CRISOBERGA, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)

CRISOBERGA (Chrysoberges), Andrea (Andrea da Costantinopoli, Andrea da Pera)

Paolo Cherubini

Appartenente ad una nobile famiglia greca, nacque nell'ultimo quarto del sec. XIV e ricevette la prima educazione in Oriente. Si convertì alla fede cattolica per opera ed emulazione dei fratelli, Teodoro e Massimo (insieme con i quali prese i voti nel convento domenicano di Pera), ma anche sotto l'influsso di Demetrio Cidone e del suo ambiente, in particolare di Manuele Crisolora, amico di quel Manuele Caleca, anche egli domenicano, con il quale i tre fratelli Crisoberga si trasferirono in Italia intorno al primo decennio del sec. XV.

Fino all'inizio di questo secolo la storiografia, non riuscendo ad attribuire ad una stessa persona le molte attività svolte dal C. (vicario dei predicatori in Oriente, rappresentante del papa al concilio di Basilea, delegato di parte latina al concilio di Firenze, maestro del Sacro Palazzo, ambasciatore a Costantinopoli e in Polonia, ecc.), credette all'esistenza di due o tre personaggi omonimi (Andrea da Costantinopoli, Andrea da Rodi ed Andrea da Pisa). È stato merito del Mercati ristabilire il vero, riferendo quei dati ad una sola persona la successiva storiografia, soprattutto domenicana, ha precisato la figura e l'attività del Crisoberga.

Le. prime notizie riguardano la sua presenza a Padova: compare in un documento del 21nov. 1410, in cui risulta "magister philosophiae" nel convento domenicano di S. Agostino che costituiva una delle articolazioni della facoltà teologica dello Studio cittadino. L'anno successivo passò a studiare filosofia nella medesima facoltà e nel 1412 divenne cancelliere degli studenti. Il capitolo generale dell'Ordine dei predicatori, tenutosi a Genova l'11 giugno 1413 (dei cui atti egli sembrerebbe essere stato l'estensore) gli assegnò, poi, l'incarico di maestro degli studenti dello Studio domenicano della provincia romana, sito nel convento di S. Marco in Firenze. Rientrato a Padova nel 1414, proseguì lo studio delle Sententiae di Pietro Lombardo, per conseguire il baccellierato in teologia. Nell'autunno dello stesso anno, però, lasciò di nuovo Padova per recarsi al concilio di Costanza, probabilmente perché gli fu suggerito che avrebbe potuto svolgervi un ruolo importante nel riavvicinamento con i Greci, forse proprio da Manuele Crisolora, che lo giudicava adatto come mediatore e come interprete. Vi pronunciò un discorso all'apertura e forse anche altri in seguito, uno nel 1416ed un altro il 3 ott. 1417, nel quale si univa al coro di chi chiedeva all'assemblea l'elezione di un nuovo pontefice. È probabile che alternasse la sua presenza a Costanza con quella a Padova dove lo troviamo maestro degli studenti il 16dic. 1415 e baccelliere il 3 marzo 1417 e nel luglio 1418. L'11 nov. 1417, insieme con l'ambasciatore greco Nicola Eudomonoiohannes, fu presente all'incoronazione di Martino V a Costanza in questa occasione il C. pronunziò un lungo discorso all'indirizzo del papa sul problema dell'unione, come ricorda il cronista greco Silvestro Syropoulos. Pare inoltre che fu proprio lui a tradurre i 36 articoli, comprendenti le proposte dell'imperatore e dei patriarca di Costantinopoli, nel corso delle trattative con i greci. Da Martino V ricevette poi, il 12 febbr. 1418, una bolla che lo autorizzava, in deroga allo statuto dell'università di Padova, a partecipare all'esame di dottorato pur non avendo completato il commento alle Sententiae di Pietro Lombardo, giustificando la deroga con la sua partecipazione al concilio. Il C. probabilmente conseguì il dottorato nella seconda metà del 1418 e fu aggregato al Collegio dei teologi dello Studio patavino.

Dopo questo periodo le fonti tacciono sull'attività del C., il quale - a quanto sembra - fece ritorno in Oriente per predicare contro gli scismatici e gli infedeli: per questo gli furono assegnati i proventi della cappella di S. Antonio a Caffa. Nell'inverno 1425-26, comunque, egli si trovava certamente a Roma, dove il 28 genn. 1426pagava di persona alla Camera apostolica la tassa per l'annata del suddetto beneficio. Il 12 febbr. 1426 fu chiamato da Martino V a far parte della famiglia pontificia e il 9 giugno fu nominato maestro del Sacro Palazzo. Il giorno successivo ricevette dal pontefice l'incarico di recarsi a Costantinopoli presso Giovanni VIII Paleologo ed il patriarca Giuseppe II, al fine di invitare i Greci ad un concilio generale.

Il C. - che era stato nominato dal capitolo generale dell'Ordine domenicano riunito a Bologna il 19 maggio 1426 vicario dei frati pellegrinanti in Oriente e che nel contempo era rappresentante del maestro generale dei domenicani presso la Congregazione armena - chiese ed ottenne la licenza a condurre con sé dieci confratelli, per visitare i conventi domenicani d'Oriente (al suo intervento, inoltre, sono probabilmente da attribuire alcune bolle concesse da Martino V in favore dei domenicani di Chio - 12 e 21 nov. 1425 e 5 marzo 1426 - contro il vescovo dell'isola, Leonardo Pallavicino). A Costantinopoli il C. fu inizialmente incoraggiato dall'imperatore: ma questi, dopo aver avuto un colloquio con i monaci del monastero di Stoudion decise di congedare il C. e di trattare direttamente, tramite lettere, con il papa senza utilizzare alcun intermediario. Umiliato da tale atteggiamento, il C. ritornò a Roma, sicuramente prima del 9 maggio 1427, quando ricevette da Martino V l'incarico di conferire la licenza di maestro in teologia al domenicano inglese Giacomo Blacden.

Fino al 1428 il C. restò a Roma e strinse amicizia con l'umanista fiorentino Poggio Bracciolini, il quale in diverse lettere si espresse nei suoi confronti in termini elogiativi e lo inserì tra i personaggi del dialogo De avaritia, come portavoce delle proprie idee. Il 10 genn. 1428 era ancora a Roma e pronunciava in S. Maria Maggiore l'orazione funebre in onore del cardinale Francesco Landi. In autunno il C. (cui il capitolo generale di Colonia aveva nel frattempo confermato la carica di vicario dei frati pellegrinanti, carica che avrebbe riottenuto poi il 10 genn. 1431) ricevette dal pontefice l'incarico di recarsi in Polonia e Lituania, per invitare i rispettivi sovrani, Ladislao e Vitoldo, ad una crociata contro gli ussiti. Di questa missione ci è rimasto un resoconto dello stesso C., il quale durante il soggiorno in Polonia ebbe modo di intervenire presso il re in favore del convento domenicano armeno di Leopoli, che era stato spogliato di alcuni libri, e di passaggio per Cracovia fu ascritto nel ruolo dei professori della locale facoltà di teologia.

Al ritorno a Roma, nell'inverno 1429-30, apprese della morte del fratello Teodoro e della propria nomina a vescovo di Sutri, avvenuta nel concistoro del 28 febbr. 1429 il C. non dovette accettare la nomina dato che in un documento del 20 dic. 1430 è ricordato solo con il suo titolo di maestro del Sacro Palazzo. A Roma trovò anche un'ambasciata greca, con la quale trattò dell'imminente concilio, com'ebbe egli stesso a dichiarare più tardi in un discorso tenuto davanti al concilio di Basilea il 22 ag. 1432.

In Curia si trovava ancora il 15 ott. 1431, come attesta la lettera da lui scritta in quella data a Giovanni da Ragusa. Si recò a Basilea, invece, l'anno seguente (già con il titolo di arcivescovo di Rodi dal 2 maggio 1432, secondo il Loenertz, Les dominicains..., p. 5) in qualità di ambasciatore di Eugenio IV, insieme con Giovanni Berardi, vescovo di Taranto ma lasciò la città ed il concilio, dopo aver ricevuto nella quarta sessione, del 20 giugno 1432, la risposta negativa dell'assemblea alla proposta del pontefice di trasferire la sede in Italia.

Solo agli inizi del 1438, dopo lunghissime trattative con i greci, che fino all'ultimo si dimostrarono indecisi se partecipare ad un sinodo indetto dal papa o a quello che proseguiva i suoi lavori a Basilea, si aprì finalmente il concilio a Ferrara (poi trasferito a Firenze), la cui prima sessione fu tenuta nella cattedrale di S. Giorgio l'8 gennaio. A Ferrara il C. svolse un ruolo importante partecipò a diverse discussioni come uno dei delegati latini, insieme con i cardinali Cesarini e Capranica, Giovanni Torquemada ed Ambrogio Traversari, e fu tra i sottoscrittori dell'atto di unione delle due Chiese il 6 luglio 1439 (fu, però, criticato da Nicola Sagundino, interprete ufficiale, che gli imputò scarsa accuratezza nelle traduzioni). Dopo essere intervenuto in diverse occasioni durante la sessione sul Purgatorio, soprattutto in seguito ebbe a controbattere le tesi di Marco Eugenico, metropolita di Efeso, nella sessione dogmatica iniziata l'8 ott. 1438 e dedicata alla aggiunta del "filioque" al Credo, in cui il C. si trovò anche a contrastare le opinioni del Bessarione nelle sedute del 10 e del 5 novembre.

Al cardinale Niceno il C. aveva da poco scritto una lunga epistola, databile tra il gennaio ed il febbraio 1438, in risposta ad alcune lettere inviategli dal Bessarione intorno al Natale dell'anno precedente, scritte a Modone in una sosta durante il viaggio da Costantinopoli in Italia. L'opera, che può facilmente collocarsi nell'ambito della produzione antipalamitica, intendeva fornire ai dotti bizantini un aiuto alla comprensione di Tommaso d'Aquino, di cui il C. utilizzava diverse opere, in particolare le due Summae e le Quaestiones de potentia, oltre ad ampi brani del Liber de causis. Secondo la testimonianza del Syropoulos, il C. si sarebbe inoltre trattenuto a Ferrara, per tenere una dissertazione sul tema "de divina essentia et operatione" tra il 16 ed il 17 luglio 1439 e l'opera sarebbe stata giudicata positivamente dal cardinale Isidoro di Kiev. Il 27 giugno precedente, insieme con Fantino Vallaresso, arcivescovo di Creta, e Cristoforo Caratoni, vescovo di Corone, il C. era stato inviato da Eugenio IV ad informare l'imperatore dell'accettazione delle proposizioni presentate dai greci e della possibilità di redigere un testo definitivo per l'unione.

Dopo il concilio di Firenze-Ferrara il C. fu nuovamente impegnato in missioni diplomatiche in Oriente: nel 1444 venne fatto amministratore della Chiesa di Pafo (11 marzo) ed inviato a Rodi al fine di riportare all'unione le due Chiese, dei Caldei, contaminati dall'eresia nestoriana, e dei Maroniti, aderenti a quella del monotelita Macario fu quindi trasferito alla sede vescovile di Nicosia il 19 apr. 1447 ed il 30 luglio dello stesso anno venne fatto legato a latere per Cipro, Rodi e l'Egeo, cioè le isole Cicladi comprese Chio e Mitilene, ma non Creta, l'Eubea, Modone e Corone. Il 6 marzo 1450 ottenne dal nuovo papa, Niccolò V, la piena facoltà di rendere effettiva l'unione con i Caldei di questo periodo è una sua lettera a Bartolomeo Facio, importante per lo studio delle sue relazioni con gli umanisti.

Il C. morì nella città di Famagosta, mentre era legato a Cipro, nel febbraio del 1451, come indica la nota di un contemporaneo su di un manoscritto contenente la Storia Lausiaca di Palladio. La sua ricca biblioteca aveva ereditato quella del fratello Teodoto la quale conteneva, tra gli altri, codici appartenuti a Manuele Caleca: dopo la morte del C. essa passò alla Biblioteca Vaticana.

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