ABONDI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ABONDI (Abondio), Antonio

Filippo Rossi

Nacque a Riva del Garda (Trento), secondo un iscrizione posta sotto il suo ritratto inciso (1554) da M. Rota, nel 1538.Fu figlio non di Antonio Abondio, detto l'Ascona, ma di un Alessandro Abondi già morto nel 1564,che nel 1558 (10 luglio) aveva ottenuto dall'imperatore Ferdinando I il diploma di nobiltà imperiale, diploma rinnovato poi e "migliorato" ad Antonio stesso nel 1574 (28 febbraio) dall'imperatore Massimiliano II e nel 1583 (24 agosto) da Rodolfo II.

La sua famiglia, originaria di Bondo nelle Giudicarie, s'era stabilita a Riva forse già nel sec. XIV. Nel 1303 vi si incontra un Guglielmo "Q.D.ni Bondi de Ripa". Nel 1509 un Cesare assume il nome "Abundius" o "de Abundis", forma divenuta fissa dopo il 1541. Gli Abondi ebbero a Riva cariche di vicario, governatore, sindaco, massaro, altri furono notai o esercitarono qualche arte liberale.

L'A. fu forse, a Milano, alla scuola di Leone Leoni; nel 1565 era in Tirolo; nel 1566 veniva chiamato a Vienna da Massimiliano II e nominato (31 dicembre) ritrattista imperiale: alla corte visse poi quasi sempre, ottenendo favori ed onori da Massimiliano II e da Rodolfo II: il suo esempio ebbe largo influsso sui medaglisti austriaci. Nello stesso 1566 intraprese un viaggio in Olanda; tra il giugno 1571 e il marzo 1572 fu in Spagna alla corte di Filippo II, dove incontrò Iacopo da Trezzo e ne fece la medaglia. Tra il 1570 e il 1580 soggiornò in diverse corti della Germania centrale (Monaco; Augusta 1572); tra il 1574 e il 1578 è a Vienna; tra il 1580 e il 1583 a Praga; nel 1583 (1585 secondo la Neue Deutsche Biographie) in Italia; dal 1584 quasi sempre alla corte imperiale, a Vienna e a Praga dal 1586 (ma era a Lione nel 1588-89) alla morte, avvenuta a Vienna il 3 maggio 1591.

La sua attività accertata, soprattutto di medaglista, sta fra il 1561 e il 1591, e se risente sul principio dello stile di altri medaglisti dell'epoca, come Leone Leoni o Iacopo da Trezzo, ha poi caratteri particolari e chiaramente determinabili per fermezza di segno ed energia di espressione, che richiamano la sua abilità di modellatore in cera. Le sue medaglie sono firmate "AN.AB." o più raramente "A.A.". Se ne conoscono una cinquantina, oltre a molte altre che gli sono attribuite con sicurezza per ragioni stilistiche. In esse sono raffigurati soprattutto i membri della casa imperiale e personaggi della corte e, nel periodo più tardo dell'A., anche personaggi italiani. I suoi ritratti, tutti bellissimi, sono di un'arte compenetrata di caratteristiche italiane e germaniche, nella classicità della composizione e nell'appassionato naturalismo delle fisionomie.

Del primo periodo italiano si può citare la medaglia di Niccolò Madruzzo (tra il 1560 e il 1565), che ricorda la vittoria di Mühlberg (1547); del periodo invece in cui soggiornò alla corte imperiale sono quelle di Rodolfo II, degli arciduchi Carlo, figlio di Ferdinando I (1567), ed Ernesto, fratello di Rodolfo II (circa 1577). Soprattutto notevoli sono quelle di Massimiliano II e quella dell'imperatrice Maria. Gli si attribuiscono anche alcune placchette di soggetto sacro e mitologico (Berlino, catalogo Bange 1922, nn. 925, 926, 927; Vienna, catalogo Planiscig, n. 459 e Estensische Kunstsanznalung, nn. 425, 426, 427; Göttweig, Abbazia). Delle sue cere dipinte, assai accurate nell'esecuzione e nei colori e di solito non firmate, è ancora del primo periodo italiano un ritratto femminile (Milano, Ambrosiana), attribuitogli da E. Kris; tra le cose più importanti si ricordano poi il grande medaglione rotondo col ritratto dell'imperatore Massimiliano II (Vienna, Hofmuseum); i ritratti dello stesso Massimiliano e della moglie Maria, all'Ambrosiana di Milano, nel Museo nazionale di Monaco e nel Gabinetto numismatico di Berlino (questi ultimi probabilmente più tardi); i ritratti di Alfonso d'Este e di Barbara d'Austria (Budapest); degli elettori Augusto e Anna di Sassonia, e di Elisabetta di Brandeburgo, nel Museo storico di Dresda; dell'arciduca Ernesto, nella collezione Wallace di Londra, e dell'arciduca Carlo, già nella collezione Spitzer; di Gerolamo Scotti piacentino (Gotha); e, secondo l'attribuzione del Gerola, quello di Francesco de' Medici, granduca di Toscana, già tradizionalmente attribuito a B. Cellini (Firenze, Museo nazionale). Altre composizioni, ora perdute, erano possedute dall'imperatore Rodolfo II e dai granduchi di Toscana. Dell'A. è inoltre il modello per il tallero di Rodolfo II (1577).

Il Sandrart, certamente per errore, dice fiorentini sia l'A. sia suo figlio Alessandro, chiamandoli ambedue Alessandro. L'omonimia con Antonio Abondio, detto l'Ascona, ha prodotto ulteriori confusioni (cfr. Thieme-Becker).

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