ANILE, Antonino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANILE, Antonino

Luigi Ambrosoli

Nacque a Pizzo di Calabria (Catanzaro) il 20 nov. 1869 da Leoluca e Amalia Tozzi. Seguì i corsi di medicina all'università di Napoli, dove si laureò nel 1894 e dove prese la docenza in anatomia nel 1903; in seguito, vinse la cattedra di anatomia artistica dell'Accademia napoletana di belle arti, da cui più tardi passò a Roma. La sua opera di scienziato e di docente è documentata, oltre che da due trattati di anatomia umana - il primo di topografia (Torino 1915), il secondo di sistematica (Napoli 1919), - anche da ricerche sulle glandole duodenali, sui gangli nervosi e sulle localizzazioni cerebrali (Bologna 1925). L'A. ebbe anche interessi di storia della scienza, prendendo in esame L'anatomia nella storia dell'arte (Napoli 1912), trattando in vari articoli dei contributi all'anatomia di Leonardo da Vinci e mettendo in luce l'opera scientifica di F. Cesi.

Da alcuni di questi ultimi saggi emergono già le sue peculiari qualità di intelligente divulgatore: la solida preparazione, la finezza e la facilità d'esposizione, che all'A. derivavano anche dalla sua notevole preparazione umanistica. Con la sua opera di divulgazione scientifica intendeva reagire al positivismo materialista e immanentista, ancora dominante, contrapponendo ad esso una visione spiritualistica, coerente con i principî del cattolicesimo, che egli accettò e professò integralmente. L'indagine scientifica era, infatti, considerata dall'A. come un mezzo per accostarsi a Dio e riconoscerne l'opera creativa: l'ordine della natura, nelle sue infinite manifestazioni, era la più efficace prova dell'esistenza di Dio.

Profondi furono gli interessi poetici, cui dedicò tutta la sua vita, e non marginalmente, ma con impegno vero e non comune sensibilità. Nella poesia, in cui rifletteva la sua concezione della scienza e della natura, l'A. trovò liberazione dalle inquietudini dell'esistenza, giustificando angoscia e dolore in una visione provvidenziale; la sua lirica ha una voce lieve e tenue: rifugge dai contrasti drammatici come rifugge da ogni tendenza declamatoria. L'opera poetica dell'A. rifiuta la classificazione in una delle correnti letterarie del primo Novecento, per la sua fisionomia indubbiamente indipendente; è possibile, forse, rintracciare in essa qualche reminiscenza pascoliana e, in particolar modo, del Pascoli di Myricae.

Il mondo appare all'A. come il dominio del tempo, che, con la sua opera, costruisce la storia ove anche ciò che appare spento e finito rivive e contribuisce al progresso; il progresso, a sua volta, per l'incessante trasformazione che produce nelle condizioni della vita, tende a modificare l'uomo, a fargli vedere e sentire le cose in un modo sempre diverso. Ma il progresso scientifico non riuscirà mai a soffocare la fede religiosa e la verità religiosa sarà sempre l'obiettivo, ben più alto di quello scientifico, cui, in definitiva, tenderà l'uomo. Se i motivi che ispirano la poesia dell'A. sono sempre elevati ed apprezzabili, e il suo linguaggio ha sempre dignità e nobiltà letteraria, non sempre, però, in essa è possibile rintracciare vera passione e calore; alcune zone, soprattutto nelle ultime raccolte, lasciano l'impressione di fredde esercitazioni, prive di una vera forza di commozione. A volte, poi, prevale troppo scopertamente l'intento pedagogico, o addirittura didascalico, che soffoca l'intuizione lirica. Un discorso analogo può essere fatto per i tentativi di "prosa d'arte", che si rintracciano in certe opere dell'Anile.

Particolarmente sensibile ai problemi pedagogici, l'A. si era accostato a quel movimento riformatore che aveva come animatore G. Lombardo-Radice. Aveva così aderito al "Fascio di educazione nazionale" e al "Gruppo di azione per la scuola nazionale", che avevano a centro organizzativo la rivista Educazione nazionale.Sulla stessa rivista l'A., con V. Cento, P. Gobetti, E. Codignola e altri, aveva firmato l'appello del 15 genn. 1920 per una scuola nazionale, per un rinnovamento morale della scuola, ormai invecchiata, contro l'accentramento governativo e il monopolio statale, oppressivo della libertà didattica. Scuola nazionale non doveva significare scuola governativa opposta a scuola clericale o privata, ma scuola capace di rinnovare la coscienza nazionale.

L'A. aderì al Partito popolare italiano, fondato da don Sturzo, e nelle elezioni del 16 nov. 1919 fu eletto alla Camera dei deputati per il collegio di Catanzaro.

È difficile dire di quale settore facesse parte nello schieramento del suo partito; egli portò sempre, nella vita politica, un impegno di cattolico integrale e una fedeltà senza riserve al magistero della Chiesa. Nell'attività di deputato, e poi di sottosegretario e ministro, affrontò con ogni energia quel problema della libertà d'insegnamento, cui teneva tanto l'autorità ecclesiastica e che il Partito popolare aveva ritenuto di accogliere tra i punti fondamentali del suo programma. L'iscrizione dell'A. al Partito popolare fece porre in dubbio, da parte dei liberali del "Fascio di educazione popolare" (cfr. V. Cento, Il caso Anile, in Educazione Nazionale, 31 ott. 1920), l'opportunità della sua permanenza nell'associazione. Pure, il problema della libertà d'insegnamento era giustificato, per l'A., nel più ampio problema della riforma della scuola.

Al secondo congresso nazionale del partito (Napoli, 8-11 apr. 1920) l'A. presentò un ordine del giorno, unanimamente approvato, per invitare il gruppo parlamentare popolare a farsi promotore di un progetto di legge per una riforma scolastica, che, attraverso l'istituzione dell'esame di stato, ponesse nelle stesse condizioni gli alunni delle scuole statali e di quelle private. Eletto una seconda volta deputato il 15 maggio 1921, l'A. divenne sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel gabinetto Bonomi (5 luglio 1921-26 febbr. 1922) per il settore dell'educazione nazionale. La sua linea d'azione politica è chiaramente indicata da due significativi discorsi: a Ravenna, per il sesto centenario della morte di Dante (1º sett. 1921), e a Milano, per l'inaugurazione dell'università del Sacro Cuore (7 dic. 1921). Nel successivo gabinetto Facta gli fu assegnato il ministero della Pubblica Istruzione (26 febbr. 1922-1º ag. 1922).

La promozione di A. a responsabile del dicastero fu un particolare successo del Partito popolare, che ritenne di poter così condurre ad approvazione la legge sulla libertà d'insegnamento. Ma il nuovo ministro incontrò notevole ostilità nella sua azione e già il 22 marzo doveva difendersi con energia, in senato, dalle accuse rivoltegli dai liberali, soprattutto per aver presenziato all'inaugurazione dell'università cattolica. Il 23 maggio l'A. presentò il progetto di legge, che, con l'istituzione dell'esame di stato, aveva l'intento di porre sul medesimo piano gli alunni delle scuole pubbliche e private (Esame nelle scuole medie di istruzione classica, tecnica e magistrale, in Atti parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura XXVI, Disegni di legge e relazioni, v. XII, n. 1562); esso fu approvato dalla commissione parlamentare, ma la discussione in aula, prevista per il 15 luglio, fu rinviata a causa della crisi ministeriale.

L'A. fu riconfermato nel secondo gabinetto Facta, costituito all'inizio dell'agosto 1922 e rimasto in carica fino all'ottobre; in quel torbido periodo della vita politica italiana non fu, però, possibile all'A. portare a compimento la sua riforma, le cui finalità riassunse poi nella prefazione alla sua raccolta di scritti d'argomento scolastico (Lo Stato e la Scuola, Firenze 1924).

Costituitosi il gabinetto Mussolini, l'A. il 17 nov. 1922 fu tra i popolari che votarono a favore della concessione al governo dei pieni poteri. Si presentò, ancora nelle liste del Partito popolare, nelle elezioni dell'aprile 1924, e fu eletto deputato per la terza volta. Nel settembre partecipò alla XI Settimana sociale dei cattolici e la sua conferenza, rivolta agli universitari, fu giudicata da Gobetti "la cosa più viva e profonda, la sola parola commossa nel convegno" (in Conscientia, Roma, 27 sett. 1924). Nel 1925 l'A. firmò il noto "manifesto" Croce (Una risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani, al manifesto degli intellettuali fascisti), uscito su Il Mondo del 1º maggio, e fu vivamente attaccato nelle polemiche, subito apertesi, della stampa fascista. Nel giugno seguente fu l'A. che, per invito del ministro degli Interni Federzoni, consigliò la partenza da Roma e il conseguente abbandono della vita politica a G. Donati, direttore de Il Popolo - l'A. dirigeva, dal 1923, la terza pagina del giornale - al quale il governo non perdonava la denuncia contro il generale De Bono e che lasciò allora l'Italia per l'esilio francese.

Ma l'adesione dell'A. al manifesto (come per altri firmatari) fu espressione di uno stato d'animo più di ribellione morale che politica. L'A. non condivise, infatti, la politica ormai apertamente antifascista del Partito popolare e maturò negli ultimi mesi del 1925 il suo distacco da esso; poté così evitare di essere compreso fra i deputati che, nel novembre 1926, furono dichiarati decaduti dal loro mandato. Ma il 22 genn. 1926, per essere riammesso alla Camera, dovette fare, insieme con altri deputati popolari che avevano abbandonato l'opposizione "aventiniana", una pubblica ritrattazione e dichiarare di accettare il regime fascista. La sua carriera politica era, però, finita e da allora condusse una vita appartata, ritornando agli studi di medicina e alla produzione poetica. Pio XI, nel 1923, lo aveva nominato membro dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei.

Morì a Raiano d'Aquila il 26 sett. 1943.

Per un elenco completo degli scritti dell'A. si veda A. Perugini, La figura e l'opera di A. A., Roma 1951. Gli scritti principali sono: Vigilie di scienza e di vita, Bari 1911; La salute del pensiero, Bari 1916; Nella scienza e nella vita, Bologna 1920; Riforma scolastica e libertà d'insegnamento, Napoli 1920; Poesie (raccolta completa), Bologna 1921; Per la cultura e per la scuola (Discorsi), Bari 1923; Sonetti religiosi, Bologna 1923; Nuovi sonetti religiosi, Milano 1931; Bellezza e verità delle cose, Firenze 1937; L'ombra della montagna, Milano 1939; Questo è l'uomo, Firenze 1943.

Bibl.: G. A. Borgese, La vita e il libro, saggi di letteratura e cultura contemporanea, Prima serie, Torino 1910, pp. 235, 274-281; G. De Rossi, Il Partito popolare italiano dalle origini al Congresso di Napoli, Roma 1920, pp. 364-366; U. Russomanno, La Poesia di A. A., Reggio Calabria 1922; V. G. Galati, I sonetti religiosi di A. A., Catanzaro 1923; Id., Religione e politica, Torino 1925, pp. 143-148; V. Gerace, La tradizione e la moderna barbarie, Prose critiche e filosofiche, Foligno s. d. [ma 1927], pp. 157-165; O. G. Mandalari, Uomini e cose della mia Calabria, Roma 1934, pp. 401-412; D. Mondrone, Bellezza verità e poesia delle cose in A. A., in Scrittori al traguardo, II, Roma 1943, pp. 245-290; F. Biondolillo, I Contemporanei. Panorama della letteratura italiana odierna, Padova 1948, p. 95; V. G. Galati, A. A., Roma 1952; F. Priolo, Medici calabresi illustri, Catanzaro 1952, pp. 181-185; L. Sturzo, Il Partito popolare italiano, 3 voll., Bologna 1956-57, V. Indice; E. Pratt Howard, Il Partito popolare italiano, Firenze 1957, pp. 342, 353, 359, 360 e passim; G.De Rosa, Storia del Partito popolare, Bari 1958, pp. 183, 200 s., 240, 464 n., 500 n., 501 n.; D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri, s. l. [Roma] 1958, pp. 221, 232, 233, 234, 238 e passim; E. R. Papa, Storia di due manifesti, Milano 1958, pp. 97, 115, 135 e passim.

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