Antimonio

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Elemento chimico, metallo, di simbolo Sb (da stibium, nome lat. dell’a.), numero atomico 51, peso atomico 121,76; ne sono noti due isotopi stabili di peso atomico 121 e 123. Raro come minerale ( a. nativo), di solito si presenta in masse granulari o lamellari. Scarse quantità sono state trovate a Su Leonargiu (Sarrabus, Sardegna), ad Andreasberg nel Harz, ad Allemont nel Delfinato ecc. In natura è diffuso principalmente come solfuro (stibina), ossisolfuro (kermesite), ossido (senarmontite, valentinite, cervantite) e in piccole quantità allo stato nativo. È contenuto inoltre sotto forma di antimoniuro, antimonito, antimoniato ecc. in numerosi minerali di poca o nessuna importanza pratica.

L’a. si ricava per la maggior parte dal solfuro secondo due processi di estrazione per via secca: a) arrostimento a triossido e riduzione di questo con carbone; b) riduzione del solfuro con ferro e successiva precipitazione secondo la reazione:

formula

Il solfuro di ferro si separa dall’a. per aggiunta di un miscuglio di solfato sodico e carbone: il solfuro sodico che così si ottiene forma con quello di ferro un letto di fusione sul quale galleggia l’antimonio. Nel trattamento di minerali ossigenati, quali l’ossisolfuro e il triossido, si procede in ogni caso all’arrostimento in forni a tino o a riverbero e successivamente alla riduzione con carbone.

Dell’a. sono note diverse forme allotropiche di cui quella stabile, di colore bianco argento, romboedrica, fragile, di densità 6,69 g/cm3, fonde a 630,5 °C. L’a. giallo si ottiene per ossidazione dell’idrogeno antimoniale liquido a −90 °C; l’a. nero si prepara come quello giallo ma a temperatura non inferiore a −80 °C o per rapido raffreddamento dei vapori di a.; l’a.; esplosivo si forma per elettrolisi del tricloruro in condizioni particolari di concentrazione, temperatura e densità di corrente, e scaldato a 100 °C o raschiato con uno spillo esplode; l’a. colloidale si forma per riduzione di una sospensione di cloruro di a. con cloruro di titanio.

L’a. all’aria non si altera; se scaldato al di sopra del punto di fusione brucia con fiamma azzurro-verdastra, sviluppando vapori bianchi di triossido. Si combina direttamente con gli alogeni. Nei suoi composti si comporta da tri- e da pentavalente. L’a. trova soprattutto impiego per preparare leghe (specie con piombo e stagno), caratterizzate per lo più da basso punto di fusione ed elevata durezza (caratteri da stampa, metalli antifrizione, metallo Britannia, piombo indurito, leghe da saldatura ecc.); importanza pratica hanno i numerosi derivati organici e inorganici dell’antimonio.  Pentacloruro di a. Cloroderivato dell’a. pentavalente, SbCl5; è un liquido giallo, oleoso, caustico, fumante all’aria, che in acqua s’idrolizza decomponendosi in pentossido di a. e acido cloridrico; solubile in cloroformio, usato come clorurante in sintesi organiche, come reagente nell’analisi di alcaloidi ecc.

Pentasolfuro di a. Ha formula Sb2S5: è una polvere rossoarancione, inodora, insolubile in acqua, solubile in acidi concentrati, in alcali e nei solfuri alcalini con formazione di tioantimoniati (detta anche solfodorato di a.). È dotata di azione emetica, diaforetica ed espettorante, impiegata nella vulcanizzazione e nella colorazione del caucciù, come pigmento per colori all’olio e all’acqua ecc.

Pentossido di a. Composto dell’a. pentavalente con l’ossigeno, Sb2O5, noto anche come anidride antimonica; polvere gialla, insolubile in acqua e in acidi (si scioglie soltanto nell’acido cloridrico concentrato), solubile nelle basi forti con formazione di antimoniati; è impiegato come ritardante di combustione nei tessuti.

Tricloruro di a. Cloroderivato dell’a. trivalente, SbCl3; cristalli incolori, velenosi, solubili in alcol, etere, acetone: all’aria umida assorbe facilmente acqua trasformandosi in una massa butirrosa ( burro di a.), caustica, dotata di reazione acida che, per ulteriore diluizione, subisce un’idrolisi parziale con precipitazione di ossicloruro solubile. È impiegato nella preparazione di sali di a., di prodotti farmaceutici, come mordente in tintoria, e principalmente nella brunitura di oggetti di ferro per proteggerli dalla ruggine.

Triossido di a. Ossido dell’a. trivalente, Sb2O3, noto in natura come valentinite (rombica) e senarmontite (cubica); artificialmente si ottiene bruciando a. all’aria, o acidificando la soluzione di un antimonito, o per arrostimento del trisolfuro; polvere bianca, cristallina, inodora, insolubile in acqua, solubile in alcali concentrati con formazione di metantimoniti, e in diversi acidi organici (tartarico, acetico, benzoico ecc.) e inorganici (cloridrico, solforico ecc.). Si usa oltre che nella preparazione dei sali d’a., nella fabbricazione di smalti per ferro, di vetri, come mordente in tintoria, talora anche in medicina. Al triossido corrisponde l’idrato Sb(OH)3 o acido antimonioso, che perde facilmente una molecola d’acqua dando l’acido metantimonioso SbO∙OH, di cui si conoscono sali (metantimoniti) cristallizzati.

Trisolfuro di a. Ha formula Sb2S3; è noto in tre forme: cristallina, amorfa e colloidale; quella cristallina si ottiene, per es., facendo agire cloruro di solforile sull’antimonio. La varietà amorfa, esistente in due forme allotropiche, nera e rossa, si prepara per via umida; quella colloidale per gorgogliamento dell’idrogeno solforato nella soluzione diluita di un sale di antimonio. Il solfuro di a. si scioglie nell’acido cloridrico con sviluppo di acido solfidrico e formazione di cloruro di antimonio. A caldo si scioglie negli alcali (antimoniti e tioantimoniti). Il solfuro naturale è impiegato per l’estrazione del metallo, quello depurato per la preparazione di sali di a., in pirotecnica, nella fabbricazione di fiammiferi di sicurezza. Il solfuro amorfo, rosso, ottenuto per via umida, si usa invece nella colorazione della gomma e nelle vernici per mascheramenti, non rivelabili neppure con fotografia all’infrarosso.

Un trisolfuro di a. è il più comune e diffuso minerale d’a., l’ antimonite, di colore grigio-piombo, con lucentezza metallica (detto anche stibina). Si presenta sempre in individui cristallini prismatici, molto allungati. Ha punto di fusione molto basso così da poter fondere alla fiamma d’una candela.

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