DE ROSSI, Angelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 39 (1991)

DE ROSSI (de' Rossi, de Rossi, de Rubeis), Angelo

Helga N. Franz-Duhme

Nacque nel 1671 a Genova da un artigiano di nome Luca; non sono attestate parentele con altri artisti omonimi. Sin da piccolo aveva dimostrato un certo talento nel modellare e nel 1680-81 fu mandato a bottega da Filippo Parodi, lo scultore che insieme con Pierre Puget per primo tradusse il linguaggio barocco romano in forme tardobarocche.

Il fatto che il D. potesse conferire al marmo forme differenziate e superfici sottili e luminose - capacità che in seguito venne molto apprezzata - fu un tributo palese all'arte del suo maestro. Lo stile del primo lavoro eseguito autonomamente è assai vicino a quello della scuola del Parodi: si trattava della statuetta di un Satiro che mangia l'uva, attualmente nel palazzo reale di Genova, l'antico palazzo Marcello Durazzo, dove era stata vista, e descritta già nel 1769, dal Ratti, il più importante biografo del De Rossi. La statuetta, scolpita finemente in marmo, viene datata al 1688 circa, per le sue analogie stilistiche con la base di un candelabro del Parodi che si trova a Padova. Un'altra statuetta di Satiro con l'uva, firmata, si trovava un tempo presso privati ad Opava, in Cecoslovacchia (cfr. Braun Troppau, 1907), ma è andata dispersa e non ne esiste documentazione fotografica.

Nel 1688-89, dopo un apprendistato di circa otto anni, il D. lasciò l'atelier del Parodi per recarsi a Roma. Come tutti i giovani artisti del tempo, frequentò l'Accademia di S. Luca, dove imparò il disegno del nudo.

Si possono far risalire a questo periodo alcuni fogli con studi, oggi a Berlino Dalilem (Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz [indi SMKP], KdZ 21 666 s., 22 220, 22 484) e a Düsseldorf (Kunstmuseum, FP 7434, 7929), che sono stati attribuiti al De Rossi. Nel 1692 partecipò ai concorsi scolastici annuali dell'Accademia: il rilievo che presentò, I tre giovinetti nella fornace, ottenne il più alto riconoscimento, il primo premio della prima classe di scultura. Come si dimostrò in seguito, il D. da allora in poi fu noto a Roma soprattutto come scultore di rilievi.

Un rilievo in bronzo rotondo raffigurante La Pietà (Genova, coll. priv.; cfr. Franz Dulime, 1984) è da assegnare dal punto di vista stilistico ai primi anni romani dell'artista. La composizione dell'opera evidenzia che in quel periodo il D. sentiva ancora fortemente l'influenza della pittura dell'Italia settentrionale e che propendeva per lo stile figurativo di Pierre Puget, dal quale poi si allontanò.

Considerando l'insieme delle opere del D., il rilievo della Pietà si avvicina a un altro rilievo in bronzo, La guarigione di un indemoniato, scolpito nel 1695-96 per la chiesa romana del Gesù e a cui probabilmente egli lavorava nel medesimo periodo. Dei lavori preparatori per il primo rilievo è rimasto un disegno (Berlino Dahlem, SMPK, KdZ 16 416) e un bozzetto in cera (Roma, coll. priv., cfr. Franz Duhme, 1986). A differenza del rilievo in bronzo, però, le forme del bozzetto erano allungate, simili a cartouches. Di quest'opera esiste infine una copia in marmo la cui forma è stata ulteriormente modificata (ibid.).

Alla fine del 1695 il D. fu chiamato a collaborare al complesso figurativo della cappella di S. Ignazio, progettata da Andrea Pozzo, nella chiesa del Gesù a Roma. Con ogni probabilità venne raccomandato per l'esecuzione di due rilievi da Jean-Baptiste Théodon. Tra il novembre 1695 e il febbraio 1696 creò, secondo i progetti pittorici del Pozzo, un modello in terracotta per uno dei sette rilievi bronzei destinati allo zoccolo dell'altare: La guarigione di un indemoniato, pagato il 14 febbr. 1696 con 50 scudi, venne fuso in bronzo da Adolf Gaap.

Questa composizione, rispetto a quella della Pietà, è più severa. Al posto di uno sfondo pittorico, suggerito anche dal Pozzo, il D. preferì semplicemente l'architettura di fondo. Vi si possono notare i primi accenni a quel nuovo modo di rappresentare che nel rilievo seguente porteranno già a uno stile totalmente mutato.

Il secondo rilievo per l'altare di S. Ignazio, eseguito in marmo, rappresenta Ilriconoscimento dell'Ordine dei gesuiti (èa sinistra guardando l'altare). Il contratto per questo rilievo, stipulato il 6 nov. 1695, obbligava il D. a conformarsi ai piani di Andrea Pozzo (cfr. Berlino Dalilem, SMPK, KdZ 16 416, disegno del D. dal Pozzo; incisione di Vincenzo Mariotti, 1697, a Roma, Casa generalizia dei gesuiti). Il 6 maggio 1699 il D. terminò il rilievo e ricevette in tutto 510 scudi.

Il rilievo marmoreo è un'opera notevole: sia per quanto riguarda le opere del D. sia per quanto riguarda la scultura barocca romana, trova espressione per la prima volta uno stile che prelude già al XVIII secolo. Poche, imponenti figure dai gesti solenni riempiono lo spazio. Esse sono avvolte in pesanti drappi che allo stesso tempo semplificano ed evidenziano le forme dei corpi. La diffusione uniforme della luce contribuisce alla solennità generale della composizione. Il D. manifestò in questa scultura quello stile che Carlo Maratti affermò nella pittura e diffuse attraverso l'accademia, in opposizione alla scuola romana barocca. L'opera del D. rivela anche gli stretti contatti con lo scultore Pierre Legros, che già aveva portato dalla Francia questo stile solenne. Il rilievo marmoreo, che si avvicina stilisticamente alle opere più tarde del Legros, fu concluso poco tempo dopo la loro prima collaborazione al Gesù.

Nel 1697 il D. fece i modelli di due putti, poi fusi da Carlo Spagna, che rono collocati sulla balaustra dell'altare di S.Ignazio tra altri sei putti simili, opera di diversi artisti: non è quindi possibile oggi identificarli.

Non si sa dove il D. abbia vissuto i primi anni del suo soggiorno romano, anche se è noto che all'inizio della sua collaborazione con i gesuiti, nel 1695, egli si trasferì, con Legros ed altri, in palazzo Farnese, dove trovò studio e alloggio. Vi rimase fino a quando il cardinale Pietro Ottoboni, il più munifico cardinale e mecenate di Roma, lo ammise tra gli artisti che aveva raccolto intorno a sé al palazzo della Cancelleria. L'Ottoboni nominò il D. "ministro", gli mise a disposizione un appartamento e numerosi studi e gli assegnò un vitalizio di 12 scudi mensili.

Nell'aprile 1698 il D. aveva già iniziato i lavori per il monumento funebre di Alessandro VIII, che l'Ottoboni voleva far erigere in S. Pietro (primo a sud della tribuna del coro). Mentre la struttura architettonica della tomba era stata ideata da Carlo Enrico Sanmartino, il maggiordomo del cardinal Ottoboni, il bozzetto e l'esecuzione della decorazione figurativa del complesso statuario in origine dovevano essere condotti dal solo De Rossi. L'artista però completò soltanto il rilievo marmoreo sullo zoccolo del monumento sepolcrale: rappresenta La canonizzazi one di cinque santi ad opera di Alessandro VIII e riproduce i più importanti partecipanti alla cerimonia, fra i quali Pietro Ottoboni. Probabilmente ritrasse se stesso nel giovane sul cui colletto si può leggere la sua firma (altri ritratti dell'artista non ci sono pervenuti).

Questo rilievo è l'opera più completa del D.: dimostra in maniera molto chiara che nel frattempo egli si era interessato alla pittura del Maratti e alle opere di alcuni artisti francesi. In confronto al rilievo marmoreo del Gesù, le figure sono di dimensioni ancora maggiori; ugualmente solenni sono le vesti, grazie al ricco drappeggio (qui lavorate in modo più variato data la vicinanza del punto di osservazione). Anche le azioni dei diversi gruppi, che movimentano la narrazione, non turbano la pacatezza della rappresentazione perché tutti i gesti sono misurati. Sebbene alcune singole figure sulla parte esterna del rilievo convesso si mostrino plasticamente di tre quarti, il gioco di luce e ombra è appena percepibile, perché le forme non sono scolpite in sottosquadro. Il D. curò con particolare attenzione i dettagli, specie nei volti, e seppe ottenere dal marmo superfici delicatamente lucide.

Il rilievo del monumento del papa destò la generale ammirazione, anche da parte della Accademia francese, che ne fece fare una copia in gesso per la sua raccolta di opere d'arte, strumento di studio per gli allievi. Nel 1703 il D. aveva già terminato di lavorare al rilievo, ma per motivi a noi sconosciuti lasciò incompiute le statue già progettate del Papa Alessandro VIII, della Prudenza e della Religione.

Nel 1706 furono provvisoriamente sistemate al loro posto figure in stucco che solo nel 1725, dieci anni dopo la morte del D., vennero sostituite con le statue attuali.

Conosciamo le statue perdute grazie a un'incisione (De Rossi, 1711) e a un modello in piccolo della statua del pontefice Alessandro VIII (San Francisco, The M. H. de Young Memoriai Museum); l'attuale statua bronzea venne fusa secondo il modello in stucco del D., anche se quest'ultimo non servì direttamente per la fusione. Il fonditore Giuseppe Bertosi semplificò le forme e aggiunse un cuscino per i piedi. Le Allegorie delle Virtù non furono scolpite da uno scultore di nome Gagliardi, come dice il Ratti nella biografia del D., ma eseguite dal D. stesso. Fin dal 1707 infatti i due blocchi marmorei si trovavano nel suo studio. Confrontando le statue con l'incisione in rame, si vede che ne eseguì i corpi e le vesti e che solo i volti, chiaramente incompiuti, furono lavorati nel 1725 dal Gagliardi, insieme con gli zoccoli delle statue. Inoltre, una volta in chiesa, le figure furono fatte girare intorno al proprio asse, cambiandone così totalmente l'effetto ottico, se paragonate alle precedenti figure in stucco. Del tempo della loro progettazione, intorno al 1705, è un disegno che restituisce la prima idea delle due allegorie (Berlino, Kunstbibliothek, KdZ 3854).

A differenza dei rilievi, nelle statue lo stile del D. risentì delle opere di maestri precedenti, fra i quali il Bernini. Il modelletto della statua del papa, eseguito tra il 1698 e il 1701, è ancora del tutto barocco e lo stesso si può dire delle vesti delle allegorie. Solo poco a poco il D. riusci ad allontanarsi dallo stile degli scultori precedenti anche nella scultura a tutto tondo.

In occasione del concorso indetto da Clemente XI nel 1702 in Campidoglio, il D. realizzò una statua in onore del papa. Secondo una poesia pubblicata in un volume commemorativo (G. Ghezzi, 1702), questa era di marmo e fu collocata nel palazzo della Cancelleria. La statua di Clemente XI andò perduta, ma ci rimangono un bozzetto in terracotta (Berlino, SMPK, inv. n. 2933), una statuetta in bronzo (Leningrado, Ermitage) e un'incisione in rame, datata 1713-14 (Roma, Gabinetto delle stampe, Inv. FC 53094), che differiscono fortemente tra loro.

Il bozzetto di Berlino presenta analogie con quello di Alessandro VIII conservato a San Francisco: come quest'ultimo è ancora barocco e del tutto conforme allo stile delle sculture eseguite dal D. intorno al 1700. La statuetta di Leningrado invece corrisponde all'incisione, che porta la sua firma, ma mostra forme protoclassicistiche a noi finora sconosciute nella scultura a tutto tondo del De Rossi. Si potrebbe da questo supporre che egli abbia eseguito la statua del papa secondo il bozzetto di Berlino, e che la statuetta conservata a Leningrado sia stata eseguita più tardi come piccolo pastiche destinato a un privato e quindi messa a disposizione dell'incisore: la statuetta sarebbe l'ultima opera del D. che ci è rimasta e presenterebbe l'ultimo evolversi del suo stile.

Nel 1702, quando venne deciso di dotare la cappella del Monte di pietà di Roma dei due rilievi che ancora mancavano al suo arredo, il D. cercò inutilmente di ottenerne l'esecuzione. Riuscì invece a partecipare alla più grande impresa scultorea dei primi del Settecento a Roma, cioè alle sculture degli apostoli in S. Giovanni in Laterano. Gli artisti dovevano scolpire statue di grandezza superiore al naturale (4,24 m), seguendo i disegni di Carlo Maratti. Il D. scolpì la statua di S. Giacomo il Minore.

Le prime fatture, relative a quest'opera, risalgono al 1705, quando egli lavorava in una nicchia della basilica a un primo modello della statua, subito seguito da un secondo. Nel gennaio 1710 gli fu consegnato il blocco di marmo per la statua, che fu terminata nel settembre 1711. Il D. ricevette per l'opera in tutto 2.100 scudi. Da disegni conservati a Düsseldorf (Kunstmuseum, FP 3278 e 3279) si suppone che egli aspirasse a realizzare anche la statua di S. Giacomo il Maggiore della cui esecuzione, ancora nel 1711, non era stato incaricato alcun altro artista, ma che fu eseguita, dopo la sua morte, da Camillo Rusconi, che si rifece evidentemente ai disegni del De Rossi.Se si esamina lo stile delle sculture del D., tenendo conto dei modelli statuari del Bernini da una parte e dei contributi del Maratti dall'altra, si può notare come la statua di S. Giacomo il Minore, all'interno della sua produzione, sia per la prima volta più vicina al Maratti che al Bernini. Anche facendo il confronto con le altre statue di apostoli in S. Giovanni, si vede che il D. fu tra i pochi scultori a seguire ampiamente le indicazioni di Carlo Maratti, indicazioni che corrispondevano alle intenzioni di Clemente XI.

Il D., che dal 1703 faceva parte della Accademia dei Virtuosi del Pantheon, fu ammesso nell'Accademia dì S.Luca solo nel 1711; come pièce de réception diede una Adorazione dei pastori, che a Roma divenne famosa.

Il rilievo originale, ovale, in terracotta (Ratti, 1769), è andato perduto, ma si conserva (Roma, Museo di palazzo Venezia) un calco in gesso probabilmente di Giovanni Battista Maini, anch'esso citato dal Ratti. La composizione, preceduta da accurati studi (Monaco, Graphische Sainnilung, Inv. n. 6859; Berlino, SMPK, KdZ 18 191 s., 21 652-55, 23 530; Parigi, Louvre, Inv. n. 9552), presenta un susseguirsi di movimenti complessi il cui fine era sicuramente quello di far colpo sull'Accademia.

In occasione dei restauri del Pantheon, Clemente XI propose la sostituzione dell'altar maggiore di epoca medievale e il D. fu incaricato di eseguire un rilievo, da porre sopra la mensa, con l'Assunzione.

Il progetto dell'artista piacque al papa, che trattenne nella sua collezione privata il modello in piccolo e fece appendere il modello in grande nel luogo destinatogli. Per oscuri motivi ci fu un cambiamento di programma; ad Alessandro Specchi fu commissionato un progetto del tutto differente, in cui non si teneva conto alcuno del rilievo del De Rossi. Non sappiamo come fosse l'opera perché il modello in piccolo andò perso e il modello in grande fu distrutto nel Pantheon, dopo la morte del De Rossi. Il fratello Franco, che ereditò più tardi i beni personali e anche i debiti dello scultore, scoprì che i lavori per il rilievo del Pantheon non erano mai stati pagati.

Come Arcangelo Corelli, anche il D. visse alla corte del cardinal Ottoboni e alla morte del Corelli fu incaricato di eseguirne il busto, posto in una nicchia del muro sopra la sua tomba nel Pantheon, dove rimase fino al 1820. Dal 1949 è conservato nel palazzo dei Senatori in Campidoglio. Malgrado la sua somiglianza al soggetto, esso tende all'idealizzazione e a una eleganza raffinata e testimonia che il D., in quel momento, era orientato soprattutto verso la scultura francese contemporanea.

A parte piccoli lavori, di cui alcuni perduti. il D. si occupò nel 1704 (e dal 1711 al 1715 ogni anno) delle decorazioni per l'orazione delle quarantore durante il carnevale. Di alcune composizioni drammatiche realizzate nel coro della chiesa di S. Lorenzo in Damaso, chiesa titolare del cardinal Ottoboni, abbiamo dei fogli volanti e dei disegni (Düsseldorf, Kunstmuseum, FP 3282, 3283, 10829; Berlino, SMPK, KdZ 16 416, 18 195, 18 624r.).

Il D. morì a Roma il 12 giugno 1715.

Fu buon disegnatore e caricaturista (caricature a: Madrid, Biblioteca nacional; Torino, Biblioteca nazionale; Berlino, SMPK; Chicago, Art Institute; Providence Museum of Rhode Island School of Design) e come scultore egli fu il primo italiano della sua generazione ad aprire la via alle nuove tendenze di stile del XVIII secolo.

Fonti e Bibl.: Per i documenti per i quali manchi riferimento all'interno della voce cfr. Franz-Duhme, 1986 (con bibl. precedente). Vedi inoltre: Bologna, Bibl. universitaria, ms. 1895, ff. 129v s.; Genova, Arch. stor. del Comune, ms. 44 (108), ff. 185r ss.: Storia de' pittori... scritte da G. Ratti... in Genova 1762; Bibl. ap. Vaticana, Computisteria Ottoboni, voll. 31-70, passim; Ibid., Vat. lat. 7483: Ristretto di tutte le spese fatte ... nel Deposito... di papa Alessandro VIII; Ibid., Archivio del Pantheon, I, 17, f. 25; II, 2, fasc. I, ff. 31, 216, 220v s., 233, 240v s., 265v s.; Ibid., Ferraioli, IV8532 int. 32; Roma, Archivuni Romanuni Societ. lesu, FG Inform. 494, f. 286; Ibid., ACG 2056, ff. 40, 70, 73, 84, 122, 246, 253, 278, 291, 304, 314, 323, 352, 403, 411, 422, 440, 459; Ibid. 2057, ff. 45, 49, 51, 139 s.; Ibid., Romana 141, ff. 125 s., 188 s.; Ibid., Arch. stor. del Vicariato, Fondo Ottoboni, vol. 3, vol. 28, f. 223, vol. 101; Ibid., Parr. S. Caterina della Rota, Liber status animarum, 1697 e 1714; Ibid., Parr. S. Lorenzo in Damaso, Liber defunctorum, V, 1706-1715; Ibid., Arch. della Rev. Fabbrica di S. Pietro, Decreta et resolutiones S. Congregationis Rev. Fabricum S. Petri. Ab anno 1680 ad annum 1700, v. 167, s. 3, 1° piano, ff. 155r s., 157v, 170v; Ibid., piano 2, Serie armadi, pacco 85, f. 467; Ibid., Arch. dell'Accademia di S.Luca, v. 45, f. 151; v. 46A, ff. 124 s., 130 e passim;Ibid., Miscellanea Concorsi secolo XVII ad anno 1692; Ibid., Archivio Capitolino, 30 notari capitolini, Officio 25, Not. Ang. Perefflus, anno 1715, 2a parte instrumentarum, ff. 202 ss.; Ibid., F. Valesio, Diario di Roma 1708-1711, t. 16, cred. XIV (VII), ff. 313 ss.; Ibid., Bibl. Casanatense, Misc. 4% v. 144; Ibid., Bibl. Corsiniana, Ins. 117 A 25, f. 11; G. Ghezzi, Le pompe dell'Accademia del disegno solennemente celebrate nel Campidoglio. Il di 25Febraro MDCCII, Roma 1702; D. 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