ANNUNCIAZIONE

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

ANNUNCIAZIONE

A. Ghidoli

Pur essendo anarrati nella Bibbia diversi episodi di a. angelica (per es. l'annuncio di un angelo a Giuseppe, Mt. 1, 20-21; l'annuncio dell'arcangelo Gabriele a Zaccaria, Lc. 1, 11-20), per a. si intende solitamente il momento in cui Gabriele, messaggero divino, appare a Maria Vergine per manifestarle la volontà del Signore che attraverso di lei si incarni, in virtù dello Spirito Santo, il Figlio di Dio, Gesù.Secondo la narrazione di Lc. (1, 26-38), unica delle fonti evangeliche a riferire l'episodio, sei mesi dopo l'annuncio a Zaccaria della nascita di Giovanni il Precursore, l'arcangelo Gabriele fu mandato da Dio nella città di Nazareth in Galilea a una vergine chiamata Maria, promessa sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide. Essendole apparso dinnanzi, l'angelo le rivolse il saluto con parole che sarebbero poi divenute l'inizio della preghiera dedicata alla Madonna, l'Ave Maria: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te". Gabriele comunicò quindi alla Vergine la volontà del Signore secondo la quale ella avrebbe concepito un figlio di nome Gesù: "Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà fine". Al turbamento di Maria, stupita che potesse accaderle di concepire pur non essendosi mai unita ad alcun uomo, Gabriele aggiunse: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio [...] nulla è impossibile a Dio". Maria, dichiarandosi l'ancella del Signore, si rimise dunque alla sua volontà "e l'angelo partì da lei".Maggiormente ricca di particolari, che trovarono in seguito un riscontro iconografico nelle raffigurazioni artistiche dell'a., è la descrizione dell'evento offerta dai Vangeli apocrifi dell'infanzia, soprattutto il Protovangelo di Giacomo (200 ca.), lo Pseudo-Matteo (sec. 7°-8° e oltre) e la Natività di Maria (846-849) di Radberto Pascasio, abate di Corbie. Questa letteratura trovò nel Medioevo la massima diffusione, divenendo pertanto modello per le applicazioni figurative, anche attraverso compilazioni di carattere divulgativo quali lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais (m. nel 1256) e la Legenda aurea di Jacopo da Varazze (m. nel 1298).Sempre nell'ambito dei Vangeli apocrifi, una fonte di particolare rilevanza, relativamente alle scelte iconografiche elaborate dall'arte bizantina, è quella del Vangelo armeno dell'infanzia. Secondo la narrazione degli Apocrifi l'angelo si sarebbe presentato due volte a Maria: la prima, mentre ella si recava ad attingere acqua a una fonte, quando Gabriele senza rendersi visibile le rivolse la parola spaventandola; la seconda, quando, poco dopo, essendosi Maria chiusa in casa per filare e tessere un velo di porpora per il Tempio, l'arcangelo le apparve in sembianze umane annunciandole che avrebbe concepito e partorito un figlio per opera dello Spirito Santo. In quello stesso momento la Parola di Dio, entrata in Maria attraverso l'orecchio, operò il concepimento.L'a. costituisce anche il momento dell'incarnazione di Cristo e rappresenta dunque il prodromo dell'azione salvifica e della redenzione. Per la coincidenza tra a. e incarnazione del Verbo, il festum annuntiationis venne fissato - si credeva dagli stessi apostoli - nove mesi prima del giorno della nascita del Signore, cioè il 25 marzo. Nonostante la tradizione relativa alle sue origini e benché esistesse a Nazareth fin dal sec. 4° una basilica dedicata all'a., la prima notizia certa relativa alla celebrazione della festa risale a non prima della metà del sec. 6°, quando Abramo, vescovo di Efeso, scrisse una omelia In Annuntiatione Deiparae in cui si nomina la magnam festivitatem del mese di marzo (PO, XVI, pp. 442-447). Nel sec. 7°, comunque, la ricorrenza doveva essere delle più solenni per la Chiesa, se nel concilio Trullano (Costantinopoli, 692) se ne permetteva la celebrazione anche nel caso, pressoché costante, essa cadesse in periodo di quaresima. Agli stessi anni risale la notizia della diffusione in Occidente della festa dell'a. (Lib. Pont., I, pp. 371, 376, 381), che in taluni casi (come per es. in Spagna e a Milano) fu però spostata al 18 dicembre per evitare la sua cadenza quaresimale.Gli elementi fondamentali che compaiono nell'episodio dell'a. e ne contraddistinguono l'iconografia sono dunque rappresentati dalla Vergine Maria e dall'arcangelo Gabriele, ma anche dalle tre persone della Trinità: spesso infatti appare lo Spirito Santo, in genere sotto sembianze di colomba; a volte la contemporanea presenza dell'Eterno è significata dalla sua mano che compare in alto nell'atto di inviare la colomba o il raggio che esprime il suo Verbo che si fa carne; anche se non visibile, pure il Figlio è, per la prima volta, presente, sia nella sua natura divina ancora come emanazione del Padre attraverso lo Spirito Santo, sia in quella umana come entità nuova, che sta costituendosi, nel mistero dell'incarnazione. L'incontro dell'umano e del divino è dunque, a più livelli, il nucleo concettuale che deve essere espresso iconograficamente nella scena dell'a., avvalendosi al contempo di tutte le sistemazioni spaziali e prospettiche degli elementi fondamentali atte a significare la diversità delle nature e insieme la relazione in atto di istituirsi fra esse.La scena, che avvenga in un ambiente esterno (presso un pozzo, sotto un porticato) o all'interno della casa di Nazareth, ha, in genere, una scansione spaziale spartita in modo tale da riservare a ciascuno dei due protagonisti un proprio spazio caratterizzato da gesti, linee, luce, a essi strettamente correlati. La bipartizione è scandita, generalmente, da un elemento centrale verticale (colonna, vaso con fiori, leggìo, ecc.) che separa i due spazi-dimensione: quello attivo dell'angelo, caratterizzato da un dinamismo esteriore consentaneo a un moto luminoso, e quello di Maria sul quale l'azione ricade e che non è tuttavia passivo poiché rappresenta la conseguenza, appena poco prima inconsapevole ma già perfettamente cosciente, di quell'intervento dinamico. Il moto interiore, dei sentimenti, risponde all'impeto dell'angelo che sopraggiunge con il suo messaggio, e la luce divina che lo accompagna va a scemare nell'ombra, tutta terrena, dell'umana confusione e del turbamento. Ma se spesso è un elemento materiale a dividere lo spazio pertinente a ciascuno dei due protagonisti, talvolta questo compito può essere assolto anche dallo iato di uno spazio vuoto. È Il caso della collocazione di Maria e Gabriele nei pilastri o nei pennacchi di un arco trionfale, spesso in interdipendenza con le immagini raffigurate nell'abside (Brenk, 1963), oppure nei due sportelli di un'ancona o nelle ante di un organo, o ancora nelle cuspidi laterali di un polittico.Talvolta uno dei protagonisti, con la propria funzione e con la propria dotazione spaziale, tende a prevalere sull'altro, spesso in ragione del diffondersi di una determinata posizione teologica; così può accadere a Gabriele di preponderare, relegando la Vergine in una situazione angusta e di potenzialità limitata, oppure di sostenere semplicemente il ruolo di relatore del messaggio e della volontà dell'Eterno; quest'ultimo compare talvolta in un ruolo autonomo con la colomba dello Spirito Santo, subordinando l'angelo non solo alla propria presenza ma spesso anche a quella di Maria, davanti alla quale questi si inginocchia riconoscendone la divina maternità.Per la sua fondamentale importanza nel piano salvifico, l'a. fu uno dei temi religiosi più frequentemente raffigurati nell'arte fin dal periodo paleocristiano. I primi esempi, molto semplici dal punto di vista iconografico, con la Madonna seduta alla quale Gabriele appare sopraggiungendo da destra, sono reperibili nell'ambito della pittura catacombale a Roma (cimitero di Priscilla, catacomba dei Ss. Marcellino e Pietro). In queste proto-rappresentazioni si segue la narrazione di Luca: infatti, anche se non compare nella scena un'ambientazione domestica, la Vergine è raffigurata seduta, quasi appartata e assorta.L'influenza dei Vangeli apocrifi nell'iconografia dell'a. è documentata, a partire dal sec. 5°, dall'introduzione di molti nuovi elementi che ne arricchirono e diversificarono le rappresentazioni in ambito sia occidentale sia, soprattutto, bizantino. Generalmente nelle aree più influenzate dalla cultura di Bisanzio la Vergine dell'a. appare intenta a lavori manuali, secondo appunto la narrazione apocrifa, mentre in Occidente essa è rappresentata assorta in occupazioni intellettuali o in meditazione e preghiera. Questa distinzione manifesta tuttavia i suoi limiti quando si pensi a episodi figurativi quale quello dell'arco trionfale di S. Maria Maggiore a Roma, del tempo di papa Sisto III (432-440), in cui Maria, abbigliata con vesti auree (palla contabulata e colobium) e adorna di gioielli come una basilissa, seduta e con i piedi poggiati su di un suppedaneum, fila la porpora per il Tempio (Protovangelo di Giacomo, 11, 1-2; Pseudo-Matteo, 11, 2). In alto convergono su di lei la colomba a sinistra e Gabriele a destra, mentre più a destra, verso il centro dell'arco, si svolge l'episodio dell'annuncio a Giuseppe. La rappresentazione appare inoltre come la sintesi dei due momenti dell'a. descritti dagli apocrifi: Maria è infatti all'esterno della casa, che appare all'estremità sinistra, come nell'episodio della chiamata presso il pozzo o la fonte, ma, contemporaneamente, essa fila la porpora e lo scarlatto, come si dice facesse, in casa, all'arrivo dell'angelo. Anche nella cattedra eburnea dell'arcivescovo Massimiano (546-554), prodotta a Costantinopoli intorno alla metà del sec. 6° (Ravenna, Mus. Arcivescovile), compare a sinistra un edificio, di cui si scorge quasi soltanto il timpano, che rappresenta la casa di Maria. La Vergine è seduta in un seggio dall'alto schienale avvolgente e davanti a lei, in piedi e costretto nell'esiguo spazio della formella, Gabriele appare benedicendo con la destra e recando nella sinistra l'asta. Quasi identico è l'atteggiamento dell'angelo nell'a. raffigurata in due rotae del frammento di seta sargia, di manifattura probabilmente siriaca del sec. 8°-9° (Splendori di Bisanzio, 1990, nr. 57, pp. 152-155), già nel tesoro del Sancta Sanctorum in Laterano (Roma, BAV, Mus. Sacro). Anche qui la Vergine è seduta, ma su un trono gemmato di differente struttura, e ha alla sua sinistra il cestino per il lavoro momentaneamente interrotto.Talvolta Maria è colta in piedi dal sopraggiungere dell'angelo, e non solo nella scena presso il pozzo, ma anche all'interno della casa. Questo tema iconografico, che si diffonde in Oriente dal sec. 6°, trova un probabile riscontro ancora nella prima metà del successivo, come è dato vedere nei pochi lacerti riferibili all'a. della parete-palinsesto di S. Maria Antiqua a Roma. Qui infatti, anche se non è possibile stabilire se la scena sia ambientata in uno spazio interno o esterno, il volto della Vergine, a sinistra, è allineato con quello di Gabriele: i protagonisti sono dunque entrambi in piedi, l'uno di fronte all'altro.Dopo il periodo iconoclasta (730-843), in cui si assistette in Oriente a un arresto nella elaborazione e diffusione del tema iconografico dell'a., la ripresa nell'uso delle immagini avvenne spesso con nuovo impulso e vivacità. La scena si arricchì nella gestualità dei protagonisti: talvolta la Vergine mostra a Gabriele le mani aperte, quasi in un gesto di istintiva difesa, come nel Codex Egberti (Treviri, Stadtbibl., 24, c. 9v, sec. 9°), oppure si gira, quasi sorpresa, alla chiamata dell'angelo che incede benedicente verso di lei, come nella c. 3 dell'Exultet del tesoro del duomo di Capua, del sec. 11° e di produzione campana.Se il linguaggio dell'Exultet di Capua appare stimolato dalle novità elaborate in ambito cassinese - è inoltre da notare che l'a. è un'immagine rara nella decorazione di Exultet -, in altri casi l'osservanza dei temi tradizionali si fa apparentemente più rigida. Nel caso di un dittico eburneo 'greco' (Milano, Tesoro del Duomo) di produzione bizantino-orientale (Splendori di Bisanzio, 1990, nr. 71, pp. 182-183), la cui datazione è definita per via di confronti stilistici e notazioni deduttive al sec. 11°, l'iconografia dell'a. sembrerebbe non discostarsi troppo da quella adottata nella cattedra di Massimiano ben cinque secoli prima. Anche qui Maria siede, a sinistra, su di un trono e poggia i piedi su di un suppedaneum, anche qui Gabriele sopraggiunge da destra, benedicendo e recando l'asta; tuttavia l'angelo della cattedra di Massimiano appare stante e solenne di fronte alla Vergine, mentre quello del dittico 'greco' denuncia il suo immediato apparire nel passo non ancora chiuso, nello stilema dell'abito dal bordo svolazzante. Inoltre Maria presenta una differente collocazione, pur risolta in forme simili: il trono dall'alto schienale avvolgente si trasforma infatti in due distinti elementi, un sedile e uno spazio voltato, definito da una struttura architettonica a conci regolari e decorazioni scolpite, di cui si vede il fianco. Questa struttura sostituisce il timpano che nella cattedra rappresentava la casa della Vergine relegata nello sfondo e ne riassume la funzione ambientando l'a. in uno spazio che è ugualmente esterno e interno, e insieme racchiude e incornicia Maria in un 'trono' architettonico a un tempo solenne e domestico. Più tardi, e soprattutto nel sec. 15°, fu un porticato a fare da sintesi e da raccordo tra spazio esterno e spazio interno.Il tema della Vergine seduta e con gli strumenti per filare è più raro in ambito occidentale, tuttavia lo si ritrova, ancora nel sec. 11°, in un rilievo in S. Michele a Pavia e, nel secolo successivo, in una formella della porta bronzea di Bonanno Pisano per il duomo di Pisa e in una lastra scolpita della vasca battesimale del battistero di Verona. Anche nella Francia del sec. 12° questo tema è documentato: lo si trova, per es., nel Saint-Trophime ad Arles e nel Saint-Jouin a Marnes. Ciononostante, l'attributo del fuso o della rocca che accompagna la Vergine per significarne l'attendere alla filatura viene, come si è detto, progressivamente sostituito in ambito occidentale da un libro che indica come Maria fosse intenta non a lavori manuali, bensì alla meditazione e alla preghiera. Un precoce esempio di questa tendenza lo si trova in un avorio di Metz del sec. 9°-10° (Parigi, Louvre; Pächt, 1960, tav. 118e). In seguito la presenza del libro divenne pressoché canonica e venne riferita, a volte in modo esplicito con la citazione del testo, alle profezie bibliche sull'incarnazione, particolarmente a Is. 7, 14 (per es. Lione, Saint-Martin-d'Ainay, capitello del sec. 12°). Non a caso nel sec. 12° l'accento viene posto sul momento dell'incarnazione: attraverso il libro con le profezie, con la presenza esplicita dello Spirito Santo in forma di colomba, con il raggio, che significa il Verbo, emanato direttamente dall'Altissimo o per il tramite di Gabriele (come in uno degli smalti di Nicola di Verdun nella chiesa abbaziale di Klosterneuburg presso Vienna); in realtà l'a. viene vista sempre di più come il momento in cui si attua il piano della salvazione attraverso Maria, nuova Eva, vincitrice sul male e sul peccato dei progenitori, madre di Cristo e di tutta l'umanità redenta. Il momento dell'incarnazione può anche essere colto nella rappresentazione del Verbo che, ascoltato da Maria, si fa carne; si ha allora una iconografia che rappresenta un raggio luminoso o una linea purpurea entrare nell'orecchio della Vergine, come nell'evangeliario di Gengenbach del sec. 12° (Stoccarda, Württembergische Landesbibl., Bibl. 2° 28, c. 28; Schiller, 1966, fig. 92). Una rappresentazione ancora più esplicita del Verbo incarnato è offerta dal mosaico torritiano nell'abside di S. Maria Maggiore, dove nell'a. compare addirittura la bocca dell'Eterno da cui il raggio viene emanato; per il resto Torriti segue lo schema consolidato della tradizione bizantina, con Gabriele e Maria in piedi, l'uno davanti all'altra: stante il primo, in un apparire senza moto, sollevatasi la seconda dalla cattedra al sopraggiungere del messaggero. Ben diversa è invece l'a. di Pietro Cavallini in S. Maria in Trastevere. Qui il saluto dell'angelo che scorre nella fascia sottostante è accompagnato dal gesto eloquente con cui questi, che ancora incede verso di lei, si rivolge a Maria; questa, seduta entro un trono-architettura - che deriva evidentemente dall'elemento sintetico di spazio interno (la cattedra) ed esterno (il prospetto della casa) cui si è prima accennato, ma che ha ormai assunto il valore autonomo di una edicola - ha appena chiuso il libro e porta una mano al petto in segno di umile incredulità. In alto l'Eterno ha le sembianze di Cristo e invia, attraverso il raggio del Verbo, la colomba dello Spirito Santo che scende verso la fanciulla. Il terreno è roccioso ma vi germogliano fiori, mentre altri fiori, i tre gigli simbolo della triplice verginità di Maria (ante partum, in partu, post partum, come dogmaticamente sancito dal concilio Lateranense del 639), sono contenuti in un vaso accanto a lei. L'introduzione nella scena dell'a. di un giglio o di un serto di gigli che fiorisce o che è contenuto in un vaso, o che infine, soprattutto in un momento più tardo, è recato dall'angelo in luogo dell'asta o dello scettro, è collegata al tema dell'incarnazione (Is. 11,1), ma con l'accento specificamente sulla purezza e verginità di Maria (Ct. 2,2). Maria, creatura altissima quanto umile, è rappresentata, in ispecie a partire dalla seconda metà del sec. 13°, con una particolare attenzione nei confronti dei suoi moti interiori, espressi dalla sua gestualità. Il turbamento della donna è ben rappresentato dal gesto timoroso del suo ritrarsi o del volgersi spaventato e repentino (Stubblebine, 1964; Seidel, 1970) che a volte la fa vacillare tanto da costringerla a sostenersi a una colonna (Montesiepi, oratorio di S. Galgano, sinopia di Ambrogio Lorenzetti; Diemer, Diemer, 1979); ma presto segue l'accettazione della volontà del Signore: la Vergine, scrive lo pseudo-Bonaventura (Meditationes, IV), si inginocchia e giungendo le mani dichiara: "Ecce ancilla Domini". Con le braccia incrociate sul petto Maria è raffigurata da Ambrogio Lorenzetti, uno degli artisti più fecondi nella elaborazione di temi figurativi mariani della prima metà del sec. 14°, in una tavola di piccole dimensioni conservata nella Pinacoteca Naz. di Siena (1344). L'accettazione di Maria, espressa dal gesto della braccia conserte e abbandonate sul grembo, si ritrova anche nell'affresco fiorentino della SS. Annunziata (sec. 14°), in cui il valore gestuale è ribadito dalla scritta "Ecce ancilla Domini". Di pari passo con l'arricchirsi iconografico e teologico dell'immagine dell'Annunciata, l'arcangelo assume un atteggiamento via via più devoto: presentandosi a Maria egli non assume più la posizione stante, ma si inginocchia, spesso chinando il capo alla sua plenitudo gratiae; Pietro Lorenzetti, nel polittico della pieve di Arezzo (1320), pone addirittura Gabriele leggermente più in basso rispetto alla Vergine seduta.Se il sec. 13° era stato fecondo di novità come di riprese 'colte', interpretate però con vivacità nuova - per es. nella cattedra episcopale di Barga (Lucca) la figura della donna curiosa che solleva una cortina nella stanza per ascoltare quanto l'angelo dice a Maria richiama un personaggio analogo su un avorio del sec. 6° (Parigi, BN) - anche il sec. 14° non rifiuta il retaggio di tradizioni figurative già quasi dimenticate o comunque poco praticate. All'inizio del secolo Giotto, nella padovana cappella dell'Arena (1306), aveva rappresentato con grande evidenza la scena preliminare all'a., con l'Eterno, circondato dalle schiere angeliche, che invia Gabriele a Maria, un tema già rappresentato nel sec. 12° nelle Omelie del monaco Giacomo (Parigi, BN, gr. 1208, c. 154v; Roma, BAV, gr. 1162, c. 113v) e che, grazie all'autorità di Giotto, venne ripreso da altri artisti nel corso del sec. 14°, come per es. da Spinello Aretino nel S. Francesco di Arezzo, e nel secolo successivo (Van Os, 1969, p. 30; Zucker, 1975).Pochissimi anni dopo, con ben diversi esiti si cimentò nella rappresentazione dell'a. il senese Duccio di Buoninsegna, in un riquadro del recto della predella della Maestà, oggi conservato a Londra (Nat. Gall.). Le poetiche architetture sghembe di un porticato separano, per mezzo di un pilastro, Gabriele benedicente, che avanza da sinistra, da Maria, alzatasi repentinamente in piedi, che sta per coprirsi il volto con il velo mentre con la mano sinistra trattiene il libro che le sta cadendo dal grembo. Fulcro della composizione è un vaso di gigli tra le due figure. Nel recto del coronamento, invece, rappresentando l'annuncio della morte alla Vergine (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana), Duccio esprime un diverso repertorio desunto dall'a.: l'angelo si inginocchia davanti a Maria che presto assurgerà alla gloria celeste ed ella, serena di fronte all'annuncio della morte quanto turbata era stata a quello della maternità, ascolta seduta davanti al libro aperto sul leggìo. Il soffitto a cassettoni e le pareti aperte sul vuoto da ampie arcate tentano di definire un'interno domestico.Grazie all'interesse per la definizione prospettica e la sistemazione spaziale, che appare significativamente espresso nella citata a. di Giotto nella cappella dell'Arena (si notino le strutture architettoniche aggettanti, perfettamente simmetriche e convergenti, che 'contengono' Gabriele e Maria), la rappresentazione dell'interno della casa di Nazareth si articola progressivamente in un ambiente definito, spesso una camera da letto (Robb, 1936) - se non addirittura, ma soprattutto nella pittura fiamminga del Quattrocento, in più ambienti in fuga prospettica -, e si arricchisce di elementi simbolici e connotanti o puramente decorativi. È in questo ambito che la presenza di un raggio solare che attraverso la finestra penetra nella stanza si presta a ricordare con un'immagine metaforica la verginità di Maria, poiché il raggio non offende né spezza il vetro attraverso cui passa, pur portando all'interno della stanza luce e calore (Meiss, 1945).Nel tracciare una panoramica delle rappresentazioni dell'a. nel precoce Trecento italiano non può, comunque, trascurarsi l'interpretazione anacronistica e moderna al tempo stesso del senese Simone Martini (Firenze, Uffizi), che pose nella mano di Gabriele un ramo di sempreverde, simbolo della pacificazione tra Dio e gli uomini attuata attraverso l'incarnazione. L'altra mano dell'angelo indica in alto al centro la colomba in una gloria angelica che si annida sotto l'arcata centrale della struttura trittiforme della pala. Al centro, ancora una volta è un vaso con un alto cespo di gigli che fa da elemento fulcro strutturale e concettuale della scena; a destra Maria, seduta, si ritrae timorosa alle parole di Gabriele che le giungono, vergate in oro sull'oro del fondo, come un nesso luminoso con il mistero divino. In alto, nelle cuspidi laterali due profeti mostrano cartigli con testi precognitivi sull'incarnazione.Nel sec. 14° e in particolare nel 15°, la contemporaneità tra i momenti della conceptio e dell'annuntiatio è ribadita attraverso la diffusione di due temi particolari: la discesa del Bambino verso il seno della Madre e, in accezione tutta simbolica, la caccia mistica al liocorno. Nel primo si vede il raggio divino del Verbo che, procedendo verso la Vergine, si incarna nelle fattezze del Bambino Gesù, il quale talvolta già reca con sé la croce che è nel destino della sua parabola terrena.Questa rappresentazione fu criticata dall'ortodossia della Chiesa e definitivamente condannata dal concilio di Trento, perché collocava l'incarnazione al di fuori del corpo della Vergine; essa è tuttavia documentata nella produzione artistica del sec. 14° (Pacino di Bonaguida, medaglione nell'Albero della vita, Firenze, Gall. dell'Accademia; Lorenzo Veneziano, Venezia, Gall. dell'Accademia; maestro Bertram, pala di Grabow, Amburgo, Mus. für Kunst und Gewerbe) e del sec. 15° (Giovanni Santi, Milano, Pinacoteca di Brera; scultura in alabastro di produzione inglese, Saint-Michel, Bordeaux; lunetta sul portale nord della Marienkirche, Würzburg). Il secondo tema trae spunto da testi quali il biblico Cantico dei Cantici e il Physiologus (prodotto della cultura alessandrina del sec. 2°-3°) per significare in chiave allegorica l'incarnazione del Verbo. Secondo il Physiologus, infatti, che descrive il liocorno al ventiduesimo posto nell'elenco degli animali, questa bestia, piccola ma dotata di forza straordinaria, poteva essere catturata solo per mezzo di una vergine, davanti alla quale si sarebbe spontaneamente inginocchiata lasciandosi prendere. Questa immagine fu usata, fino alla sua condanna da parte del concilio di Trento, come una rappresentazione simbolica dell'incarnarsi di Cristo, attraverso il grembo di Maria, e del suo offrirsi per la salvazione dell'umanità.

Bibl.:

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