MESSEDAGLIA, Angelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MESSEDAGLIA, Angelo

Andrea Cafarelli

MESSEDAGLIA, Angelo. – Nacque a Villafranca di Verona il 2 nov. 1820 da Luigi e Margherita Fantoni, in una famiglia «né ricca, né potente» ma che apparteneva, «senza dubbio, alle notabili» (L. Messedaglia, 1929, p. 30).

Il padre, intrapresa la carriera nella pubblica amministrazione, ricoprì diversi incarichi governativi fino ad assumere, dal 1836 al 1863, le funzioni di segretario del Comune di Verona.

Nel 1830, dopo aver frequentato la scuola elementare a Valeggio sul Mincio, il M. entrò come alunno «stipendiato» al cesareo regio liceo convitto di S. Anastasia a Verona, dove rimase fino al 1838, seguendo il corso ginnasiale e filosofico. Terminati gli studi superiori, si iscrisse alla facoltà politico-legale dell’Università di Pavia e l’11 dic. 1843 conseguì con lode la laurea in utroque iure, discutendo una dissertazione «Sul rapporto della popolazione alle sussistenze, e sul sistema di Malthus».

Nel 1844 Il Politecnico, fondato da C. Cattaneo, ospitò il suo primo lavoro scientifico, Dei prestiti pubblici a rendita fissa, nel quale annunciava l’imminente uscita di una più ampia memoria sull’argomento e la traduzione dell’opera di K.F. Nebenius, Ueber die Natur und die Ursachen des öffentlichen Kredits (Karlsruhe u. Baden 1829), che però non fu mai pubblicata. Nello stesso anno l’Enciclopedia italiana e dizionario della conversazione accolse due sue voci, Debito pubblico ed Economia politica, elaborate giovandosi degli appunti del corso tenuto da P. Rossi. Lo Studio politico-legale dell’Università di Pavia, diretto da L. Lanfranchi, nel novembre dello stesso anno gli conferì la nomina biennale ad aggiunto per le cattedre di diritto filosofico, scienze politiche e statistica. Divenne così assistente di A. Zambelli, noto per le sue considerazioni sul Principe e sui Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio di N. Machiavelli. Nel 1845 iniziò anche la pratica forense presso lo studio pavese dell’avvocato F. Covini.

Scoppiata la rivoluzione del 1848, il Consiglio di Stato provvisorio per la Lombardia gli affidò (4 aprile) in via interinale la cattedra di diritto mercantile, cambiario e marittimo e delle leggi di finanza a Pavia, in sostituzione dell’austriacante A. Volpi, costretto a lasciare il posto. Il precipitare degli eventi impedì al M. di assumere l’insegnamento e nell’agosto 1848 il rettore lo dichiarò cessato dall’incarico. Svanite le speranze di una cattedra a Pavia, fece ritorno a Verona, dove rinsaldò l’amicizia sia con Caterina Bon Brenzoni sia con il poeta A. Aleardi. Nel 1849 ottenne dall’Università di Padova l’abilitazione all’insegnamento privato di «tutte le materie spettanti all’intero corso dello studio politico legale»: abilitazione che conservò fino al 1853, quando la luogotenenza delle Provincie venete dispose che l’insegnamento delle materie filosofiche fosse disgiunto da quello delle materie positive e concesse al M. la patente di «maestro privato di Diritto giuridico e positivo». Ai fini della carriera universitaria e politica fu importante la sua nomina a socio attivo dell’Accademia d’agricoltura, commercio e arti di Verona (1849) e, successivamente, a segretario perpetuo della stessa Accademia (1854), la qual cosa gli consentì di essere cooptato dalle più prestigiose istituzioni culturali nazionali e internazionali: dall’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, che nel 1864 lo accolse tra i membri effettivi, alla R. Accademia dei Lincei (1875), che lo elesse alla presidenza nel 1900; dalla Statistical Society di Londra (1880) all’American Academy of political and social science di Filadelfia (1891; Gullino 2003-04, pp. 23-30).

Salvo qualche assenza temporanea per brevi viaggi a Padova e Venezia, il M. si fermò a Verona dal 1848 al 1858, dedicandosi alla ricerca scientifica e all’insegnamento privato. In quegli anni scrisse la monografia Dei prestiti pubblici e del miglior sistema di consolidazione (Milano 1850), in cui considerava in chiave comparativa le dinamiche della spesa e del debito pubblico, esponendo sul compito dello Stato nella vita economica idee più temperate di quelle professate da F. Ferrara (Ferraris, p. 10). Nel 1851 pubblicò la memoria Della necessità di un insegnamento speciale politico-amministrativo e del suo ordinamento scientifico, in cui evidenziava l’unità organica delle scienze giuridiche e politiche.

Il lavoro, edito quattro anni prima che il regolamento austriaco del 1855 assegnasse alla facoltà giuridica più ampia competenza, convertendola in facoltà giuridico-politica, anticipava il problema della riforma delle scuole di giurisprudenza, che il M. affrontò diversi anni più tardi in seno al Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. In tale sede fu decisivo il contributo da lui offerto alla ridefinizione dei piani di studio e all’introduzione di nuove cattedre, in primis quella di scienza dell’amministrazione, istituita a Pavia nel 1878 e affidata al suo allievo C.F. Ferraris.

Colpito alla metà degli anni Cinquanta da una grave malattia, non pubblicò altri lavori fino al 1857, anno in cui diede alle stampe a Firenze Della vita e degli studi di Caterina Bon Brenzoni, scritto biografico premesso al postumo volume fiorentino delle Poesie dell’amica da poco deceduta.

Nel 1858 fu nominato professore ordinario di economia politica e statistica a Padova (fu determinante il sostegno del conte padovano A. Cittadella Vigodarzere) e iniziò i corsi con un’ardita Prelezione in cui l’economia politica era vista come «la scienza» che studiava le leggi secondo le quali «il lavoro, nella sua duplice relazione naturale e civile, appresta[va] le condizioni esteriori di esistenza e progresso dell’incivilimento». Nello stesso anno pubblicò a Verona il volume Della teoria della popolazione principalmente sotto l’aspetto del metodo (in cui era rielaborata anche la sua tesi di laurea nel saggio Malthus e dell’equilibrio della popolazione colle sussistenze).

In esso sottoponeva a un severo esame la dottrina malthusiana, contestando la «realità della premessa» sulla costanza dell’intensità di riproduzione e cogliendo con finezza «l’abbaglio aritmetico» sulle progressioni. Oltre ad assumere particolare rilevanza dal punto di vista intrinseco della dottrina, il lavoro su T.R. Malthus rappresenta, secondo L. Einaudi, «uno dei libri meglio atti a chiarire le idee intorno al modo di impostare i problemi economici e intorno al metodo della ricerca» (cfr. L. Messedaglia, Bibliografia …, p. 298).

Considerato uno dei padri della metodologia statistica in Italia, il M. si oppose al prevalente indirizzo deduttivo nella scienza economica, invitando a procedere, secondo lo specimen galileiano, con il metodo dell’osservazione, elaborando «i fatti» per preparare con essi «i fondamenti delle teorie». Avversario del meccanicismo e dell’evoluzionismo di Th. Buckle e di Ch. Darwin, chiarì il significato della «regola» in base alla quale i fenomeni statistico-demografici o demologici si ripetevano, scoprendo «da un lato l’esistenza di un “ordine” nell’insorgere dei fenomeni e dall’altro che la scansione ripetitiva (o ricorrente) degli accadimenti era riferibile alla collettività indistinta, non all’individuo, perché l’individuo, anzi, per meglio dire, l’uomo, nella singolarità del suo essere, conservava la libertà e la responsabilità dell’agire» (Pecorari, 1983, pp. 26 s.). Sull’alto valore scientifico della statistica, che elesse a disciplina autonoma, richiamò l’attenzione con l’esposizione critica su Le statistiche criminali dell’Impero austriaco nel quadriennio 1856-59 (Venezia 1866-67), dimostrando come l’elemento «quantitativo» potesse sinergicamente «accoppiarsi al qualitativo». Agli studi sulla «statistica investigatrice», che portarono il M. a uscire dall’ormai angusto campo d’indagine della statistica descrittiva, furono dedicati sia la relazione critica all’opera di M.A. Guerry (Statistica morale dell’Inghilterra comparata alla statistica morale della Francia, ibid. 1865), nella quale risaltavano il gusto e la precisione dei metodi matematici attinti, non senza distinguo, da L.-A.-J. Quételet e da K. Wappaüs; sia gli Studj sulla popolazione (ibid. 1866), che aprirono una serie di lavori dedicata al calcolo dei valori medi e alle loro applicazioni statistiche.

Lo studio del metodo come mezzo di progresso delle scienze sociali rappresentò uno dei temi centrali della sua attività scientifica. Seguace del positivismo come metodo di ricerca, non come sistema filosofico, il M. ebbe come norma costante d’indagine di «non concludere che nei limiti dei fatti osservati». La continua ricerca della perfezione scientifica, i numerosi lavori interrotti o ritirati quando erano ormai in corso di stampa, la necessità di «provare e riprovare», la curiosità intellettuale, che lo portava a spaziare in tutti i campi dello scibile, condizionarono sul piano quantitativo, non qualitativo, la sua produzione. De’ Stefani (1914, p. 21) ricordava che «lo scrivere gli era faticoso e lo faceva soffrire», mentre il discepolo prediletto, L. Luzzatti, osservava che, sebbene sotto questo aspetto il M. potesse «parere persino un sublime egoista», aveva creato «più anime che libri» (Luzzatti, 1901, p. 553), come prova l’autorevolezza scientifica di molti allievi usciti dalla sua scuola: da A. De Viti De Marco ad A. Loria, da G. Valenti a G. Toniolo, da G.B. Salvioni a F. Lampertico.

La sua «testa aristotelica» (l’espressione è di Luzzatti) dominava con eguale intuizione le discipline morali e naturali, con una versatilità di conoscenze che rispecchiava quella tendenza scientifica che aveva visto in G.D. Romagnosi, C. Cattaneo, T. Mamiani e R. Bonghi, M. Minghetti e Q. Sella i più autorevoli esponenti. Alle competenze tecniche il M. associava ampie conoscenze storiche e letterarie, rese ancor più solide dalla padronanza delle principali lingue straniere. Numerosi furono i saggi dei suoi versi originali e ben più note divennero le traduzioni in versi rimati dal francese, dal tedesco, dall’inglese, dallo spagnolo e dal greco. Le prime traduzioni di H.W. Longfellow e di Felicia Hemans, risalenti al 1865, vennero ospitate ne Il Comune, una effemeride padovana della quale l’amico A. Tolomei fu magna pars; seguirono traduzioni da Th. Moore, J. Thomson e J. Montgomery, in parte raccolte nel volumetto Alcune poesie (Torino 1878). Diversi furono poi gli scritti nei quali il M. «si compiaceva di porre in bella armonia la scienza e la storia»: dalla relazione sull’opera di A. Di Bérenger, Dell’antica storia e giurisprudenza forestale in Italia (1860) alla nota su L’imperatore Diocleziano e la legge economica del mercato (Venezia 1866); dal discorso su Le triremi di L. Fincati (1882) alla presentazione del volume di E.N. Legnazzi, Del catasto romano e di alcuni antichi strumenti di geodesia (Verona 1887).

Il rifiuto di una visione angusta del lavoro di ricerca e di ogni provincialismo culturale, come pure il crescente credito scientifico e politico conquistato sul campo diedero al M. una notorietà internazionale, documentata dagli attestati di stima di autorevoli studiosi, quali C. Menger, É. Cheysson, M. Chevalier, L. Walras, É. Levasseur.

Nel 1866 il M. fu eletto deputato per il I collegio di Verona con il sostegno del Circolo politico di tinta liberale e del Circolo democratico.

Fedele allo schieramento moderato di M. Minghetti, nel suo manifesto elettorale, recante la data del 28 novembre e scritto in forma di lettera all’amico P. Montagna, il M., esponendo il suo programma politico, parlò di sé dicendo: «Sono uomo di studio e di teoria, ma le teorie io le ho sempre ritenute da ordirsi sui fatti». In effetti, esaminando la sua attività parlamentare, si evince che concludere nei limiti dei fatti osservati era per lui più di un canone di logica statistica: era «il principio e la regola della sua vita, l’abito spontaneo della sua mente» (De Viti De Marco, p. 7).

Dal 1866 al 20 giugno 1883, quando fu sorteggiato per eccedenza nel numero di deputati professori, sedette alla Camera, ricoprendo numerosi incarichi: nel 1867 entrò nel Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, divenne membro della commissione sul progetto di legge per l’acquisto dei diritti di alcune società concessionarie di strade ferrate e fu commissario di vigilanza sul debito pubblico; dal 1867 al 1876 partecipò alla stesura del bilancio dello Stato per vari esercizi e per diverse voci di spesa dei ministeri di Grazia, giustizia e culti e della Pubblica Istruzione. Scrisse relazioni per provvedimenti legislativi, mettendo a frutto le sue poliedriche competenze tecniche: dai progetti per lo sviluppo del sistema funicolare Agudio alla costruzione di un nuovo osservatorio astronomico a Firenze; dalla conversione del prestito nazionale del 1866 agli studi sull’eclissi solare del 1870. Nel 1871 divenne commissario della giunta per i provvedimenti finanziari e della giunta per la biblioteca della Camera e nel 1882 assunse la presidenza della Commissione per le statistiche giudiziarie. Più volte rifiutò l’incarico di ministro.

Il M. assolse tali uffici con la «serenità indifferente di un uomo uso a cercare», ma sempre con un senso di spiccata aderenza alla realtà. Ne costituisce un esempio la relazione alla Camera sul bilancio della Pubblica Istruzione per l’anno 1869, la cui importanza andava ben oltre il fatto che egli «insegnò per la prima volta a confrontare i nostri bilanci con quelli esteri» (Luzzatti, 1901, p. 552). Mentre Sella perseguiva la sua austera politica di economie «fino all’osso», il M. poneva in rilievo «l’ufficio della scienza quale fattore di ricchezza» e la necessità di valorizzare opportunamente il capitale umano, richiamando l’attenzione sul problema della formazione di ogni ordine e grado e sull’opportunità di investire nella ricerca per favorire la crescita del paese. In quest’ottica assumevano specifica rilevanza la centralità dell’uomo e la sua capacità innovativa.

Nel 1870 fu chiamato all’Università di Roma, mantenendo però l’insegnamento padovano fino al 1877.

Inaugurando l’anno accademico a Padova, il 23 nov. 1873 pronunciò il discorso Della scienza nell’età nostra ossia Dei caratteri e dell’efficacia dell’odierna cultura scientifica (Padova 1874), sorta di manifesto del suo pensiero, in cui sottolineava la necessità non solo di applicare e diffondere la scienza nella sua inscindibile integrità, ma di «crearla perennemente», nel convincimento che il motore del progresso economico stesse nella conoscenza scientifica. La «scienza è potenza», scriveva il M., soffermandosi sulle grandi trasformazioni derivanti dall’industrializzazione: dalla questione sociale alla valorizzazione del capitale umano, dall’importanza delle applicazioni scientifiche al ruolo dello Stato. Nel più generale tema della complessità della scienza egli inseriva anche la storicizzazione del discorso economico, per mezzo della quale cercava di rendere l’economia non «una disciplina da indovinarsi a priori, bensì da derivarsi», al pari di ogni altra dottrina positiva, «dallo studio dei fatti sociali». Tale posizione maturava in un periodo storico nel quale, mentre si cominciava ad avvertire l’urgenza di un ripensamento critico del meccanicismo di matrice cartesiana e newtoniana, si continuava a «difendere la scienza da ogni condizionamento finalistico, onde mantenere la natura e le sue manifestazioni nell’alveo della meccanica, e insieme guardare alla scienza come portato quasi ontologico della “vera” conoscenza» (Pecorari, 2002, pp. 68 s.).

Nel 1882, quando fu chiamato a far parte della Commissione per l’abolizione del corso forzoso, i suoi interessi scientifici si erano da poco rivolti alla moneta e all’esame comparativo dei sistemi metallici. Dopo il saggio su La moneta e il sistema monetario in generale, ritirato all’ultimo momento e pubblicato nell’Archivio di statistica del 1881 e del 1883 grazie alle insistenze di L. Bodio, uscì La storia e la statistica dei metalli preziosi quale preliminare allo studio delle presenti questioni monetarie (Torino 1881), analisi comparata dei sistemi monetari internazionali.

L’opera non piacque a F. Ferrara, il quale, scrivendo nel 1883 l’introduzione al volume di C. Martello, La moneta e gli errori che si corrono intorno ad essa, si preoccupò più di criticare lo scritto del M. che di parlare del lavoro di Martello, accusando il M. di aver assunto posizioni mutuate dalla scuola «lombardo-veneta» e quindi, in ultima analisi, dalla scuola roscheriana e dal Kathedersozialismus.

Che le tesi sostenute in questi lavori non mancassero invece di originalità e richiedessero una solida conoscenza della materia si capì nel novembre 1883, quando Minghetti chiamò il M., insieme con i più autorevoli esperti della materia (da G. Boccardo a G. Grillo, da Luzzatti a G. Mirone) a far parte di una speciale Commissione monetaria con il compito di predisporre un esame tecnico e politico delle principali questioni inerenti alla rinegoziazione della convenzione che nel 1865 aveva dato vita all’Unione monetaria latina. In tale sede il M. offrì un apporto di primo piano, favorendo scelte in campo monetario che ebbero implicazioni sovranazionali. La sua articolata ricognizione sulle cause della crisi del sistema del doppio tipo e l’attento esame delle ragioni di opportunità commerciale e finanziaria portarono infatti la delegazione italiana ad assumere un atteggiamento di cautela durante la Conferenza monetaria di Parigi del 1885, nella quale, pur giungendosi al rinnovo pattizio, che salvaguardava almeno formalmente l’identità dei sistema bimetallico, si prendevano impegni di breve periodo, che non vincolavano «soverchiamente la nostra libertà d’azione».

Nel dicembre 1882, in piena crisi agraria, il ministro A. Magliani presentò alla Camera l’atteso progetto di legge sul Riordinamento dell’imposta fondiaria. La commissione incaricata di esaminare tale progetto affidò al M. la parte tecnica, mentre Minghetti si occupò di quella politica.

I lavori si trovavano a buon punto quando il sorteggio costrinse il M. a dimettersi da deputato, ma la commissione, per deferenza, gli confermò il mandato, che egli assolse depositando una corposa relazione nella quale vagliava criticamente non solo i diversi catasti italiani, dalle istituzioni censuarie dell’antica Roma a quelle degli Stati preunitari, ma anche i principali catasti stranieri, soffermandosi sui problemi tecnici, sulla determinazione dell’imponibile fondiario e, soprattutto, sulla vexata quaestio della perequazione. Nel novembre 1885, iniziato il dibattito parlamentare, Magliani chiamò il M. a sostenere, in qualità di regio commissario, la discussione, che si concluse con l’approvazione della legge 1° marzo 1886, n. 3682. La relazione Messedaglia, considerata da De’ Stefani una «opera magistrale sul tributo fondiario», portò, attraverso un lunghissimo e sofferto percorso, all’istituzione del Catasto unico di tipo geometrico particellare e alla definizione delle nuove tariffe d’estimo, precondizione necessaria, ancorché non sufficiente, per ridefinire la tassazione dei redditi fondiari.

Nel maggio 1884 il M. fu nominato senatore del Regno e come tale ricoprì numerosi incarichi: nel 1885 fu chiamato a presiedere la Commissione per la statistica giudiziaria civile e penale; nel 1886 entrò nella Commissione per la biblioteca; nel 1887 fece parte della commissione permanente di Finanze; nel 1895 assunse la presidenza della Commissione censuaria centrale, istituita per dare esecuzione alla legge catastale; nel 1900 fu commissario del 1° ufficio per il progetto di legge per il IV censimento della popolazione del Regno.

Il 3 nov. 1890, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico nell’Università di Roma, tenne un discorso su L’economia politica in relazione colla sociologia e quale scienza a sé (Roma 1891), che si può considerare l’ultimo dei suoi scritti di economia.

In esso poneva sobriamente in luce «le analogie dei fenomeni economici con i fenomeni naturali», ma soprattutto chiariva la sua posizione in merito al ruolo dello Stato. Dopo aver condiviso le finalità riformistiche dell’Associazione per il progresso degli studi economici in Italia, che nel 1874 avevano portato Luzzatti a elaborare la dottrina dello «statalismo sussidiario», il M. riconosceva allo Stato, «organismo» vitale, una funzione «regolatrice», chiamandolo a rispondere al profondo e inappagato bisogno di equilibrio e di interna armonia della società.

Negli ultimi anni di vita si riaccese in lui la passione per i poemi omerici, sorta in età giovanile, quando, influenzato dall’opera di G. Vico, studiò «La discoverta del vero Omero». Nel lavoro Sull’uranologia omerica (Roma 1891) e nel saggio postumo su I venti, l’orientazione geografica e la navigazione in Omero (ibid. 1901) cercò di dimostrare come la poesia omerica andasse apprezzata non solo sul piano estetico, ma anche come documento «positivo non fantastico» di storia poetica, in grado di offrire preziosi elementi sulle cognizioni nautiche, meteorologiche e astronomiche, nonché sulle «condizioni di civiltà di quei tempi lontani» (Luzzatti, 1901, p. 555).

Il M. morì a Roma il 5 apr. 1901.

Per un elenco completo degli scritti del M. si rimanda alla Bibliografia degli scritti di A. M., redatta dal nipote Luigi Messedaglia, in Atti e relazioni dell’Acc. pugliese delle scienze, cl. di scienze morali, n.s., III-IV (1951-52), pp. 221-321.

Fonti e Bibl.: Verona, Biblioteca civica, Fondo Angelo Messedaglia, bb. 230, f. Luzzatti Luigi; 248, f. Incarichi ministeriali e d’associazione (1873); f. Onorificenze, nomine istituti, ecc.; 252, f. Senato del Regno (1884-1900); f. Istituti scientifici vari (1875-1898); Deputazione politica (1866-1882). Tra le commemorazioni: L. Luzzatti, Commemorazione del sen. prof. A. M.…nella seduta solenne della R. Acc. dei Lincei…, Roma 1901, pp. 548-560; C.F. Ferraris, A. M. Commemorazione…, Mantova 1902; F. Lampertico, Commemorazione di A. M.…, Venezia 1902; A. De’ Stefani, Discorso su A. M., Vicenza 1914; A. De Viti De Marco, Due commemorazioni: A. M., Maffeo Pantaleoni, Roma 1927. Per la ricostruzione del pensiero e del profilo biografico sono di grande utilità i lavori del nipote Luigi Messedaglia: in particolare, Aleardo Aleardi, Caterina Bon Brenzoni ed A. M. secondo documenti e carteggi inediti o rari, Verona 1920; L’opera politica di A. M. nel 1866. Contributo alla storia della liberazione del Veneto, con lettere e documenti inediti, in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, LXXX (1920-21), pp. 861-906; Vita di cent’anni fa. A. M. adolescente e la sua crisi spirituale, Verona 1929; Nel cinquantenario della morte di A. M., in Nuova Antologia, novembre 1951, pp. 295-304; A. M. e Antonio Tolomei con lettere inedite, in Atti dell’Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, CX (1951-52), cl. di scienze morali, lettere ed arti, pp. 1-20 (estratto). Si segnalano inoltre: A. De’ Stefani, Gli scritti monetari di Francesco Ferrara e di A. M., Verona-Padova 1908; S.G. Scalfati, Gli scritti finanziari di A. M., Roma 1932; M. Lecce, Il pensiero economico di A. M., Verona 1953; G. Borelli, Alcune lettere di Luigi Luzzatti ad A. M., in Economia e storia, XVII (1970), pp. 56-68; L. Einaudi, La terra e l’imposta, Torino 1974, ad ind.; P. Pecorari, Luigi Luzzatti e le origini dello «statalismo» economico nell’età della Destra storica, Padova 1983, ad ind.; A. Pellanda, A. M.: tematiche economiche e indagini storiche, Padova 1984; A.A. Mola, A. M., in Il Parlamento italiano. 1861-1988, V, 1877-1887. La Sinistra al potere da Depretis a Crispi, Milano 1989, pp. 601 s.; Luigi Luzzatti e il suo tempo. Atti del Convegno internazionale di studio… 1991, a cura di P.L. Ballini- P. Pecorari, Venezia 1994, ad ind.; G. Zalin, Economisti, politici, filantropi nell’Italia liberale (1861-1922). L’apporto culturale, ideologico e operativo delle personalità venete, Padova 1997, ad ind.; P. Pecorari, La lira debole. L’Italia, l’Unione monetaria latina e il «bimetallismo zoppo», Padova 1999, ad ind.; G. Zalin, L’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti e il contributo empirico e teorico dei suoi «economisti nazionali», in Associazionismo economico e diffusione dell’economia politica nell’Italia dell’Ottocento. Dalle società economico-agrarie alle associazioni di economisti, a cura di M. Augello - M.E.L. Guidi, Milano 2000, II, pp. 75-94; P. Pecorari, A. M., la scuola lombardo-veneta e la crisi del modello liberistico postunitario, in 100° anniversario della morte di A. M. Atti del Convegno di studi…2001, a cura di G. Zalin, Villafranca di Verona 2002, pp. 61-70 (v. anche i saggi di G. Marchesi, S. Noto, A. Pellanda e G. Zalin); G. Gullino, Per la biografia di A. M.: l’accademico e il docente (1855-1866), in Atti dell’Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, CLXII (2003-04), cl. di scienze morali, lettere ed arti, pp. 21-34; D. Parisi, A. M. economista in Parlamento: la statistica come fondamento della ricerca economica e dell’intervento attraverso le istituzioni, in Gli economisti in Parlamento 1861-1922. Una storia dell’economia politica dell’Italia liberale, II, a cura di M. Augello- M.E.L. Guidi, Milano 2003, pp. 159-178; P. Pecorari, Epistemologia della conoscenza scientifica e sapere economico nel carteggio inedito M.-Luzzatti (1861-1901), in Europa e America nella storia della civiltà. Studi in onore di Aldo Stella, a cura di P. Pecorari, Treviso 2003, pp. 391-410; A.M. Bocci Girelli, A. M. e la questione dell’istruzione pubblica in Italia, in Studi storici Luigi Simeoni, LIV (2004), pp. 281-312.

A. Cafarelli

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