RANUZZI, Angelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

RANUZZI, Angelo

Francesca Boris

RANUZZI, Angelo. – Nacque a Bologna il 19 marzo 1626, dal senatore Marco Antonio, conte della Porretta, e da Orinzia Albergati.

La sua famiglia, nel contesto cittadino e dello Stato pontificio, si considerava in ascesa. Il padre, discendente da esponenti delle società d’arti divenuti feudatari della Chiesa nel XV secolo, oltre a essere membro del Senato locale, fu insignito di varie cariche, fra cui quella di ambasciatore bolognese a Roma (1654-59). I suoi figli segnarono un culmine della storia familiare: il primogenito Annibale si trasferì in una nuova sede, un palazzo degno delle migliori residenze europee; il secondogenito Angelo divenne il primo cardinale del casato. Un terzo fratello, Silvio Antonio, ecclesiastico, morì in giovane età, mentre una sorella, Anna Maria, sposò Cesare Marsili, unendosi a un altro importante clan senatorio, quello appunto dei Marsili.

Angelo era il figlio cadetto di una famiglia che deteneva prestigio e vaste proprietà fondiarie, oltre alla contea di Porretta, le cui terre confinavano con lo Stato toscano; era legata alla dinastia Medici e imparentata con i Colonna. Non sembra che il giovane avesse alcuna vocazione religiosa: a poco più di vent’anni assunse cariche nell’amministrazione della città, ufficiale alle Acque, capitano delle milizie, podestà di Galliera (Archivio di Stato di Bologna, Ranuzzi, Scritture diverse, ad annos); mentre studiava diritto all’Università di Padova, trascorse qualche tempo alla corte di Firenze, dove pare avesse pensato di sposare Dorotea Cospi, dama della granduchessa Vittoria della Rovere. Dorotea in seguito sposò invece suo fratello Annibale. Angelo, forse deluso nei suoi progetti di vita, partì per un grand tour alla rovescia, dal Sud al Nord dell’Europa, di cui lasciò nell’archivio familiare un diario dal 1654 al 1657.

Il viaggio iniziò a Roma e qui terminò; dopo una partenza dalle coste toscane, toccò Genova, poi la Francia, l’Inghilterra, l’Olanda, la Germania e l’Europa centrale. Ranuzzi viaggiava solo, anche se all’estero avrebbe incontrato amici; aveva, come afferma, «disegnato di uscir d’Italia e vedere il mondo». Premessa al diario è una lettera rivolta a chi legge, nella quale dichiara di averlo scritto soprattutto per serbare memoria di luoghi, fatti e cose, e che se capitasse in mano a qualcuno, si dovrebbe leggerla come opera non fatta per istruire altri, ma solo per gusto dell’autore. Non sembrano corrispondere a questa interpretazione le digressioni su Paesi, corti, istituzioni e costumi, tipiche delle relazioni di viaggio seicentesche; mentre, inframmezzate a sfoggi di erudizione, si trovano lettere, memorie e liste di spese. Ranuzzi comprò quadri, stampe, cartografie, strumenti scientifici e musicali, e molti libri, specialmente ad Amsterdam, dimostrando gli interessi di un uomo colto del Seicento, che spaziavano dalla politica alla memorialistica, dall’arte militare alla geografia e alla navigazione. Abbiamo le sue impressioni sull’Olanda, l’Inghilterra di Cromwell, la Francia di Mazzarino, dove venne presentato al re e alla regina madre. Furono i primi approcci con l’ambiente e le persone che avrebbero avuto tanto peso nei suoi anni più celebri e difficili: «Parigi, ch’è un mondo, più che una città, o s’è città, non ha pari» (Archivio di Stato di Bologna, Carte Politiche, Viaggi, I, n. 59, p. 429).

Al ritorno dal viaggio, accettò la volontà del padre, ancora ambasciatore a Roma, di fargli intraprendere la carriera di prelato, a cui da allora in poi si dedicò con impegno. Nel 1657 è definito per la prima volta clericus in un atto notarile, e nello stesso anno si laureò a Padova in utroque iure, titolo necessario per ottenere la prelatura (ibid., Scritture diverse, 1657). In due anni, durante i quali fu referendario delle due Segnature, ottenne il primo governo a Rimini. Gli furono certamente vicini la principessa Margherita Colonna, una parente che aveva sposato il principe Giulio Cesare, e il cardinale Cesare Facchinetti, vescovo di Spoleto, che gli avrebbe dato la consacrazione episcopale. Seguirono anni intensi di governi provinciali, che culminarono nell’incarico di inquisitore a Malta nel 1666. La prima fase della sua carriera terminò con il memoriale redatto durante l’inquisitorato, che era una specie di anticamera della nunziatura, sulla Religione, e Cavalieri di Malta, e remedij proposti per levare in essa alcuni abusi introdotti (ibid., Carte Politiche, Inquisitorato di Malta, I, n. 10).

Dopo Malta, tornò a Roma, fu nominato prelato domestico del papa, poi arcivescovo in partibus infidelium di Damiata (Damietta, nel basso Egitto) nel 1668. Nello stesso anno venne inviato nunzio apostolico a Torino, la prima nunziatura, ricevuta all’età di 42 anni; gli fu assegnato insieme il governo del feudo pontificio di Tigliole in Piemonte, e l’incarico di terminare in ultima istanza le cause nel principato di Masserano, anch’esso feudo della S. Sede (Piergentili, 2014, ad ind.). Il 13 maggio 1671 ottenne la seconda nunziatura alla corte di re Michele I di Polonia. Partì da Torino per raggiungere la nuova sede di Varsavia con un seguito sfarzoso e il nipote primogenito, annotando le spese di rappresentanza, che avrebbero finito per costituire il suo problema economico più rilevante. In Polonia ebbe ottimi rapporti con i sovrani e volle contribuire alle spese della guerra contro i turchi. L’esperienza si concluse tuttavia con l’ostilità fra lui e il nunzio straordinario Francesco Buonvisi, inviato dal papa a causa delle minacce di una guerra civile polacca, al punto che Ranuzzi chiese di essere richiamato (Archivio di Stato di Bologna, Ranuzzi, Carte Politiche, Nunziatura di Polonia, I, n. 17, passim). Tornato dalla Polonia nel 1673, nel medesimo anno venne nominato vicelegato di Urbino e in seguito governatore della Marca nel 1675. Gli anni del papato Altieri trascorsero tra luci e ombre; in seguito, il 18 aprile 1678, fu nominato vescovo da Innocenzo XI a Fano, dove si fece amare dai fedeli e ordinò la costruzione di un nuovo palazzo episcopale, mentre non cessava di richiedere un altro incarico diplomatico.

La caratteristica più evidente che risulta dai carteggi è una netta adesione ai suoi compiti, che non coincide però con un’identificazione di sé stesso nella carica. È piuttosto un impegno, che Giovanni Battista De Luca, in una lettera scritta da Roma all’amico vescovo di Fano nel maggio 1679, lodava definendolo «manierosa destrezza» e «sperimentata prudenza» (ibid., Vescovado di Fano, I, n. 24, pp. 71-73).

Queste doti, personali ma rispondenti a canoni di comportamento essenziali per la carriera di un prelato di Curia, gli valsero nel 1683, preparata da lunghi anni di cariche provinciali e legazioni internazionali, la nunziatura di Francia. L’incarico francese era delicatissimo dati i rapporti tesi fra la S. Sede e Luigi XIV; ebbe un ruolo nel suo successo, oltre le pregresse esperienze all’estero, il sostegno della famiglia Medici e delle amicizie a Roma: i cardinali Alderano Cibo, Federico Baldeschi Colonna e Girolamo Casanate, o lo stesso De Luca, in quegli anni stretto collaboratore di papa Odescalchi e uno dei più assidui corrispondenti di Ranuzzi. Cibo, segretario di Stato, che aveva appoggiato la sua nomina a Fano, contribuì anche all’ultima nunziatura. Ranuzzi ebbe probabilmente contatti sia con i cardinali del così detto squadrone volante, sia con la corte della regina Cristina, dalla quale un astrologo gli inviò una lettera che gli prediceva il pontificato. Lo disponevano a quelle amicizie l’eleganza diplomatica, il carattere amabile, il gusto arcadico per la poesia latina.

L’agognata nunziatura di Francia gli venne concessa nella versione straordinaria, che aveva un più accentuato significato politico, formalmente con l’incarico di portare le fasce battesimali al neonato duca di Borgogna. Il breve di nomina è del 22 aprile 1683 (Correspondence, 1973, I, p. 23) e la solenne presentazione delle fasce avvenne a Fontainebleau il 22 agosto. Il rapporto con Luigi XIV, vincitore della pace di Nimega e simbolo stesso dell’assolutismo, sarebbe stato arduo: sia per le tensioni fra Innocenzo XI e il re provocate dai quattro articoli gallicani sulle nomine ecclesiastiche, e dalla politica del re sul Reno, sia per i pregiudizi contro il nunzio, giudicato dai francesi «un homme d’un talent mediocre, d’une érudition fort bornée, sage et judicieux, et propre à s’insinuer» (ibid., p. 38). Angelo non riuscì a convincere il sovrano a una politica di riconciliazione con l’Impero. Dopo la revoca dell’editto di Nantes nel 1685, poco apprezzata dal papa per la persistenza dei ‘vescovi scismatici’, dovette subire le rappresaglie per il trattamento ricevuto a Roma dall’ambasciatore di Francia marchese di Lavardin. Questi problemi resero assai dura e difficile la nunziatura di Ranuzzi, che fu sottoposto a controlli e restrizioni della libertà. Fatto cardinale nel Concistoro del settembre 1686, fu lo stesso Luigi XIV a porgli in capo la berretta cardinalizia, recata in Francia dall’abate Hugues-Humbert de Servien; mentre nel 1688 Innocenzo XI gli conferì l’arcivescovato di Bologna, considerata una delle diocesi più ricche, dove peraltro non poté mai tornare.

Alla morte del papa, Ranuzzi lasciò la Francia per partecipare al conclave; parecchie voci davano vincente la sua candidatura. Ma durante il viaggio sulle Alpi il convoglio nel quale viaggiava il cardinale fu assalito da briganti che gli rubarono fra l’altro le lettere inviategli dalla Segreteria di Stato, e ciò fece ricadere i sospetti della famiglia sulla corte francese. Esausto per le disavventure e febbricitante, si rifugiò nella sua diocesi di Fano, dove fu raggiunto dal nipote secondogenito Vincenzo e dal fratello Annibale. Riuscì a dettare un testamento, nel quale lamentava di essere stato spogliato di ogni avere dalla nunziatura e dai ladri, ma intestava vari legati ai nipoti Ranuzzi e Marsili e alle sue chiese episcopali.

Morì il 27 settembre 1689 e fu sepolto nella cattedrale di Fano. Quella fine prematura, nel momento in cui la famiglia prevedeva la sua ascesa al pontificato, lasciava dietro a sé grande rimpianto e glorificazioni attestate da ritratti, memorie e oggetti tuttora conservati.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Ranuzzi, Scritture diverse, 1626-1689, e Carte Politiche (Viaggi, Governi, Nunziature), nn. 3-39 e nn. 56-60; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, XIV, Roma 1962, pp. 231-296; Correspondance du nonce en France A. R. (1683-1689), a cura di B. Neveu, I-II, Rome 1973; H.D. Woityska, Acta Nuntiaturae Polonae, I, Romae 1990; P.P. Piergentili, “Christi Nomine Invocato”. La cancelleria della Nunziatura di Savoia e il suo archivio (secc. XVI-XVIII) , Città del Vaticano 2014, ad indicem.

R. Carapelli, Il cardinale Ranuzzi, un benefattore seicentesco di Porretta, in Nuèter, I (1982), pp. 62-65; Le famiglie senatorie di Bologna, II, I Ranuzzi. Storia, genealogia e iconografia, a cura di G. Malvezzi Campeggi, Bologna 2000, pp. 111 s.; F. Boris, Carte Politiche. La carriera di A. R. (1626-1689) nei documenti dell’archivio familiare, in Offices et papauté (XIV-XVII siècle). Charges, hommes, destins, a cura di A. Jamme - O. Poncet, Rome 2005, pp. 939-959; S. Calonaci, Feudi e giurisdizioni nell’Italia di mezzo: legazioni dello stato della Chiesa e granducato di Toscana, in Feudalesimi nel Mediterraneo moderno, a cura di R. Cancila - A. Musi, Palermo 2015, pp. 382-414.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Federico baldeschi colonna

Giovanni battista de luca

Granducato di toscana

Vittoria della rovere

Cesare facchinetti