PITTONI, Anita

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PITTONI, Anita

Elvio Guagnini

PITTONI (Tosoni Pittoni), Anita. – Nacque a Trieste il 6 aprile 1901 da Francesco Tosoni Pittoni (1876-1917), ingegnere, e da Angela Marcolin Bosco (1880-1940), sarta e ricamatrice. I suoi tre fratelli erano Silvio Gracco, Franco Ribelle e Bruno. Lo zio, Valentino Pittoni, era uno dei capi del socialismo triestino e deputato al Parlamento di Vienna.

Anita frequentò il liceo femminile completando i propri studi nel 1919. Ospite delle sorelle Marion e Wanda Wulz, titolari di un importante studio fotografico nel quale si effettuavano ricerche di avanguardia nel campo della fotografia, sviluppò ben presto una propria attività artigianale nel campo tessile e della moda: nel suo laboratorio venivano creati abiti e accessori per l’abbigliamento, elementi di arredamento, arazzi e tappeti in tessuto, utilizzando materiali di ogni genere, semplici ma anche preziosi, talvolta accostati, facendo largo uso di filati nazionali (come la canapa o il lino) ma anche fibre sintetiche (come il raion) o fibre di origine vegetale (come la ginestra). Le tecniche apprese a casa, dalla madre, e a scuola si coniugarono con un originale talento artistico che si sviluppò anche in seguito ai numerosi contatti maturati sin dagli anni giovanili con personalità dell’arte più avanzata a Trieste e poi a Milano e in ambito nazionale.

A Trieste, tramite il pittore futurista Marcello Claris, fu in rapporto con Avgust Černigoj, Leonor Fini, Ugo Carà, Carolus L. Cergoly, Dario de Tuoni, Amelia Chierini, Piero Janesich, Umberto Nordio, Gustavo Pulitzer Finali, Maria Lupieri, Lojze (Luigi) Spacal, tra gli altri; fuori Trieste, con Gio Ponti, allora animatore della rivista Domus, con Anton Giulio Bragaglia, protagonista su vari fronti della cultura futurista e regista di teatro, con Fortunato Depero, Enrico Prampolini e gli architetti Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers e Agnoldomenico Pica.

I suoi contatti con il futurismo e con il costruttivismo così come la suggestione di motivi del cubismo, della cultura delle avanguardie dell’Europa centrale e del surrealismo si manifestarono nello svolgersi – in modo originale – della sua attività artistica, anche nel campo della pittura.

Nelle Note autobiografiche del 1951 (Maier, 1993) Pittoni sottolineava che il grande pericolo per l’artigianato era costituito dalla «produzione di massa» (p. 128); che sarebbe stata necessaria per l’economia nazionale (anche rispetto all’esportazione) una difesa dell’artigianato artistico con l’incremento delle scuole laboratorio e delle botteghe artigiane; che la difesa dell’artigianato poteva assumere una «funzione tempratrice nell’aspra lotta: capitale e lavoro o: padroni e dipendenti» (p. 127). E riassumeva i successi della propria carriera artigiana: «A Roma mi presentai […] con pannelli murali in varie tecniche tessili, cuscini, costumi di danze ecc. nella galleria d’arte di Anton Giulio Bragaglia, nel gennaio 1930. Venne a Roma Ponti a vedere la mostra: l’architetto Gio Ponti, direttore della Triennale […] mi invitò con tutta la personale a Monza. Da quella volta partecipai, invitata, sussidiata ed anche premiata, a tutte le Triennali Internazionali d’arte decorativa moderna. Invitata alla Mondiale di Parigi nel ’37, ebbi il Grand Prix; feci Buenos Ayres, Budapest, Berlino, ecc. New York nel 1947 con i 20 artisti d’Italia; partecipai alle Biennali d’arte veneziana nella sezione delle arti decorative, alle mostre dell’Artigianato, alle Esposizioni della Moda in Italia e all’estero, ecc.» (pp. 129 s.).

Anita Pittoni fu attiva anche nel campo degli arredamenti navali e dei palazzi pubblici, collaborò a numerosi periodici tra i quali Domus, Lil (Lavori in lana) che pubblicizzava i filati Borgosesia, la Rassegna dell’Ente nazionale della moda. Disegnò i costumi per l’adattamento italiano dell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht (rappresentato nel 1930 a Milano con il titolo di La veglia dei lestofanti) per la regia di Anton Giulio Bragaglia.

Negli anni della seconda guerra mondiale si legò sentimentalmente a Giani Stuparich, che ne sostenne le iniziative anche sul piano editoriale e che ne avrebbe confermato le qualità «nel campo dell’arte decorativa» (Stuparich, 1948, p. 218), valorizzandone anche gli esordi sul piano letterario e facendo un cenno pure alle pagine di diario che testimoniavano il suo mondo affettivo e la sua inquieta e tesa sensibilità letteraria. La sua attività di scrittrice ebbe inizio negli anni Trenta, prendendo consistenza negli anni della seconda guerra mondiale quando dette vita alle pagine da «poemetto in prosa» di Le stagioni (Trieste 1950).

Si tratta di un testo di riflessioni ed emozioni vissute nell’interiorità, espressione di una «nuova scrittrice tutta raccolta nell’esprimere l’interna visione e intesa a coglierne i significati e le vibrazioni più riposte, con audacia e immediatezza» (Stuparich, 1948, p. 218); un testo che – più tardi – venne riunito con altri racconti in Passeggiata armata (con due disegni di Ugo Pierri, Trieste 1971) e che documenta i modi in cui l’autrice proietta anche su un piano simbolico i fenomeni di una vita e annoda originalmente memoria e interiorizzazione. Le poesie in dialetto triestino, raccolte nel volume Fèrmite con mi (1936-1959) (Trieste 1962), inseguono il ricordo di anni giovanili e sono quasi note di diario in cui l’effusività viene evitata grazie a una carica, a tratti, di autoironia. E dove si avverte, spesso, uno stato di solitudine e di struggente malinconia, di dissonanza con il mondo, nonché una particolare attenzione per i personaggi emarginati, dimenticati, soli, con qualche inclinazione al bozzetto, ma con il sostegno di tratti di incisività e qualità della scrittura. Il racconto in dialetto triestino El passeto (1ª ed. Trieste 1966; con tre disegni di L. Rosignano, Trieste 1977; a cura di S. Volpato, con una illustrazione di U. Pierri, Trieste 2008) riprende alcuni ricordi familiari e rappresenta uno fra gli esiti più intensi della prosa di Anita Pittoni, alla quale appartengono sia alcuni penetranti ‘episodi’ (brevi racconti, aneddoti, pubblicati postumi con il titolo Caro Saba, Trieste 1977) relativi a Umberto Saba, sia le pagine saggistiche L’anima di Trieste. Lettere al professore (Firenze 1968) scritte per offrire una «prospettiva storica della Trieste moderna», cioè della Trieste «emporiale» (p. 14).

Una fra le principali ragioni della notorietà di Anita Pittoni consiste nel fatto di aver dato vita all’iniziativa editoriale più originale e organica di Trieste, fondata su un progetto articolato in diverse collane, realizzato in volumi di grande qualità (nella quale si ravvisavano l’esperienza e l’eleganza artigianale acquisite) e accompagnato da preziosi bollettini, cataloghi, foglietti illustrativi. L’attività delle edizioni dello Zibaldone – dietro la quale c’erano i suggerimenti di Stuparich, oltre alla collaborazione e i consigli di Virgilio Giotti, Luciano Budigna, Pier Antonio Quarantotti Gambini tra gli altri – ebbe inizio nel 1949 per concludersi intorno alla metà degli anni Settanta.

Secondo il programma editoriale, Lo Zibaldone intendeva fissare «i lineamenti complessi di Trieste e della sua regione allineando in una collana svelta e di agevole lettura opere originali d’ogni tempo che, nella varietà degli argomenti, potessero dare un quadro oggettivo della fisionomia della terra giulia, poco o male conosciuta» ed essere così «un fedele specchio di Trieste, porta d’Italia aperta all’Europa» (G. Stuparich, Ricordi istriani, Trieste 1964, p. 281). L’iniziativa – che ottenne il consenso, tra gli altri, anche di intellettuali come Benedetto Croce, Gaetano Salvemini, Bernard Berenson, Luigi Russo, Giuseppe De Robertis, Mario Luzi – ebbe il merito di proporre non solo opere di classici della cultura di Trieste, tra i quali Italo Svevo, Saba, Virgilio Giotti, Stuparich, Giulio Camber Barni, ma anche testi di grande rilievo relativi al passato della città (per esempio di Enea Silvio Piccolomini e di Antonio de Giuliani), opere di stranieri e viaggiatori a Trieste, e altre relative all’esperienza di artisti come Arturo Fittke o Vito Timmel, libri di scrittori di eccellenza allora giovani (come Tullio Kezich e Sergio Miniussi). Promuovendo anche nuove proposte come quella del poeta Claudio Grisancich e del pittore e scrittore Ugo Pierri.

Morì a Trieste l’8 maggio 1982.

Opere. Una bibliografia degli scritti si legge in S. Parmegiani, Far libri. A. P. e lo Zibaldone, Trieste 1995. Per gli scritti pubblicati in cataloghi e periodici v. la bibliografia in appendice al saggio di L. Vasselli, A. P.: per una biografia, in A. P. Straccetti d’arte, a cura di M. Cammarata, Cinisello Balsamo 1999, pp. 48-53. Inoltre: A. Pittoni, Profilo per l’istituzione di una scuola artigiana diretta artisticamente e tecnicamente, in Archeografo triestino, s. 4, CX (2002), vol. 61, pp. 191-201 (con commento di R. Costa).

Fra le opere apparse in volume, non citate nel testo: A casa mia e La città di Bobi, in L’armonica. Zibaldone degli scritti brevi, Trieste 1966 (con illustrazioni di U. Pierri - N. Costa); Diario 1944-1945, a cura di S. Volpato, Padova-Trieste 2012.

Fonti e Bibl.: Per una bibliografia della critica su Anita Pittoni si rimanda all’antologia Scrittori triestini del Novecento pubblicata dal Circolo della cultura e delle arti di Trieste (Trieste 1968). Una Bibliografia generale relativa all’attività e ai libri dello Zibaldone è nel fondamentale saggio di S. Parmegiani, Far libri. A. P. e Lo Zibaldone, cit.; nello stesso volume si legge anche Il catalogo dello Zibaldone con l’indicazione delle diverse serie e collane, dei libri non pubblicati, delle edizioni speciali e fuori collana. Un contributo importante è A. P.: straccetti d’arte, cit., con scritti di M. Accerboni et al., mentre un’ampia bibliografia e un elenco delle esposizioni e delle mostre postume si trovano in appendice al puntuale saggio di L. Vaselli, A. P.: per una biografia. Si segnala anche il volumetto A. P. (Trieste 1995) con scritti di G. Ziani e A. Pellican. Di rilievo è il capitolo su L’ultimo salotto: A. P. (1901-1982), in R. Curci - G. Ziani, Scrittrici a Trieste fra ’800 e ’900, Trieste 1993, pp. 375-400. Si veda inoltre: Ricordando A. P. Atti della giornata di studio… 2012, a cura di W. Chiereghin, Trieste 2013. Anche sul piano biografico è utile il contributo di B. Maier che presenta e commenta Due scritti inediti di A. P., in Archeografo triestino, s. 4, CI (1993), vol. 53, pp.123-136: il testo di una conversazione di Anita Piccioni del 1951 (Note autobiografiche) e quello di una conversazione del 1962 sulle edizioni dello Zibaldone.

Sulle carte di Anita Pittoni conservate presso la Biblioteca civica di Trieste, G. Marini, Le carte di A. P., in Archeografo triestino, s. 4, CXII (2004), vol. 64, pp. 485-495. Si vedano inoltre: C. Grisancich, Per Anita, Trieste 1912; L. Galli, A. P.: aracne moderna, in La Panarie, X (1933), 59, pp. 328-332; M.L. [Maria Lupieri], Anita Tosoni Pittoni e le sue opere d’arte, in Il Gazzettino, 21 giugno 1941; G. Stuparich, in Trieste nei miei ricordi, Milano 1948, pp. 216-218, 224-229; R. Damiani, Poeti dialettali triestini. Profilo storico-critico (1875-1980), Trieste 1981, pp. 146-148; G. Brussich, A. P.: stoffe e ricami d’autore, in FVG Regione. Cronache, 1989, n. 5, pp. 32-35; V. Cozzoli, Profilo di A. P., in Resine, n.s., XX (1998), 76, pp. 47-58; A. P. (Tosoni Pittoni), in W. Chiereghin - C. Martelli, Dizionario degli autori di Trieste, dell’Isontino, dell’Istria e della Dalmazia, Trieste 2014, pp. 525 s.

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