BARBARO, Angelo Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)

BARBARO, Angelo Maria

Gian Franco Torcellan

Nacque a Portogruaro il 9 febbr. 1726, figlio del patrizio e senatore Bemardo, che era podestà nella piccola città veneta, e di una donna non nobile; per questo motivo non poté essere ammesso, in grazia delle severissime, leggi della Repubblica, alla carriera politica. Vestì dunque l'abito religioso: mera scelta imposta dall'obbligo sociale, senza che in lui vi fosse allora, e non ve ne fu in seguito mai, una pur pallida inclinazione. Una tempestosa giovinezza, testimoniata però piuttosto indirettamente da fonti non degne di gran fede e da tardi rimorsi poetici del B. e limitata comunque ai modesti turbini di amori settecenteschi e salottieri, lo portò, abate brillante e impareggiabile conversatore e divulgatore di frizzi e pettegolezzi, a frequentare salotti e ritrovi della Venezia del tempo, sino a giungere nell'intimità della ricercatissima e spirituale dama che brillava di luce tutta particolare sulla scena mondana della città: quella Caterina Dolfin che, destinata a diventare potente per gli amori e per il tardo matrimonio con quello ch'era definito il "paron" della vita politica della Serenissima, Andrea Tron, fu per un buon periodo l'irrequieta amante del Barbaro.

Ma allorché, aumentando i successi galanti della dama e declinando invece la prestanza dell'abate poeta, questi cominciò ad accusare quel fastidioso difetto, la sordità, che non doveva più abbandonarlo sino alla morte, la Dolfin, affibbiatogli il nomignolo burlesco di "Cavalier Trombetta", gli negò ben presto i suoi favori. Tuttavia, ancor prima che gli anni e i tumultuosi trascorsi mondani venissero a fiaccargli una salute per natura cagionevole, il B. s'era distinto per uno spirito di stucchevole lamentosità, per un'inclinazione incontenibile ai brontolamenti di burbero accidioso censore.

Sempre più declinando lo spirito e la vitalità giovanile, finì per rinchiudersi tutto nella vita di scrittore e di poeta, ad essa dedicando ogni minuto del giorrio, ed eleggendo il suo abile verseggiamento dialettale a testimone fedele d'un'umile esistenza di abate squattrinato. La poesia era, del resto, male di famiglia, che gli veniva dal padre, e si continuava nella celebre Cornelia, sua sorella, ch'era andata sposa ad un Gritti e doveva avere per figlio il più delicato cantore della musa dialettale veneta settecentesca, il classìco ed aggraziato Francesco.

Nello spirito di così illustre tradizione il B. visse il resto della sua vita nulla dando alle stampe. Ma la notorietà più vasta, assicurata dalla lettura dei suoi versi nei popolati caffè e nei salotti, non mancò alla sua attività di letterato, fino a raggiungere più larga eco con la famosa Anna Erizzo, ossia Mehemet in Negroponte, un'opera "tragico-buffa" che circolò largamente, manoscritta, verso il 1772 e nella quale, riprendendo un'antica leggenda d'eroismo veneziano, il B. ne contaminava lo spirito con il licenzioso linguaggio: rivelazione d'una radicata tendenza al libertinaggio poetico che, in lui come in altri poeti veneziani, visse tenacemente accanto a toni più umani e meditati.

Di un'altra sua invenzione comica, Proverbio venezian, sappiamo che, sotto il velo d'una vicenda storica, nascondeva un acerbo attacco alla perduta amante. Nella Matrona d'Efeso, una novella in versi da lui ripresa sulla falsariga dei classici, ironizzava invece duramente sulle depravate costumanze morali della Venezia settecentesca: ma il suo amaro affetto come non trovava energia per dettare speranze e incitamenti al meglio, così non sapeva trovare vera e convincente nobiltà di moralista.

Il meglio della sua opera di poeta, comunque, di abile manipolatore del dialetto veneziano e di fine ed efficace indagatore di sentimenti, è in certe brevi e salaci novelle, e in alcuni sonetti autobiografici, nei quali è il ritratto compiuto ed efficace, poetico nella stessa modestia dei toni e nella povera umanità che lo sorregge, della sua umiliata e corrucciata esistenza, del suo tenace ruolo di abate sacrificato e di Catone senza forza morale e senza coerenza. "Fio d'un patrizio e senza nobiltà, / senza un campo o una casa in sta cità, / senza un dirito su sto mappamondo ", si compiacque della vita grama di uomo senza professione e senza vocazione "con un muso da strissimo patìo, / da l'omo trascurà, mai compatìo, / e senza cosa che me svegia o toca", e diede la misura della sua poesia nella testimonianza sincera d'uno spirito tipico della Venezia settecentesca, d'un bisbetico umor polemico senza risorse morali, d'una satira umana e politica naufragante nel più squallido scetticismo. Nacquero e fiorirono così i suoi molti versi, e, non rari, quelli più toccanti e commossi: quel "libro di cogionarìe 1 fato ne l'ozio de la sordità, / fato per no pensar con serietà 1 ale reali gran sventure mie...".

Le sue condizioni economiche erano andate migliorando dopo che i riformatori allo Studio di Padova gli avevano conferito l'incarico di revisore alle stampe; ma, scontento e scorbutico, il B. li tempestò continuamente di richieste d'aumenti.

Morì a Venezia il 24 marzo 1779.

Fonti e Bibl.: Le due principali raccolte manoscritte dalle quali possono ricavarsi i comvonimenti più significativi del B. sono entrambe conservate nella Bibl. del Civico Museo Correr di Venezia, l'uno nel fondo dei mss. Cicogna, n. 1485, Poesie veneziane dell'Abate Anzolo M.a Barbaro fu de M.r Bernardo Patrizio Veneto trascritte dagli originali dell'autore da P. A. M.[Padre Amedeo Manzini], 1779; l'altro nel fondo dei mss. Correr,n. 733, Sonetti, madrigali e novelle dell'abate A. M. B. fu de q.m. Bernardo, trascritti dagli originali dell'autore, che reca però la data del 1774 ed è meno attendibile e completo. Moltìssimi poi gli altri manoscritti conservati nella stessa Biblioteca che recano componimenti del poeta veneziano, e per essi rimandiamo alle notizie che ne dà il Dazzi; due lettere alla Dolfin Tron, recanti due madrigali e un sonetto, si trovano a Bassano del Grappa, Bibl. Civica, Epistolario Gamba, XII.F. 2. Numerose le scelte antologiche che contengono poesie del B.: Collezione delle migliori opere scritte in dialetto veneziano, XI, Venezia 1817, pp. 1-46; Scherzi poetici di vari celebri autori italiani e veneziani raccolti da G. B. C., II, Venezia 1834; Poesie veneziane scelte ed illustrate da R. Barbìera, Firenze 1886, pp. 91 ss.; A. Pilot, Antologia della lirica veneziana dal '500 ai nostri giorni, Venezia 1913, pp. 220, 259-272, 928; Venezia nel Canto de' Suoi poeti, scelti e illustrati da R. Barbiera, Milano 1925, pp. 70 ss. Abbastanza numerosi, ma non cospicui e sempre abbastanza generici, gli interventi critici: B. Gamba, Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano, Il ediz., a cura di N. Vianello, Venezia-Roma 1959, pp. 155, 174, 221, 222, 235; G. Ferrari, Saggio sulla poesia popolare in Italia, in Opuscoli politici e letterari, Capolago 1852, pp. 495 s.; V. Malamani, I costumi di Venezia nel secolo XVIII studiati nei poeti satirici, in Riv. stor. ital., Il (1885), passim; Id., Il Settecento a Venezia, I, La satira del costume, Torino 1891, passim; L.OttoIenghi, Intorno alla caduta della Repubblica di Venezia, Padova 1899, pp. 16 ss.; A. Medin, La storia della Repubblica di Venezia nella poesia, Milano 1904, pp. 432. 440, 442, 568. Un primo attento e persuasivo accostamento alla poesia del B. si ebbe con L. Pagano, Poeti dialettali veneti del Settecento, Venezia 1915, pp. 62-79 e passim; un semplice apporto di inediti fu quello di A. Pilot, buon raccoglitore ma debole critico: Per la storia della massoneria in Italia, in Nuovo arch. veneto, n. s., XV (1915), pp. 501-505, e Un madrigale vernacolo inedito dell'abate B. in lode del Padre Giuseppe Toaldo, in Ateneo veneto, XL (1917), pp. 57 ss.; e dopo i pochi cenni di G. Natali, Il Settecento, Milano 1944. pp. 614, 64 1, vennero, significative sopra ogni altro apporto precedente e pressoché conclusive nel giudizio letterario d'insieme, le pagine di M. Dazzi, Il fiore della lirica veneziana, Venezia 1956, Il pp. 251-269.

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