Anello

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

Anello

A. Ghidoli

L'a. è un ornamento circolare del dito, di antichissima origine, la cui denominazione deriva dalla forma stessa dell'oggetto; anulus è infatti, in lat., il diminutivo della parola anus 'cerchio'.

Nell'Antichità (all'età del Bronzo risalgono i primi esemplari in metallo, inizialmente semplici cerchietti lisci o, al più, attorti a spirale, in genere realizzati in oro, argento o elettro, lega costituita da questi due metalli, oppure in bronzo), oltre alla funzione puramente ornamentale, l'a. ebbe anche, nella versione sigillare, un preciso scopo funzionale. L'a. sigillo, diffuso dapprima nell'ambito delle civiltà cretese-micenea ed egizia (dalla IV dinastia) e dai secc. 8°-7° a.C. in tutto il bacino del Mediterraneo, si presentava principalmente nelle due versioni: a castone inciso fisso o mobile. Il primo, generalmente rettangolare o ellissoidale, era metallico, il secondo realizzato con una pietra imperniata in modo che potesse mostrare, a seconda dell'uso, il recto o il verso.

Una seconda notevole categoria, individuabile in base alla destinazione d'uso dei pezzi, è quella degli a. utilizzati come segni distintivi di una particolare dignità, categoria, condizione. In particolare a Roma, fin dai tempi della repubblica, un a. d'oro era portato dai membri del senato; qui si ebbe anche la nascita dell'a. donato come promessa di matrimonio (anulus pronubus) e dell'a. nuziale (cingulum o vinculum). Da notare, sempre a Roma, la diffusione del gusto per la glittica e la notevole perizia raggiunta in questa arte dai cesatores, gli intagliatori di pietre. Molto di frequente nel Medioevo, come del resto anche in seguito, gemme e cammei incisi nel periodo classico furono reimpiegati con nuove montature o costituirono comunque un ben preciso motivo di ispirazione.

Se, dopo i periodi di austerità repubblicana, nella Roma imperiale si diffuse l'abitudine di portare numerosi a. per mano e anche più di uno per dito, tale costume fu condannato dagli scrittori cristiani, che ritenevano consentito il portare esclusivamente l'a. sigillare per esigenze funzionali e non come ornamento (per es. Clemente Alessandrino, Paed., II, 12; PG, VIII, coll. 539-554).

Morfologicamente non può individuarsi un tipo particolare di a. cristiano che, per la tipologia o per il metallo impiegato (generalmente oro o bronzo, in minor misura argento e ferro), non differiva dalla produzione 'pagana' coeva; piuttosto esso si distingueva per la scelta di taluni elementi decorativi (l'ancora, il pesce, la colomba, la palma) che facevano parte di un preciso repertorio di simboli cristiani. Ebbe origine in quest'ambito l'a. episcopale, che doveva esprimere l'unione del vescovo con la Chiesa. Realizzato in oro, con una o più pietre preziose incastonate, l'a. episcopale fu oggetto anche di varie disposizioni conciliari a partire dal concilio di Roma del 610.

La diffusione dell'a., che tra i primi cristiani - e particolarmente in Occidente - fu limitata per motivi di ordine morale, conobbe invece notevole impulso sia nell'area bizantina, sia nel mondo barbarico, che applicò anche alla realizzazione di a. le proprie capacità tecniche nella lavorazione dell'oro e il proprio gusto per il decorativismo cromatico.

Per soddisfare le esigenze coloristiche anche in mancanza di gemme, costose o difficilmente reperibili, si fece ricorso in taluni casi a smalti e paste vitree colorate, ma in generale granati, ametiste, corniole ben si prestarono allo scopo.

Esempi di a. bizantini sono quelli in verga d'oro massiccio appianata a formare un castone circolare sul quale incidere simboli o immagini religiose, oppure sigle monogrammatiche con funzione sigillare (Londra, Vict. and Alb. Mus.). Un bellissimo esemplare di a. nuziale bizantino, in oro massiccio (Palermo, Mus. Regionale), quasi sicuramente risalente al sec. 7°, fu rinvenuto verso il 1878 a Siracusa. Si tratta di un raffinato prodotto di oreficeria aulica la cui funzione nuziale è dimostrata dall'iconografia della scena - due sposi ai lati del Cristo - raffigurata nella lastra circolare sovrapposta al cerchio che esternamente ha una scansione eptagonale. Su ciascuna delle sette facce dell'a. è invece rappresentato, ad agemina d'argento e niello, un episodio del ciclo cristologico.

La produzione longobarda sembra in taluni casi discostarsi dagli influssi dei modelli di Bisanzio e, più in generale, di ispirazione cristiana, per attingere più direttamente al repertorio romano. L'a. detto di Rodchis, per es., rinvenuto a Trezzo d'Adda e conservato a Milano (Soprintendenza Archeologica, depositi) sembra ispirato a quel particolare tipo di a. romano realizzato montando sul cerchio una medaglia o una moneta. L'opera, della metà del sec. 7° ca., mostra infatti un castone circolare all'interno del quale un cerchio godronato contiene un busto maschile in atteggiamento ieratico; la leggenda in caratteri latini ne riferisce il nome, "Rodchis".

Un caso particolare è invece rappresentato dall'oreficeria longobarda meridionale del tipo beneventano, maggiormente sensibile nei confronti del linguaggio bizantino. Due interessanti esemplari della seconda metà del sec. 7° possono essere considerati rappresentativi di questa espressione stilistica. Si tratta di due a. scoperti con altri gioielli in una tomba a Senise (Basilicata), nel 1916, ora a Napoli (Mus. Archeologico Naz.); entrambi sono in oro massiccio, ma presentano forme e soluzioni tecniche diverse che denotano una consolidata perizia e una notevole vivacità culturale. Uno si compone di una larga fascia messa a giorno, con motivi a S susseguentisi, dalla quale si alza un castone quadrangolare sostenuto da sei riccioli e contenente una pietra verde notevolmente ampia, posta a livello mediante un taglio a tavola. Il secondo a. ha invece sezione tonda; sul cerchio poggia un largo castone ovale, affiancato da due coppie di sferette e decorato in tre ordini concentrici (a partire dall'esterno si ha un bordo godronato, un intreccio in filigrana, un giro di sedici castoni trapezoidali contenenti alternativamente granati e pietre verdi tagliate a lamina e incassate a livello) intorno a una sardonica ovale a tre zone di colore, intagliata con una sfinge alata.

In Francia, dove già al tempo dell'occupazione romana si era avuta un'interessante produzione di a. sigillari e ornamentali, vicini nelle tipologie e nella elaborazione tecnica ai modelli di Roma, si assiste a un progressivo attenuarsi di questo influsso e a un impoverirsi delle capacità di lavorazione orafa. In età merovingica si riscontra nella produzione di a. l'impiego della godronatura e della granulazione; le pietre sono tagliate a tavola e incassate a livello in cloisons generalmente quadrangolari; il punto di giunzione tra cerchio e castone, la spalla, è rinforzato da appoggi a voluta. Un caratteristico esempio di a. diffuso tra i Franchi è costituito da un semplice cerchio appiattito, talvolta con castone circolare piuttosto ampio, che può anche assumere una forma svasata allargantesi verso l'alto. Se nel periodo merovingico l'a. sigillare era ancora molto diffuso (spesso era inciso con una sigla monogrammatica, come nel caso di quelli della cancelleria palatina), tale funzione perse progressivamente di importanza a partire dalla fine dell'età carolingia. Contemporaneamente, per contro, si elaborarono nuove tipologie nel campo dell'a. ornamentale e soprattutto ci si dedicò alla lavorazione delle pietre; queste non venivano più tagliate a lamina e incassate a livello nei cloisons (come nella produzione barbarica), ma venivano polite - secondo la tecnica indicata da Marbodo, vescovo di Rennes alla fine del sec. 11°, nel suo De Lapidibus praetiosis (Pannier, 1882) - e collocate in sedi di forma spesso irregolare perché conformata a quella naturale della pietra, che veniva tenuta da griffes. Particolare attenzione veniva dedicata alle gemme incise di origine o di ispirazione classica ed è interessante sottolineare come la fortuna di questo genere di oggetti sia stata spesso legata all'idea del potere imperiale e a un suo sia pur momentaneo realizzarsi.

Gli artigiani vichinghi, nei secc. 9° e 10°, produssero numerosi oggetti di oreficeria, tra cui a. di vari tipi; l'assenza di un centro di produzione che in qualche modo prevalesse sugli altri e ne influenzasse le scelte determinò, infatti, una grande libertà nella creazione ed esecuzione di questi gioielli, tra i quali possono distinguersi alcuni gruppi tipologici: a spirale, a fascia, con la parte superiore formata da spire variamente attorte.

La mancanza di un centro produttivo egemone per l'oreficeria vichinga portò tuttavia anche a un procedere indipendente delle singole esperienze, con una conseguente notevole difficoltà di istituire un rapporto cronologico valido tra i differenti luoghi di produzione.

Un problema analogo si presenta quando si esaminano gli a. di provenienza anglosassone. I pochi esemplari conservati - per di più assai diversi tra loro - rendono infatti difficile fissarne le linee di sviluppo caratteristiche, all'interno di un periodo lungo cinque secoli, dalla fine del dominio romano alla conquista normanna. Oman (1931) ha tuttavia indicato un gruppo di trentotto a., ascrivibili alla produzione anglosassone, sei dei quali recano nomi propri. Stilisticamente si notano in alcuni affinità con la produzione più classica dei Merovingi, mentre in altri prevale l'influsso schiettamente nordico di origine scandinavo-vichinga. Gli a., in oro, recano decorazioni a niello, come si può osservare nei famosi esemplari di Etelvulfo e di Etelsvita, entrambi trovati a Laverstock nel 1870 e conservati a Londra (British Mus.). L'a. di Etelvulfo, re del Wessex (836-858), ha la forma di una mitria vescovile in cui sono raffigurati due cigni affrontati, ai lati di un elemento centrale; in basso una fascia reca il nome del re affiancato da due crocette greche. L'a. di Etelsvita di Mercia (855-889), sorella di Alfredo il Grande, è invece costituito da un disco emisferico con bordo godronato che racchiude un cerchio quadrilobato al cui interno è raffigurata la chimera. Importante anche l'esemplare rinvenuto nel fiume Reno, presso Bologna, anch'esso recante decorazione a niello e riferibile al tardo sec. 9° o all'inizio del 10° (Bologna, Mus. Civ. Medievale).

Durante l'età feudale la consegna di un a. accompagnava la cerimonia dell'investitura e sanciva il conferimento di una proprietà territoriale. Quando, per es., Ugo, conte di Champagne, nel 1104 fece dono del possedimento di Rumilly all'abbazia di Molesme, volle significare tale consegna all'abate Roberto posando il proprio a. sull'altare (Viollet-le-Duc, 1874, p. 20). Il valore simbolico e magico, da sempre attribuito alle pietre preziose, soprattutto nel periodo romanico influenzò la scelta delle gemme utilizzate per la realizzazione di a. nuziali; la pietra più usata era lo smeraldo, unitamente alle perle.

Nel sec. 13° l'a. sigillo passò dalla forma monogrammatica a quella recante uno stemma araldico. In principio veniva incisa solo la matrice nel castone, ma successivamente (secc. 14°-15°) la decorazione si estese alle spalle dell'a. e poi lungo tutto il cerchio dove, con un intaglio marcato, si creava la sede champlevé atta a ricevere gli smalti. Sempre nel corso del Duecento si assistette a un largo impiego di pietre incise, spesso esemplari antichi applicati a montature moderne. Tra le forme di a. più diffuse, soprattutto in Inghilterra e nel Nord Europa, vi fu quella 'a staffa', in cui il castone assumeva la caratteristica forma conica, con una pietra cabochon (rubino o zaffiro, generalmente) al vertice. Altre volte il cerchio diventava poligonale e recava nella fascia esterna (ma talvolta in quella interna) iscrizioni a niello o risparmiate su un fondo smaltato. Tali scritte, spesso in latino o francese, avevano valore apotropaico o di semplice pegno religioso o d'amore e, in quest'ultimo caso, potevano essere presenti in quel tipo particolare di a. il cui cerchio è chiuso da mani congiunte ('mani in fede') o da un nodo d'amore o anche da entrambe le soluzioni contrapposte.

Nel sec. 14° il castone accentuò la tendenza alla verticalizzazione, alzandosi spesso in modo quasi sproporzionato al di sopra del cerchio, come si riscontra nel bell'esemplare d'argento con uno zaffiro cabochon tenuto da griffes (Oxford, Ashmolean Mus. of Art and Archaeology), rinvenuto in una sepoltura situata all'esterno del duomo di Murano. Nel complesso si assiste a un fiorire di forme eleganti e fortemente decorative: le spalle e il cerchio dell'a. appaiono spesso ornati con incisioni a motivi vegetali o iscrizioni, le pietre possono essere tenute negli alti castoni da griffes che proseguono le nervature degli stessi, oppure possono essere incastonate risparmiando le griffes con altrettanti scavi semicircolari del castone. Più massicce risultano le forme degli a. sigillo e di quelli religiosi (episcopale, papale), spesso di notevoli dimensioni. Il gusto per l'a. era in questo periodo assai diffuso, benché si cercasse da parte delle autorità di limitarne l'uso, evidentemente per motivi economici. Una disposizione in tal senso, emanata nel 1355 a Firenze, vietava infatti di indossare più di due a. per dito, ma ancora nel 1464 si doveva concedere di portarne fino a cinque. È comunque nel sec. 15° che l'a., divenuto il tipo di ornamento prezioso personale generalmente preferito, raggiunse la massima diffusione in tutte le sue versioni tipologiche e funzionali precedentemente menzionate. Così, espresso attraverso forme più leggere e con tendenza alla verticalizzazione nella prima metà del secolo, o in traduzioni formali più complesse e massicce nella seconda metà, l'a. quattrocentesco è ampiamente documentato dalla ritrattistica dell'epoca, che di sovente raffigura personaggi che indossano anche quattro o cinque a. per mano.

Fortunati ritrovamenti quale quello del castello di Calcide nell'Eubea, avvenuto nel 1840, documentano poi compiutamente alcuni particolari settori dell'oreficeria del 15° secolo. In questo caso si tratta di ventuno a. veneto-bizantini, conservati a Londra (British Mus.), databili all'incirca tra il 1400 e il 1470. Alcuni di essi presentano grappoli di perle che si innalzano su cerchi elegantemente ornati di incisioni e rilievi, o perle associate a pietre inserite in castoni con un annullamento quasi totale della verticalizzazione, indice questo di una datazione più avanzata rispetto ai pezzi 'a grappolo'. Gli a. di Calcide testimoniano comunque quel larghissimo favore incontrato dalle perle nel corso di tutto il sec. 15°, quando queste furono spesso associate allo smalto e alle pietre, tagliate ormai con tecnica più sicura e complessa. L'a., come del resto le altre categorie di ornamento prezioso per uso personale, si avviava a divenire sempre più un elemento soggetto al mutare delle mode, ridimensionando così quel valore simbolico, talvolta magico, che ne aveva spesso determinato l'origine, in una particolare funzione, e che aveva comunque avuto il merito, trasmettendosi all'oggetto, di salvaguardarlo da successive manomissioni. Da allora in poi solo alcuni pezzi di particolare carica simbolica, religiosa o legata al potere civile, poterono salvarsi dalla 'furia' delle trasformazioni per documentare l'evoluzione formale dell'a. assieme agli esemplari recuperati, spesso del tutto casualmente, in scavi o sepolture.

Bibliografia

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