GAMBARO, Angiolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GAMBARO, Angiolo

Franco Cambi

- Nacque a Galliate (Novara) il 16 febbr. 1883 da Luigi e da Angela Clerici.

Formatosi nell'ambito della cultura ecclesiastica piemontese, frequentò il seminario di Novara e seguì poi, senza interrompere gli studi di teologia, i corsi della facoltà di lettere dell'Universitàdi Torino, sviluppando una viva sensibilità di storico e un'attenzione convinta al rinnovamento della vita religiosa.

Fin dagli anni del seminario il G. aveva seguito le idee del modernismo, mantenendo «una fitta rete di relazioni» con vari esponenti del movimento (da A. Houtin a G. Semeria, a E. Buonaiuti) e nutrendosi dei suoi testi-chiave, da quelli di M. Blondel a quelli di A. Loisye G. Tyrrell. Sempre in quegli anni si iscrisse alla Lega democratica nazionale, espressione del cattolicesimo politico democratico, anche se - dopo breve tempo si dimise. Intanto scrisse numerosi articoli su temi religiosi e politici, tra i quali spicca una lunga recensione a un volume di U. Chevalier sulla Casa di Loreto, in cui il G. apprezza la critica «positiva» a tale credenza e si orienta verso un cristianesimo meno mitologico e più critico. In conseguenza di queste amicizie, idee e prese di posizione gli venne nel 1906 negata l'ordinazione sacerdotale (conseguita però nel 1907). Non avendo poi ottenuta la nomina a parroco di Gal1iate, e anche « per sottrarsi a odiosi controlli, si recò fino al 1911, come precettore di Fulcieri Paulucci di Calboli, a Lisbona, dove il padre di questo, Raniero, era ministro plenipotenziario.

Iscritto fin dal 1905 all'Università di Torino, passò poi a Bologna dove nel 19II si laureò in filosofia sotto la guida di G. Tarozzi con una tesi sui modernismo. Uscite alcune parti di questo lavoro su Bilychnis, una rivista protestante, si apri un lungo, complesso e drammatico contenzioso con il vescovo di Novara G. Gamba, che gli richiese ritrattazioni, ripensamenti e sottomissioni alla linea teologica ufficiale della Chiesa. Il G. cercò prima di resistere a queste pressioni, poi venne cedendo e venne risolvendo i pur espliciti sintomi di una propria «crisi di fede_ nel ritorno a posizioni più moderate e ortodosse in materia religiosa. Anche il rapporto col modernismo venne, quindi, mutando: pur dichiarandosi a esso fedele e per questo subendo ancora denunce, pur sperando di veder risorgere il movimento «ben altrimenti armato», si veniva occupando sempre più di quei cattolici liberali (Gioberti e Lambruschini, in particolare) che, a suo parere, non solo erano stati dei « precursori» del modernismo, ma già anche dei «superatori».

Nel 1912, a Firenze, pubblicò uno studio intitolato Il modernismo che riprendeva la sua tesi di laurea e in cui si possono riconoscere le radici del suo pensiero storico e pedagogico quale prenderà corpo nei decenni successivi, e fino alla morte. Il modernismo rappresentava il lievito della cultura cattolica contemporanea - in quanto la spingeva a dialogare col mondo laico e a incorporarne le idee di democrazia e di libertà -, mentre oggetto di critica radicale erano per il G. l'autoritarismo e il dogmatismo ancora vigenti nel pensiero e nella prassi della Chiesa; tali principi avevano fatto sì che la Chiesa contemporanea risultasse ancora organizzata come un «regime dispotico », in aperta controtendenza rispetto alle conquiste della modernità e ormai «impraticabile nell'ordine civile e politico.. Così era necessario, per il tramite del modernismo, «aprire la vecchia cattedrale gotica del sistema ecclesiastico. alle istanze e alle pratiche della «democrazia», la quale risultava «oggimai conquista definitiva».

Nel medesimo periodo fu pure importante per la formazione intellettuale del G. la collaborazione a La Voce con articoli (poi raccolti nel volume Commenti religiosi, Firenze 1926), firmati sotto diversi pseudonimi, relativi al Portogallo, al modernismo e alle sue figure di sacerdoti-intellettuali.

Intanto si susseguivano le tappe della sua carriera di educatore e docente: nel 1911-12 insegnante presso il collegio dei barnabiti a Firenze «Alla querce»; nel 1912-14 educatore privato nella famiglia dei duchi Bevilacqua a Bologna; poi, dal 1914 al '22, rettore del nobile collegio universitario Caccia a Torino e, dal 1922 al '30, educatore presso i principi Borghese a Roma; per passare, infine, dal 1930 al '34, nell'Ateneo pontificio di Propaganda Fide come professore di storia della Chiesa. Contemporaneamente, conseguita nel 1929 la libera docenza, tenne corsi presso l'Università di Roma e quindi, dall'ottobre 1934, a Torino, presso !'Istituto superiore di magistero (poi facoltà di magistero), dove restò attivo come pedagogista e storico della pedagogia fino al pensionamento, nel 1958 (fu ordinario dal 1951, poi anche preside della facoltà), svolgendo una didattica molto attenta sia agli aspetti attuali del dibattito pedagogico, sia al loro entroterra storico.

Durante la sua lunga carriera il G. fu politicamente un appartato, pur nutrendo una sicura fede democratica. Fra il 1914 e il '17 aveva assunto atteggiamenti «patriottici» e « interventisti», privi tuttavia di polemiche chiassose e di esasperazioni nazionalistiche, come testimoniano gli articoli pubblicati su L'Azione di Cesena; e ben chiara, più tardi, dopo la Liberazione, fu, da parte sua, la denuncia del fascismo da lui definito un «immane bubbone » da espellere dall'«organismo sociale».

A partire dal 1918 il G. avviò una rilettura filologica e critica dell'opera di Raffaello Lambruschini, con la pubblicazione dei Primi scritti religiosi, usciti a Firenze, in cui sono raccolte le «conferenze religiose che ai principi Napoleone-Gerolamo e Matilde Bonaparte tenne il sommo pedagogista toscano», le quali, se pur «non hanno il carattere esoterico che per volontà di lui venne impresso a' suoi Pensieri d'un solitario», offrono - con altri scritti datati fino al 1839 - un'immagine più ricca e problematica della formazione del pensiero religioso del Lambruschini. Sul quale il G. tornò a lungo, con edizioni di opere - il Carteggio Lambruschini-Rosmini (Firenze 1924); Scritti di varia filosofia e di religione (ibid. 1934); Scritti politici e di istruzione pubblica (ibid. 1936); Della educazione (Torino 1940); l'edizione critica di Dell'autorità e della libertà. Pensieri di un solitario (Firenze 1932) - e con puntuali lavori saggistici: da La religione nel Lambruschini (in La Nostra Scuola, 1917) a La modernità di Lambruschini (in Levana, 1924), al fondamentale Riforma religiosa nel carteggio inedito di R. Lambruschini (I-Il, Torino 1924-26), allo Schizzo biografico di R. Lambruschini (ibid. 1939). Tali lavori vengono a costituire un corpus assai organico di studi, capaci di rinnovare l'interpretazione dell'opera del Lambruschini e di meglio delinearne la complessa personalità e le tensioni stesse del suo pensiero, rivolti come sono a porre in luce l'identità di «riformatore religioso» del Lambruschini e il suo ruolo di preparatore e di ispiratore di istanze poi maturate nella grande «crisi modernista» e ancora aperte nel pensiero religioso e nella vita ecclesiastica della Chiesa romana.

Seguendo il cammino religioso e pedagogico del Lambruschini il G. si avvicinò a F.-R. de Lamennais, studiando l'influenza della sua opera in particolare in Piemonte, ma anche altrove in Italia (Sulle orme del Lamennais in Italia, I, Il lamennesismo a Torino; La fortuna del lamennesismo in Italia, editi entrambi a Torino nel 1958) e sottolineandone il ruolo di sollecitatore di un approccio più critico ai temi religiosi.

Sono da ricordare anche i suoi studi sansimoniani (tra i quali la traduzione del Cristianesimo nuovo, ibid. 1947), costruiti con «un'oggettività ammirevole»  nella documentazione dei fatti, come sottolinea R. Fornaca. Nel contempo il G. allargava la sua attenzione all'altro grande educatore cattolico-liberale toscano dell'Ottocento, Gino Capponi, cui dedicò un saggio esemplare, La critica pedagogica di Gino Capponi con l'edizione di tutti i suoi scritti sull'educazione (Bari 1956), in cui ne ricostruisce il « pensiero educativo filosofico e religioso» e ne sottolinea la complessità che dall'ambito religioso si riflette sul pedagogico, definendolo come un vero maestro dell'Italia moderna. In quel medesimo tomo di tempo aveva, infine, dedicato al Rosmini il saggio Antonio Rosmini nella cultura del suo tempo (in Rivista rosminiana di filosofia e cultura, XLlX [1955], pp. 162-197).

Fin dagli anni Trenta, comunque, l'attenzione del G. come storico della pedagogia fu rivolta al Risorgimento italiano nel suo complesso, del quale studiò alcune figure e istituzioni cruciali. Si interessò, in particolare, di F. Aporti: Ferrante Aporti. Discorso e bibliografia (Mantova 1928); Ferrante Aporti e gli asili nel Risorgimento, Il, Documenti memorie carteggi (Torino 1937); quindi, con la pubblicazione degli Scritti pedagogici editi e inediti (I-II, ibid. 1944-45) e con vari altri interventi. Un quadro generale della pedagogia del Risorgimento lo offrì, invece, in un denso saggio uscito nel volume collettaneo Questioni di storia della pedagogia (Brescia 1963), e di tale momento storico della pedagogia il G. fornì uno «spaccato» organico, capace di delineare tanto le tensioni ideali, quanto le innovazioni teoriche, come pure le riorganizzazioni istituzionali (scolastiche soprattutto). Progressivamente, nella ricerca del G., prese corpo anche una serie d'indagini rivolte ad alcune figure-chiave della pedagogia moderna, come Vittorino da Feltre (Torino 1946) o Erasmo da Rotterdam, del quale curò l'edizione critica del Ciceroniano (in Scritti vari, ibid. 1950), più tardi approfondita in Il Ciceroniano o dello stile migliore (Brescia 1965), cui prepose una ricca introduzione: l'opera erasmiana veniva posta in correlazione con la biografia e la cultura coeva, mettendone in luce sia la polemica antiretorica, sia le innovazioni pedagogiche, ma anche - e soprattutto - le istanze di riforma etica e religiosa, via via più sensibili, proprie di quell' «umanesimo cristiano» che ampiamente circola anche nel Ciceronianus. Erasmo, così, si dispone alle origini di quello spirito religioso riformatore da cui, nel pieno della «tempesta modernista», lo stesso G. aveva preso le mosse.

Ma altri temi e altri volti della pedagogia occidentale - medievale e moderna - trovavano spazio nel volume Saggi di pedagogia e brevi profili (Torino 1939; e, in ed. accresciuta, ibid. 1951), in cui il G. affrontò, fra l'altro, il nesso scuola-società, il problema dell'analfabetismo, la questione del metodo d'insegnamento e dell'educazione religiosa. Un

quadro complessivo - se pur propedeutico - della storia della pedagogia si ha invece nella Storia dell’educazione e della pedagogia dalla prima civiltà mediterranea ai nostri giorni (ibid. 1950). Intensa fu anche la collaborazione del G. all'Enciclopedia Italiana, con voci storico-pedagogiche (dalle biografie - Maffeo Vegio, Erasmo, Pietro Thouar, Raffaello Lambruschini, Iacopo ScukJlew, Francesco Soave, Luigi Taparelli d'Azeglio e altri - a lemmi quali Analfabetismo o Metodo); collaborò inoltre al Granrk dizionario enciclopedico della UTET.

Nel 1945 il G. dette vita a un settimanale di pedagogia e didattica, Il Giornale del maestro, con cui intendeva aprire - in un momento cruciale della storia italiana - una sorta di palestra di formazione della coscienza magistrale; nel 1951, per suo interessamento, nacque il Saggiatore, rivista di «cultura filosofica e pedagogica» con finalità più squisitamente accademiche, che doveva accogliere i lavori più significativi della «scuola» torinese del Gambaro .

Il G. mori a Torino il 21 genn. 1967.

Se nel 1939 E. Codignola riconosceva in lui «lo storico più informato della storia dell'educazione infantile durante il nostro Risorgimento» e «un indagatore accuratissimo del pensiero pedagogico-religioso di quel periodo», R. Fornaca, commemorandolo, ne sottolineò il profilo di pensatore cattolico aperto all' «assimilazione della metodologia critica della cultura laica»; analogamente, più di recente, G. Chiosso lo ha indicato come pedagogista il cui pensiero «era improntato ad un cristianesimo aperto e capace di misurarsi con la cultura moderna».

Fonti e Bibl.: G. Gentile, recens. a R. Lambruschini, Primi scritti religiosi, in Giorn. stor. della letter. italiana, LXXII (1919), pp. 295 ss.; G. Calò, Dottrine e opere nella storia dell'educazione, Lanciano 1932, passim; A. Agazzi, Panorama della pedagogia d'oggi, Brescia 1954, pp. 254 s.; P. Braido, Religione e pedagogia nell'opera scientifica di A. O., in Orientamenti pedagogici, IV (1957), pp. 221-235; R. Fornaca - U. Cirri, A. O., in Scuola e città, XVIII (1967), 6, pp. 371-373; M. Sancipriano, A. O.: l'uomo e lo scrittore, in Rivista rosminiana di filosofia e cultura, n.s., II (1968), pp. 1018; I contemporanei, a cura di M. Laeng, Firenze 1979, pp. 896 s.; Corrispondenza Gambaro - Houtin 1911-1926, a cura di L. Bedeschi, in Fonti e documenti, Centro studi per la storia del modernismo, n. 8, 1979, pp. 319-447; L'eredità di Towianski dentro e fuori il Piemonte, a cura di A. Zussini, ibid., n. 9, 1980, pp. 285-433 (Carteggio Begey - Gambaro [solo le lettere del primo] a pp. 365-423); Il «Caso Gambaro» 1912-1913, a cura di M. Guasco, ibid., pp. 514-571; O. Prezzolini e il dibanito modernista, a cura di A. Botti, Corrispondenza Gambaro - Prezzolini 1909-1932, ibid., n. 10, 1981, pp. 359-374; A Bonfatti, Preti ieri e oggi, Novara 1982, passim; M. Laeng, A. O., in Enc. pedagogica, VII, Brescia 1989, pp. 5263 s.; G. Chiosso, Novecento pedagogico, Brescia 1997, pp. 238 s.; Enc. biogr. e bibliogr. «Italiana », E. Codignola, Pedagogisti ed educatori, p. 223.

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