GHISI, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 54 (2000)

GHISI, Andrea

Giorgio Ravegnani

Figlio di Marco, appartenne al ramo di S. Geremia della famiglia patrizia veneziana. Le prime notizie su di lui risalgono al 1207 allorché, con altri veneziani, partecipò alla spedizione che portò alla conquista di alcune isole dell'arcipelago greco.

La spedizione fu una diretta conseguenza della conquista di Costantinopoli operata nel 1204 dai cavalieri franco-lombardi e dai Veneziani che presero parte alla quarta crociata. Subito dopo la conquista della città e la caduta del governo bizantino, infatti, i vincitori decisero di conquistare la restante parte dell'Impero e nel corso dello stesso anno se ne spartirono il territorio con un trattato. Le isole egee vennero divise fra Venezia, l'imperatore latino eletto nel 1204, Baldovino I di Fiandra, e i crociati; a tre anni di distanza, però, la maggior parte di esse non era stata ancora occupata dagli assegnatari. Un gruppo di nobili veneziani residenti a Costantinopoli, raccoltisi intorno a Marco Sanuto, si assunse pertanto l'iniziativa di organizzare una spedizione volta alla conquista delle isole ottenendo l'assenso della madrepatria e dell'imperatore latino Enrico I di Fiandra, successo a Baldovino I nel 1205, che si riservò l'esercizio di alcuni diritti feudali sui territori non assegnati a Venezia dalla spartizione del 1204. Si ebbero a questo proposito trattative dirette fra la Signoria veneziana e l'imperatore, concluse con un accordo, probabilmente del 1206, che fissò gli obblighi dei conquistatori nei confronti del sovrano latino e vietò che all'impresa prendessero parte i Greci. Il Sanuto e i suoi seguaci provvidero a organizzare la spedizione a proprie spese e, nel 1207, si impossessarono di alcune isole dell'arcipelago i cui abitanti, a quanto pare, si sottomisero di buon grado ai conquistatori, liberandosi in questo modo dai pirati che vi si erano insediati approfittando dell'anarchia sviluppatasi dopo la dissoluzione dell'Impero bizantino. Non abbiamo molti particolari sullo svolgimento della conquista, a causa della scarsità e della confusione delle fonti. Un'analisi rigorosa delle testimonianze porta tuttavia alla conclusione che, nel 1207, si stabilirono nell'Egeo le signorie di Marco Sanuto, che divenne duca dell'Arcipelago o Egeo Pelago, di Marino Dandolo, di Filocalo Navigaioso e dei fratelli Andrea e Geremia Ghisi.

Marco Sanuto e i suoi, stando a quanto scrisse nel Trecento il doge cronista Andrea Dandolo, conquistarono Nasso, Paro, Milo e Santorino; Marino Dandolo prese Andro; al G. e al fratello Geremia andarono Tino, Micono, Sciro, Scopelo e Sciato, mentre Lemno venne occupata dal Navigaioso. Fonti più tarde, a proposito dei Ghisi, precisano inoltre che i due fratelli si divisero le isole: Geremia ebbe Sciro, Sciato e Scopelo, appartenenti alle Sporadi, e il G. ebbe Tino e Micono, appartenenti alle Cicladi. Tino e Sciro facevano parte della porzione imperiale mentre le altre erano state attribuite ai crociati: per questo il G. divenne "uomo ligio" dell'imperatore latino e, come previsto dal diritto feudale, si assunse alcuni obblighi nei suoi confronti.

Dopo questo avvenimento non si hanno più notizie del G. fino all'aprile del 1239. A questa data si trovava a Negroponte, dove aveva probabilmente una casa, e qui prestò 400 iperperi d'oro ad Angelo Sanuto, secondo duca dell'Arcipelago. Il suo soggiorno in città era connesso all'esercizio di attività commerciali, ma non è da escludere che vi fosse un interesse politico a causa del legame con Ottone de Cichon, signore di Caristo, che ne aveva sposato la sorella Agnese.

A partire dal 1243 il nome del G., insieme con quello del fratello Geremia, si lega a una lunga contesa con il governo veneziano seguita all'occupazione dell'isola di Andro, la più settentrionale delle Cicladi, che era stata conquistata da Marino Dandolo nel 1207 ed era ancora in suo possesso nell'ottobre 1238. Qualche tempo più tardi, in data non esattamente precisabile, ma che probabilmente cade fra il 1238 e il 1239, Geremia Ghisi, con l'aiuto del G. e forse con il consenso del duca dell'Arcipelago, si impadronì con la forza del castello di Andro, occupando tutta l'isola e appropriandosi dei beni mobili del Dandolo e della sorella di questo, Maria Doro. Il signore spodestato, o qualcuno per lui, ricorse a Venezia e la questione fu sottoposta al giudizio del Maggior Consiglio. L'11 ag. 1243, quando il Dandolo era già morto, fu pronunciata contro i due fratelli Ghisi un'identica sentenza di condanna, ma con un margine di incertezza sulle effettive responsabilità del G., sulle quali a Venezia non si era bene informati, e ci si chiedeva se egli fosse effettivamente in possesso dell'isola e delle sostanze del Dandolo. Fu deciso il sequestro di tutti i beni dei Ghisi in territorio veneziano e si diede mandato al doge Jacopo Tiepolo di ordinare loro di consegnare il castello e l'isola di Andro, entro la Pasqua seguente (3 apr. 1244), al bailo di Negroponte o ad altro rappresentante della Repubblica, e di restituire nello stesso tempo tutti i beni sottratti alle vittime dell'usurpazione. Inoltre venne indicata ai Ghisi la scadenza del 29 giugno 1244 entro la quale presentarsi al doge di persona o attraverso un procuratore per sottomettersi e attenersi alle decisioni adottate dalle autorità della madrepatria. In caso contrario sarebbero stati messi al bando da Venezia e i loro beni sarebbero stati utilizzati per risarcire le parti lese rappresentate rispettivamente da Maria Doro e da Jacopo Querini, secondo marito della vedova di Marino Dandolo. Nel relativo decreto di condanna del G., il danno subito dal Dandolo fu definito in 36.400 iperperi (36.450 nella sentenza contro Geremia), con in più il bestiame, i cavalli e gli attrezzi agricoli; quello della Doro in 1400 iperperi in aggiunta agli animali che le erano stati sottratti.

La decisione del Maggior Consiglio non venne rispettata dai Ghisi e la contesa per il possesso di Andro si trascinò ancora a lungo nei confronti del solo G., dato che a partire dall'agosto 1243 non si sente più parlare di Geremia, che probabilmente morì poco più tardi. Il G. continuò a mantenere illegalmente l'isola e, di conseguenza, venne bandito da Venezia e i suoi beni furono confiscati. Nel gennaio del 1245 il G. si trovava ad Andro, dove ottenne il rimborso da parte di Angelo Sanuto, duca dell'Arcipelago, e di un personaggio di minore rilievo, Matteo de Manzolo, che del duca era probabilmente l'agente, della metà residua dei 400 iperperi prestati nel 1239 a Negroponte. Nel documento relativo il G. si definiva "già della parrocchia di S. Geremia, ora dominatore di Tino". Il possesso di Andro doveva essere più conveniente per il G. della sottomissione alle disposizioni della madrepatria, ma nell'arco di alcuni anni intervennero elementi nuovi che lo indussero a modificare il proprio atteggiamento. Nel 1251 o nei primi mesi dell'anno seguente, quando il G. si trovava ancora al bando da Venezia, decise infatti di uscire da tale situazione accettando di sottomettersi alla Signoria e giurò di osservarne le disposizioni nelle mani dei due ambasciatori veneziani inviati presso di lui. In conseguenza di ciò, il 14 marzo 1252 il Maggior Consiglio gli ordinò di adoperarsi in ogni modo affinché l'isola e il castello di Andro e tutte le relative pertinenze fossero consegnati al doge (Marino Morosini) e al Comune di Venezia entro il 1° novembre dello stesso anno. In tal caso gli sarebbero stati restituiti i beni, dati in consegna ai procuratori di S. Marco; nell'eventualità contraria sarebbe stato nuovamente bandito perdendoli definitivamente. L'invito formulato al G. perché si adoperasse per la restituzione di Andro fa chiaramente dedurre che non era più in diretto possesso dell'isola, come poteva esserlo stato alcuni anni prima, ma che era soltanto in grado di intervenire in modo decisivo sull'occupante per far sì che questa venisse restituita. Non ci è poi dato di sapere chi al momento vi esercitasse il proprio dominio, ma è possibile che si sia trattato di un feudatario del duca dell'Arcipelago.

Questa volta il G. si attenne alle disposizioni della Signoria e il 19 marzo 1253 il Maggior Consiglio revocò i prestiti concessi a cittadini veneziani facendo ricorso al denaro del G. conservato dai procuratori di S. Marco, fissando in un mese il termine di scadenza per la restituzione, che venne in seguito prolungato ancora fino ai primi giorni di giugno dello stesso anno. L'esito della vicenda non fu tuttavia rapido e dovettero presentarsi nuove difficoltà, a giudicare dal fatto che il bando venne tolto soltanto il 28 marzo 1259, dopo che Marino, fratello del G., si era fatto garante per lui in data 10 gennaio dello stesso anno. Il G. fu autorizzato a rientrare a Venezia per chiudere il contenzioso originato dalla presa di Andro ma, dopo la sua morte, almeno parte dei beni non era stata ancora restituita e la vicenda ebbe ulteriori strascichi giudiziari fino al 17 ott. 1280, quando il Maggior Consiglio definì i diritti delle persone che avanzavano pretese su tali beni.

Nel febbraio 1266 il G., nel suo castello di Tino, dichiarò di fronte a testimoni che deteneva 1260 iperperi d'oro di proprietà di suo fratello Marino di S. Moisè. Dopo tale avvenimento non si hanno più notizie di lui e si sa soltanto che risulta già morto il 19 marzo 1277, quando al suo posto nella signoria delle isole era subentrato il figlio Bartolomeo. A questa data, infatti, venne concluso un trattato fra Venezia e l'imperatore di Bisanzio, Michele VIII Paleologo, nel quale, tra le diverse clausole, veniva estesa la tregua conclusa fra le due potenze a Bartolomeo Ghisi signore di Tino e di Micono.

Il G. ebbe sette figli (Bartolomeo, Giovanni, Roberto, Geremia, Filippo, Simonino, Marino) e una figlia, Anfelise, che sposò Pietro Quirini di Creta. A eccezione di Bartolomeo e di Marino, i figli morirono prima del padre, senza lasciare apparentemente alcun erede.

Fonti e Bibl.: A. Dandolo, Chronica per extensum descripta, a cura di E. Pastorello, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XII, 1, p. 282; Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di R. Cessi, II, Bologna 1931, pp. 119 n. 2, 142 n. 2, 143 n. 6, 145 n. 17, 146 n. 18, 167 n. 128; Documenti del commercio veneziano nei secoli XI-XIII, a cura di R. Morozzo della Rocca - A. Lombardo, Torino 1940, pp. 299 s. n. 774; R.J. Loenertz, Les Ghisi dynastes vénitiens dans l'Archipel 1207-1390, Firenze 1975, pp. 29, 33, 39-43, 189-196, 284, 315 s., 362; J.K. Fotheringham, Marco Sanudo conqueror of the Archipelago, Oxford 1915, pp. 57-59, 107, 113; F. Thiriet, La Romanie vénitienne au Moyen Âge. Le développement et l'exploitation du domaine colonial vénitien…, Paris 1959, p. 82; S. Borsari, Studi sulle colonie veneziane in Romania nel XIII secolo, Napoli 1966, pp. 34 n., 35, 41, 109 s., 112; D. Jacoby, La féodalité en Grèce médiévale. Les "Assises de Romanie": sources, application et diffusion, Paris-La Haye 1971, pp. 195, 237, 273-275, 277 s.; G. Ravegnani, La Romània veneziana, in Storia di Venezia, II, L'età del Comune, Roma 1995, pp. 199 s.

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