GATTO, Angelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GATTO, Angelo

Dario Busolini

Nacque a Orvieto nel secondo quarto del sec. XVI, stando all'ipotesi di P. Catizzani, da un ramo minore della famiglia Gatti di Viterbo che, dopo il sacco delle sue case subito nel 1495 all'approssimarsi di Carlo VIII, riparò nella città umbra. Avviato alla vita militare, ricevette comunque un'istruzione, irregolare ma non superficiale.

Le notizie su di lui sono limitate a quel poco che egli stesso ha lasciato scritto di sé nella sua Narratione. Poiché sostiene di aver servito Astorre Baglioni "sin da' primi anni", è ipotizzabile che, entrato presto al servizio del capitano perugino lo seguì, se non nelle campagne di Ungheria e in Germania, nella militanza per la Repubblica di Venezia, ottenendo il grado di alfiere. Al profilarsi della guerra di Cipro contro l'Impero ottomano, il G. venne destinato - insieme con altri ufficiali orvietani tra cui F. Stracco - alla difesa dell'isola.

È incerta anche la data del suo arrivo a Cipro. Infatti la sua relazione inizia con la data del 3 ott. 1569 (mentre il Baglioni aveva assunto il governo di Nicosia dal marzo), ma viene portata avanti con regolarità solamente a partire dall'inizio del maggio 1570. Certo è, comunque, che quando il Baglioni, per contrasti col luogotenente generale del Regno di Cipro N. Dandolo circa la strategia di difesa, lasciò Nicosia per trincerarsi a Famagosta, anche il G. venne aggregato a questa piazzaforte, dove rimase fino al termine delle ostilità.

All'inizio del 1571, quando riparò fortunosamente a Famagosta il capitano Carlo Ragonasco da Crema, insieme con altri superstiti alla caduta di Nicosia che avevano combattuto alla macchia, il G. fu assegnato alla ricostituita compagnia di questo ufficiale. Restò suo alfiere fino alla fase più dura dell'assedio turco. Il 5 luglio 1571, durante il secondo assalto generale degli Ottomani, venne ucciso il capitano dei granatieri Francesco Foresti da Venezia e, mancando un pari grado che potesse rimpiazzarlo, il G. fu promosso sul campo capitano di quella compagnia. Affrontò quindi il terzo e il quarto assalto turco finché il 29 luglio, nel quinto, colpito alla spalla da un'archibugiata, dovette abbandonare il combattimento a meno di un mese dalla promozione.

D'altra parte questo era ormai giunto al termine. Il 1° ag. 1571 Famagosta si arrese dopo un anno di assedio e il G., secondo la capitolazione concordata, sarebbe dovuto partire, con l'onore delle armi, per Creta. Il 5 agosto, già imbarcato, venne invece catturato a tradimento dagli Ottomani, con gli altri 700 superstiti del presidio. Fortunatamente la sua ferita non era grave ed ebbe le forze per affrontare il lungo periodo di dura prigionia.

Dopo aver assistito al supplizio di Marcantonio Bragadin, il 22 settembre i prigionieri cristiani partirono, con la flotta di Mustafà pascià, alla volta di Costantinopoli, in un viaggio tormentato dalle cattive condizioni del mare e dai maltrattamenti dei turchi. Il 2 ottobre arrivarono nella capitale e, mentre i soldati semplici vennero fatti schiavi, il G. insieme con gli altri reclusi di rango fu portato il 5 nel bagno di Galata e poi il 20 nel carcere di Castelnuovo, conosciuto allora come Torre del Mar Nero, di Costantinopoli. Messo alla catena e sottoposto a un durissimo trattamento, dovette la sua sopravvivenza all'azione del marchese G. Malatesta e dell'ambasciatore di Francia F. de Noailles, che si adoperavano per sovvenire i prigionieri e spingere Venezia verso una pace separata con la Turchia.

Quando questa venne stipulata, nel marzo 1573, le parti si accordarono sullo scambio dei prigionieri cristiani presi a Cipro con quelli turchi catturati a Lepanto e di conseguenza le condizioni dei primi migliorarono un poco. Allora, per affrettare la libertà già attesa da due anni, il G. pensò di mettere per iscritto una relazione della guerra di Cipro comprensiva della descrizione della sorte dei prigionieri, da inviare al fratello del Baglioni, Adriano, sollecitandone l'aiuto.

Utilizzando i propri ricordi, quelli dei compagni di prigionia e forse qualche appunto preso a Famagosta e scampato ai Turchi, mise insieme un manoscritto di circa cc. 100 in forma di diario dal titolo: Narratione del capitano Angelo Gatto da Orvieto del successo dell'assedio di Famagosta, terminandolo il 19 nov. 1573.

Si ignora se, come e quando il manoscritto del G. pervenne nelle mani del dedicatario Adriano Baglioni il quale, in ogni caso, non poté aiutare l'autore perché restò vittima di un incidente di torneo il 1° apr. 1574. Né si hanno altre notizie del G. che, nell'ipotesi sia sopravvissuto alla prigionia, dovette attendere ancora a lungo lo scambio con i prigionieri turchi la cui cessione, osteggiata da Filippo II, fu realizzata infine nel luglio 1575.

Redatta senza pretese letterarie col solo intento di dire la verità, la narrazione del G. risulta, proprio per questo, chiara e leggibile, mentre la forma diaristica adottata fornisce preziose informazioni cronologiche e quantitative sui fatti e sui partecipanti alla guerra. L'autore, sul modello delle orazioni, suddivise la materia in tre parti, la prima concernente la preparazione della guerra, la seconda il suo svolgimento e la terza le vicende dei prigionieri con un'ampia descrizione del loro viaggio verso Costantinopoli.

Il manoscritto venne letto con interesse e diffuso in varie copie; tuttavia la scarsa fama dell'autore, che gli altri scrittori reduci di Famagosta, come N. Martinengo e A. Podacataro, non nominano, forse per il suo grado non elevato, ne impedì la stampa. Solo alla fine dell'Ottocento il sacerdote orvietano P. Catizzani ritrovò una copia, oggi perduta, del manoscritto nella biblioteca dell'on. G. Bracci e ne curò la pubblicazione (Narratione del terribile assedio e della resa di Famagosta nell'anno 1571 da un manoscritto del capitano Angelo Gatto da Orvieto, Orvieto 1895).

Fonti e Bibl.: G.A. Quarti, La guerra contro il Turco a Cipro e a Lepanto, Venezia 1935, pp. 231, 272, 312, 316, 337, 339, 342 s., 360, 504, 506, 533, 555 s., 558; G. Hill, A history of Cyprus, III, Cambridge 1948, pp. 1039, 1154; A. Ventura, Bragadin, Marcantonio, in Diz. biogr. degli Italiani, XIII, Roma 1971, pp. 686-689.

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