ANTICRISTO/MESSIA

Federiciana (2005)

Anticristo/Messia

Andrea Piazza

"Sale dal mare una bestia piena di nomi blasfemi, la quale, infierendo con zampe d'orso e con fauci di leone, e nelle altre membra con forma di leopardo, apre la bocca per oltraggiare il nome divino, e non smette di assalire con simili dardi né il tabernacolo di Dio né i santi che abitano nei cieli" (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 19, cc. 156v-159v, nr. 256; traduzione a cura dell'autore). Con queste parole il 1o luglio 1239, in un testo indirizzato a tutti gli arcivescovi, i vescovi e i re della cristianità, Gregorio IX associa la bestia del XIII capitolo dell'Apocalisse a Federico II, "detto imperatore". L'epistola è stata conservata negli archivi della Sede Apostolica con cura: essa è posta a chiusura del registro della corrispondenza del dodicesimo e tredicesimo anno di pontificato, subito dopo le lettere con cui, tre mesi prima, era stata resa nota ai fedeli la scomunica dell'imperatore.

Da allora le immagini dell'Apocalisse sono legate alla persona dello Svevo: i mostri dell'ultimo libro della Bibbia e la figura dell'Anticristo tornano più volte, in scritti di natura diversa, sia documentaria sia letteraria, elaborati dal Papato, da prelati, da membri di Ordini religiosi, talvolta anche da cronisti di aree diverse dell'Occidente, per individuare e fissare in maniera inequivocabile il ruolo dell'imperatore nel suo scontro con la Sede Apostolica. Le parole di Gregorio IX sono un riferimento importante per comprendere e misurare i testi successivi.

Il pontefice non si limita a identificare Federico II con la bestia dell'Apocalisse: insinua che lo stesso imperatore si vanti di essere preambulus Antichristi. Egli fa ciò in uno scritto complesso, che ripercorre i punti di contrasto tra Curia romana e Impero, e con essi le vicende degli ultimi dieci anni ‒ dall'impresa per la riconquista della Terrasanta, alla difesa dei diritti della Chiesa e allo stabilimento della pace nell'Italia centro-settentrionale ‒, per concludersi con l'accusa di eresia: lo Svevo è eretico perché ha sostenuto che Gesù, Mosè e Maometto sono tre impostori che hanno ingannato il mondo, perché non crede che Dio sia potuto nascere da una vergine, perché ritiene che l'uomo non debba credere se non a ciò che può essere provato con la "forza e la ragione della natura" (ibid., c. 159v), ma soprattutto perché non riconosce l'autorità di legare e sciogliere conferita da Dio ai successori di Pietro, perché non accetta dunque il privilegium potestatis della Chiesa. Quindi il linguaggio apocalittico accompagna un'analisi serrata della storia recente e si coniuga con il tema dell'eterodossia: Federico è la "bestia" dell'Apocalisse e ‒ come egli stesso si definirebbe ‒ "preambolo dell'Anticristo" (ibid., c. 159r) perché scuote i diritti della Chiesa nei loro fondamenti, perché si è posto contro le grandi missioni della cristianità, quelle definite nei canoni del IV concilio lateranense, perché, infine, è eretico.

L'accusa di eresia rappresenta una novità di questo documento rispetto alla prima serie di lettere con le quali la Sede Apostolica, tre mesi prima, aveva dato notizia della scomunica di Federico. Motivata dal di-sprezzo per l'autorità del Papato, verosimilmente essa è formulata in conseguenza dei tentativi dello Svevo di giungere a un 'generale concilio' che giudichi il suo contrasto con il pontefice. In tale quadro, i crimini dell'imperatore appaiono alla Curia romana così eccezionali da richiedere di essere spiegati e fissati nella memoria dei contemporanei secondo modalità inconsuete, che ne esprimano icasticamente il carattere di sovvertimento dell'ordine della società cristiana e ne rivelino la corretta collocazione nella storia sacra: il richiamo all'Apocalisse non solo chiarisce ai cattolici la gravità inaudita delle vicende presenti, ma sacralizza al massimo grado il conflitto, con lo scopo di obbligare i fedeli a prendere posizione a favore della Chiesa di Roma.

Questa esigenza di persuadere gli uomini di ogni parte della cristianità, pure con le sue componenti propagandistiche, ispira anche la corrispondenza successiva, nella quale continuano a bilanciarsi invettive bibliche e analisi delle disastrose condizioni provocate dall'imperatore in varie parti della terra. Per perseguire con maggiore efficacia il suo proposito Gregorio IX gradualmente amplia l'immaginario apocalittico. Nel manifesto Convenerunt in unum, collocabile nel giugno 1240, il papa identifica apertamente lo Staufer con l'Anticristo, e pure lo addita come il drago del capitolo XII del libro di Giovanni; nella Vox in Rama, tra luglio e agosto 1241, lo indica come il "vicario del dragone antico" (Schaller, 1993, p. 381). Il motivo del drago è centrale in un breve componimento in versi ‒ il Caput draconis ultimum ‒ che il cronista Salimbene de Adam attribuisce allo stesso Gregorio IX. Insomma, proprio Gregorio IX ha un ruolo preminente nel diffondere l'idea che Federico sia personaggio di un dramma già previsto dall'evangelista Giovanni per la conclusione dei tempi. Egli riprende e approfondisce un linguaggio escatologico che aveva adoperato già in precedenza nel convincimento che l'umanità si trovasse alla fase estrema della sua storia: gli avvenimenti recenti, con lo scontro tra i due vertici della cristianità, hanno ora un riferimento figurativo, e la spiegazione definitiva, solo nelle pagine più terribili dell'ultimo libro della Bibbia.

La ricchezza del linguaggio di Gregorio IX viene meno con il successore, Innocenzo IV. Al concilio di Lione la sentenza di deposizione del 17 luglio 1245 non proietta più sull'imperatore le immagini finali della Bibbia: Federico è deposto per quanto ha fatto e perché è eretico. Negli anni seguenti, nella sua corrispondenza il papa di rado addita lo Svevo come prenuntius Antichristi. Eppure proprio nei primi tempi del pontificato di Innocenzo IV la lettura delle azioni dell'imperatore alla luce del racconto dell'Apocalisse di Giovanni s'intensifica e si propaga. Ciò avviene a cominciare da ambienti di Curia, in particolare dalla cerchia del cardinale Raniero Capocci, il cistercense che con ogni probabilità aveva contribuito alla stesura degli ultimi atti di Gregorio IX. Dal gruppo dei collaboratori del prelato provengono verosimilmente due degli scritti più aspri contro lo Staufer, databili al 1245: lo Iuxta Vaticinium e l'Aspidis ova. Anche in essi l'invettiva biblica ricorre come intercalare in un esame serrato delle opere dell'imperatore: è il racconto storico a fondare l'immagine di Federico II autore dei peggiori misfatti, degno di molteplici soprannomi apocalittici, il più importante dei quali è prenuntius Antichristi. In questo momento l'uso ancor più insistente del lessico dell'Apocalisse rispecchia la volontà non solo di isolare l'avversario, ma anche di colpire al cuore la sacralità di cui egli continua a fregiarsi, negandone il legame con Dio e associandola al principe delle tenebre.

Proprio la familia del cardinale Raniero Capocci pare uno degli anelli di congiunzione tra la Curia romana e ambienti religiosi, quelli del monachesimo cistercense e florense, che, depositari dell'eredità delle dottrine di Gioacchino da Fiore, hanno grande peso nella proiezione delle vicende terrene dello Svevo nella dimensione escatologica. Gioacchino aveva innovato profondamente la tradizione medievale riguardo alla figura dell'Anticristo, facendo di questa un cardine della propria concezione di teologia della storia, che, nella formulazione raggiunta negli ultimi anni della sua esistenza, prevedeva il vicino approdo della cristianità ‒ dopo le epoche del Padre e del Figlio ‒ a una nuova condizione dominata dall'azione dello Spirito Santo, uno stato di perfezione di vita cristiana precedente la fine del mondo. Prima dell'Anticristo "ultimo", della fine dei tempi, l'abate aveva posto un Anticristo "vero e grande" nel passaggio alla terza epoca, seguendo una tendenza alla moltiplicazione degli anticristi già presente nella letteratura apocalittica del XII secolo. Inoltre, egli aveva fatto di tale Anticristo un personaggio di origini cristiane, in luogo di quelle ebraiche a lui attribuite fino allora, e ‒ in un'immagine rovesciata di Cristo ‒ un re, sacerdote e profeta, a capo di una setta di eretici: un personaggio così prossimo a venire che il monaco aveva ipotizzato perfino che fosse già nato.

Tali attese di eventi sconvolgenti forieri di un imminente rinnovamento della Chiesa, testimoniate in monasteri florensi, ma anche in abbazie cistercensi, restano vive nei primi decenni del Duecento, assumendo forme semplificate e di più immediata comprensione in opere ‒ come il Liber figurarum ‒ che circolano sotto il nome di Gioacchino da Fiore, e che di certo conservano elementi originali del suo pensiero. La svolta avviene con la scomunica di Federico II da parte di Gregorio IX e la sua deposizione durante il concilio di Lione nel 1245: in quegli ambienti monastici si compie l'identificazione dell'Anticristo "vero e grande" con lo Svevo. In effetti, l'immagine dell'Avversario elaborata da Gioacchino e coltivata dai suoi seguaci era facilmente sovrapponibile alla rappresentazione che dello Staufer la Sede Apostolica aveva costruito negli anni Trenta, man mano che i rapporti con l'Impero si deterioravano: se gradualmente si era proiettata su di lui l'accusa di tiranno e sovvertitore dell'ordinata vita della Chiesa, l'Ascendit de mari aveva aggiunto il crimine di eresia e gli avvenimenti dei mesi successivi avevano fatto temere un attacco contro il vicario di Cristo in persona. Nella costruzione del nesso tra imperatore e creature apocalittiche è difficile cogliere i modi della reciproca influenza tra Sede Apostolica e ambienti intellettuali che coltivano e sviluppano le idee gioachimite, un'influenza che, fondata su contatti risalenti forse già ai primi anni del pontificato di Gregorio IX, può essere stata attiva al momento della stesura della lettera del 1o luglio 1239, nonché delle epistole successive della Sede Apostolica. Di sicuro, il fatto che la Curia romana abbia associato le figure della bestia che ascende dal mare, del drago e dell'Anticristo a Federico II, conferma tutti i religiosi che meditano sulle opere di Gioacchino nella convinzione che l'imperatore sia davvero l'Anticristo "vero e grande" preannunciato dal loro maestro. L'esigenza di affiancare il Papato nella lotta contro lo Svevo, e la necessità di adattare le parole di Gioacchino ai drammatici avvenimenti del presente, costituiscono le ragioni dell'elaborazione di nuovi testi, attribuiti all'autorità dell'abate.

Spicca, a questo riguardo, il Super Hieremiam, che, redatto in cenobi florensi o cistercensi dell'Italia meridionale già nella prima metà degli anni Quaranta del Duecento, si presenta come un commento di Gioacchino alle profezie del libro biblico dedicato all'imperatore Enrico VI. In esso è previsto il rinnovamento della Chiesa ad opera di due Ordini religiosi attraverso la prova di una grande persecuzione prodotta dal potere imperiale: proprio nella sua malvagità, Federico II risulta strumento della Provvidenza per l'instaurazione della nuova era dello Spirito, in quanto ultimo imperatore e persecutore della Chiesa, Anticristo o precursore dell'Anticristo. L'incertezza al riguardo è superata da un altro commentario, il Super Isaiam, oggi datato, nella redazione più antica, alla fine degli anni Quaranta: Federico II ‒ e più tardi i suoi eredi ‒ diventano la settima testa del drago dell'Apocalisse, dunque l'Anticristo. Al Super Hieremiam si deve ricondurre pure un altro contributo all'immaginario apocalittico: la fissazione di un termine alle sofferenze della cristianità, l'anno 1260, dopo tre anni e mezzo di grandissime persecuzioni.

Simili profezie restano poco conosciute finché non raggiungono gli ambienti dei Frati mendicanti, i Predicatori e, soprattutto, i Minori. Incontri tra singoli gruppi di frati e le opere di Gioacchino sono attestati prima della deposizione dell'imperatore: ciò avviene ad esempio nel gruppo di religiosi intorno a Ugo di Saint-Cher nel convento dei Frati predicatori di Saint-Jacques di Parigi. Ma è alla seconda metà degli anni Quaranta che ‒ secondo Salimbene ‒ risale l'episodio destinato a far penetrare profondamente le profezie pseudogioachimite fra i Minori, e, attraverso essi, renderle note in vaste aree della cristianità. Racconta il cronista che nel 1247 l'abate di un monastero florense "tra Lucca e la città di Pisa, sulla via che va verso la città di Luni", aveva portato tutti i libri "editi" da Gioacchino nel convento dei Minori di Pisa nel timore che l'imperatore distruggesse il suo cenobio: l'abate riteneva che "in quel tempo in Federico dovessero venire a compimento tutti i misteri, dal momento che aveva una forte discordia con la Chiesa" (Salimbene de Adam, 1998, p. 356). Le parole del "vecchio e sant'uomo" hanno ripercussioni profonde nell'Ordine, a partire da Rodolfo di Sassonia, lettore del convento pisano, gran teologo e disputatore, che si trasforma in un eccellente esperto delle teorie di Gioacchino, "maximus Ioachita". Sia o no questa la strada principale seguita dai testi gioachimiti e pseudogioachimiti, tra i quali proprio il Super Hieremiam, certo è impressionante la diffusione che le dottrine ritenute di Gioacchino hanno fra i membri dell'Ordine di Francesco d'Assisi alla fine degli anni Quaranta: ad esse acconsentono il ministro generale Giovanni da Parma e numerosi frati di elevata cultura, come Ugo di Digne, che Salimbene dice di aver incontrato più volte a Hyères tra il 1248 e il 1249. L'adesione è favorita dal fatto che gli scritti circolanti sotto il nome di Gioacchino spiegano le persecuzioni cui l'Ordine, in gran parte schierato accanto al Papato, è sottoposto da parte dell'autorità imperiale, affidandogli nel contempo un ruolo primario ‒ accanto ai Predicatori ‒ nei cambiamenti attesi nella Chiesa.

I Minori danno così un contributo decisivo al diffondersi in tutta Europa dell'opinione che lo Staufer sia una delle figure malvagie che il libro di Giovanni indica per i tempi ultimi. Tra di loro Alessandro di Breme, conosciuti i testi pseudogioachimiti, rielabora la sua Expositio in Apocalypsim, inserendovi l'identificazione di Federico II con la bestia del capitolo XIII dell'Apocalisse, come già aveva fatto Gregorio IX, e lasciando intravedere la possibilità che Federico sia l'Anticristo in persona: "Unde liber iste inter cetera non vult, ut iam natus sit Antichristus, nisi velint regem Allemannorum ipsum intelligere" (Alessandro Minorita, 1955, p. 509).

Il Super Hieremiam, i testi di Alessandro di Breme e di Salimbene, e altri ancora, attestano che i monaci cistercensi e florensi prima, i Minori poi, accolgono e fanno conoscere pure profezie anonime, alcune di nuova composizione, altre rielaborazione di precedenti. Si tratta di brevi testi che danno voce alla minaccia imperiale contro la società cristiana, talvolta connotandola con tratti apocalittici: fra gli altri, vi sono la Sybilla Eritrea nelle sue diverse redazioni, i Dicta Merlini, il vaticinio attribuito a Michele Scoto ‒ nel quale Federico è il "grande drago", "martello del mondo" (Holder-Egger, 1905, p. 364) ‒, i versi sull'Anticristo Cum fuerint anni completi […], il Super decem plagas, il Super Sibillis et Merlino, il Super numerum hominis 666.

L'impatto di tali opere sui contemporanei è difficilmente valutabile. Certo la Curia imperiale ne è preoccupata e, per contrastare l'opinione che Federico II sia l'Anticristo in persona o quanto meno un suo immediato precursore, uomini di corte e la stessa cancelleria replicano subito, con una strategia in parte speculare a quella del nemico. In risposta all'Ascendit de mari, nel luglio 1239 la lettera di Federico II In exordio nascentis mundi equipara Gregorio IX al "cavallo rosso" di Apocalisse VI, 4: "Colui che solo di nome è papa scrisse che noi siamo la bestia che sale dal mare, piena di nomi blasfemi, ricoperta dei colori del leopardo. E noi asseriamo che proprio lui è quella belva della quale si legge: 'Usciva dal mare un altro cavallo rosso fuoco, e colui che sedeva su di esso, toglieva la pace alla terra, sì che i viventi si uccidano tra loro'" (Historia diplomatica, V, 1, pp. 348 s.). Il testo identifica poi il drago con l'Anticristo: "Lo stesso grande drago, che sedusse tutto il mondo, è l'Anticristo" (ibid., p. 349). Accostamenti tra il pontefice e l'Anticristo sono riproposti nella seconda metà degli anni Quaranta in ambienti ecclesiastici che vedono in Federico II il campione di una riforma della Chiesa. Così il domenicano Arnoldo, nel clima di suggestioni pseudogioachimite, nella sua Epistola de correctione Ecclesiae celebra l'imperatore come difensore della Chiesa e addita in Innocenzo IV colui che è in tutto opposto a Cristo: il papa è l'Anticristo nel contemporaneo De Innocentio IV P.M. antichristo libellus, forse dello stesso autore.

Nel complesso, tuttavia, la demonizzazione dell'avversario è praticata raramente dalla Curia regia, che piuttosto reagisce accentuando la diffusione di immagini dell'autorità imperiale che ne sottolineano il ruolo salvifico all'interno della storia, talvolta anche in prospettiva escatologica. In ciò essa attinge alla tradizione celebrativa della dinastia tedesca che era fiorita tra la fine del XII e gli inizi XIII sec. e che si era espressa in opere come il Pantheon di Goffredo da Viterbo o il Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli (v.). Una rinnovata lettura delle imprese imperiali in una dimensione di storia della salvezza emerge nel corso degli anni Venti e s'intensifica al tempo della prima scomunica e del viaggio in Palestina dello Staufer. Allora nella corrispondenza di quest'ultimo il recupero di profezie sull'ultimo imperatore ‒ le Revelationes dello Pseudo-Metodio, la Sybilla Tiburtina, la Sybilla Cumea ‒ si alterna all'impiego di temi biblici per celebrare Federico e la sua stirpe come successori di David, portatori dunque di speranze messianiche: così, per esempio, avviene nell'epistola con la quale l'imperatore annunzia il suo ingresso in Gerusalemme, la Letentur in Domino del 18 marzo 1229, nella versione inviata fuori dalle terre dell'Impero.

Dalla fine degli anni Trenta, dopo che il conflitto con la Sede Apostolica si è riacceso, il richiamo alla funzione salvifica dello Svevo torna con maggiore forza negli scritti di cancelleria, come nella lettera alla città di Iesi ‒ luogo di nascita di Federico II ‒, celebrata come seconda Be-tlemme, o nell'epistola del gennaio 1240 alla città di Viterbo, i cui abitanti sono esortati ‒ con le parole di Giovanni Battista ‒ a "preparare la via del Signore e raddrizzare i suoi sentieri", accogliendo Cesare (Constitutiones et acta, II, 1896, nr. 219, p. 304). Degno di menzione è pure il manifesto Collegerunt pontifices et pharisei consilium, da datare verosimilmente al 1240, che assimila la drammatica vicenda dello Staufer alla passione di Cristo. Il ricorso a motivi scritturali non appare accidentale, ma è da collegare alla consapevolezza del dovere di guida e rinnovamento della vita religiosa della Chiesa che traspare da alcuni atti di Federico II dopo la scomunica e nell'ultimo decennio di vita: l'imperatore si sente investito di questa missione a tal punto che, per esempio, celebrando il Natale nel duomo di Pisa nell'inverno 1239 si mette a predicare, e mentre avanza nelle terre del ducato di Spoleto e della Marca di Ancona si fa precedere dalla croce.

Tanto le immagini legate alla figura dell'ultimo imperatore, quanto quelle connesse ai protagonisti dell'Apocalisse, solo di rado hanno trovato accoglienza nella cronachistica italiana e transalpina coeva. I manifesti papali e quelli dello Svevo vengono assunti dai cronisti per lo più come materiale documentario, senza che ne sia accettata la logica apocalittica. La volontà di distacco dall'immaginario escatologico è particolarmente chiara nei Chronica Maiora di Matteo Paris (v.), che riproduce il testo dell'Ascendit de mari, ma nel contempo ne sottolinea la valenza propagandistica.

Eppure il successo di quelle rappresentazioni tra gli uomini, in particolare tra gli intellettuali di Chiesa, è attestato con grande efficacia dalle parole di Salimbene de Adam. Proprio il frate minore parmigiano racconta l'incredulità che circonda l'improvvisa scomparsa di colui che sembrava chiamato a portare a compimento un passaggio importante della storia dell'umanità.

La nuova situazione provoca reazioni molteplici. Gli ambienti ecclesiastici più vicini alla Curia romana non sembrano più interessati a una lettura apocalittica della vicenda dello Svevo, che invece è tentata da intellettuali soprattutto dell'Ordine dei Minori. Ancora una volta le interpretazioni proposte si ricollegano al patrimonio di idee sulla storia dei tempi ultimi dell'umanità che aveva riferimento nell'autorità di Gioacchino. Attraverso testi letterari ‒ così il Liber de oneribus prophetarum, attribuito all'abate, ma collocabile a metà degli anni Cinquanta del Duecento, o il Super Isaiam nelle successive redazioni, che giungono sino alla fine del secolo ‒ e figurativi ‒ come quello attestato da Tommaso di Pavia, ascrivibile ai primi anni Cinquanta, e quello conservato nel manoscritto Vat. Lat. 3822, pure degli anni Cinquanta, proveniente dalla Francia meridionale ‒ si riduce gradualmente il ruolo dello Svevo da campione finale del male, prima dell'instaurazione dell'epoca dello Spirito, a esponente di una stirpe che collettivamente assolve il ruolo di avversario ultimo della Chiesa e che dovrà esprimere l'Anticristo, individuato ora nell'uno ora nell'altro dei discendenti. In un'ulteriore rivisitazione del Liber figurarum, nota con il titolo di Praemissiones, originaria dell'Italia del Sud e risalente agli anni Sessanta del XIII sec., lo Staufer è individuato nella settima testa del drago dell'Apocalisse, senza più collegamento con la sua progenie: il suo destino apocalittico è definitivamente concluso, e l'umanità resta in attesa dell'Anticristo della fine dei tempi, con il venir meno della prospettiva di un'età sotto il segno dello Spirito Santo.

Dunque, dopo il 1250, mentre si stemperano i tratti escatologici dell'immagine di Federico II, l'uso dello schema apocalittico del drago mantiene vitalità, mostrandosi apertamente funzionale alle situazioni contingenti: nel contesto delle lotte in Italia tra gli schieramenti filopapale e filoimperiale, presto inasprite dal coinvolgimento delle dinastie prima degli Angiò, poi degli Aragonesi nelle vicende del Regno di Sicilia, si moltiplicano le identificazioni dell'Anticristo con l'uno o con l'altro dei figli dello Svevo, e con parenti di grado sempre più lontano, con la riduzione dell'avo a uno dei tanti anticristi ravvisati nella storia della cristianità.

Accanto alle profezie fondate su esegesi del testo biblico attribuite all'abate Gioacchino permangono racconti che rivestono la figura di Federico II di tratti escatologici più generici. All'origine di tali narrazioni, che rielaborano tradizioni diverse, alcune più recenti, altre più antiche, vi sono i dubbi sorti alla notizia dell'inattesa morte dello Svevo, soprattutto nelle terre italiane. Così, negli anni Cinquanta il frate minore Tommaso di Pavia ricorda un confratello che, in visione, ha assistito al crollo del palazzo lateranense, mentre una voce gridava: "Ecco è resuscitato Nerone" ‒ cioè Federico II ‒ "ed è l'Anticristo" (Longpré, 1923, p. 25). Alla fine del medesimo decennio il minore Tommaso da Eccleston, nel suo De adventu Minorum in Angliam, attribuisce a un confratello in preghiera la visione di Federico II che, con un esercito di cinquemila cavalieri, prende la via del mare per raggiungere l'Etna: i tratti diabolici dell'episodio sono drammatizzati, oltre che dalla destinazione ‒ il vulcano ‒, dal fatto che l'imperatore e i suoi equites fanno crepitare l'acqua che attraversano, "come se fossero di bronzo ardente" (Fratris Thomae, 1951, p. 120). A siffatte leggende, dai caratteri 'neri', si contrappongono credenze circa il ritorno di Federico, momentaneamente sottrattosi alla vista degli uomini. Menzionati, per esempio, nella Weltchronik di Jans Enikel, del nono decennio del XIII sec., quindi nei Flores temporum, composti poco tempo dopo da un anonimo frate minore, con ogni probabilità tali racconti hanno avuto origine in Italia, verosimilmente in Sicilia, dove agli inizi degli anni Sessanta per la prima volta è attestato un individuo che pretende di essere Federico II ritornato. Si tratterebbe dunque di un aspetto di quelle attese che, per altro verso, nella penisola ‒ a partire dal libello di Tivoli e dalla lettera di Pietro di Prece ‒ esprimono la fiducia, anch'essa radicata nelle profezie, soprattutto nella tradizione della Sibilla, nell'arrivo di un successore di Federico II destinato a compierne l'opera, individuato ora nell'uno ora nell'altro personaggio dello schieramento ghibellino.

Dalla fine del Duecento le leggende sul ritorno di Federico II si diffondono in Germania, in concomitanza con la comparsa pure qui di uomini che dichiarano di essere lo Svevo. Se ne trova traccia con ogni probabilità nella Österreichische Reimchronik di Ottokar aus der Geul e in un canto di maestri cantori del tempo di Ludovico il Bavaro, di certo nella Chronica, di metà Trecento, del frate minore Giovanni di Winterthur.

Secondo costui, molti contemporanei credevano ‒ "demencia magna et fatuitas" ‒ che Federico II sarebbe ricomparso con grande potenza a riformare la Chiesa (Giovanni di Winterthur, 1955, p. 282). Compiuta la sua missione, lo Svevo "redivivo" si sarebbe recato con un grande esercito in Palestina dove, sul monte degli Ulivi ‒ o "aput arborem aridam", il legno della croce ‒ avrebbe rinunciato alle insegne imperiali. Il motivo del ritorno di Federico II s'intreccia con elementi della leggenda dell'ultimo imperatore, quale si era venuta modificando in seguito allo scontro tra Papato e Impero: Federico II ‒ destinato a chiudere la serie dei Cesari ‒ sarà chiamato a cambiare la Chiesa sconfiggendo le forze del male che ne impediscono il rinnovamento, e a instaurare un'epoca di prosperità. In tale quadro le speranze assumono un'intonazione nuova: i ricchi si sposeranno con i poveri, i monaci prenderanno consorte, a coloro che sono stati spogliati dei loro beni sarà resa giustizia, i chierici si nasconderanno e i religiosi, a partire dai Frati minori, fuggiranno dalle terre dell'Impero. Per Giovanni di Winterthur, ciò era "falsa credulitas" (ibid., p. 280): ma quella credulità mostra che il collegamento tra speranze di rinnovamento dell'umanità e Federico II, già emerso quando costui era in vita, non cessa di riproporsi, mentre la proiezione del figlio di Enrico VI nella dimensione dell'Anticristo si esaurisce poco dopo la chiusura della sua vicenda terrena.

Tra Quattro e Cinquecento il percorso positivo della leggenda di Federico II non s'interrompe: la credenza che in quanto imperatore della fine dei tempi lo Svevo continui a vivere ‒ in un castello sul Kyffhäuser, o su altro monte in Turingia, o presso Kaiserlautern, o in altri luoghi ancora ‒ si rinnova a più riprese.

Tuttavia dal volgere tra XV e XVI sec. la sua fama comincia a offuscarsi a motivo del riemergere della figura dell'avo Federico I: allora la confusione tra i due personaggi diventa frequente, e in breve tempo la memoria del Barbarossa prende il sopravvento su quella del suo discendente.

fonti e bibliografia

La documentazione papale trasmessa dai registri vaticani qui utilizzata può essere letta in M.G.H., Epistolae saeculi XIII e regestis pontificum Romanorum selectae per G.H. Pertz, a cura di C. Rodenberg, I-II, 1883-1887, talvolta nelle edizioni delle epistole di Gregorio IX e Innocenzo IV curate rispettivamente da L. Auvray (Paris 1908-1955) e da É. Berger (Paris 1884-1921) per la Bibliothèque des Écoles françaises d'Athènes et de Rome.

I manifesti antifedericiani di Gregorio IX, ma anche degli ambienti di Curia nei primi anni di pontificato di Innocenzo IV, nonché le risposte dell'imperatore, sono stati oggetto di edizioni sparse, ora elencate in modo puntuale in A. Sommerlechner, Stupor mundi? Kaiser Friedrich II. und die mittelalterliche Geschichtsschreibung, Wien 1999, p. 138 nn. 25 e 26. In generale, il volume della Sommerlechner costituisce uno strumento prezioso per individuare le fonti connesse al tema qui trattato, soprattutto nella parte dedicata all'argomento della Endzeit (ibid., pp. 219-230).

Del Super Hieremiam e del Super Isaiam non esistono ancora edizioni critiche. Dunque è necessario utilizzare i testi a stampa del XVI sec.: il primo è stato pubblicato a Venezia nel 1516 e di nuovo nel 1519, quindi a Colonia nel 1577; il secondo a Venezia nel 1517. L'Expositio in Apocalypsim di Alessandro Minorita è apparsa, a cura di A. Wachtel, in M.G.H., Quellen zur Geis-tesgeschichte des Mittelalters, I, 1955.

L'episodio dell'abate florense che si rifugia nel convento di Pisa si legge in Salimbene de Adam, Cronica, I, a. 1168-1249, a cura di G. Scalia, Turnholti 1998, p. 356. L'opera di Salimbene contiene numerose altre indicazioni sulla circolazione delle profezie di Gioacchino negli anni di Federico II ‒ per esempio in relazione a Ugo di Digne (ibid., pp. 349, 351, 356, 478, 488) e al ministro generale dei Frati minori Giovanni da Parma (ibid., pp. 351, 451, 462 ss.) ‒, reperibili attraverso gli indici dell'edizione curata dagli M.G.H.,Scriptores, XXXII, 1905-1913.

Per la notizia dell'incredulità riguardo alla morte dello Svevo si veda Salimbene de Adam, Cronica, I, p. 263.

Per le profezie non pseudogioachimite si ricorra a O. Holder-Egger, Italienische Prophetien des 13. Jahrhunderts, "Neues Archiv der Gesellschaft für Ältere Deutsche Geschichtskunde", 15, 1890, pp. 141-178; ibid., 30, 1905, pp. 321-386, 721-724; ibid., 33, 1908, pp. 95-187 (alle pp. 129-187 è il Liber de oneribus prophetarum). Si vedano pure le note concernenti lo stato delle edizioni e i progetti di pubblicazione contenuti nel saggio di M. Kaup, Friedrich II. und die Joachiten. Zur frühen joachitischen Antichristtheologie, "Annali dell'Istituto Storico Italo-Germanico in Trento / Jahrbuch des Italienisch-Deutschen Historischen Instituts in Trient", 25, 1999, pp. 401-416.

La citazione dell'epistola imperiale In exordio nascentis mundi si ritrova in Historia diplomatica Friderici secundi, V, I, pp. 348-351.

La Epistola de correctione Ecclesiae del predicatore Arnoldo, unitamente al De Innocentio IV P.M. antichristo libellus, è stata edita a cura di E. Winkelmann a Berlino nel 1865.

Per la letteratura celebrativa della dinastia sveva si rinvia a Goffredo da Viterbo, Pantheon, a cura di G. Waitz, in M.G.H., Scriptores, XXII, 1872, pp. 107-307, in partic. pp. 145-147, e a Pietro da Eboli, De rebus Siculis carmen, a cura di E. Rota, in R.I.S.2, XXXI, 1, 1904, in partic. pp. 177-182.

La Letentur in domino è contenuta in Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, in M.G.H., Leges, Legum sectio IV, II, Inde ab a. MCXCVIII. usque ad a. MCCLXXII., a cura di L. Weiland, 1896, pp. 162-167, nr. 122; per la lettera alla città di Iesi v. ibid., p. 304, nr. 219; mentre per l'epistola alla città di Viterbo si ricorra a Historia diplomatica Friderici secundi, V, 2, pp. 663-665.

La Collegerunt pontifices è pubblicata ibid., V, 1, pp. 308-312.

La parte dei Chronica Maiora di Matteo Paris relativa all'Ascendit de mari è in Rerum Britannicarum Medii Aevi scriptores, LVII, 3, a cura di H.R. Luard, London 1964 (riprod. anast.), pp. 590-609.

Sulla testimonianza di Tommaso di Pavia si veda E. Longpré, Les "distinctiones" de fr. Thomas de Pavie, O.F.M., "Archivum Franciscanum Historicum", 16, 1923, pp. 3-33, in partic. pp. 27 ss.

Per Tommaso da Eccleston si rimanda a Fratris Thomae vulgo dicti de Eccleston Tractatus de adventu fratrum Minorum in Angliam, a cura di A.G. Little, Manchester 1951 (ed. orig. Paris 1909), p. 120.

Per la Weltchronik di Jans Enikel il riferimento è a M.G.H., Deutsche Chroniken, III, 1900, p. 574; per i Flores temporum a M.G.H., Scriptores, XXIV, 1879, p. 241; per l'Österreichische Reimchronik di Ottokar aus der Geul a M.G.H., Deutsche Chroniken, V, 1, 1890, p. 427; infine per la Chronica del minore Giovanni di Winterthur a M.G.H., Scriptores rerum Germanicarum, n. ser., III, 1955, pp. 280 ss.

Il tema della rappresentazione di Federico II come Anticristo o come Messia ha percorso almeno due importanti settori della medievistica, vale a dire quello che si è occupato della storia dell'imperatore e quello che si è interessato dell'evoluzione della letteratura apocalittica e profetica nel Basso Medioevo. Quest'ultimo annovera storici quali Herbert Grundmann, Marjorie Reeves, Raoul Manselli, Bernhard Toepfer (del quale riveste grande interesse per il tema qui trattato il volume Das kommende Reich des Friedens. Zur Entwicklung chiliastischer Zukunftshoffnungen im Hochmittelalter, Berlin 1964; trad. it. Il regno futuro della libertà. Lo sviluppo delle speranze millenaristiche nel medioevo centrale, Genova 1992), Bernard McGinn, Robert Lerner: se ne veda la rivisitazione critica, con i riferimenti bibliografici, negli atti dell'incontro su Ricerche sull'influenza della profezia nel basso medioevo, tenuto presso l'Istituto storico italiano per il Medio Evo l'11 dicembre 2000, edito a cura di P. Donadoni-R. Michetti, in "Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo", 104, 2001-2002, pp. 145-208, con particolare attenzione al saggio di P. Donadoni-R. Michetti (pp. 147-166); ma cf. anche R. Michetti, Gli storici e il profetismo medievale: alcuni percorsi degli studi tra XIX e XX secolo, in L'attente des temps nouveaux. Eschatologie, millénarisme et visions du futur du Moyen Âge au XXe siècle, a cura di A. Vauchez, Turnhout 2002, pp. 111-133.

Negli ultimi venti anni tale filone di ricerca si è arricchito di numerosi studi, dedicati in particolare alla figura di Gioacchino da Fiore ‒ una trattazione critica e aggiornata al riguardo è nella voce dedicata all'abate florense da R. Orioli in Dizionario Biografico degli Italiani, LV, Roma 2000, pp. 61-66, cui si aggiungano i contributi in Gioacchino da Fiore tra Bernardo di Clairvaux e Innocenzo III. Atti del V Congresso internazionale di studi gioachimiti (S. Giovanni in Fiore, 16-21 settembre 1999), a cura di R. Rusconi, ivi 2001 ‒ e all'evoluzione della sua eredità, oltre che alle altre componenti dell'apocalittica del Duecento. Grazie a queste indagini oggi si ha una conoscenza ampia, anche se ancora non esaustiva, del contesto culturale e politico entro cui l'immagine dell'imperatore si colorò di attese escatologiche.

Fra gli studiosi che di recente si sono occupati della figura di Federico II in tale prospettiva, si distinguono Robert E. Lerner e Roberto Rusconi (dei quali si vedano rispettivamente le raccolte di saggi Refrigerio dei santi. Gioacchino da Fiore e l'escatologia medievale, Roma 1995, e Profezia e profeti alla fine del Medioevo, ivi 1999), nonché Bernard McGinn, del quale si segnalano: Visions of the End. Apocalyptic Traditions in the Middle Ages, New York 1979; Antichrist. Two Thousand Years of the Human Fascination with Evil, San Francisco 1994 (trad. it. L'anticristo, Milano 1996); Apocalypticism and Church Reform: 1100-1550, in The Encyclopedia of Apocalypticism, II, Apocalypticism in Western History and Culture, a cura di B. McGinn, New York 1998, pp. 74-109.

Strumento indispensabile di aggiornamento sulla letteratura gioachimita e pseudogioachimita è la rivista "Florensia. Bollettino del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti". Per la diffusione del gioachimismo e dello pseudo- gioachimismo all'interno dell'Ordine dei Frati minori cf. D. Berg, L'impero degli Svevi e il gioachimismo francescano, in L'Attesa della fine dei tempi nel Medioevo, a cura di O. Capitani-J. Miethke, Bologna 1990, pp. 133-167, e G.L. Potestà, Maestri e dottrine nel XIII secolo, in Francesco d'Assisi e il primo secolo di storia francescana, Torino 1997, pp. 307-336, in partic. pp. 313-315.

Per il commentario Super Isaiam cf. F. Troncarelli, Tra beneventana e gotica: manoscritti e multigrafismo nell'Italia meridionale e nella Calabria normanno-sveva, in Civiltà del Mezzogiorno d'Italia. Libro, scrittura, documento in età normanno-sveva, Salerno 1994, pp. 115-167, in partic. pp. 149, 154, 163; V. De Fraja, Usi politici della profezia gioachimita, "Annali dell'Istituto Storico Italo-Germanico in Trento / Jahrbuch des Italienisch-Deutschen Historischen Instituts in Trient", 25, 1999, pp. 375-400, soprattutto pp. 383-385.

Per le profezie minori sono utili M. Kaup, Friedrich II. und die Joachiten; G.L. Potestà, Roma nella profezia (secoli XI-XIII), in Roma antica nel Medioevo. Mito, rappresentazioni, sopravvivenze nella 'Respublica Christiana' dei secoli IX-XIII. Atti della quattordicesima settimana internazionale di studio (Mendola, 24-28 agosto 1998), Milano 2001, pp. 365-398; M. Kaup, Prophetie als Propagandamedium. Zu Funktion und Methode der Produktion und Exegese prophetischer Texte am Beispiel der Joachiten, in Propaganda, Kommunikation und Öffentlichkeit (11.-16. Jahrhundert), a cura di K. Hruza, Wien 2002, pp. 81-87.

Per le rappresentazioni apocalittiche mediante figure, dal Liber figurarum alla seconda metà del Duecento, una sintesi problematica è in F. Troncarelli, Il Liber figurarum tra "gioachimiti" e "gioachimisti", in Gioacchino da Fiore tra Bernardo di Clairvaux e Innocenzo III, pp. 267-286. Sulla Expositio in Apocalypsim di Alessandro Minorita sono utili S. Schmolinsky, Der Apokalypsenkommentar des Alexander Minorita. Zur frühen Rezeption Joachims von Fiore in Deutschland, in M.G.H., Studien und Texte, III, 1991; B. Roest, Franciscan Commentaries on the Apocalypse, in Prophecy and Eschatology, a cura di M. Wilks, Oxford 1994, pp. 29-37; S. Schmolinsky, Prophezeite Geschichte und früher Joachitismus in Deutschland. Zur Apokalypsendeutung des Alexander Minorita, in Ende und Vollendung. Eschatologische Perspektiven im Mittelalter, a cura di J.A. Aersten-M. Pickavé, Berlin-New York 2002, pp. 525-544.

Sui motivi messianici legati alla figura dell'imperatore nel corso degli anni Venti del Duecento prospettive aggiornate si trovano in B. Hechelhammer, Zur Verwendung eschatologischer Motive in der politischen Korrespondenz Kaiser Friedrichs II. zur Zeit seines Kreuzzuges, ibid., pp. 239-249.

A proposito della figura dell'ultimo imperatore ‒ nonché delle leggende che circondarono il personaggio di Federico II fino agli inizi del Cinquecento ‒ non si può prescindere dal complesso testo di H. Möhring, Der Weltkaiser der Endzeit. Entstehung, Wandel und Wirkung einer tausendjährigen Weissagung, Stuttgart 2000, e dall'articolo di Id., Friedrich II. und das Schwert des Messias in der Continuatio Lambacensis, "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 58, 2002, pp. 213-217.

Per il rilievo dello scontro tra le opposte pubblicistiche nel contrasto tra Papato e Federico II si rimanda alle riflessioni storiografiche di J. Miethke, Propaganda politica nel tardo medioevo, in La propaganda politica nel basso medioevo. Atti del XXXVIII Convegno storico internazionale (Todi, 14-17 ottobre 2001), Spoleto 2002, pp. 1-28.

Fra gli studi di impostazione politica ‒ oltre le biografie dedicate all'imperatore da E. Kantorowicz e D. Abulafia ‒ sono di fondamentale importanza la classica opera di O. Vehse, Die amtliche Propaganda in der Staatskunst Kaiser Friedrichs II., München 1929; gli studi di H.M. Schaller, raccolti in Id., Stauferzeit. Ausgewählte Aufsätze, in M.G.H., Schriften, XXXVIII, 1993; le più recenti riflessioni di P. Herde, Federico II e il Papato. La lotta delle cancellerie, in Federico II e le nuove culture. Atti del XXXI Convegno storico internazionale (Todi, 9-12 ottobre 1994), Spoleto 1995, pp. 69-87.

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