BERGA, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 9 (1967)

BERGA, Antonio

Giorgio Stabile

Della famiglia dei consignori di Borgaro Torinese, nacque a Torino intorno al 1535 da Luca. Compiuti i primi studi, poco più che sedicenne si trasferì all'università di Padova per studiarvi arti e medicina, e già nel 1552 contribuì con una relazione sui bagni di Vinadio all'opera De balneorum naturalium viribus di Bartolomeo Viotto, il quale gliene rese atto con parole di sincera stima. I suoi studi di filosofia si svolsero sotto la guida dell'averroista Marco Antonio Genua, che più tardi ricorderà come "praeceptor meus philosophorum facile princeps" e dal cui insegnamento subì decisive influenze. Si laureò il 20 apr. 1555,ricevendo la laurea in arti dal Genua e quella in medicina da Oddo Oddi.

In questo stesso anno non appena i Francesi, sopita la guerra in Piemonte, ristabilirono l'università di Torino, il B. fu chiamato a ricoprirvi la cattedra di filosofia e medicina. Dei cinque anni seguenti non abbiamo notizie, ma certamente dovettero esser propizi alla sua fama: infatti nel 1560 allorché Emanuele Filiberto, perduta Torino, decise di istituire una nuova università a Mondovì, non mancò di chiamarvi il B., il 3 novembre di quell'anno, per leggere "filosofia et arte di medicina" con un soldo di 180 scudi. Vero è comunque che alla sua nomina giovò non poco l'intercessione del conte Stroppiana, il quale, secondo quanto il B. stesso ebbe a dire, intervenne per sostenerlo contro un "livor et aura popularis" che proprio in quel tempo stava offuscando la sua fama di filosofo e che era il prezzo della sua giovane età e della rapida fortuna. Non ancora trentenne, già professore in due università, ebbe modo di entrare a corte come medico di Emanuele Filiberto: nell'agosto del 1563 lo troviamo, infatti al capezzale del principe colpito da un violento attacco di polmonite, insieme con illustri medici quali l'Argenterio, il Bucci, il Gambarana, il Capra, il Bocco. Né il compito del B. terminò con la risoluzione del male proiché, insieme col Bucci, dovette seguire il principe a Nizza per sorvegliame la convalescenza.

Nel 1565 videro la luce a Mondovì le prime opere del B.: una Paraphrasis Antonii Bergae Taurin. Philosophi et Medici eorum quae in quarto libro operis Meteorologici habentur. De simplici generatione, putredine, coctione, concretione et liquefatione mistorum corporum et perfectorum, in cui, muovendo dalla lettura del IV libro della Meteorologia di Aristotele, il B. esamina i processi di commistione della materia e degli umori corporei, interpretandoli alla luce dei quattro elementi aristotelici e connettendoli ai suoi interessi di medico; e le Naturales praelectiones, dove fa precedere una digressione d'ispirazione avverroista sulla beatitudine come grado più alto della speculazione filosofica alla discussione sull'oggetto proprio della scienza naturale (che egli ritiene essere la sostanza mobile) e al commento del proemio alla De phisica auscultatione di Aristotele. Questa seconda opera si conclude con un'avvertenza del B. che, oltre a darci gli elementi validi a determinare il suo anno di nascita, contiene un esplicito riferimento alla malevolenza nutrita verso di lui da alcuni colleghi, soprattutto a causa della sua giovane età; per difendersi dall'accusa di inesperienza il B. fa seguire tre epigrammi dì amici benevoli. Nello stesso anno pubblicò un inedito del Genua, Disputatio de intellectus humani immortalitate, scritto contro le teorie del Pomponazzi e degli alessandristi, con ciò dimostrando non solo la devozione per il maestro, ma anche la diffusione dell'aristotelismo padovano nelle università italiane.

Nel 1566, riaprendosi l'università di Torino, il B. fu colà chiamato a leggere medicina teorica con lo stipendio di 300 scudi, per poi ricevere la nomina a primo lettore di medicina il 1° ott. 1567. La sua carriera, nonostante i primi ostacoli, si svolgeva tra ampi riconoscimenti, tanto che nel 1569 fu promosso lettore di filosofia con aumento di 50 scudi in parità di luogo con Agostino Bucci.

Intanto il B. aveva dato alle stampe a Torino un altro conimento ad Aristotele: Paraphrasis disputationumque selectarum libri quatuor in Libros Arist. de ortu et interitu, Augustac Taurinorum 1568, seguito da Disputationum selectarum libri duo, in Libros Arist. de ortu et interitu; nella prima opera esamina e commenta all'interno del concetto aristotelico di sostanza e materia prima, i processi di generazione, corruzione e alterazione; nella seconda presenta. ventidue dispute riguardanti i vari problemi connessi con la lettura del testo (notevole la prima, De creatione, in cui prende partito per l'opinione aristotelico-averroista dell'eternità dei mondo); il tutto mantenuto nell'ambito della tradizione peripatetica, tanto nei metodi che nei contenuti.

Nel 1572, morto l'Argenterio, passò alla lettura ordinaria di filosofia senza per questo trascurare l'attività di medico di corte: infatti nel giugno del 1573 fu nuovamente chiamato a consulto per una grave malattia di carattere malarico che aveva colto Emanuele Filiberto e che richiese un intero anno di cure.

Nel 1572 il B., ormai al vertice della carriera universitaria ed esposto all'attenzione dello Studio torinese, affisse alle porte della scuola alcune tesi nelle quali sosteneva, conformemente alla teoria avverroistica sull'unità dell'intelletto, la universalità del phantasma in rapporto alla pluralità degli individui. Il suo amico e collega Bucci, deciso a sostenere l'opinione opposta, colse l'occasione per invitarlo ad una pubblica disputa. Avendo il B. abbandonato il campo a discussione già iniziata e rendendosene impossibile una seconda, ambedue convennero di dare alle stampe l'intera questione. Infatti dopo poco il Bucci pubblicò le Naturales disputationes sex,Taurini 1572, la prima delle quali si intitola appunto De phantasmate ad Ant. Bergam, ed il.B. il suo In proæmium Phy. Arist. Commentarius itidem responsum ad logicam Augustini Bucii de Phantasmate Dispu. una cum Dispu. de primo cognito, Augustae Taurinorum 1573, inscrivendo così il proprio nome tra quello degli innumerevoli averroisti, alessandristi, peripatetici platonizzanti o di stretta osservanza che animavano, con le loro polemiche intorno al De anima,le università di tutta Italia.

L'insegnamento dei B., apprezzato da colleghi ed alunni, ricevette i lusinghieri riconoscimenti di G. Ancina, di Giambattista Giraldi Cinzio, di Rodomonte Germonio, nel suo Carmen de Academia Taurinensi, e di Anastasio Germonio, che lo celebrò come elegante poeta latino. Lo stesso Emanuele Filiberto gli dimostrò ampiamente la sua benevolenza poiché tra il 1573 ed il 1579 lo stipendio del B., uno tra i più alti dello Studio, conobbe un aumento di ben 100 scudi.

Un'altra celebre disputa il B. ebbe nel 1578,originata dallo stesso Emanuele Filiberto che aveva posto ai più celebri professori dello Studio la questione della grandezza della terra e dell'acqua; la discussione vide presto protagonisti il B., che sosteneva esser l'acqua maggiore della terra, e il matematico Giovanbattista Benedetti, che sulla scorta delle dimostrazioni di Alessandro Piccolornini sosteneva il contrario. Anche qui la controversia finì alle stampe. Il B. pubblicò un Discorso… della grandezza dell'acqua e della terra contra l'opinione del Sig. Alessandro Piccolomini, Torino 1579, in cui riportava una lunga serie di argomentazioni tratte da Aristotele, Plinio, Strabone, Tolomeo e molti altri, nel tentativo di dimostrare che l'acqua è maggiore della terra, contrariamente a quanto affermato dal Piccolomini. Tali prove sono basate da un lato sulla considerazione che la quantità degli elementi del mondo sublunare deve essere proporzionale al grado di eccellenza che ognuno d'essi riveste nella cosmologia aristotelica, e dall'altro sull'ipotesi che la terra, pur emergendo dalla superficie delle acque, sia però attraversata, a mo' di spugna, da una fitta rete di canali in cui penetri l'acqua. Tale dimostrazione comunque, oltre che contraddire la teoria aristotelica della maggior pesantezza della terra e della conseguente sua maggior vicinanza al centro dell'universo, rimane costretta nei limiti del verbalismo scientifico e della tecnica dossografica cari alla tradizione peripatetico-scolastica. Non fu perciò difficile al Benedetti confutarla su basi matematiche quando, dietro esplicita richiesta di Emanuele Filiberto, pubblicò la sua Considerazione… intorno al discorso della grandezza della terra e dell'acqua dell'Eccellent. Sig. Antonio Berga, Torino 1579. Le due opere furono riedite l'anno dopo in traduzione latina. Con questa pubblicazione, che ancor più delle altre ci dà piena conferma dei suo aristotelismo, il B. concluse la sua carriera di filosofo. L'Oratio panegyrica ad Emmanuelem Philibertum, edita da E. Stampini, non è altro che la bozza della lettera dedicatoria con cui inizia la sua Paraphrasis disputationumque selectarum libri quatuor… de ortu et interitu e la cui data è quindi da porsi non oltre il 1568. In essa il filosofo torinese ripropone temi di sapore averroistico e manifesta al principe il proprio desiderio di essere tra i dotti che lo circondano e lo onorano, "ne tibi Alexandro, Philosophum aliquem deesset ".

Nel 1580 Emanuele Filiberto moriva di idropisia, contratta in coincidenza d'una grave forma influenzale (il cosiddetto "male del montone ") che imperversò in Piemonte. Probabilmente il B., che era tra i medici curanti, non sfuggì all'infezione e morì vittima di tale epidemia in quello stesso anno: infatti a partire dal 1580 il suo nome non compare più nei rotuli dell'università torinese e sicuramente egli era già morto nel 1582.

Fonti e Bibl.: B. Viotto, De balneorum naturalium virìbus, Lugduni 1552, p. 122; alla fine dell'opera, due componimenti poetici del B.; G. Ancina, De Academia Subalpina, Monteregali 1565, pp. 20 s.; G. B. Giraldi Cinzio, Hecatommithi, ibid. 1565, p. 803; R. Germonio, Carmen de Academia Taurinensi, Taurini 1573, pp. 20 s.; G. Tonso, De vita Emmanuelis Philiberti, ibid. 1596; A. Germonio, Pomeridianae sessiones, in Opera omnia, Romae 1633, II, p. 228; A. Rossotto, Syllabus scrittorum Pedemontii, Monteregali 1667, pp. 64 s., 89 e ad Indicem; G.M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II,2, Brescia 1760. pp. 817, 925; 11, 4, ibid. 1763, p. 2263; G. Tiraboschi, Notizie dell'Accademia Torinese detta Papinianea, in Continuazione del Nuovo giornale de' letterati, XXXIX, Modena 1788, p. 207; O. De Rossi, Scrittori piemontesi savoiardi nizzardi, Torino 1790, p. 13; G. Grassi, Dell'Univ. degli Studi di Mondovì, Mondovì 1804, pp. 12 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII,3, Venezia 1824, p. 776; G. G.Bonino, Biografia medica piemontese, Torino 1834, I, pp. 284-7, 291, 294; T. Vallauri, Storia della poesia nel Piemonte, I, Torino 1841, p. 257; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Modena 1870-80, App., p. 93; T. Vallauri, Storia delle Univ. degli Studi del Piemonte, Torino 1875. pp. 127, 135-7; E. Narducci, Giunte all'opera "Gli Scrittori d'Italia ", in Atti della R. Acc. dei Lincei, s. 3, XII(1884), p. 82; C.Bonardi, Lo Studio generale a Mondovì (1560-1566). Torino 1895, pp. 89-91; A. Manno, Il patriziato subalpino, II, 3, Firenze 19o6, p. 250; G. Carbonelli, Bibliographia medica Pedemontana saec. XV-XVI, Roma 1914, pp. 54-59, 80, 84, 165, 378, 417, 420; L. Gualino, Emanuele Filiberto, saggio di medicina storica, Torino 1928, pp. 89, 115, 118; A. Segre-P. Egidi, Emanuele Filiberto, II, Torino 1928, pp. 190, 212, 275; S. Pivano, Emanuele Filiberto e le Univ. di Mondovì e di Torino, in Studi pubbl. dalla R. Univ. di Torino nel IV centenario della nascita di Emanuele Filiberto, Torino 1928, p. 10; M. Chiaudano, I lettori dell'Univ. di Torino ai tempi di Emanuele Filiberto (1566-1580), ibid. pp. 54, 57, 59,61, 63, 65, 67, 69, 71, 73, 75-77, 79; P. Giacosa, La medicina in Piemonte nel sec. XVI, ibid., p. 112; E. Stampini, Monsregalensia et Taurinensia, ibid., pp. 313, 326-30; L. Thorndike, A History ofmagic.and experimental Science, V, New York 1941, pp. 24 s.

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