CARASALE, Angelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CARASALE, Angelo

Arnaldo Venditti

Il nome del C., di cui si ignorano il luogo e la data di nascita, è legato ad alcune tra le più importanti opere edilizie di Carlo di Borbone in Napoli, quali il teatro S. Carlo, il palazzo di Capodimonte, la villa reale di Portici. Lo si è, perciò, talora supposto architetto, mentre sembra certo da una lettura più precisa dei documenti sinora studiati, che egli fosse soltanto un imprenditore, che collaborò, per la parte esecutiva di sua pertinenza, con i progettisti delle opere. Costruttore, apparatore di feste, appaltatore delle fabbriche regie e dei vestiari militari, provveditore dell'armata, fu una sorta di factotum borbonico, versatile e non privo d'ingegno, seppure assai spregiudicato.

Fabbro ferraio in origine, per la sua notevole abilità organizzativa e le capacità pratiche divenne, durante il dominio austriaco, favorito del viceré Michele Federico d'Althan (1722-28). Significativo, per tratteggiare la personalità del C., nell'episodio - narrato dal Croce (pp. 295 ss.) e dallo Schipa (p. 264) - della festa da lui promossa nel 1724, quando, scaduto il mandato del viceré, questi ebbe la conferma per un altro triennio: "per tre sere fece lumi nella sua casa, pose ancora molti lumi di cera avanti li Ritratti dell'Imperatore e dell'Imperatrice e sotto quello del Viceré, collocati sotto Baldacchino nella piazza del Castello con sparo di fuochi artificiali. E, tenendo egli l'appalto del Teatro Nuovo, fece a sue spese recitare un'opera in musica in lode del Viceré, facendo ascoltarla ad ogni ordine di persone senza paga, e nel fine del primo atto fece dispensare molte sorti di rinfreschi".

Il suo primo intervento edilizio fu a contatto dell'architetto D. A. Vaccaro, il maggior interprete, insieme con il Sanfelice, del rococò napoletano. Infatti, nel 1724, egli diresse - unitamente a Giacinto de Laurenti - i lavori per il teatro Nuovo, edificato su di un minuscolo giardino nella popolosa zona di Montecalvario, entro i famigerati "quartieri spagnoli". Il teatro, che suscitò l'ammirazione di A. Canevari per la elegante soluzione in un minimo spazio, fu anche diretto dal C., che poi ne lasciò la direzione perché chiamato dal viceré a dirigere il S. Bartolomeo, che era il teatro ufficiale, sussidiato dal governo e dove conveniva l'aristocrazia napoletana.

Sotto Carlo di Borbone il C. mantenne per un certo periodo il suo ruolo di uomo di fiducia, infaticabile imprenditore di fabbriche e "partitario" della Regia Corte. Infatti, dopo essersi reso benemerito delle armi spagnole per aver fornito materiali "per far la mina" e per l'assalto di Castelnuovo nel 1734, in documenti dello stesso anno (Filangieri di Candida), lo vediamo impegnato a Napoli nel condurre i lavori di restauro e trasformazione del castello medesimo. In pochi mesi egli rifece la cortina bastionata nord (che prese nome di bastione della Maddalena), ricostruì il baluardo della Marina (che fu detto della Darsena), con un andamento a due salienti più moderno per la tecnica difensiva. Sebbene non sia documentato, sembra che in quest'occasione l'architetto delle opere fosse stato il siciliano G. A. Medrano, tenente colonnello del genio e creato ben presto ingegnere maggiore del Regno (Chiarini), sotto la cui direzione il C. avviò i lavori per il palazzo di Capodimonte (posa della prima pietra 9 febbr. 1738), dopo il contrasto tra quest'ultimo ed il Canevari.

Negli anni 1734-35, il nome del C. figura in cedole di pagamento relative a materiali per le garitte necessarie alle fortificazioni di Gaeta e "per servizio della fabrica di queste regie castelle", nonché nelle opere di illuminazione del largo del Castelnuovo.

L'opera più celebre cui attese il C., quale direttore dei lavori prima e quale impresario teatrale poi, è il teatro S. Carlo, voluto dal sovrano per la città, divenuta nuovamente - dopo oltre due secoli di vicereame - capitale di un regno e sede della corte. Carlo di Borbone, "per aggiungere alla magnificenza la meraviglia, comandò che fosse il più ampio teatro di Europa, e fabbricato nel minor tempo possibile" (Chiarini): fu così che il S. Carlo venne su, in poco più di sette mesi, dal marzo all'ottobre del 1737, con la spesa di 100.000 ducati, e fu inaugurato la sera del 4 novembre, onomastico del re, con l'Achille in Sciro del Metastasio. Architetto ne fu il Medrano, ma G. M. Bibiena (1762), F. Fuga (1777), D. Chelli (1797) e infine A. Niccolini (1810, 1816) dovevano più tardi rinnovarne l'aspetto. Se, per la fabbrica originaria, è stato talora proposto - in considerazione della giovane età del Medrano e del fatto che egli non avesse alcuna pratica di sale da spettacolo - che parte del merito della buona riuscita del S. Carlo sia da assegnarsi al C. (Sasso), ciò è da intendersi soltanto per gli aspetti pratici ossia per le soluzioni tecniche; certo è che l'architetto del maggior teatro napoletano dovette guardare assai attentamente al summenzionato teatro Nuovo (oggi distrutto, ma documentato), ispirandosi a esso, come appare evidente anche dalle analogie planimetriche tra le due fabbriche (Mancini, 1961-1962).

L'anno successivo alla costruzione del S. Carlo, nel 1738, vediamo il C. collaborare di nuovo con il Medrano ai rilievi e ai lavori di stima per la real villa di Portici (Schipa), in seguito ai lavori nell'ex palazzo del conte di Palena: del resto il C. aveva condotto, ancor prima dell'ingresso di Carlo in Napoli, i lavori necessari per riattare, arredare e ingrandire la reggia napoletana, sotto la direzione del regio ingegnere Giuseppe Papis e del Medrano. Tali lavori provocarono, però, alla fabbrica lesioni che richiesero una perizia del Sanfelice. Ma, soprattutto, per circa quattro anni, assai notevole fu la fortuna del C. per la continua opera prestata nei pubblici festeggiamenti, per gli addobbi, l'illuminazione, gli apparati ed i cori di musica.

Ma, nel difficile ambiente di corte, fatale fu al C. una zuffa al giuoco con il Vignes, avvenuta in casa della principessa di Belmonte. Già citato nel maggio del '40 innanzi al Tribunale della Sommaria per un contrasto con i gesuiti sul prezzo di un terreno tolto loro per la fabbrica di Capodimonte, nell'ottobre dello stesso anno, per intervento della Belmonte, cara ai sovrani, gli si mosse guerra da parte del medesimo Tribunale e della Giunta de' conti: venne nominato "un ingegnere che intervenisse agli apprezzi delle opere affidate al C., ed alla discussione e liquidazione di ducati 266.850 sborsatigli a conto delle sole fabbriche della Reggia di Napoli", nonostante che tale controllo su ogni versamento fosse stato già esercitato di volta in volta da parte di un ingegnere regio e col visto del Medrano. Il perito fu l'ing. Giovanni Papa. Le note a favore del C. non vennero tenute in alcun conto e il Fisco pretese - e il re approvò - che tutte le spese di perizia sulle opere di Portici, sebbene fatte nell'interesse del Fisco stesso, gravassero sull'impresario (Schipa). Oramai il C. era caduto in disgrazia, anche per le beghe interne di corte, e a nulla valsero le benemerenze acquistate da lui per aver costruito il S. Carlo. Il re respinse la supplica che il C. gli aveva rivolto, affinché venissero riconosciuti i suoi diritti. Com'è documentato dalle carte dell'Arch. di Stato di Napoli (cfr. Schipa, pp. 371 s.), il 4 luglio 1741 il C. inviò la supplica anche al duca di Salas, ma, per tutta risposta, il giorno seguente fu arrestato e gli venne sequestrato ogni documento che aveva in casa. La direzione del teatro S. Carlo passò improvvisamente al marchese di Liveri. L'ambiguo comportamento del Medrano e del Papis, che tardarono a fornire le misure richieste dal duca, indusse la Giunta de' conti a ritenere più evidente la colpevolezza del C., cui non fu data possibilità di difesa, e che anzi fu trasferito dalle carceri di Vicaria al forte di S. Elmo. Così, ulteriore esempio della prassi assai sbrigativa della giustizia borbonica, il 12 marzo 1742 il C. finì di vivere, per apoplessia, "chiuso in carcere senza una sentenza del Tribunale, mortovi quando ancora si raccoglievano gli elementi per formarne il processo" (Schipa).

Bibl.: C. N. Sasso, Storia dei monum. di Napoli..., I, Napoli 1856, p. 20; C. Celano-G. B. Chiarini, Notizie del bello,dell'antico e del curioso della città di Napoli, IV, Napoli 1860, pp. 426, 484; B. Croce, I teatri di Napoli, Napoli 1968, pp. 294-305; N. Del Pezzo, Il TeatroNuovo, in Napoli nobiliss., VIII (1899), pp. 177-181; Id., Siti reali,Capodimonte,ibid., XI (1902), p. 65; M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Napoli 1904, pp. 263-67, 278-81, 300 s., 308 s., 366-73; S. Di Giacomo, Teatri celebri, Napoli 1906, p. 481; G. De Logu, L'arch. ital. del Seicento e del Settecento, Firenze s.d. (ma 1937), 11, p. 17; F. Fichera, L. Vanvitelli, Roma 1937, p. 82; R. Filangieri di Candida, Rassegna critica delle fonti per la storia di Castelnuovo, in Arch. stor,per le prov. napol., n. s., XXV (1939), pp. 284 s.; R. Pane, Archit. dell'età barocca in Napoli, Napoli 1939, p. 217; F. De Filippis, Il rinnovamento del teatro, in Cento anni di vita del teatro di S. Carlo,1848-1948, Napoli 1949, pp. 8 ss.; Id., Le reali delizie di una capit., Napoli 1952, p. 38; B. Molaioli, Notizie su Capodimonte, Napoli 1957, p. 10; G. Doria, Storia di una capit., Napoli 1958, p. 206; A. Venditti, Archit. neoclassica a Napoli, Napoli 1961, pp. 236, 302; R. Mormone, D. A. Vaccaro architetto, in Napoli nobilissima, s. 3, I (1961-62), p. 141; F. Mancini, Due teatri napol. del XVIII sec.: il Nuovo ed il S. Carlo,ibid., p. 97; A. Venditti, L'arch. G. Astarita e la chiesa di S. Anna a PortaCapuana,ibid., p. 180; R. Mormone, Docc. perla storia dell'archit. napol. del Settecento,ibid., III (1963-64), p. 120; F. Mancini, Scenogr. napol. dell'età barocca, Napoli 1964, pp. 19, 96, 109; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 567 s.

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