GAGGINI, Antonello

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GAGGINI (Gagini), Antonello

Rita Bernini

Figlio di Domenico, scultore di origine ticinese trapiantato in Sicilia, e della seconda moglie di questo, Caterina, nacque a Palermo nel 1478. La data si ricava da un documento del 24 ott. 1491 nel quale il G. risulta "etatis annorum XIII in XIIII" (Di Marzo, 1880, p. 98 nota 1).

Nell'ambito dell'impresa familiare vanno ricercate le prime prove del G., che non compare nei documenti di commissione a causa della giovane età. È possibile individuare tracce dei suoi lavori giovanili nel catalogo dei lavori prodotti dalla bottega subito dopo la morte di Domenico (1492), cercando di riconoscere gli stessi tratti caratteristici presenti nella sua prima produzione documentata, e considerando come in quella il G. dimostri di accogliere, insieme con il lascito paterno, anche soluzioni di tipo lauranesco.

Del 1498 è la prima opera documentata del G. che, qualificato come "magister" (ibid., p. 180 nota 2), realizzò la Madonna della Grazia per la chiesa madre di Bordonaro, nei pressi di Messina: l'opera, eseguita su commissione di Gregorio Infontanella e di Giovanni di Rosa in base al modello di quella messinese della chiesa di S. Maria di Gesù, è ritenuta completamente autografa dal Kruft (1980), mentre rivela debolezze attribuibili a qualche altro esponente della bottega. Da questo momento l'attività del G., ormai maggiorenne, si concentrò nel territorio messinese, dove le commesse furono numerose, da parte di ordini religiosi e di privati.

I motivi che indussero il G. a spostarsi nella zona orientale dell'isola possono essere individuati nell'agguerrita concorrenza esercitata a Palermo dagli artisti che, arrivati per lo più dalla Lombardia e dalla Toscana negli anni di predominio del padre Domenico, erano rimasti in città continuando a esercitare con profitto la professione. A Messina il G. esercitò probabilmente anche il commercio, come testimonierebbe un documento in cui si attesta che un "magister Antonellus de Gagino, marmorarius messanensis", investì in panno piemontese da rivendere in Calabria (Di Marzo, 1880, p. 169 nota 1).

Del G. è anche la Madonna della Grazia della cattedrale di Nicotera, che venne utilizzata dallo scultore come modello per altre opere (Kruft, 1975), che si richiama direttamente alla Madonna di F. Laurana, conservata nella cattedrale di Palermo: è quindi il canone introdotto in Sicilia dallo scultore dalmata, fatto di saldezza di volumi e rigorosa geometria, che il G. mostra di recepire, inserendolo in una struttura attribuibile agli schemi elaborati dal padre Domenico e poi sopravvissuti alla sua morte all'interno della bottega.

Tra le opere datate successive al 1492 e che presentano problemi attributivi, si può annoverare il Sarcofago di Sicilia Aprile (Palermo, Galleria regionale della Sicilia): l'opera è del 1495 e quindi non è riconducibile al Laurana, sebbene alcuni abbiano ipotizzato, per l'occasione, il ritorno in Sicilia del dalmata dalla Provenza (Mauceri - Agati, 1906, p. 8; B. Patera, F. Laurana a Sciacca, in Storia dell'arte, XII [1980], 38-40, pp. 223 s.). Il sarcofago mostra incertezza nell'impianto prospettico e mancanza di sintesi nella resa plastica, elementi che fanno pensare all'esecuzione di un artista giovane e inesperto, quale il G.; inoltre, lo schema è quello già utilizzato dal padre Domenico per l'Arca di s. Gandolfo (1482); l'opera, infine, presenta un'ascendenza toscana a cui si sovrappongono impressioni lauranesche (Negri Arnoldi, 1974, p. 26). Del resto nel 1503 il G. firmò e datò la Madonna della Scala della cattedrale di Palermo, nella quale, ancora una volta, all'eredità paterna mostrò di aggiungere lo schema lauranesco, addolcito "di nuove movenze plastiche" (Patera - La Barbera Bellia, 1994, p. 131). Dello stesso periodo è la Madonna proveniente da Corleone (oggi a Palermo nella Galleria regionale della Sicilia).

Una lunga sequenza di documenti vede il G. attivo a Messina, ma le poche opere superstiti, spesso Madonne lavorate su schemi prefissati e richiesti dalla committenza, mostrano per lo più la mano della bottega rimasta a Palermo. Tra queste, la Madonna oggi in S. Maria di Gesù a Catania, quella di Rabat (Malta) e quella di Catanzaro (S. Maria della Grazia).

Nell'agosto del 1504 il G. si impegnò con gli eredi di Francesco Diana per lavori nella cappella posta dietro l'altare maggiore della chiesa di S. Cita a Palermo, che furono eseguiti tra il 1516 e il 1517, come i successivi contratti documentano: secondo il Kruft (1980, p. 408) l'arco marmoreo - non più nella sua sede originaria essendo stato collocato nel Seicento in fondo al presbiterio - risentirebbe nell'impianto formale dell'altare Corbinelli in S. Spirito in Firenze, opera del Sansovino già presa a modello dal G. per l'altare maggiore di S. Maria Maggiore a Nicosia (1509-12).

Attraverso i rilievi posti lungo i pilastri e sulla trabeazione, l'arco della cappella Diana rende omaggio all'Ordine domenicano, attraverso la presenza di suoi esponenti, e alla santa titolare della chiesa, della quale il G. rappresentò Episodi della vita (nell'intradosso) e la Morte, affiancata da due glorie dell'Ordine, S. Domenico e S. Vincenzo Ferrer; il rilievo centrale rappresenta la Nascita di Cristo.

Poiché manca qualsiasi notizia sull'attività del G. tra la fine del 1504 e la metà del 1506, il Kruft (A. Gagini, 1975) - seguito da La Barbera Bellia (1984) e Spadaro (1991) - ha ipotizzato un viaggio dell'artista a Roma, basandosi anche su alcune fonti del XVII e XVIII secolo che ricordano il G. attivo accanto a Michelangelo Buonarroti nella Tomba di Giulio II; secondo il Kruft l'intervento del G. nel sepolcro romano di S. Pietro in Vincoli sarebbe riconoscibile in alcune decorazioni a grottesche dei pilastri, che si ritroverebbero ripetute nei motivi delle candelabre presenti nella tribuna della cattedrale di Palermo, il maggior impegno professionale intrapreso dal G., proprio subito dopo il suo supposto viaggio nell'Urbe.

Nel novembre del 1506 l'artista si impegnò con don Alonso Cardinas a eseguire il sepolcro del barone Giovanni Cardinas, un tempo nella chiesa di S. Domenico a Siracusa e oggi conservato al Museo regionale di palazzo Bellomo nella stessa città: l'opera, che segue lo schema tradizionale del monumento funebre tardoquattrocentesco siciliano, è giudicata dalla critica in buona parte di mano del G. (sicuramente, la figura del defunto e gli stemmi Cardinas e Moncada di Montecateno sorretti da putti).

Del luglio 1507 è il primo contratto per l'esecuzione dell'opera più imponente del G., la tribuna marmorea - in seguito smembrata, e della quale rimagono solo alcune parti - della cattedrale di Palermo. L'artista, definito "sculptorem eximium" (Di Marzo, 1883, pp. 71-76, doc. LVI), ricevette l'incarico alla presenza del viceré Raimondo de Cardona, dell'arcivescovo di Palermo Giovanni di Paternò, e anche dei giurati della città, membri delle più nobili famiglie cittadine. Al contratto era allegato un "memoriale", programma costruttivo formulato sulla base di un disegno su pergamena precedentemente eseguito dallo stesso artista e approvato dai committenti. Per l'impianto generale dell'opera e per la sua decorazione, assolutamente inediti per la Sicilia dell'epoca, è stata chiamata in causa l'influenza del Sansovino, che secondo il Kruft il G. ebbe modo di incontrare a Roma, ma anche di artisti spagnoli dal momento che la tribuna è stata avvicinata ad alcuni retablos (Kruft, 1980, p. 25). L'impresa, di gran lunga la più imponente che una bottega di scultura della prima metà del XVI secolo avesse mai avviato in Sicilia, conobbe una lunga gestazione; la storia della realizzazione, con i cambiamenti di programma avvenuti nel corso degli anni, è ben documentata.

L'impianto generale dell'opera e la disposizione delle singole parti possono essere ricostruiti solo con una certa approssimazione, perché negli anni 1780-1801, durante i lavori di restauro della cattedrale palermitana, la tribuna fu smantellata e i pochi rilievi e le sculture superstiti vennero inseriti all'interno della chiesa come singole opere; altre parti della tribuna sono invece conservate nel Museo diocesano. La ricostruzione dell'opera si basa sui documenti che descrivono minutamente l'intero impianto e il suo successivo allargamento, proposto nel 1510 con un nuovo disegno dal G., ma anche su una stampa del 1760 di L. Gramignani, e su una proiezione orizzontale effettuata prima dell'inizio dei lavori di smantellamento (Di Marzo, 1880, tav. X). L'opera, che seguiva come una cortina marmorea, alta circa 16 metri, l'andamento curvo dell'abside, era probabilmente divisa in tre ordini di pilastri inframmezzati da nicchie con statue all'interno. I lavori procedettero anche dopo la morte del G., per mano dei suoi figli.

L'impresa della tribuna non impedì al G. di portare a termine contemporaneamente numerose altre commissioni. Dall'elenco delle opere, moltissime documentate, si evince che il G. lavorò in quasi tutto il territorio dell'isola, eseguendo le più svariate opere scultoree, dai monumenti funebri ai tabernacoli, dalle statue ai fonti battesimali. Tra i lavori più significativi, perché eseguiti quasi interamente dalla sua mano, spicca in S. Francesco d'Assisi a Palermo l'altare di S. Giorgio, realizzato per la cappella dei Genovesi e in seguito spostato nella seconda cappella della navata destra, dove si trova. L'altare fu eseguito su commissione del console della nazione genovese, Battista Cattaneo; l'atto di allocazione (Di Marzo - Mauceri, 1902, pp. 183-185) è del 1519; l'iscrizione posta sotto il rilievo raffigurante S. Giorgio che uccide il drago reca la data 1526.

L'altare, simile nella concezione e nell'impianto a quello commissionatogli da Giacomo Basilicò per la cappella posta nella chiesa palermitana di S. Maria dello Spasimo, presenta sopra la mensa un impianto architettonico e scenografico composto da due colonne decorate a motivi vegetali che sorreggono un architrave, anch'essa a motivi fitomorfi, con al centro lo stemma di Genova, e una cimasa al cui interno è scolpita la Madonna col Bambino tra cherubini, a sua volta sormontata dal rilievo della Colomba dello Spirito Santo. Le colonne incorniciano il già citato rilievo con S. Giorgio, mentre due pilastri affiancati alle colonne recano tre medaglioni con mezze figure a rilievo riproducenti figure di santi particolarmente venerati dai Genovesi. Questi ultimi rilievi sono qualitativamente notevoli e richiamano evidentemente nella fattura i sei profeti che affiancavano l'altare Basilicò allo Spasimo, come lo stesso documento di allocazione dell'altare di S. Giorgio richiedeva esplicitamente.

L'altare Basilicò, posto nella cappella di famiglia dove doveva incorniciare l'Andata al Calvario di Raffaello, risulta già in situ nel 1520, ma smembrato dopo il 1573; dell'opera sono rimaste alcune parti: mancano i sei tondi con i profeti, eliminati almeno dal 1782 (Spadaro, 1991).

Tra i numerosi monumenti funebri palermitani attribuiti al G. sono da citare quello del committente della tribuna della cattedrale Giovanni Paternò (1511), quello di Domenic0 Basadone in S. Francesco d'Assisi, il Sepolcro Scirotta in S. Cita e quello di Antonio Alliata in S. Maria di Gesù, che venne commissionato nel 1517 e finito di pagare nel 1524. Sempre in S. Cita, il G. lavorò nella cappella Platamone, eseguendo un arco marmoreo e un monumento funebre (la prima commissione avvenne nel 1519, la seconda nel 1526).

Un gruppo piuttosto omogeneo di opere è costituito da statue eseguite dal G. per alcune città della Sicilia occidentale nel secondo decennio del XVI secolo. Di queste meritano di essere segnalate la S. Oliva per l'omonima chiesa di Alcamo e il S. Tommaso apostolo del duomo di Marsala (commissionate rispettivamente nel 1511 e nel 1516); il S. Giovanni Battista della omonima chiesa di Castelvetrano e il S. Giacomo Maggiore di Trapani (Museo Pepoli), già nella chiesa di S. Giacomo (del 1522), oltre al gruppo dell'Annunciazione (datato 1525) oggi nell'ingresso della Biblioteca e Museo civico di Erice, ma proveniente dalla chiesa del Carmine.

Alcune opere del G. si trovano a Palermo presso la Galleria regionale della Sicilia, provenienti da varie parti della regione. Tra queste la Madonna degli Anzaloni (o Madonna del Buon Riposo) che prende il nome dal committente che ordinò la costruzione della cappella in S. Maria dello Spasimo (1524): l'opera trova posto in una nicchia delimitata da due colonne sorrette da un architrave di gusto fiorentino o romano, e la sua massa plastica, con il ricco panneggio le cui pieghe si raccolgono mollemente ai piedi della Vergine, dimostra l'adesione del G., nel periodo della sua tarda attività, a moduli manieristi. La testa di giovane, un tempo creduta di s. Vito, che, già ritenuta opera del XV secolo, è stata ricondotta al G. (Kruft 1980, p. 410); un rilievo con l'Annunciazione è stato dal Delogu (1962) avvicinato al gruppo marmoreo di Erice e datato intorno al 1525, mentre sicuramente precedente, del primo decennio del XVI secolo, è la bella Madonna proveniente dal monastero della Maddalena di Corleone.

Il 29 marzo 1536 il G. fece testamento: ad Antonina Valena (sposata in seconde nozze nel 1515, dopo la morte della prima moglie Caterina de Blasco) e ai figli del primo e del secondo matrimonio, lasciò soprattutto case e terreni, oltre alle due botteghe con materiale in parte lavorato; chiese inoltre di essere sepolto, come già suo padre Domenico, nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, nella cappella dei Ss. Quattro Coronati.

Il G. morì a Palermo nell'aprile 1536.

Alcuni dei lavori intrapresi dal G. e non ancora conclusi alla sua morte furono terminati dai figli. Giandomenico e Antonino, avuti dal primo matrimonio, Giacomo, Fazio e Vincenzo, nati dalle seconde nozze, seguirono tutti il mestiere paterno e furono dei buoni esecutori, privi però della maestria e della creatività del padre. Le due botteghe gagginiane, una situata alla Marina, e un'altra in cattedrale, dove i figli proseguirono il lavoro della tribuna ed ebbero altre commesse, continuarono ad avere un ruolo di primo piano nella Palermo cinquecentesca.

Giandomenico nacque, forse a Messina, nel 1503, come si ricava da un documento del 1525 nel quale risulta avere ventidue anni. Nel 1530 collaborò con il padre al completamento della custodia del Sacramento della cattedrale di Marsala, lasciata incompiuta da B. Berrettaro. Nel 1531 compare al fianco del padre e del fratello Antonino nella realizzazione dell'arco marmoreo della cappella della Madonna nella chiesa dell'Annunziata di Trapani: generalmente la critica tende a non riconoscergli alcun contributo nell'esecuzione di questa opera, e recentemente (Gulisano, 1995, pp. 82 s.) sono stati assegnati ai due fratelli gli ornati, a motivi di grottesche e vegetali, eseguiti dopo la morte del padre sotto la direzione del fratello Giacomo, responsabile di questa commessa incompiuta. Nel 1534 Giandomenico è documentato ad Assoro, e nel 1536 accettò una commissione per un altare marmoreo nella chiesa di S. Bartolomeo a Caltavuturo, incarico diviso successivamente con il fratello Antonino, ma probabilmente mai eseguito, come quello ricevuto a Palermo nel 1539 per una fontana con leoni. Firmata e datata 1542 è la Madonna della Grazia nella chiesa di S. Michele Arcangelo a Mazara del Vallo, incarico che risulta affidato a Fazio, con il quale eseguì il portico settentrionale del duomo di Monreale. Nel 1541, nel 1544 e nel 1548 Giandomenico è documentato a Sciacca; mentre precedente al 1543 dovrebbe essere un grande retablo per la badia di Petralia Sottana, ricordato in un successivo contratto per una cappella nella chiesa madre di Polizzi Generosa (Kruft, 1972; 1980). La Madonna del Rosario in S. Spirito, sempre a Polizzi, in passato attribuita al fratello Giacomo è oggi concordemente assegnata a Giandomenico (Abbate, 1997). Il Kruft (1980, p. 426) gli attribuisce anche un retablo nella chiesa di S. Maria di Loreto, precedentemente attribuito al nonno Domenico (Bellafiore, 1963, p. 96). Del 1560 è la decorazione di una coppia di colonne della cattedrale di Enna, di cui la sinistra reca la sua firma, che presenta forti affinità stilistiche con un retablo nella chiesa di S. Cataldo della stessa città. Dopo questa data non si hanno più notizie di Giandomenico e ignoto è l'anno della sua morte.

Non si conosce l'anno di nascita del secondogenito del G., Antonino. La sua attività è attestata a Palermo e in provincia. I suoi frequenti viaggi a Carrara, per procurare materiale per la tribuna della cattedrale palermitana, e la sua documentata permanenza in quella città, gli permisero di rinnovare i contatti con l'arte centroitaliana, che la bottega del padre aveva negli ultimi anni trascurato. Nell'immane opera della tribuna, Antonino lavorò subito dopo la morte del padre: eseguì figure a mezzo busto e quelle, a figura di intera, dei santi Cristoforo e Lorenzo. Una delle sue commesse più importanti fu il gruppo della Trasfigurazione di Cristo per la cattedrale di Mazara del Vallo, sei figure probabilmente commissionate già al padre (Kruft, 1980, pp. 431 s.). Del 1438 è un S. Giovanni, esemplato su quello paterno nella tribuna palermitana, per S. Giovanni Battista a Erice, e anche una custodia marmorea per la cattedrale di Patti, oltre a un tabernacolo per la chiesa madre di Ciminna. Tra il 1441 e il 1448 sono databili le cinque figure della facciata del duomo di Sciacca (Kruft, 1980, p. 433), probabilmente eseguite in collaborazione con Giandomenico. Molti furono i gruppi scultorei realizzati da Antonino, tra gli altri quelli dell'Annunciazione per Bronte, nella chiesa dell'Annunziata (1541); quello della Trinità per Galati Mamertino, prima in S. Spirito e oggi nella chiesa madre (1543); l'Annunciazione, eseguita in collaborazione con Giacomo, per la chiesa della Ss. Annunziata di Alcamo e oggi in S. Oliva (1545); il gruppo della chiesa madre di Galati Mamertino (1552). Tra le statue si segnalano la Madonna del Rosario per la chiesa di S. Domenico a Caltagirone (1542); una Madonna di Loreto per S. Maria di Gesù a Ficarra (1544); una S. Caterina d'Alessandria per l'omonima chiesa di Galati Mamertino (1550). Ignoto è l'anno di morte di Antonino.

Giacomo, il primo dei figli avuti dal G. dalla seconda moglie Antonina Valena, nacque a Palermo nel 1517. Le sue prime esperienze maturarono a fianco del padre, del quale ereditò le commissioni più importanti. Tra queste, la tribuna della cattedrale, dove intervenne nel 1536 con l'esecuzione di alcune statue di santi, tra cui S. Stefano e S. Sebastiano. Nello stesso anno lavorò in S. Francesco di Paola a Palermo, dove scolpì tre figure sul portale, la Madonna della Grazia e i Ss. Oliva e Francesco di Paola, impegnandosi a terminare le statue di S. Benedetto e della Madonna della Consolazione, iniziate dal genitore l'anno precedente. Nel 1537, oltre ai lavori all'arco dell'Annunziata di Trapani, si dedicò al Sepolcro di Puccio Omodei in S. Francesco d'Assisi a Palermo. Ad Alcamo scolpì il S. Pietro della chiesa madre e una Madonna del Soccorso. Negli anni Quaranta Giacomo risulta attivo a Palermo, in S. Maria della Catena, forse con il fratello minore Vincenzo, e a Sinagra, dove eseguì un retablo nella cappella del Sacramento della chiesa madre. Nel 1544, con Fazio e con Fedele e Scipione Casella, eseguì il seggio arcivescovile per la cattedrale di Palermo; mentre dal 1543 è documentato a Naro, dove lavorò a una Madonna della Catena per la chiesa madre. Una delle ultime sue opere è un retablo del 1597 con la Visitazione e i ss. Filippo e Giacomo nella Matrice di Pettineo. Morì a Palermo nel 1598.

L'opera più importante di Fazio, nato nel 1520, è la cappella del Crocifisso nella cattedrale di Palermo, cui lavorò dal 1557 al 1565 con il fratello Vincenzo. La decorazione, consistente in un arco marmoreo e in sedici bassorilievi, è stata smantellata durante i lavori settecenteschi; alcuni bassorilievi sono stati impiegati per l'altare marmoreo della nuova cappella del Crocifisso. Negli episodi della Vita di Cristo, il Kruft ha notato riferimenti alla Piccola Passione di A. Dürer, al quadro dello Spasimo di Raffaello per l'Andata al Calvario e alla Discesa dalla Croce di Vincenzo da Pavia, allora in S. Giacomo la Marina, per la Deposizione. Prima di avviare una stretta collaborazione con il fratello Vincenzo, con il quale lavorò anche a un S. Basilio oggi al Museo diocesano e al portico settentrionale della cattedrale di Palermo, Fazio aveva eseguito la Madonna e l'Arcangelo Michele per la chiesa di S. Michele di Mazara del Vallo (1540). Morì nel 1567.

Alla morte di Fazio Vincenzo, nato nel 1527, terminò la decorazione della volta della tribuna maggiore della cattedrale palermitana. Sempre nella stessa chiesa, gli sono attribuiti i due portali d'ingresso al tesoro. Vincenzo realizzò una S. Caterina per l'omonima chiesa di Milazzo (1550-52), e un gruppo con i Ss. Giacomo Minore, Filippo e Vito, per l'oratorio della Confraternita di S. Giacomo a Trapani, oggi al Museo Pepoli (1553). Gli viene attribuito il distrutto gruppo della Pietà della Magione di Palermo, di cui si conservano alcuni frammenti (Di Marzo, 1880, p. 578). Morì nel 1595.

La terza generazione di Gaggini vede attivi i figli di Giacomo: oltre a Nibilio, Francesco (1564- post 1597) e Giuseppe (morto nel 1579). Il figlio di Giandomenico, Antonuzzo, fu attivo a Palermo, dove morì nel 1602, e a Caltagirone, dove lavorò in collaborazione con il figlio Giandomenico iunior. Tra le opere più importanti di quest'ultimo, morto nel 1627, vi sono la scalinata d'ingresso, un portale e due chiostri della chiesa di S. Francesco a Caltagirone e una acquasantiera per la chiesa della Confraternita di S. Agata della stessa città firmata e datata 1610 (Di Marzo, 1880, pp. 586-588, 591).

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