Animale

Enciclopedia Dantesca (1970)

animale (sost.; plur. anche animai)

Angelo Adami

1. È soprattutto inteso come " un essere animato, capace di sentire e di muoversi "; quindi ogni essere vivente dotato di sensibilità, compreso l'uomo. In tale accezione ampia e generica, frequentemente attestata nella prosa e nella poesia due-trecentesca (cfr. in poesia Brunetto Tesoretto 195 " vidi turba magna / di diversi animali f ... omini e mogliere, / bestie, serpent ' / e fiere, e pesci... "; Bondie Amor quando 58; Inghilfredi Dogliosamente 32; Chiaro Assai m'era 51, Talento ag(g)io 55, Come 'l fantin 12), D. lo usa assai spesso: Cv II VIII 10 l'uomo è perfettissimo di tutti li animali, 11 (due volte), XIV 17, III II 14 (è l'uomo divino animale da li filosofi chiamato), III 10, VII 8, X 2, IV IV 1, VI 11, XXII 5, XXVII 3 (in II III 2 e VIII 10 ricorre come titolo dell'opera di Aristotele De Animalibus). Anche in poesia, talvolta nel senso più generico: in Pg XXV 61 Stazio, spiegando a D. l'umana generazione, chiama a. il feto che si sviluppa nel seno materno: ma come d'animal divegna fante, / non vedi tu ancor, cioè in che modo feto passi dalla natura vegetativa-sensitiva, comune a tutti gli altri a., a quella razionale propria dell'uomo ( fante vale " parlante ", essendo il parlare esclusivo dell'uomo). Nei versi seguenti Stazio spiega appunto come avvenga tale trasformazione (v. ANIMA; INTELLETTO POSSIBILE).

In lf II 2 il plurale animai indica insieme, genericamente, " uomini e bestie ": Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno / toglieva li animai che sono in terra / da le fatiche loro (cfr. Virg. Aen. III 147 " Nox erat et terris animalia somnus habebat ", e anche VIII 26 " Nox erat et terras animalia fessa per omnis / alituum pecudumque genus sopor altus habebat ").

In If I 100 Virgilio, parlando della lupa, dice: Molti son li animali a cui s'ammoglia. I più (tra gli antichi Iacopo, Lana, Ottimo, Benvenuto, Buti, Vellutello, ecc.) interpretano: molti sono i ‛ viventi ', cioè gli uomini, a cui si apprende la cupidigia (la lupa); alcuni (Castelvetro, Venturi, Tommaseo, ecc.) intendono: molti sono i ‛ vizi ' a cui si unisce la cupidigia (per il motivo, piuttosto comune nei bestiari, che afferma la lupa scegliere il peggior esemplare maschio del branco, cfr. tra gli altri Proverbia super natura foeminarum 716 " [la donna] con lo peçor se pone: / lo 'semplo de la lova / sì porta per rasone ").

Quattro volte a., mediante attributi o espressioni attributive, sta a indicare " gli uomini " in genere: in Pg XXIX 138 essi sono detti gli a. che la natura ha più cari; in Pd XIX 85 terreni animali, perché troppo attaccati ai beni della terra; in Rime CVI 101 falsi animali, a voi ed altrui crudi (apostrofe riferita a quanti sono irretiti nel vizio); in LXXXlll 57 si parla di quelli che paiono animai sanza intelletto, cioè bestie.

In senso meno generico D., in If XXXI 50, definisce a. anche i giganti: Natura certo, quando lasciò l'arte/ di sì fatti animali, assai fé bene. È dubbio se qui la parola a. valga genericamente " esseri viventi " o, in senso più specifico, " bruti " o " mostri ". Infatti i giganti, come D. dice più oltre, hanno l'argomento de la mente, cioè l'intelligenza; tuttavia, essendo questa unita alla cattiva volontà e alla forza smisurata, possono essere considerati anche non uomini, ma piuttosto " mostri bestiali " (Scartazzini).

Infine, in If V 88, Francesca rivolge a D. la famosa apostrofe: O animal grazioso e benigno / che visitando vai per l'aere perso / noi che tignemmo il mondo di sanguigno; qui a. s'intende come " uomo " o, meglio, " essere vivente ", perché Francesca lo vedeva " col corpo e con l'anima " (Landino; e così anche Vellutello); a lei non poteva sfuggire che D. era vivo, come non era sfuggito a Caronte (If III 88), che lo aveva chiamato anima viva.

2. Anche nel senso di " bruto ", " bestia ", " essere vivente " (escluso l'uomo), a. è assai frequente in prosa: Cv I VI 6 se conosce da lungi un animale, non conosce quello perfettamente, perché non sa s'è cane o lupo o becco; II VIII 11, III II 13, 18, III 5, VII 5, 6, IV VII 4, 11 (tre volte), 15, XIV 10, XV 7, XXI 3. Nella stessa accezione, sia in senso proprio che figurato, ricorre otto volte in poesia: in If XXIX 61 quando [in Egina] fu l'aere sì pien di malizia, / che li animali, infino al picciol vermo, / cascaron tutti; in Rime C 33 tutti gli animali che son gai di lor natura, son d'amor disciolti, all'approssimarsi dell'inverno; in Pd XXVI 97 Talvolta un animai coverto broglia, / sì che l'affetto convien che si paia / per lo seguir che face a lui la 'nvoglia: un'anima beata (Adamo) manifesta a D. i suoi sentimenti mediante l'agitarsi del suo involucro lucente come talvolta un a., agitandosi sotto la sua copertura, manifesta lo stato d'animo (affetto) che è causa di quel suo agitarsi. Assai varie le interpretazioni circa l'a.: i commentatori più antichi (Benvenuto, Ottimo, Buti, Landino) ritengono trattarsi di un a. chiuso nella sua pelle; altri di un cavallo coperto dalla gualdrappa scintillante (Torraca, Mattalìa, Pézard), altri di un gatto chiuso nel sacco (Porena). Un'altra similitudine, vicina, per il concetto, alla precedente, è in Pd VIII 54, ove Carlo Martello dice a D.: La mia letizia mi ti tien celato / che mi raggia dintorno e mi nasconde / quasi animai di sua seta fasciato, cioè la gioia della beatitudine che s'irradia intorno a me, mi nasconde al tuo sguardo come il baco che, chiudendosi nel bozzolo, produce la seta e con essa si fascia. Poi, in Pg IX 5, per indicare l'ora D. descrive così la costellazione dello Scorpione: di gemme la sua fronte era lucente, / poste in figura del freddo animale che con la coda percuote la gente. Infatti allo Scorpione sembra che si riferisca la perifrasi dantesca, sia per la determinazione astronomica, sia per la qualifica di freddo che ben si attaglia allo scorpione, ritenuto nel Medioevo un a. a sangue freddo e rappresentato spesso come un serpente; donde anche l'eco di Apoc. 9, 5 " cruciatus scorpii, cum percutit hominem ". Per la spiegazione del passo si veda anche la voce CONCUBINA (Pg IX 1).

Vera " bestia " è Gerione, simbolo della frode, che in If XVII 80 è chiamato fiero animale. In Pg XXIX 92 troviamo poi i quattro animali, cioè i simboli dei quattro Evangeli (a. con volto umano, Matteo; leone, Marco; vitello, Luca; aquila, Giovanni), come sono rappresentati nell'Apocalisse; tranne che per il numero delle ali di ciascuno di essi, D. si richiama a Ezechiele (dove gli a., invece di sei, hanno quattro ali; cfr. Ezech. 1, 5; Apoc. 4,6). In Pg XXXII 47 l'animal binato, cioè il grifone, figura Gesù Cristo per la sua duplice natura divina e umana.

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