ARTAUD, Antonin

Enciclopedia del Cinema (2003)

Artaud, Antonin (propr. Antoine Marie Joseph)

Bruno Roberti

Scrittore, teorico, regista e attore francese, nato a Marsiglia il 4 settembre 1896 e morto a Ivry-sur-Seine (Val-de-Marne) il 4 marzo 1948. Fu indagatore di dottrine esoteriche, sperimentatore di altre dimensioni del reale anche attraverso l'uso di droghe, agitatore culturale e figura in perenne alterità rispetto alla stessa avanguardia storica in cui pure militò, specialmente nelle stagioni dadaista e surrealista. Introdusse nella Parigi degli anni Venti e Trenta lo scandalo della teoria e dell'intransigenza visionaria, che riversò soprattutto in un'utopia teatrale totalizzante, rigorosamente perseguita nella pratica di una messinscena della crudeltà che rivoluzionò la forma e la scrittura scenica. La sua idea di cinema fu estrema come quella di teatro.Trasferitosi a Parigi nel 1920, entrò a far parte (1922) della compagnia teatrale dell'Atelier, fondata da Ch. Dullin. Nel 1924, con un piccolo ruolo in Fait-divers di Claude Autant-Lara, ebbe inizio il suo rapporto febbrile con il cinema che lo vide impegnato sia in numerose brevi e fulminanti apparizioni sullo schermo, caratterizzate dal suo volto scarnificato e inquietante, sia in un'intensa progettualità visionaria di teorico e critico, ma anche sceneggiatore, che ne fece uno dei protagonisti di quella prima fondamentale stagione di avanguardia cinematografica. La sua vita fu segnata da intermittenti disturbi psichici che conferirono furore e forza immaginativa alla sua creatività, e al contempo lo indussero a percepire nel fascino del teatro e del cinema, intesi come 'maschera', un argine all'instabilità da cui si sentiva travolto. Nel 1927 con R. Aron e R. Vitrac fondò il Théâtre Alfred Jarry, mentre nel 1931 scoprì all'Esposizione coloniale il teatro di Bali e le grandi possibilità di stilizzazione del teatro orientale. L'anno successivo pubblicò il primo manifesto del teatro della crudeltà in cui l'idea di teatro risulta proiettata al di là della sfera estetica, in una visione della vita e dell'azione come scatenamento di forze legate al potere dell'immaginazione. Secondo A. anche il cinema, inteso come possibilità di introdurre uno stato di allucinazione nella percezione, deve concorrere a realizzare questa utopia. Il clima del Surrealismo (cui aderì dal 1924 al 1926 e che abbandonò definitivamente nel 1928) lo portò a esasperare nei toni e negli atteggiamenti, come nelle dichiarazioni di poetica e di estetica, la sua naturale virulenza e il suo sprezzo per le norme borghesi. D'altra parte, lo stesso rapporto con il gruppo dei surrealisti fu complesso e tormentato e sfociò nella violenta reazione di A. (seguita da un successivo breve riavvicinamento) che, con il pamphlet intitolato À la grande nuit ou le bluff surréaliste, di contro all'"ottimismo beato" del Surrealismo rivendicò una radicale e lucida esaltazione dell'abisso, del lato notturno della vita. La sua attività cinematografica fu strettamente legata all'evoluzione di questi rapporti. Nel 1928 la regista Germaine Dulac realizzò il film La coquille et le clergyman, tratto dall'omonimo scenario di A. che subito sconfessò l'opera. Nello scrivere la sceneggiatura, infatti, egli aveva inteso valorizzare l'elemento che avvertiva come specificamente cinematografico, ossia la capacità "di partecipare della vibrazione stessa e della nascita inconscia, profonda del pensiero" (La coquille et le clergyman, in Œuvres complètes, 1978; trad. it. in Del meraviglioso, 2001, pp. 69-70). Il film della Dulac è un'ininterrotta e allucinatoria visione che, partendo dalla figura di un prete, attraversa un territorio costellato da immagini emerse dalla profondità della psiche. Secondo A. l'opera risultava appiattita su una mera trascrizione visiva del sogno. Seguì un violento attacco alla regista in occasione della prima proiezione pubblica allo Studio des Ursulines del film (9 febbraio 1928), subito ritirato dal cartellone, che vide i surrealisti schierati con A., al quale si riavvicinarono momentaneamente anche in occasione della proiezione presso il Théâtre Alfred Jarry di Mat′ (1926; La madre) di Vsevolod I. Pudovkin, organizzata dallo stesso A. come protesta contro la censura.

La 'grande notte', preconizzata da A. nel suo superamento del Surrealismo, trova esplicitazione in un'idea di cinema che respinge ogni tentativo mimetico di restituire il sogno, per attingere direttamente a uno stato allucinatorio del pensiero. Nello scritto introduttivo allo scenario di La coquille et le clergyman, Cinéma et réalité (1928), A. rifiuta sia il concetto di cinema astratto, sia quello di cinema di psicologia e di intrecci, e ne individua il futuro sviluppo nell'invenzione di un linguaggio che possa aderire alla materia convulsa della vita. Egli invoca essenzialmente un cinema che riproduca i meccanismi del pensiero poiché, come sottolinea G. Deleuze in L'image-temps (1984; trad. it. 1989, p. 183), ritiene "che l'immagine ha [...] come oggetto il funzionamento del pensiero e che il funzionamento del pensiero è anche il vero e proprio soggetto che ci riporta alle immagini". Gli scenari scritti tra il 1924 e il 1930 ‒ Les dix-huit secondes, Vols, Les 32, L'avion solaire, Le maître de Ballantrae (dal romanzo di R.L. Stevenson) La révolte du boucher ‒ rispondono, infatti, a un'idea di sceneggiatura come tracciato dei sussulti che provengono dalla profondità della psiche, che squarciano l'essere sia con il riso sia con il 'grido' della vita. "Il cinema, costellato di sogni [...] trova il suo trionfo nello humour più eccessivo" (Sorcellerie et cinéma in Œuvres complètes, 1978; trad. it. 2001, pp. 63-65), afferma A., che ama il parossismo comico di Charlie Chaplin, di Buster Keaton e dei fratelli Marx. Solo in una seconda fase, dopo il 1930, avvertirà la delusione nei confronti di uno strumento che gli si rivelava raggelante e delegherà al corpo e alla vita la possibilità di esperire il lato sotterraneo e occulto della materia vitale.Come attore, A. (che raccontava pirandellianamente di essersi visto con orrore per la prima volta sullo schermo), spinto essenzialmente dalle necessità economiche, segnò con la sua presenza numerosi film: Napoléon (1927) di Abel Gance con il suo Marat, L'argent (1929) di Marcel L'Herbier con il segretario dall'aria diabolica, La passion de Jeanne d'Arc (1927; La passione di Giovanna d'Arco) di Carl Theodor Dreyer con il monaco Jean Massieu. Tra gli altri film interpretati, sono da ricordare Les croix de bois (1929) di Raymond Bernard, L'opéra de quatre-sous (1930) di George Wilhelm Pabst, Liliom (1934) di Fritz Lang, Lucrèce Borgia (1936), ancora di Gance.

Bibliografia

J. Hort, Antonin Artaud, le suicidé de la société, Paris 1960.

J.L. Armand-Laroche, Antonin Artaud et son double, Paris 1964.

M. De Marinis, La danza alla rovescia di Artaud; il secondo Teatro della crudeltà (1945-1948), Bologna 1999.

L. Cortade, Antonin Artaud: la virtualité incarnée, Paris 2000.

F. Cambria, Corpi all'opera: teatro e scrittura di Antonin Artaud, Milano 2001.

A. Cappabianca, Artaud, Palermo 2001.

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