DANDOLO, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DANDOLO, Andrea

Giuseppe Gullino

Nacque a Venezia nel 1405, secondogenito di Giacomo di Francesco e della figlia di Enrico del doge Giovanni Dandolo. Della sua vita privata sappiamo soltanto ch'era assai ricco (nel 1445 è "pieggio" della galera di Andrea Zen, che commerciava con Alessandria), e questo gli permise l'acquisto di un palazzo nella contrada di S. Maria Zobenigo, dove si trasferì, e di accasare nelle principali famiglie della città le cinque figlie avute da Maria Michiel di Antonio, sposata nel 1428, che gli diede anche tre figli: Giacomo, Antonio e Gerolamo.

Scarne (ed incerte, per la presenza di un omonimo, figlio di Luca) pure le notizie sugli inizi dell'attività pubblica: la sua presenza a Padova è attestata nel '34 e nel '46, per le lauree di Nicolò Canal e Benedetto da Sala; nel '36 fece parte della Quarantia. Alla ripresa delle guerre contro il duca di Milano, il D. fu nominato provveditore a Verona e partecipò, nel 1438, alle infelici operazioni militari contro il Visconti. Il 23 ag. 1439 veniva eletto giudice di Petizion, l'anno successivo era di nuovo nella Quarantia, incarico che ricopriva ancora nel '41. Contemporaneamente gli veniva affidata una delicata missione al Cairo, presso il sultano, che chiedeva soddisfazione (e, soprattutto, un cospicuo rimborso) per la cattura di una nave di mercanti egiziani, ordinata dal capitano Pietro Marcello, a titolo di rappresaglia.

Nel momento in cui il confronto con Filippo Maria era tutt'altro che risolto, Venezia non poteva correre il rischio di compromettere i traffici con il Levante, e D. - che nel settore aveva rilevanti interessi - seppe agire, nell'occasione, da abile diplomatico: si presentò al sultano carico di doni, restituì la nave catturata, gli concesse persino la soddisfazione di far destituire il Marcello, al quale poi venne anche comminato il bando.

Tornato in patria, il 15 apr. 1442 fu eletto avogador alle Sentenze vecchie. Poi del suo nome si perde traccia, sia nei documenti ufficiali sia nelle cronache. Il D. ricompare soltanto, ma per ragioni non strettamente attinenti alla sua attività, nel febbraio '44, come uno dei principali accusatori di Iacopo Foscari, il figlio del doge protagonista di un clamoroso processo per tradimento: nella circostanza, al D. fu accordata licenza di portare armi e il provvedimento testimonia l'importanza che il Consiglio dei dieci attribuì alla sua deposizione. Nel '47 ricoprì due ambascerie, la prima, nel marzo, a Bologna, e la seconda a Firenze; quest'ultima con scarso entusiasmo, se il 19 novembre il Senato sollecitava ufficialmente la sua partenza da Venezia. La spiegazione di tanta riluttanza può essere fornita da quei 250 ducati che la Signoria si ricordava di concedergli il 7 maggio 1449, a titolo di indennità delle spese sostenute "cum suo multo incommodo".

Intanto la morte di Filippo Maria Visconti aveva aperto un nuovo periodo di guerre in Lombardia, alle quali il D. partecipò in una posizione di rilievo: nell'ottobre '48 fu a Mantova, ad esortare il Gonzaga contro lo Sforza, e nel giugno dell'anno seguente venne nominato provveditore in campo. Dopo la rotta subita a Caravaggio, la Repubblica aveva affidato il comando delle truppe a Sigismondo Malatesta, nell'intento di conquistare Crema, chiave della Ghiaradadda. Nonostante alcuni successi iniziali, le operazioni, però, ristagnavano e nell'agosto il Senato scriveva al D. di rinunciare all'impresa. Quest'ultimo invece, la cui opinione dissentiva totalmente da quella del Malatesta, riuscì a far valicare l'Adda all'esercito e ad avere la città, in settembre, senza eccessivi sforzi, al punto che i Pregadi gli espressero la loro più sincera gratitudine non solo per l'esito dell'operazione, ma per il metodo tenuto, "tanto magis quod, ut dicitis, non exborsantur illi 6.000 ducati qui ... requirebantur".

Negli anni che seguirono, fino alla pace di Lodi, il D. fu ancora più volte provveditore in campo, con l'incarico di trattare, per conto della Repubblica, la "condotta" di Orso Orsini, di Iacopo Piccinino, di Gentile da Leonessa, che sostituirono il Malatesta alla guida delle truppe venete; fu anche senatore (nel '51, '52 e '56), provveditore di Crema ('54), savio di Terraferma ('55 e '59), fece parte del Consiglio dei dieci ('55). Nell'ottobre 1463, infine, fu nominato provveditore in Morea. Nel clima di entusiasmo suscitato dalla adesione del pontefice e del duca di Borgogna alla "crociata" contro il Turco, Venezia organizzò una grossa spedizione: nel gennaio '64 furono inviati in Grecia 3.000 fanti e altrettanti cavalieri, al comando di Sigismondo Malatesta, col quale il D. avrebbe dovuto collaborare. Porre nuovamente accanto i due uomini, nonostante le incomprensioni ed i dissapori intercorsi al tempo dell'impresa di Crema, fu però un grave errore, tanto più che gli anni non avevano mutato il temperamento cocciuto e intrattabile del romagnolo, sempre incline a dichiararsi malcontento del modo di procedere della Signoria, che accusava di pretendere troppo da lui e di lesinargli i mezzi. In effetti, la resistenza dei Turchi fu più energica del previsto: nell'agosto il Malatesta e il D. presero Mistrà, presso l'antica Sparta, ma non riuscirono ad espugnarne la rocca. I Veneziani dovettero accontentarsi di qualche limitato successo presso Corinto, ma il mancato invio di rinforzi e il disaccordo col Malatesta indussero il provveditore a chiedere il rimpatrio.

Il 14 dicembre la sua domanda era accolta e, nella primavera del '65, Giacomo Barbarigo giungeva a Morone, a sostituirlo. L'episodio segnò la fine della carriera politica del D., al quale i concittadini non perdonarono l'ingloriosa conclusione dell'impresa, come testimoniano le molte cronache (tra le quali il Cappellari Vivaro) che lo fanno eroicamente morire alla testa delle sue truppe, tagliato a pezzi dai Turchi.

Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosifrutti...,I, cc. 214v-215r; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 16 (= 8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, cc. 6r, 9v; Venezia, Arch. di Stato di Venezia, Misc. Codd. I, Storia veneta, 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii..., III,p. 188; Ibid., Avogaria di Comun. Prove di età, ret. 177, c. 91r; reg. 178, c. 77v e non numerate, passim; Ibid., Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 163, c. 190v; Ibid., Segr. alle Voci. Misti, reg. 4, adannum; Ibid., Avogaria di Comun, reg. 25/8: Spiritus, cc. 100v, 102v; Ibid., Senato. Terra, reg. 2, ad annum; Ibid., Senato. Delib. secreta, reg. 18, passim; reg. 22, cc. 5rv, 21v, 40v-41r, 71v; I. Simonetae Rerum gestarum FrancisciSfortiae Mediolanensium ducis commentarium, in Rerum Ital. Script.,2 ed., XXI, 2, a cura di G. Soranzo, pp. 278, 314; D. Malipiero, Annaliveneti dall'anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo & Sagredo, in Arch. stor. ital., VII (1843), 1, pp. 23, 32, 35; Ilibri commem. della Repubblicadi Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, pp. 44 s., 47 s., 79, 140; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vitae le opere degli scrittori viniziani, I,Venezia 1752, p. 509; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV,Venezia 1855, pp. 268 s.; F. Babinger, Maometto il Conquistatore e il suo tempo, Torino 1957, p. 350.

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