PIERANGELI, Anna Maria

Enciclopedia del Cinema (2004)

Pierangeli, Anna Maria

Francesco Costa

Attrice cinematografica, nata a Cagliari il 19 giugno 1932 e morta a Los Angeles l'11 settembre 1971. Bruna, fragile, con grandi occhi scuri, debuttò a diciassette anni nel film Domani è troppo tardi (1950) di Léonide Moguy, aggiudicandosi per la sua interpretazione il Nastro d'argento e ottenendo un successo improvviso e folgorante che la impose a Hollywood, acclamata addirittura come 'una nuova Garbo'. Schiacciata dalle logiche produttive delle grandi majors, ben presto vide il suo astro declinare e rientrò rapidamente nell'ombra, confinata in produzioni di scarso valore.

Affascinata dal cinema sin da giovanissima come la sorella gemella (che otterrà un certo successo come attrice con il nome d'arte di Marisa Pavan, n. 1932, e interpreterà alcuni film negli Stati Uniti), venne notata dal regista Moguy che la scelse per il ruolo della protagonista di Domani è troppo tardi, una coproduzione italo-francese, delicata e non banale riflessione sui temi dell'amore tra adolescenti e dell'educazione sessuale. Per lo stesso regista interpreterà anche il successivo e meno riuscito Domani è un altro giorno (1950) ma la notorietà raggiunta le valse un contratto con la Metro Goldwyn Mayer e la possibilità di essere diretta a Hollywood (ove modificò il suo nome in Pier Angeli) in alcuni film. Il primo di questi, Teresa (1951) di Fred Zinnemann, la impose all'attenzione del pubblico d'oltreoceano grazie all'intensità con cui seppe rendere il suo personaggio, quello di una sposa di guerra italiana che soffre per le difficoltà di ambientarsi negli Stati Uniti, giocato sugli stessi toni misurati e dolcemente malinconici che avevano caratterizzato i suoi esordi. I ruoli che le vennero successivamente proposti si rivelarono, però, sempre più lontani dalla sua sensibilità, bloccandola in un'immagine stereotipata e monocorde e imponendole a volte di esibire una sensualità a lei completamente estranea. Fu infatti accanto a Stewart Granger nella commedia The light touch (1951; L'immagine meravigliosa) di Richard Brooks, e quindi, diretta da Gottfried Reinhardt, interpretò la trapezista Nina nell'episodio dalle tinte melodrammatiche Equilibrium, l'ultimo dei tre che compongono il film The story of three loves (1953; Storia di tre amori). Ancora nel 1953 comparve accanto a Vittorio Gassman in Sombrero di Norman Foster, ambientato in un oleografico paesino messicano, e successivamente venne contrapposta a Lana Turner, torbida e affascinante, in The flame and the flesh (1954; La fiamma e la carne) ancora di R. Brooks. Dopo aver recitato al fianco dell'esordiente Paul Newman nel disastroso kolossal pseudo-storico The silver chalice (1954; Il calice d'argento) di Victor Saville, fece di nuovo coppia con l'attore in Somebody up there likes me (1956; Lassù qualcuno mi ama) di Robert Wise, unico regista dopo Zinnemann a consentirle di disegnare con convincente naturalezza il suo personaggio, quello a un tempo delicato e forte della moglie del pugile Rocky Graziano. Malgrado questa fosse stata la sua migliore interpretazione, non ricevette in seguito proposte altrettanto interessanti: tali infatti non si possono considerare né l'insipida commedia d'ambiente circense Merry Andrew (1958; Il principe del circo) di Michael Kidd, con Danny Kaye, né i due film inglesi S.O.S. Pacific (1959) e The angry silence (1960; La tortura del silenzio), diretti da Guy Green e interpretati da Richard Attenborough. Dopo essere tornata in Italia e aver interpretato nel 1961 il film di avventure I moschettieri del mare, diretto da Steno e prodotto con capitali statunitensi, e nel 1962 il kolossal Sodom and Gomorrah (Sodoma e Gomorra) di Robert Aldrich, in cui ritrovò come partner Stewart Granger, fu coinvolta in una serie di film di scarso valore (da L'ammutinamento di Silvio Amadio del 1961, sino all'ultimo girato nel 1971, Octaman zero, noto anche con il titolo Octoman, un horror di Harry Essex), che non le permisero più di opporsi a un inesorabile declino. La sua vita artistica fu l'espressione più dolorosamente emblematica di quella collaborazione Cinecittà/Hollywood che raramente consentì una valorizzazione degli attori italiani lanciati negli Stati Uniti, mentre l'insuccesso e una sfortunata vita sentimentale (segnata dall'intensa relazione con James Dean e dai due matrimoni falliti con il cantante Vic Damone e il compositore Armando Trovajoli) la portarono a una dipendenza dai barbiturici e a una fine prematura.

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