GUAZZALOTTI, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUAZZALOTTI, Andrea

Lucia Simonato

Nacque probabilmente a Prato da Filippo di Andrea intorno al 1435, come si ricava da una portata al Catasto del 1480 in cui risulta avere quarantacinque anni (Guasti, p. 28, che dà una segnatura non più attuale: oggi Archivio di Stato di Firenze, Catasto, 1015, c. 201r). Non si conosce né il nome né il casato della madre. In una lettera a Lorenzo de' Medici del 15 giugno 1477 (Ibid., Mediceo avanti il principato, XXV, 625) il G. si definisce "indigno parente" del Magnifico, avvalorando così l'ipotesi che il padre Filippo fosse un discendente del condottiero Filippo Guazzalotti, marito di Isabella di Salvestro de' Medici (Badiani).

Un errore, ripreso da C. du Molinet, di R. Maffei, detto il Volterrano, che indicava una provenienza lombarda e non toscana per il primo medaglista papale, ha indotto a credere fino all'Ottocento (Bolzenthal) che fossero vissuti tre diversi artisti attivi a Roma e in Toscana alla stessa altezza cronologica: Andrea da Cremona, medaglista papale, Andrea Guazzalotti, il cui nome compariva in alcune medaglie per Niccolò V e per il vescovo di Orte Niccolò Palmieri, e Andrea da Prato, autore di una medaglia firmata e dedicata ad Alfonso d'Aragona. Spetta a J. Friedlaender (1857) il merito di aver dimostrato che i tre medaglisti erano una stessa persona, cui egli cercò di attribuire un ampio corpus di opere, e a C. Guasti quello di aver fornito le prime basi documentarie per una corretta ricostruzione biografica. Gli sforzi degli studiosi successivi (Heiss, Forrer, Bode) furono tesi al raffinamento del corpus proposto da Friedlaender, fino ad arrivare all'attribuzione al G. di circa una decina di medaglie (Hill, 1930).

Trasferitosi a Roma durante il pontificato di Niccolò V, il G. entrò subito al servizio del vescovo Niccolò Palmieri, che era in contatto con gli ambienti fiorentini della corte papale. Compì così una fortunata carriera nella Cancelleria apostolica, tanto da diventare "scriptor in registro bullarum", come egli stesso affermò nel colophon di un manoscritto con alcune orazioni del vescovo conservato nella Biblioteca Apost. Vaticana (Vat. lat., 5815, c. 139r). Fu probabilmente su richiesta di Palmieri, incaricato di redigere l'orazione funebre per il papa appena deceduto, che il G. realizzò la medaglia di Niccolò V nel 1455, la prima medaglia papale conosciuta (Città del Vaticano, Medagliere Vaticano).

Non è stato ancora chiarito dove il G. avesse imparato a fondere. Questa prima opera tradisce però una diretta conoscenza degli esemplari aragonesi di Antonio di Puccio Pisano, detto il Pisanello, e della produzione di Matteo de' Pasti. Nel rovescio il G. adottò un'iconografia che, in qualità di scrittore nei registri di bolle pontificie, doveva essergli famigliare. Scelse infatti di rappresentare il tema della navicella di s. Pietro, modellato sulla base della raffigurazione presente nell'anulus piscatorius di Niccolò V utilizzato per sigillare i brevi pontifici, con la variante significativa di sostituire la figura del santo presente nell'anello con quella del papa (Whitman).

L'opera, firmata, presenta alcune peculiarità grafiche riscontrate in altri esemplari di poco successivi, quali le medaglie di Callisto III e di Pio II con i rispettivi stemmi gentilizi, nelle quali è riportato, come per quella di Niccolò V, il nome di battesimo del pontefice. Questa caratteristica, propria del G. e non più riscontrata in medaglisti successivi, così come l'esiguità di esemplari realizzati per ogni singolo pontefice, lascia supporre che la sua produzione fu priva di quell'ufficialità che avrebbe invece caratterizzato la medaglistica papale da Paolo II in avanti. Doni preziosi e graditi di un giovane protetto di Niccolò Palmieri, queste medaglie, dedicate a papi e ad altri personaggi illustri presenti a Roma come il cardinale Guillaume d'Estouteville, dimostrano quanto il G. fosse ben inserito all'interno della corte pontificia, per l'intero arco della sua permanenza nella città papale.

Un singolare intreccio di rapporti con alcuni umanisti vissuti durante i pontificati di Pio II e Paolo II si evince dal manoscritto della Biblioteca apost. Vaticana (Barb. lat., 7936, c. 9v), dove sono conservati due epigrammi: il primo, dello stesso G., destinato a Vianesio Albergati senior, protonotario e vicecamerlengo, per accompagnare probabilmente il dono di una copia delle rime in volgare di Domenico di Giovanni detto il Burchiello; il secondo, di Giovanni Antonio Campano. Questo epigramma, già pubblicato da Friedlaender (1857), presenta nel manoscritto vaticano una dedica inedita, in cui il medaglista viene definito "versatilis ac prestantis ingenii vir" e chiamato "frater meus amantissimus". Il componimento celebra una medaglia realizzata dal G. per Pio II, per il quale egli aveva elaborato anche un esemplare che nel rovescio riproduceva l'immagine del pellicano mistico, mutuata dal Pisanello (Firenze, Museo nazionale del Bargello). Se la scelta del soggetto della medaglia allude alla disputa intorno al sangue di Cristo tra francescani e domenicani durante il pontificato di papa Piccolomini, è possibile supporre anche in questo caso che essa sia stata ispirata da Palmieri, incaricato dal papa di redigere una sorta di ricapitolazione delle posizioni dei contendenti in vista dell'emissione della bolla Ineffabilis del 1464 (Maddalo).

Anche per Niccolò Palmieri il G. realizzò una medaglia (Berlino, Staatliche Museen, Münzkabinett). Il vescovo venne rappresentato all'antica con la testa di profilo e il busto nudo quasi di prospetto, secondo una soluzione presente in monete romane del II sec. d.C. e già adottata da Giovanni Boldù in un autoritratto. Il rovescio, ugualmente ispirato all'antico, presenta una figura virile, su una mensola, con in mano una clessidra. Il motto nel diritto, "nudus egressus sic redibo", derivante dal Libro di Giobbe (I, 21), alluderebbe al tema della povertà, più volte affrontato dal vescovo nei suoi scritti.

Nonostante fin dal 1464 il G. risulti canonico di Prato, è probabile che il suo arrivo in quella città si debba porre solo alla fine del settimo decennio, restando al servizio di Niccolò Palmieri fino alla morte di questo, avvenuta nel 1467.

In un atto notarile del 18 ott. 1465, riguardante una discordia appianata da Palmieri nella sua sede vescovile, il G. è indicato come residente a Orte. Egli fu inoltre certamente a Roma per assolvere i diversi impegni assunti alla morte del vescovo: si occupò di portare a termine la redazione di alcuni manoscritti delle sue opere, apponendo in calce note autografe in cui più volte ribadì il debito di riconoscenza che lo legava al defunto protettore; dettò l'iscrizione e commissionò la lastra per la tomba del vescovo, posta nella chiesa romana di S. Agostino, facendola decorare con lo stemma del prelato e con il proprio (sei bande bianche e nere alternate); ritoccò la medaglia che aveva realizzato, aggiungendo a bulino l'anno della morte e definendosi "contubernalis" dell'effigiato.

Rientrato a Prato, il G. non smise di intraprendere brevi viaggi a Roma e di restare in contatto con l'ambiente papale anche grazie alla mediazione del vescovo di Forlì Alessandro Numai, commissario apostolico in Toscana. Da una serie di lettere che scrisse a quest'ultimo si apprende che nel 1471 aveva acquistato una casa a Prato, dove era andato a vivere con il fratello Pagano e con la moglie di questo. Pievano di S. Pietro ad Aiolo, oltre che canonico di Prato, fino all'anno della morte, il G. fu anche, almeno dal 1471, collettore di decime.

Una fondamentale documentazione per ricostruire questo periodo pratese è la corrispondenza del G. con Lorenzo de' Medici, conservata nell'Archivio di Stato di Firenze. Si tratta di un corpus di dieci lettere, cui ne va aggiunta una indirizzata a Lucrezia Tornabuoni.

Dalle lettere si evince la felice confidenza che legava il G. al Magnifico, nutrita da frequenti incontri personali. I temi affrontati sono: problemi familiari (la morte del cugino Iacopo nel 1477 e la tutela che il G. si assunse dei suoi due figli), economici (la distruzione nel 1478 in un incendio della pieve e la necessità di una sua costosa ricostruzione), politici (la scomunica di Lorenzo da parte di Sisto IV). Non mancano lamentele contro il vescovo di Pistoia, Niccolò Pandolfini, nella cui diocesi si trovava la pieve del G., e richieste a Lorenzo perché si offrisse come intermediario con il proposto di Prato, Carlo de' Medici. Queste sollecitazioni trovano riscontro nei Protocolli di Lorenzo, in cui sono segnalate quattro lettere riguardanti il G., indirizzate dal Magnifico a diversi destinatari.

Le lettere del 1478 offrono anche interessanti notizie sulla sua attività di fonditore. In febbraio si offrì di "trayectare" alcune medaglie del Magnifico e gli mandò in dono cinque puttini in bronzo, fusi a partire da modelli in piombo ricevuti da Brescia. Nel settembre dello stesso anno riferì a Lorenzo di aver gettato quattro medaglie, usando delle impronte realizzate da Bertoldo di Giovanni (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, XXXVI, 128, 178; XXXI, 303).

Questi lavori preannunciarono, dopo più di un decennio di silenzio, la ripresa da parte del G. dell'attività medaglistica. Nel 1481 realizzò infatti due medaglie dedicate ad Alfonso d'Aragona duca di Calabria (il futuro re di Napoli Alfonso II) e una per Sisto IV (Firenze, Museo nazionale del Bargello). L'evento celebrato nelle tre opere è la riconquista di Otranto, caduta in mano ai Turchi l'anno precedente.

Per il rovescio di due di esse adattò l'immagine della Costanza di Cristoforo di Geremia, intervenendo abbondantemente con il bulino per arricchire la figura femminile, con la rappresentazione di armi nell'esemplare fuso per Alfonso e con quella di prigionieri turchi e navi (promesse dal papa in aiuto ai Napoletani) in quello per Sisto IV. Dalla medaglia di Cristoforo, il G. mutuò inoltre il rovescio di un'altra opera per il papa, ricorrendo invece per il suo ritratto alla produzione di Lisippo il Giovane.

La seconda medaglia per Alfonso - che, di stanza a Siena, nel giugno del 1480 riceveva da Lorenzo una lettera, di cui non si conosce il contenuto, a proposito del G. - è più originale. Al diritto è rappresentato il duca di tre quarti, secondo un'innovazione per la quale non si possono trovare, nella produzione medaglistica precedente, dei confronti significativi. Il rovescio raffigura il trionfo celebrato a Napoli il 25 ott. 1481 in seguito alla vittoria: Alfonso, dall'alto di un carro trainato da cavalli, segue il corteo, mentre in primo piano sfilano dei soldati che conducono prigionieri turchi. Lo sfondo rappresenta in dettaglio Napoli, di cui sono riconoscibili diversi edifici. È probabile che il G. utilizzasse un modello grafico come fonte per la ricostruzione puntuale della città. L'esergo è arricchito dal motivo donatelliano dei puttini che aprono il cartiglio. Confrontato con la medaglia di Cristoforo per il cardinale Alvise Trevisan, l'esemplare rappresenta un modo molto diverso di affrontare uno stesso soggetto: nell'organizzazione spaziale, nel punto di vista ribassato, nel modo di riempire l'intero campo il G. dimostra una totale autonomia.

Non sono attribuite al G. altre medaglie dopo il 1481. Morti il fratello Pagano nel 1474 e la cognata prima del 1480, il G. allevò la loro figlia, Libera, e la diede in sposa a Mariano Vernati, al quale nel 1489 permise di adottare il cognome.

Il G. morì a Prato l'8 nov. 1495.

A dieci anni dalla morte la sua fama di medaglista era già del tutto oscurata. Autore di appena una decina di esemplari, distribuiti in un arco cronologico molto ampio, dal 1455 al 1481, e intervallati da pause di inattività, il G. si dedicò alla modellazione di medaglie in modo del tutto episodico, dimostrando in questo un carattere dilettantistico. Non ebbe allievi e in più casi attinse dalla produzione altrui, o da gemme e da monete antiche, i soggetti per i suoi rovesci. Quanto questo avvenisse ricorrendo addirittura a modi meccanici, è dimostrato dal caso della medaglia per il cardinale d'Estouteville, fusa prima del 1461 (Firenze, Museo nazionale del Bargello). Il genio che regge lo stemma del cardinale deriva dal cosiddetto "sigillo di Nerone", che si trovava a Roma al momento dell'elaborazione della medaglia, per poi passare nelle collezioni di Lorenzo de' Medici. La perfetta coincidenza delle misure tra l'esemplare del G. e la gemma permette di concludere che egli utilizzò un'impronta (Caglioti - Gasparotto). Per quanto non del tutto originale nell'invenzione dei rovesci, il G. realizzò ritratti molto sciolti e naturali. Caratterizzato all'inizio da una maniera definita da Hill (Medals…, 1920) vigorosa e genuina, ma anche sgraziata, egli dimostrò nelle sue ultime medaglie una maggiore raffinatezza e ricorse in modo più massiccio al bulino. Non di rado, inoltre, ritornò sulle stesse opere a distanza di anni per aggiornarle e impiegò più volte medesime soluzioni iconografiche.

Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti citate nel testo, si veda: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, XXV, 623 s.; XXX, 236; XXXVI, 837, 918; XXXIX, 212 (lettere del G. a Lorenzo de' Medici, 1474-84); CXXXVII, 871 (lettera del G. a Lucrezia Tornabuoni, 1478); Prato, Biblioteca Roncioniana, Mss., 983, b. 2, c. 2 (lettera del G. al vescovo Pandolfini); R. Volterrano, Commentariorum urbanorum… libri, Romae 1506, c. 300v; C. du Molinet, Historia summorum pontificum… per eorum numismata, Lutetiae 1679, pp. 8, 12; H. Bolzenthal, Skizzen zur Kunstgeschichte der modernen Medaillen-Arbeit (1429-1840), Berlin 1840, pp. 47-51, 62 s., 67, 77; J. Friedlaender, Andreas Guacialoti von Prato, Berlin s.d. (ma 1857); Id., A. G. … con un appendice di documenti, a cura di C. Guasti, Prato 1862; Id., Die italienischen Schaumünzen des fünfzehnten Jahrhunderts, 1430-1530, VII, in Jahrbuch der Königlich Preussischen Kunstsammlungen, II (1881), pp. 225-234; A. Heiss, Les médailleurs de la Renaissance. VIII, Florence et les Florentins du XVe au XVIIe siècle, I, Paris 1891, pp. 46-55; W. Bode, Florentiner Bildhauer der Renaissance, Berlin 1910, pp. 261-263, 271; G.F. Hill, The Roman medallists of the Renaissance to the time of Leo X, in Papers of the British School at Rome, IX (1920), pp. 17-21, 27, 29-33; Id., Medals of the Renaissance, Oxford 1920, pp. 67-70, 76; Id., A corpus of Italian medals of the Renaissance before Cellini, I, London 1930, pp. 191-195 (con bibl.); Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico per gli anni 1473-74, 1477-92, a cura di M. Del Piazzo, Firenze 1956, pp. 74, 107, 199, 243; R. Weiss, The medals of pope Sixtus IV (1471-1484), Roma 1961, pp. 17 s., 21-23; U. Middeldorf, On the dilettante sculptor, in Raccolta di scritti, III, Firenze 1981, pp. 178 s.; V. Middeldorf - D. Stiebral, Renaissance medals and plaquettes, Firenze s.d. [ma 1983], n. XIV; Le pergamene medievali di Orte, secoli X-XV, a cura di D. Gioacchini et al., Orte 1984, p. 109; J.G. Pollard, Medaglie italiane del Rinascimento nel Museo nazionale del Bargello, I, Firenze 1984, pp. 305-313; J. Monfasani, A theologian at the Roman Curia in the Mid-Quattrocento. A biobibliographical study of Niccolò Palmieri, in Analecta Augustiniana, LIV (1991), pp. 323-325, 337-349 e passim; LV (1992), pp. 7-19, 85 s. e passim; N.T. Whitman, The first papal medal: sources and meaning, in The Burlington Magazine, CXXXIII (1991), pp. 820-824; G. Badiani, A. G., il medaglista dei papi, e una famiglia di magnati, in Arch. stor. pratese, LXXI (1995), pp. 5-117; S. Maddalo, A. G., puer fidelis del Palmieri e medaglista, in Atti delle Giornate di studio per la storia della Tuscia, VII, Niccolò Palmieri umanista e vescovo di Orte dal 1455 al 1467, a cura di A. Zuppante, Roma 1996, pp. 67-76; F. Caglioti - D. Gasparotto, Lorenzo Ghiberti, il "sigillo di Nerone" e le origini della placchetta "antiquaria", in Prospettiva, 1997, n. 85, pp. 6, 27; L. Forrer, Biographical Dictionary of medallists, II, London 1904, pp. 330-333; VII, ibid. 1923, pp. 400 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 182.

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