'amministrazione della giustizia nel tribunale vescovile, per cause tra ecclesiastici e tra ecclesiastici e laici, ma solo in liti per le quali erano previste pene pecuniarie. Ma per meglio disimpegnare le sue mansioni, il B. sceglieva anche di volta in volta vicari speciali, con incarichi e attribuzioni precise, come quando nominò il rettore di S. Nicola di Deruta a rappresentarlo "per totum comitatum Perusii porte sancti Petri" nelle cause di esecuzione testamentaria, per le quali gli diede facoltà di perseguire singole persone, infliggere la scomunica o accordarne l'assoluzione, ecc. (Briganti, p. 12 n. 2).

Proprio in materia di disposizioni testamentarie, troviamo frequenti gli interventi del B., al quale si ricorreva quando non fossero state rispettate le volontà del testatore. specie in favore dei poveri, dei quali, come vescovo, era il legittimo protettore e dei cui beni era amministratore. E non di rado i cittadini rimettevano la composizione delle loro vertenze a una sua sentenza arbitrale. Un altro campo in cui il B. esercitava la giurisdizione civile era quello delle legittimazioni dei figli nati fuori del matrimonio e della nomina dei notai. L'imperatore Carlo IV di Lussemburgo, infatti, con un diploma datato da Pisa il 19 maggio 1355, concesse al B. e ai suoi successori la facoltà di creare notai e di regolarizzare la posizione dei figli illegittimi, ad eccezione di quelli nati da nobili, nella città, contado e distretto di Perugia e nei territori ad essa soggetti. Anche l'attività dal B. dedicata all'amministrazione dei beni vescovili è sufficientemente documentata nei due protocolli notarili summenzionati, i cui rogiti sono in gran parte costituiti da atti di vendita, da testamenti, quietanze, riscossioni, procure, contratti di affitto, di mezzadria, di enfiteusi, ecc.

Quanto alla giurisdizione ecclesiastica, data l'estensione del diritto di riserva alla Santa Sede anche dei benefici minori, rimaneva poco spazio all'azione autonoma del vescovo, limitata quasi a sole mansioni esecutive delle nomine fatte dalla S. Sede, che si avvalse talvolta del B. anche per la collazione di benefici situati nel territorio delle diocesi contermini.

In particolare: il 14 dic. 1354 fu incaricato, insieme con l'abate del monastero di S. Pietro e il priore di S. Giovanni in Piazza, di esaminare la domanda di ammissione al monastero di S. Maria di Val di Ponte di un tal Costanzo, chierico perugino. Il 19 marzo 1356Innocenzo VI commise al B. il conferimento a Savino di Ugolino, chierico di Orvieto, di un canonicato "sub espectatione prebende" nella chiesa orvietana, e ai chierici di Perugia, Sinibaldo e Dionisio di Nino, rispettivamente nella chiesa di Todi e in quella di Assisi. Il 30 luglio 1356nominò di sua iniziativa, per eliminare un abuso, Baroncio di Ercolano da Villa Isola della diocesi di Orvieto a rettore della chiesa di S. Egidio di Poggio Aquilone, e gliene conferì l'investitura mediante la consegna dell'anello. Con la stessa procedura, quale esecutore generale della Sede apostolica, il 22 nov. 1356 investì del beneficio di S. Mustiola di Chiusi, e il 31 dicembre del priorato di S. Mariano, nella diocesi perugina e dell'archipresbiterato di S. Feliciano di Foligno, Angelo di Matteo, rettore di S. Isidoro di Perugia, il quale li riceveva, in qualità di procuratore, a nome del card. Rinaldo Orsini, al quale erano stati riservati. Sebbene non se ne abbiano esempi, tuttavia doveva conferire direttamente almeno i benefici sine cura, se poteva accordare per la collazione di essi addirittura la dispensa per "defectum natalium", come fece il 21 sett. 1357, quando l'accordò ad un Antonio, figlio di ser Angelo di ser Vanni, che forse era la stessa persona di quell'Angelo di ser Vanni di Lamberto, che fu notaio della Curia vescovile. Nel 1363 trasferì le rendite della chiesa di S. Maria di Mirgnano a quella di S. Bartolomeo di Ponte S. Giovanni, dipendente dalla pievania di Campo, che non ne aveva sufficienti. E il 2 dicembre di quello stesso anno, su richiesta del monastero stesso, provvide, assieme a un delegato del capitolo della cattedrale, alla riunione dei beni delle chiese di S. Maria Ranchi Scarionis e di S. Lorenzo di Pulgeto, dipendenti dal monastero di S. Salvatore di Monte Acuto.

Una vigilanza particolare dedicò il B. ai monasteri femminili, nominando direttamente le badesse su richiesta delle monache, o confermando le designazioni delle comunità stesse; ma curando soprattutto la disciplina dei chiostri, specie per quel che riguardava la clausura, la cui inosservanza doveva aver dato luogo a fatti incresciosi e imbarazzanti.

Così il 13 giugno del 1358 convocò il capitolo della cattedrale per prendere in esame il problema costituito da quelle monache, "que cum aliquo lapxu luxurie et incontinentie fornicationem adulterium vel incestum commixerint" (Briganti, doc. n. CXIV, pp. 74 s.), e che per questo o per altro motivo, ma senza l'autorizzazione del vescovo o del suo vicario, restavano a vivere fuori del monastero. Fu emanata una costituzione, nella quale fu stabilito che la monaca che volesse tornare alla vita claustrale, poteva entrare solo nel monastero di S. Maria Maddalena o delle repentite, posto nel borgo di S. Pietro; il monastero di origine non doveva riceverle più, ma era tenuto a provvedere del necessario, vita natural durante, la consorella pentita entrata nel nuovo monastero.

Nei riguardi del Comune e delle sue istituzioni, il B., membro d'una famiglia di parte popolare, mantenne un costante atteggiamento di lealtà, che seppe conciliare con la sua sincera sottomissione alle direttive della S. Sede. Tuttavia non dovette mostrarsi favorevole o, per lo meno, non assecondò il lento lavorio avviato dall'Albornoz, per preparare la completa sottomissione di Perugia al dominio diretto della Chiesa, se fu disposto a recarsi ad Avignone, insieme con altri ambasciatori, per cercare, a nome del Comune di Perugia, una soluzione negoziata del conflitto apparso inevitabile tra la città umbra e la Chiesa dopo la conquista di Sassoferrato da parte dell'Albornoz (inizi del 1366). Fu un inutile tentativo. Invano i Perugini, dopo che l'Albornoz, profittando della rotta inflitta alle loro truppe da Giovanni Acuto, si fu impadronito di Assisi, Gualdo e Nocera, si illusero ancora di poter conservare la libertà per via di trattative e concessioni, come era avvenuto per la lega antiviscontea. Fu così che, scoperta nel settembre-ottobre del 1368 una congiura di nobili, la quale, oltre al rovesciamento del governo popolare dei raspanti, avrebbe avuto lo scopo di dare Perugia in balia della Chiesa, si venne ad una aperta rottura. Il 7 luglio 1369 Urbano V lanciò l'interdetto sulla città. Poco dopo, per ordine del pontefice, il B. dovette abbandonare, con tutto il clero e gli ordini religiosi, Perugia. Conclusesi le operazioni militari e firmata la pace (23 novembre del 1370), il B. ricevette dal papa il compito di assolvere individualmente, con altri dodici penitenzieri, gli abitanti della città umbra dalla scomunica; tuttavia egli non dovette farvi ritorno prima dell'autunno del 1371, "perché dicono che egli leggeva in una città dell'Imperatore" (Pellini, I, p. 1119) . Rientrato nella sua sede, il B. volle esprimere la sua devozione alla memoria dello scomparso Urbano V, facendone dipingere l'immagine col titolo di beato all'interno del duomo e di S. Domenico. Poco dopo si recava a Firenze per ricevere il cardinale di Sabina, Filippo di Cabassoles (il "cardinale di Gerusalemme"), inviato dal pontefice, al posto dell'energico cardinal d'Estaing, come legato e governatore di Perugia. Alla morte di questo (27 ag. 1372), gli succedette Gerardo di Puy, abate di Monmaggiore (Marmoutier in diocesi di Tours), che si trovava allora a Perugia come collettore e tesoriere generale della Chiesa in Italia, e che fu travolto dalla rivolta popolare scoppiata, sul finire del 1375, in tutte le terre di dominio pontificio in concomitanza con la guerra degli Otto santi. Non siamo informati circa l'atteggiamento assunto dal B. nei confronti di Gerardo di Puy, della rivolta, e della guerra che ne seguì; è tuttavia probabile che durante tutte queste vicende egli avesse osservato un atteggiamento prudenziale di equidistanza, pur nella sua disposizione all'obbedienza all'autorità della Chiesa, atteggiamento che mantenne nonostante che Gerardo di Puy avesse esiliato per sospetto di congiura un suo nipote, Lodovico di Agnolino Bontempi detto Spaccafico, e forse, secondo il Pellini, altri due, Seppolino di Luca di Agnolino e Giovanni suo fratello, tutti e tre di parte popolare.

Due notizie danno, tuttavia, l'impressione che durante il governo dell'abate di Monmaggiore il B. fosse stato messo da parte, anche per quanto riguardava le sue specifiche competenze episcopali. Nel luglio del 1374, infatti, i frati di S. Maria Nuova ricevettero il possesso della chiesa e del convento di S. Fortunato non dalle mani del B., ma da quelle del vescovo di Fermo; e un anno dopo, il 14 luglio 1375, la confraternita della SS. Annunziata di Porta Eburnea fu radunata nel suo oratorio "de licentia de Mesere lo Vescovo di Castello" (Lib. Fratern., 1370-1376, f. 138). Sappiamo anche che il B., accusato di tramare d'accordo con i Michelotti per rimettere Perugia sotto il governo del papa, venne riconosciuto del tutto innocente: l'accusa potrebbe aver voluto significare, tuttavia, che il presule era favorevole a por fine alla guerra e a trattare col papa.

Del resto, il lealismo e la fedeltà del B. nei confronti del "pacifico e popolare regime della città di Perugia" ebbe il suo solenne riconoscimento nella seduta consiliare del 14 giugno 1378, quando fu discussa la domanda presentata dal presule, di potersi recare a Roma per ossequiare personalmente Urbano VI, da poco asceso al trono papale: dato lo stato di guerra, infatti, ogni rapporto con i territori di dominio pontificio era severamente interdetto. Nell'accordare l'autorizzazione richiesta, i magistrati ricordavano il patriottismo del B., e si davano cura di far rilevare come dalla sua presenza presso la Curia romana avrebbero potuto trarre vantaggio anche gli ambasciatori perugini nella prosecuzione delle loro trattative con la Sede apostolica (Riformanze, vol. XXVI, ad ann.1378, f. 198).

Il presule giunse a Roma sul finire di giugno - quando cioè Urbano VI si era reso conto della gravità dell'atteggiamento assunto nei suoi riguardi dai cardinali riuniti ad Anagni - e seguì, probabilmente, il pontefice a Tivoli. Creato cardinale prete del titolo dei SS. Marcellino e Pietro il 17 settembre 1378 (tre giorni dopo i cardinali, riuniti a Fondi, avrebbero eletto Clemente VII), il B. dovette fornire al pontefice esaurienti ragguagli sulla situazione interna di Perugia, illustrando i vantaggi, che sarebbero potuti derivare alla Sede apostolica da una pronta conclusione delle ostilità, se Urbano VI si risolse a scrivere direttamente ai magistrati e al popolo perugino, dichiarando di rimettersi alla loro buona volontà per la stipulazione degli accordi di pace (1º nov. 1378). Scavalcando le ordinarie vie diplomatiche forse per consiglio del B., Urbano VI pensava probabilmente di ottenere maggiori concessioni rispetto a quelle che si erano mostrati disposti a fare gli ambasciatori perugini a Roma. Il 20 novembre il B. rientrò nella sua sede episcopale: le autorità municipali, per festeggiare degnamente la sua promozione al cardinalato, deliberarono una spesa di ben 600 fiorini d'oro.

È interessante notare, tuttavia, che i priori della città, quando si recarono a incontrare, fuori porta S. Pietro, il loro presule, sottolinearono il fatto che essi lo ricevevano per loro esclusiva liberalità - e non perché vi fossero tenuti -, affermando, sia pure "cum omni humilitate et reverentia", che non intendevano né volevano accoglierlo "tamquam legatum sedis apostolice vel eius numptium vel officialem Ecclesie Romane". Essi vollero altresì che il cardinale rilasciasse una dichiarazione ufficiale in tal senso. Al B., che aveva valutato esattamente la gravissima situazione in cui versava Urbano VI, premeva soprattutto la conclusione della pace; egli acconsentì pertanto senza difficoltà a rilasciare il documento richiesto, che venne autenticato da un notaio del Comune (Riformanze, vol.XXVI, f. 326, ad ann. 1378).

Entrato in città, il B. iniziò subito le trattative con i quattro cittadini deputati dal Comune, per stendere i capitoli della pace. Il B. fu estremamente realistico, tornando in certo modo al sistema albornoziano: in cambio del riconoscimento dell'alta sovranità della Chiesa, e dietro il pagamento di un censo annuo di 3.000 fiorini (a cui si sarebbe dovuta aggiungere la somma di altri 60.000 in conto di riparazioni di guerra, da pagarsi in dodici anni), Perugia otteneva, sotto il titolo di vicariato, l'autogoverno per sé e il suo territorio per un periodo di cento anni. I termini della pace rispondevano non solo alla realtà obiettiva di quel momento, ma forse anche all'interpretazione giuridica degli speciali rapporti tra Perugia e la Chiesa e agli ideali politici propri del Bontempi. Ratificata il 4 genn. 1379 la pace, Urbano VI il 16 dello stesso mese conferì al B., con facoltà di delega, il potere di assolvere formalmente la città di Perugia dall'interdetto e i cittadini dalla scomunica.

Fonte di gravi preoccupazioni, inoltre, era la Marca d'Ancona, dove allo stato endemico di rivolta e di insicurezza provocato dai signori, dalle compagnie di ventura e dai contrasti cittadini, si aggiungeva il pericolo delle milizie assoldate da Clemente VII. Il B., che nella recente pace con Perugia si era fatto apprezzare per la sua abilità diplomatica e per le sue doti di equilibrio e di realismo politico, fu nominato (22 gennaio) legato nella Marca di Ancona conservando come vescovo commendatario l'episcopato di Perugia. Fissò la sua residenza nella città allora strategicamente più importante della Marca, Recanati, da dove iniziò un difficile lavoro di recupero delle terre della Chiesa. Nel 1379 aiutò Fermo a liberarsi da Rinaldo da Monteverde; l'anno appresso poté togliere a Boffo da Massa Fermana i Comuni di Castignano e Cossignano. Ma gli avversari più potenti e irriducibili furono i Varano, signori di Camerino, ai quali però il B. riuscì a togliere quasi contemporaneamente, nel 1386, San Ginesio e Macerata, dove pare riportasse la Curia della provincia. Solo allora i signori di Camerino si indussero a venire a patti con il B., che tuttavia fu irremovibile nel chiedere la loro completa sottomissione. Identico atteggiamento egli tenne nei confronti di Fermo, provocandone la pronta reazione - con l'aiuto di milizie recanatesi, proprio in quell'anno un distaccamento fermano saccheggiò la città di Ascoli - inducendo i Fermani a rivolgersi ai Perugini, affinché esercitassero pressione sul B. al fine di rimuoverlo dal suo duro atteggiamento di intransigenza. Perugia incaricò quindi Giacomo di Conte degli Arcipreti, che proprio allora doveva recarsi a Fermo per assumervi l'ufficio di podestà, di interporre i suoi buoni uffici presso il B., ma solo il 16 dic. 1388 Gentile e Rodolfo Varano, Gentile e Berardo Varano di messer Venanzo da Camerino e Guido da Matelica inviarono a Urbano VI il giuramento di fedeltà. Nella primavera dell'anno successivo (1389), poiché il B. aveva assoldato Boldrino da Panicale, e il condottiero Corrado di Altenberg, ancora una volta Gentile Varano e la città di Fermo, sentendosi insicuri, entrarono in guerra con le terre di dominio pontificio. Urbano VI, con bolla del 16 luglio, scomunicò Gentile e suo figlio Rodolfo con tutti i loro seguaci, e fulminò l'interdetto sulle città da essi occupate, ingiungendo al B. di far pubblicare scomunica e interdetto in tutte le chiese della provincia.

Morto Urbano VI il 15 ott. 1389, il B. si recò a Roma, dove giunse il 27 di quello stesso mese, per partecipare al conclave - riunito già da due giorni - dal quale il 2 novembre usciva eletto Bonifacio IX. Confermato nella sua carica, il B. tornò immediatamente nella Marca d'Ancona, dove la situazione era sempre molto fluida.

È difficile valutare, data la frammentarietà delle notizie, l'attività politica e amministrativa dal B. svolta durante la sua legazione, anche perché non sappiamo in quale misura sia stato condizionato dalle direttive di un papa come Urbano VI, impulsivo e intollerante, incapace di una politica realistica e coerente. Sembra tuttavia che il B. abbia limitato la sua azione alla parte centromeridionale della provincia, che, pur travagliata da gravi difficoltà, riusci tutto sommato a mantenere fedele a Roma. Non sappiamo infatti se e quali rapporti avviò con i Malatesta, i cui territori si estendevano da Cesena a Osimo; se e quale politica tenne nei confronti dei signori di Montefeltro che da Urbino potevano minacciare non solo la Marca, ma la Romagna, la Massa Trabaria e il ducato di Spoleto; se, infine, si fosse posto il problema della potenza di Gian Galeazzo Visconti, che andava estendendo la sua influenza anche nell'Italia centrale. Su Ancona - il più importante Comune, anche per il suo porto, della provincia - gravò fin dal 1383 l'interdetto per aver distrutto la rocca di San Cataldo e il B. non seppe o non poté far nulla per ottenerne l'assoluzione e averla dalla sua parte. Con i Comuni e i signori che non si sottomettevano, si ha, comunque, l'impressione che il B. mantenesse in generale un atteggiamento intransigente.

Nella situazione di insicurezza generale, conseguenza diretta dello scisma, la Marca d'Ancona - percorsa e devastata dalle compagnie di ventura al soldo della Sede apostolica o degli avversari della Chiesa, taglieggiata dai capitani e dalle bande rimaste senza condotta, spremuta dalle contribuzioni di guerra - proprio nel decennio dell'amministrazione del B. entrò, come del resto le altre terre di dominio, pontificio, in un periodo di grave crisi economica e demografica, che si doveva prolungare sino alla fine del secolo. Consapevole di ciò, il B. amministrò le città soggette con umanità e comprensione, cercando di ridurre, per quanto poteva, contributi e taglie nonostante le continue, assillanti necessità finanziarie, che si vedeva costretto a fronteggiare: così, per esempio, fece nel 1380 e nel 1383 per Castignano, nel 1381 per Ripatransone, nel 1386 per San Ginesio, nel 1389 per Macerata, e nel 1390 per Montelparo.

Il B. morì improvvisamente a Macerata il 16 luglio 1390, e venne sepolto nella cattedrale.

Fonti e Bibl.: Le fonti documentarie relative al B. sono nella maggior parte inedite. Arch. Segr. Vat., Reg. Vat. 225, ff. 40v-41; 226, ff. 193v, 275; 227, f. 341v; 229, f. 19ov; 230, ff. 154v, 163v; 258, f. 112v; 310, ff. 61, 129v-130; 312, ff. 33v-35, 261; 313, ff. 66v-67v; Ibid., Obligationes et Solutiones 22, f. 157v; 48, f. 124v; Ibid., Arm. 53, vol. 8, ff. 169v-170v; Ibid., A. A. Arm. D, nn. 5-9, 25; e inoltre A. Theiner, Codex diplomaticus domimi temporalis Sanctae Sedis, Romae 1862, II, p. 260 n. 655; Ordo Romanus, XV, a cura di Y. Mabilion, in Museum Italicum, II, Luteciae Parisiorum 1689, p. 533; Arch. di Stato di Perugia, Riformanze, vol.XXVI, ff. 325-327, 345v; XXX, f. 51v; XXXII, f. 63; XXXIV, f. 222; per le pergamene e altri documenti si segnalano i transunti manoscritti di G. Belforti, che in calce dà sempre l'indicazione archivistica: Ospedale di S. Maria della Misericordia,serie di contratti vari: Rifidanze n. 177, pp. 45, 56; Ricordi di catasti, p. 4; Ricordi di commissioni, p. 1; Concessioni, pp. 54-55; Testamenti, p. 46; Pergamene volanti, I, p. 282, n. 114; II, pp. 109 n. 171; 123 n. 597; Famiglie perugine, n. 24, ff. 121-122. Di grande interesse per l'attività amministrativa del B. nei primi anni del suo vescovato sono i protocolli di due notai vescovili, editi, purtroppo con vari errori da F. Briganti, Un protocollo di Pietro Petrioli di Bettona,notaio di A. B. vesc. di Perugia, in Boll. della R. Deput. di storia patria per l'Umbria, XXIII (1918), pp. 26-97, con aggiunta (pp. 97-101) di brevissimi regesti del protocollo del notaio Angelo di ser Vanni di Lamberto. Si veda anche G. Cernicchi, L'acropoli sacra di Perugia e i suoi archivi al principio del sec. XX, Perugia 1911, pp. 75, n. 58 e 76, nn. 59 e 61; 77, n. 62. Si veda inoltre K. Eubel, Bullarium Franciscanum, VI, Romae 1902, pp. 301, 418, 501. Per il governo del B. nella Marca d'Ancona vedi Archivio di Stato di Fermo, Riformanze, 14 e 21 marzo 1390 (i ff. non sono numerati); Ibid., Pergamene, n. 1188; e inoltre alcuni documenti editi da G. Cicconi, Le pergamene antiche dell'Archivio municipale di Montelparo oggi custodite nell'arch. municipale di Fermo, in Fonti per la storia delle Marche, Ancona 1939, p. 50 nn. 142 e 143; da G. Colucci, Delle antichità picene, Fermo 1786-1796, XVI, pp. 91-96 nn. 2-5; XVII, pp. 102-103 n. 17; XVIII, p. CXLV, n. 29; XIX, pp. CXII-CXIV n. 58; XXIX, pp. 205-208 nn. 110-111; altri documenti sono stati editi dal Compagnoni, La Reggia picena..., pp. 251-252, e dal Martorelli, Memorie historiche..., p. 204. Tra le fonti cronachistiche offrono qualche notizia le Cronache della città di Perugia, a cura di A. Fabretti, I (1348-1438), Torino 1887, pp. 37, 39, 43, 110; e la Cronaca della città di Perugia dal 1309 al 1491, nota col nome di Diario del Grazioni, a cura di A. Fabretti, in Arch. stor. ital., XVI(1850), pp. 174, 180, 209, 215, 220, 226, 251. Notizie, sia pure con qualche confusione, sull'attività politica del B. nella Marca, in Antonio di Niccolò, Cronaca della città di Fermo, a cura di G. De Minicis, in Documenti di storia italiana, IV, Firenze 1870.

Le voci a carattere enciclopedico, antiche e moderne, sono del tutto insufficienti e spesso con errori; notizie utili si possono invece leggere in G. Vincioli, Notizie istorico-critiche a' ritratti di 24 cardinali, Foligno 1730, pp. 95-98; 107-108, ed in particolare nella biografia, documentata anche se con qualche inesattezza, conservata a Perugia, Bibl. Augusta, ms. 1349, di G. Belforti, Serie dei vescovi di Perugia dall'anno di Cristo CLXXI a tutto l'anno 1785, con correzioni e note autografe di A. Mariotti, pp. 89-113; e in P. Pellini, Dell'Historia di Perugia, Perugia 1664, I, pp. 919, 948, 953, 1015, 1039 s., 1045, 1085, 1119, 1230, 1242, 1322, 1348, 1365, 1367; II, p. 13. Si veda inoltre F. Briganti, Un Protocollo…, cit., pp. 3-25; G. Ermini, Storia dell'università di Perugia, Bologna 1947, p. 139, al quale però, come ad A. Rossi, Doc. per la storia dell'università di Perugia dalle origini al 1389, in Giorn. di erud. art., pubblic. a cura della R. Comm. cons. di belle arti nella prov. dell'Umbria, V (1876), pp. 368 s., nn. 91 e 92, sfugge che l'Andrea di Martino di Lello, che nell'anno 1353-54 insegnava, nello Studio di Perugia, Sesto e Clementine, era il B., futuro vescovo della città; R. Belforti, L'università di Perugia e i suoi storiografi, in Boll. della R. Deput. di storia patria per l'Umbria, XLI (1944), pp. 192-193; L. Bonazzi, Storia di Perugia, a cura di G. Innamorati, Città di Castello 1959, 1, pp. 389 s.

Per il governo della Marca d'Ancona del B. si veda Colucci, Delle antichità…, XVI, Memorie storiche di Castignano, p. 19; XVII, Memorie storiche di Montelparo, pp. 38-39; XIX, Memorie istoriche di San Ginesio, pp. 146-147, 159; XXVIII, Discorso istorico... e avvenimenti di Monte Cassiano composta da Angelica Scaramuccia, pp. 34-35; P. Compagnoni, La Reggia Picena, overo de' Presidi della Marca, Macerata 1661, pp. 247-258, 315; L. Martorelli, Memorie historiche dell'antichissima e nobile città d'Osimo, Venezia 1705, pp. 194-196; C. Lilli, Dell'Historia di Camerino, Parte seconda, Macerata 1652, pp. 128 s.; R. Foglietti, Conferenze sulla storia medioevale dell'attuale territorio maceratese, Torino 1885, pp. 384 ss.; J. Guiraud, L'Etat pontifical après le Grand Schisme, Paris 1896, pp. 24-25; A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1968, pp. 3, 47, 49-50, 537, 587.

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