Anglicismi

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

anglicismi

Massimo Fanfani

Attestazione del termine

Il termine anglicismo («una voce o frase dell’idioma inglese; ovvero una maniera di parlare», così nell’enciclopedia di Chambers tradotta a Venezia nel 1747; in ingl. anglicism risaliva al secolo precedente) compare alla metà del XVIII secolo, quando l’‘anglomania’, dopo aver furoreggiato in Francia, andava contagiando tutta l’Europa e si manifestava anche in Italia attraverso un interesse crescente per le parole inglesi. Scriveva nel 1764 Giuseppe Baretti nella «Frusta letteraria»:

Che bella cosa, se mi venisse fatto di svegliare in qualche nostro scrittore la voglia di sapere bene anche la lingua inglese! Allora sì, che si potrebbono sperare de’ pasticci sempre più maravigliosi di vocaboli e di modi nostrani e stranieri ne’ moderni libri d’Italia! E quanto non crescerebbono questi libri di pregio, se oltre a que’ tanti francesismi di cui già riboccano, contenessero anche qualche dozzina d’anglicismi in ogni pagina.

Usato all’inizio in concorrenza con inglesismo (attestato dal 1757), dai primi decenni del Novecento anglicismo è stato affiancato dalla variante anglismo e poi, per indicare in modo più specifico le interferenze dell’inglese d’America, o queste accomunate a quelle inglesi, anche da angloamericanismo.

Influenza dell’inglese dal medioevo al primo Novecento

Fino alla metà del Settecento, oltre a mancare il termine che li indicasse, anche gli anglicismi erano piuttosto rari. Nel medioevo sono attestate alcune parole dovute ai rapporti commerciali con l’Inghilterra: sterlini (1211), costuma «dogana» (dall’ingl. customs); in epoca rinascimentale voci relative alla vita politica e alla società inglese in relazioni di ambasciatori o viaggiatori o in opere storiche: alto tradimento (calco di high treason), parlamento, coronatore (dall’ingl. coroner), puritani.

Alla fine del Cinquecento John Florio, insegnante d’italiano in Inghilterra, compose un vasto dizionario italiano-inglese intitolato A worlde of wordes (1598) ma, come il precedente lavoro di William Thomas (Principal rules of the Italian grammer, with a dictionaire, Londra 1550), è opera soprattutto per anglofoni.

Solo dal Settecento l’inglese esercitò un’influenza sempre più incisiva. La rivoluzione industriale, il nuovo sistema politico consolidatosi dopo la guerra civile del 1642 con le istituzioni parlamentari, l’impero coloniale, e poi il mito della rivoluzione americana e della giovane nazione indipendente, il crescente prestigio culturale e scientifico dei paesi anglosassoni, i loro successi economici e diplomatico-militari, hanno via via alimentato un generale sentimento di ammirazione nei confronti della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Nel Settecento diversi intellettuali italiani soggiornano in Inghilterra e la lingua inglese, prima considerata barbara, viene rivalutata e studiata, se ne scopre la letteratura, se ne traducono i capolavori, la si impara per diletto, per essere al corrente, per necessità commerciali. Lo comprovano le tante edizioni e ristampe di grammatiche inglesi destinate a italiani. Pregevoli anche i dizionari bilingui: quello di Baretti (1760) ebbe sei riedizioni in quel secolo e numerose altre nel successivo. Tuttavia va ricordato che molto della cultura e del lessico inglese è filtrato tramite il francese: perfino nel XIX secolo la maggior parte dei romanzi di Walter Scott e di James F. Cooper, cui si deve la diffusione di molti anglicismi, furono tradotti da traduzioni francesi (Benedetti 1974; Sullam Calimani 1995).

Appunto nel Settecento compaiono i primi consistenti nuclei di anglicismi: un settore particolarmente ricco è quello dei termini della vita politica e sociale che, a parte pochi casi (bill, club, pamphlet, humour), sono rappresentati da anglolatinismi o calchi facilmente integrabili (autodeterminazione, coalizione, comitato, costituzionale, legislatura, opposizione, ordine del giorno, senso comune, ultimatum). Diversi anche gli aggettivi: immorale, sentimentale che deve la sua fortuna alla traduzione del Sentimental journey di Laurence Sterne. Ma non mancano termini legati ai commerci e alla navigazione (biglietto di banco, importare; brick, cutter), alla moda, ai cibi e alle bevande (Cartago 1994: 727-735).

Nel corso dell’Ottocento, col diffondersi della stampa, l’influenza dell’inglese si fa più capillare e, oltre al linguaggio politico (leader, meeting, premier, assenteismo, non intervento, radicale), interessa la vita mondana (dandy, fashion, festival), i nomi di abiti e stoffe, di mezzi di trasporto navali, la terminologia ferroviaria (rail, sostituito da verga o rotaia, locomotiva, vagone, tunnel). Diversi anche i nomi di cibi e bevande (brandy, gin, whisky; rostbif adattamento di roast-beef, curry).

A cavallo fra Otto e Novecento sono interi settori del lessico che si sviluppano sotto la spinta del modello inglese: dall’economia (boom, business, check, copyright, depressione, export, manager, marketing, stock, trade-mark e il suo calco marchio di fabbrica, trust), a diverse scienze e tecniche nuove, come quelle dei trasporti (cargo, ferry-boat, yacht, rompighiaccio calco di ice-breaker; autocarro, bus, clacson), della radio, del cinema (cartoni animati, cast, film, set, vamp). Si pensi in particolare alle terminologie di sport che cominciano a praticarsi adesso, dal turf (derby, performance, outsider), al foot-ball (goal, cross, dribbling, offside e il suo calco fuorigioco), al tennis, al pugilato (ring, knock-out). Abbondano anche i termini riferiti alla vita quotidiana, al costume sociale, alle professioni (barman, boss, boy-scout, camping, gangster, killer, shopping, snob, proibizionismo, recital) (cfr. Cartago 1994: 735-743).

L’anglicismo dalla metà del Novecento ad oggi

Già dalla fine della prima guerra mondiale si notano segni di cambiamento: si riduce il ruolo del francese come tramite dell’anglicismo; cresce l’attrattiva della lingua inglese e in particolare, specie nel secondo dopoguerra dopo il boom economico degli anni Cinquanta, dell’American English.

L’inglese è usato sempre più largamente nelle relazioni fra stati, nelle grandi organizzazioni internazionali, negli scambi legati alla vita culturale e alla ricerca scientifica, tanto da semplificarsi e rimodellarsi per favorire la massima comunicatività: anche perciò è stato accolto come lingua franca per un mezzo globale come internet. Cresce via via nella scuola italiana lo studio dell’inglese, che dal 1990 è pressoché l’unica lingua insegnata al livello dell’obbligo. Anche le pubblicazioni e le lezioni universitarie di alcuni settori scientifici vedono oggi l’inglese in un ruolo dominante.

Riguardo alla lingua comune, gli attuali fenomeni di interferenza sono fortemente determinati dai mezzi di comunicazione sociale, che favoriscono una diffusione ‘dal basso’ dei prestiti e una loro rapida ambientazione. Gli anglicismi sono imposti dalle esigenze della società globale e dall’omologazione tecnologica e informatica: la simultanea trasmissione mondiale delle informazioni veicola dovunque i medesimi internazionalismi che accentuano la convergenza fra le lingue e che sono difficilmente sostituibili. Inoltre, mentre fino ad alcuni decenni fa gli anglicismi erano in gran parte filtrati attraverso la pagina scritta e introdotti dagli strati più colti, oggi la loro interferenza è soprattutto orale, anche se si tratta di oralità indotta e condizionata dai mezzi di comunicazione sonori che rendono disponibili i prestiti con una pronuncia già impostata e una prima ambientazione semantica, tanto che ogni parlante ha una certa facilità a farli propri e riutilizzarli.

Taluni singoli settori risultano però più permeabili all’anglicismo, come il linguaggio di cinema e televisione (cult, news, zapping), di pubblicità e marketing (sponsor, spot, testimonial), il gergo giovanile (dark, punk, wow) e sportivo, il lessico di diverse discipline scientifiche, a partire dal settore economico-finanziario (Rando 1990; Rosati 2005) e da quello dell’informatica (Marri 1994; Lanzarone 1997). Ma ciò che mostra l’efficacia dei mezzi di comunicazione sono i tanti termini comuni (call center, fiscal drag, flop, mobbing, outing, stand-by, ticket) che riescono ad acclimatarsi rapidamente perché ricorrono in uno slogan, in un film, in una notizia televisiva (cfr. Guţia et al. 1981; Fanfani 1997). Tali elementi spesso danno luogo a derivati (chattare, flashato, ticketteria) o composti (hacker-terrorista, tagliaspot), inserendosi nelle strutture morfologiche della lingua alla stregua di quelli tradizionali (cfr. Klajn 1972; Schweickard 1998; Iamartino 2001; Bombi 2005) (➔ adattamento; ➔ calchi; ➔ prestiti).

Aspetti linguistici

Fra gli anglicismi contemporanei sono ancora i nomi la categoria più rappresentata. Un segno della pervasività dell’inglese è però il crescente apporto di aggettivi (bipartisan, no global, no-profit, trendy, cordless), talora sostantivati (i big), di avverbi e interiezioni, e in particolare di fraseologismi (job on call, book on demand, denial of service, marketing one-to-one, pay per view). Ogni prestito che inizi il suo processo di acclimatamento viene subito rapportato alle strutture dell’italiano. Ma, a differenza di un tempo, le ridotte capacità di assimilazione, la maggior conoscenza della lingua straniera, le modalità con cui avvengono le interferenze, rendono rari gli adattamenti grafici e fonomorfologici, sentiti come riproduzioni distorte e provinciali del modello. Così oggi gli anglicismi sono accolti o come prestiti integrali o come calchi o in entrambe le forme (attachment / allegato, hacker / pirata, web / rete, download / scaricare).

Per la pronuncia dei prestiti integrali si tende ad approssimarsi più o meno, a seconda della situazione o della cultura del parlante, a quella inglese o americana, talora con incertezze fra i due tipi. Fanno eccezione le voci radicatesi popolarmente (shampoo, overdose, watt); tuttavia anche qui si stanno diffondendo pronunce più ‘corrette’ (bus [bas], raid [̍̍̍̍̍̍ˈrεid], festival [ˈfεstival]). L’assimilazione fonetica è minima: di solito il fonema inglese privo di un corrispondente in italiano viene reso col suono più vicino: [æ] > [ε] (match), oscillante con la resa [æ] > [a] (fan, manager); [ʌ ] > [ a] (pick-up, punk). Nella ➔ fonetica sintattica, oltre al completo ambientamento delle consonanti finali e all’estensione delle possibili occorrenze della semiconsonante [w] in posizione iniziale (welfare, windsurf, workshop, wow), la s sorda o sonora segue l’uso italiano, con sonorizzazione davanti a sonora (snowboard).

Anche la grafia può indurre qualche adattamento: le doppie di solito si rafforzano (cannabis, horror). Si hanno tuttavia ipercorrettismi (➔ ipercorrettismo) e contaminazioni: curling che si dovrebbe pronunciare con [ε] come avviene per surf, analogamente alla resa [ʌ ] > [ a] in voci come cult, cut, pub, si è recentemente diffuso nella pronuncia [ˈkarlin(g)] (Baglioni 2007). Per la grafia, ridottisi gli ipercorrettismi, emerge qualche adeguamento alla pronuncia (bodygard). Sempre praticata la riduzione dei composti al primo elemento, anche nei casi di sequenza germanica, segno della persistente vitalità della struttura tradizionale determinato + determinante (slot-machine > slot, soap opera > soap).

Al plurale, secondo le raccomandazioni dei grammatici, gli anglicismi restano invariati; ma in certi contesti anche voci ormai stabilizzate (club, sport, test) sono usate col plurale all’inglese. Per il genere dei nomi l’adattamento è pacifico quando si tratta del genere naturale (lo steward, la hostess) o del genere della persona in questione (il/la tutor). In altri casi è determinato dalla forma della parola: gli anglicismi in -tion sono femminili, come i nomi italiani in -zione (devolution, fiction, location); quelli in -ing maschili (screening, walking). Oppure dipende dal genere della parola italiana corrispondente per significato (il badge, la e-mail, il nickname, la slide); prevalente è comunque il maschile (Thornton 2003).

Pseudoanglicismi

A testimoniare un’influenza riflessa dell’inglese (e degli anglicismi già presenti nella lingua) sono i falsi anglicismi, dovuti a parlanti che hanno una certa dimestichezza con elementi inglesi ma che li interpretano in modo errato o li riutilizzano per nuove creazioni indipendenti da un preciso modello.

Ci sono i veri e propri pseudoanglicismi dovuti a un fraintendimento della struttura o del significato: prestiti decurtati (lift per liftboy), reinterpretazioni semantiche (parking «luogo di parcheggio» invece che «sosta»), calchi inesatti (aria condizionata da air conditioned «condizionato per mezzo dell’aria», fuga di cervelli su brain drain «esodo di cervelli», caso di studio invece che studio di casi per case study). E gli anglicismi apparenti, creati in modo più o meno corretto in italiano impiegando analogicamente strutture formative dell’inglese, note dai prestiti o dalla lingua (beauty case a cui si sono aggiunti beauty engineering, beauty point; così da trendsetter e opinion maker si è fatto trendmaker). Oggi è questo il tipo più ricorrente, specie nel settore pubblicitario-commerciale dove, pur di disporre di un anglicismo di richiamo, lo si inventa. Se tali neoconiazioni muovono da morfemi già radicati in italiano (autostop, videobar), o seguono moduli tradizionali (babykiller «bambino-killer»), sono equiparabili alle formazioni della lingua (Bombi 2005: 147-158).

Effetti più profondi

L’influenza dell’inglese non si esaurisce nelle interferenze lessicali, ma attraverso di esse giunge a interessare altri settori. Sul piano grafico si nota un maggior impiego nel linguaggio pubblicitario delle lettere non tradizionali (specie k, y e x), il ricorso gergale a grafemi anglicizzanti (briosha), usi iconici di lettere (inversione a U su U-turn, T-shirt). Per la fonetica, oltre a una maggior tolleranza per nessi insoliti e nuove distribuzioni dei fonemi, ben rappresentati negli anglicismi, è vinta la resistenza alle finali consonantiche, presenti in neoformazioni e in certi usi emergenti (ad es. l’estensione del non finale tonico).

Nella morfologia lessicale i modelli inglesi hanno contribuito ad aprire l’italiano a nuove risorse formative e a rivitalizzare alcuni moduli, rendendo tutto il settore più duttile e moderno. I nuovi costrutti possono impiegare, anche in forme insolite e ‘ibride’, elementi dei tipi più disparati: elementi formativi greco-latini o alloglotti (➔ elementi formativi), abbreviazioni, clipping di lessemi, sigle; gli aggettivi e i sostantivi hanno funzioni sempre più intercambiabili; se serve a semplificare è adottata la sequenza determinante + determinato propria dell’inglese e dei composti di tipo greco; generalmente estesa la tendenza all’abbreviazione (contrazioni di parole, usi ellittici, riduzioni morfematiche, sigle).

Nella prefissazione è noto l’uso di co- anche davanti a consonante (cobelligerante, copilota) e di non- coi nomi (indotta da prestiti e calchi come nonsenso, nonviolenza, no comment, non conformismo). Numerosi i nuovi formanti ottenuti con clipping: e- da electronics (e-mail, e-book), cyber- da cybernetics, docu- da document, net- da internet, ecc.; -matic da automatic, -cam da camera, -gate da Watergate, ecc. Il suffisso -ese, su modello americano, è usato per indicare varietà o stili linguistici (giornalese, politichese).

Sospinta dall’inglese la diffusione del tipo compositivo costituito da un primo elemento (avverbio, aggettivo o sostantivo) + un aggettivo (o participio) che ne è determinato (lungodegente, sieropositivo, videodipendente). E quella delle giustapposizioni attributive di due nomi in cui uno qualifica l’altro, seguendo sia l’ordine romanzo (fine settimana, ragazza copertina) sia quello germanico (Presidente-pensiero). Rivitalizzati i vecchi composti verbali del tipo tira e molla (usa e getta, gratta e vinci). In diversi casi singoli elementi di composizione tendono a trasformarsi in suffissoidi o prefissoidi e quindi a rendersi disponibili per nuove autonome creazioni lessicali (Dardano et al. 2000; Bisetto 2003; Bombi 2005).

Nel settore della sintassi affiorano diversi moduli di matrice inglese, fra cui l’uso dell’articolo indeterminativo in funzione predicativa specie nei titoli (per es., Una cultura classica nella scuola); la tendenza all’impiego avverbiale degli aggettivi (pensa positivo); tipi di costrutti con sintagmi preposizionali staccati dalla reggenza (fatto da e per donne; pronto a, ma ancora lontano da, venire); il ricorso alla co-disgiunzione e / o; le interrogative ‘multiple’ (chi fa che cosa?).

Studi

Baglioni, Daniele (2007), A proposito dell’adattamento di una vocale inglese nell’italiano contemporaneo, «Lingua nostra» 3-4, pp. 117-122.

Benedetti, Anna (1974), Le traduzioni italiane da Walter Scott e i loro anglicismi, Firenze, Olschki.

Bisetto, Antonietta (2003), Da formattare a calcio mercato: l’interferenza dell’inglese sull’italiano contemporaneo, in Sullam Calimani 2003, pp. 87-99.

Bombi, Raffaella (2005), La linguistica del contatto. Tipologie di anglicismi nell’italiano contemporaneo, Roma, il Calamo.

Cartago, Gabriella (1994), L’apporto inglese, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 3° (Le altre lingue), pp. 721-750.

Dardano, Maurizio et al. (2000), L’italiano di fronte all’inglese alle soglie del terzo millennio, in L’italiano oltre frontiera. V convegno internazionale (Leuven, 22-25 aprile 1998), a cura di S. Vanvolsem et al., Leuven, University Press - Firenze, Cesati, 2 voll., vol. 1°, pp. 31-55.

Fanfani, Massimo (1997), Forestierismi alla radio, in Gli italiani trasmessi: la radio. Atti del Convegno (Firenze, Villa Medicea di Castello, 13-14 maggio 1994), Firenze, Accademia della Crusca, pp. 729-788.

Guţia, Ioan et al. (1981), Contatti interlinguistici e mass media, Roma, La Goliardica.

Iamartino, Giovanni (2001), La contrastività italiano-inglese in prospettiva storica, «Rassegna italiana di linguistica applicata» 33, 2-3, pp. 7-130.

Klajn, Ivan (1972), Influssi inglesi nella lingua italiana, Firenze, Olschki.

Lanzarone, Marco (1997), Note sulla terminologia informatica, «Studi di lessicografia italiana» 14, pp. 427-507.

Marri, Fabio (1994), La lingua dell’informatica, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 2° (Scritto e parlato), pp. 617-633.

Rando, Gaetano (1990). “Capital gain, lunedì nero, money manager” e altri anglicismi recentissimi del linguaggio economico-borsistico-commerciale, «Lingua nostra» 51, pp. 50-66.

Rosati, Francesca (2005), Anglicismi nel lessico economico e finanziario, Roma, Aracne.

Schweickard, Wolfgang (1998), English und Romanisch, in Lexikon der Romanistischen Linguistik (LRL), hrsg. von G. Holtus, M. Metzeltin & C. Schmitt, Tübingen, Niemayer, vol. 7°, pp. 291-309.

Sullam Calimani, Anna Vera (1995), Il primo dei Mohicani. L’elemento americano nelle traduzioni dei romanzi di J.F. Cooper, Pisa - Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali.

Sullam Calimani, Anna Vera (a cura di) (2003), Italiano e inglese a confronto: problemi di interferenza linguistica. Atti del Convegno (Venezia, 12-13 aprile 2002), Firenze, F. Cesati.

Thornton, Anna M. (2003), L’assegnazione del genere ai prestiti inglesi in italiano, in Sullam Calimani 2003, pp. 57-86.

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