RICHI, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICHI, Andrea

Chiara Melatini

RICHI, Andrea (Andreas Richi, Andrea Ricci, Andrea del Riccio). – Frate francescano e magister in teologia, vissuto nel Trecento, è noto soprattutto per essere l’autore del Tractatus contra Fraticellos. Nulla si conosce riguardo alla sua infanzia, alla sua giovinezza e alla famiglia di provenienza, ma si può affermare – senza precise indicazioni cronologiche, ma con certezza – che nacque a Firenze o nel territorio fiorentino al principio del XIV secolo.

La migliore erudizione francescana dal Settecento al Novecento (Luca Wadding, Giovanni Giacinto Sbaraglia, Conrad Eubel) lo ignora del tutto, sì che il suo profilo biografico è destinato a restare lacunoso; un’eccezione è costituita dall’Etruria francescana (1797) di Nicolò Papini, che lo riconobbe come inquisitore generale operante a Firenze tra il 1370 e il 1373. Alcuni dati – piccoli dettagli forniti incidentalmente dall’autore – possono essere però desunti dal testo del Tractatus (l’unica opera a noi pervenuta), pubblicata nel 1910 da Livarius Oliger; l’edizione permise di riconoscere in Andrea Richi il reale autore dell’opera e di ascriverlo, a buon diritto, nella rosa degli scrittori francescani.

Per sua diretta ammissione, alla data della morte di Pietro da Corvara (l’antipapa imperiale Niccolò V), avvenuta nel 1333 ad Avignone, Richi si trovava a Montpellier, sede di uno Studium generale dell’Ordine, con ogni probabilità in qualità di studente (me existente in Monte Pesulano: Tractatus contra fraticellos, a cura di L. Oliger, 1910, p. 278).

A questa fase di formazione rinvia il rapporto con Ludovico da Castiglione (Ludovicus de Castilione aretino) che Richi ricorda con affetto nella sua opera perché, insieme a Giacomo de’ Tolomei, influenzò in maniera sostanziale la propria formazione e attività. Di Ludovico da Castiglione si sa assai poco, ma da quanto si apprende dal testo dovette essere, oltre che reggente presso lo Studium di Oxford, anche magister dei Richi.

Per i vent’anni successivi non è possibile, allo stato attuale delle ricerche, ricostruire gli incarichi e gli spostamenti del frate. Un documento lo dà presente nell’agosto del 1353 presso la comunità francescana del convento di Santa Croce a Firenze. In questa fase della vita di Richi si colloca il legame di amicizia con Giacomo de’ Tolomei (Jacobus Senensis/Jacobus de’ Tolomei de Siena), un autorevole esponente dell’Ordine che fu inquisitore in Tuscia e vescovo prima di Narni, poi di Chiusi e infine di Grosseto. Fu costui il promotore dell’opera: è dietro sua richiesta, infatti, che Richi intraprese – in età ormai alquanto avanzata, e dopo che tra il 1370 e il 1373 aveva ricoperto in Firenze la carica di inquisitore generale – la stesura del Tractatus, con l’obiettivo di «detegere hereses, erroresque nudare» (Tractatus, cit., p. 267).

Il movimento fraticellesco aveva incontrato sin dal principio un particolare favore in alcune comunità, tra cui Firenze. Proprio qui, anche a seguito della Guerra degli Otto santi (1375-78), durante la quale la città toscana si trovò a scontrarsi con il Papato, l’azione repressiva nei confronti dei frati dissidenti conobbe una fase di inasprimento negli anni Ottanta del Trecento.

Probabilmente il Tractatus contra fraticellos non fu l’unico tentativo intrapreso da Richi volto alla denuncia della condotta dei fraticelli. L’autore lascia intendere, infatti, di essersi già in precedenza impegnato in tal senso, ma nulla di questi scritti è giunto fino a noi (L. Oliger, introduzione al Tractatus, cit., p. 260). L’accusa di Richi fu rivolta in particolare a quei fraticelli, detti michelisti o fraticelli de opinione, rimasti fedeli a Michele da Cesena anche dopo la scomunica e la conseguente deposizione da ministro generale dell’Ordine per volere di Giovanni XXII.

Nel 1322 il capitolo generale di Perugia si era espresso nuovamente sul controverso problema della povertà di Cristo e dei suoi apostoli e ne era derivato che, in quanto al diritto di proprietà e dominio, questi non avessero posseduto nulla di proprio o in comune, ma che avessero esercitato esclusivamente un ‘uso di fatto’. La rottura tra Michele e Giovanni XXII si fece, così, inevitabile, tanto da sfociare in accuse di eresia reciproche. Da una parte, con le bolle Ad conditorem canonum (1322), Cum inter nonnullos (1323), Quia quorundam (1324), Quia vir reprobus Fr. Michael de Caesena (1329), il papa condannò i dissidenti per essersi allontanati dalla linea da lui tracciata; dall’altra, i michelisti gli rimproverarono di aver contraddetto quanto affermato da Niccolò III nel 1298 in materia di povertà francescana con la decretale Exiit qui seminat.

L’intento di Richi fu quello di dimostrare non tanto che la posizione di quei fraticelli fosse eretica in materia di povertà, quanto che l’errore di base risiedesse in un’inesatta interpretazione terminologica delle bolle di Giovanni da parte degli stessi (Tractatus, cit., p. 269). La tormentata esperienza di Michele e dei suoi compagni fu, così, derubricata a grosso malinteso esegetico. Richi negò, infatti, qualsivoglia divergenza di pensiero tra Niccolò III e Giovanni XXII attestando, anzi, una continuità ideologica tra i due papi. Del resto affermare la veridicità dell’uno a discapito dell’altro sarebbe equivalso ad ammettere che uno dei due pontefici fosse caduto in errore. L’autore individuò una via risolutiva che permetteva di affermare la sostanziale concordia tra le varie decretali: Cristo, nella sua immensa perfezione, avrebbe offerto molteplici esempi di diversi modi di vivere la povertà in questo mondo e ciascun papa ne avrebbe quindi esaminato un particolare aspetto, senza per questo porsi in contrasto con l’altro.

È importante osservare che il caso di Richi non fu isolato: già altri prima di lui – spontaneamente o sotto costrizione – avevano intrapreso questa linea argomentativa. In effetti il frate fiorentino, come ammise lui stesso, ripercorse un fortunato filone interpretativo già battuto da alcuni personaggi emblematici dell’esperienza fraticellesca, quali, per esempio, Ubertino da Casale, il già citato Pietro da Corvara e Francesco d’Ascoli. Costoro, sperimentato in prima persona lo scontro diretto con Giovanni XXII, furono costretti a ritrattare la propria posizione e a riconciliarsi con la Chiesa. La questione della povertà di Cristo fu fatta oggetto anche dell’attenta riflessione di Alvaro Pelagio, il cui De planctu ecclesiae divenne ugualmente una fonte, seppur non direttamente citata da Richi, di esempi e di argomentazioni di primaria importanza insieme all’Apologia pauperum e all’Expostio super regulam fratrum minorum di san Bonaventura (L. Oliger, introduzione al Tractatus, cit., p. 262).

Il completamento dell’opera avvenne nel settembre del 1381. Non è nota la data di morte di Richi che comunque è da porsi successivamente a questa data.

L’opera di Richi ebbe una certa fortuna: i tentativi di confutazione delle tesi dei fraticelli e la necessità di negare qualsivoglia discrasia all’interno delle varie disposizioni papali non si esaurirono con il XIV secolo, e il Tractatus divenne a sua volta modello cui fare riferimento. In particolar modo uno dei grandi predicatori e inquisitori francescani del Quattrocento, Giacomo della Marca, impegnato strenuamente nella lotta all’eresia, ricalcò nel suo Dialogus contra fraticellos (1458-1459) il percorso ermeneutico dell’opera di Richi. È anzi da imputare proprio a Giacomo della Marca la duratura mancata connessione tra il nome di Richi e il Tractatus contra fraticellos. Il predicatore, infatti, credette di essere in possesso di un testo redatto da un non meglio specificato magister Bonaventura, reggente dello Studio parigino. L’errata attribuzione ebbe origine, come ragionevolmente osservò Oliger, da un errore di lettura del codice da parte di Giacomo, il quale confuse la prefazione dell’opera successiva (che riportava il nome di Bonaventura regente Parisius) con la chiusura del trattato contro i fraticelli (L. Oliger, introduzione al Tractatus, cit., pp. 261 s.). Ciò generò grande confusione e con il tempo lo sconosciuto magister riportato da Giacomo passò a essere assimilato da alcuni addirittura a san Bonaventura da Bagnoregio, scomparso più di un secolo prima della stesura dell’opera.

Fonti e Bibl.: A. Richi, Tractatus contra fraticellos, a cura di L. Oliger, in L. Oliger, Documenta inedita ad historiam fraticellorum spectantia, in Archivum Franciscanum Historicum, III (1910), pp. 253-279, 505-529, 680-699; G. della Marca, Dialogus contra fraticellos, a cura di D. Lasic, Falconara Marittima-Ancona 1975 (si parla del magister Bonaventura, alludendo a Richi, nelle pp. 96, 112, 114, 120, 142).

N. Papini, L’Etruria francescana o vero Raccolta di notizie storiche interessanti l’Ordine de’ FF. Minori Conventuali di S. Francesco in Toscana, I, Siena 1797, p. 58; L. Oliger, André Richi, in Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastiques, II, Parigi 1914, p. 1700; R. Lambertini, La povertà pensata. Evoluzione storica della definizione dell’identità minoritica da Bonaventura ad Ockham, Modena 2000; Id., Spirituali e fraticelli: le molte anime della dissidenza francescana nelle Marche tra XIII e XV secolo, in I Francescani nelle Marche. Secoli XIII-XVI, a cura di L. Pellegrini - R. Paciocco, Cinisello Balsamo 2000, pp. 38-53; Id., La concordia tra Niccolò III e Giovanni XXII in Fitzralph e Wiclif. Note su alcune reinterpretazioni della povertà francescana, in John Wyclif. Logica, politica, theologia, a cura di M. Fumagalli Beonio Brocchieri - S. Simonetta, Firenze 2003, pp. 3-22; G.G. Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati Minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, Padova 2003; C. Dolcini, Michele da Cesena, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXIV, Roma 2010, pp. 154-157.

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