BICHI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 10 (1968)

BICHI, Antonio

Gaspare De Caro

Nacque a Siena il 30 maggio del 1614, da Firmano, appartenente all'antica e nobile famiglia cittadina dei marchesi di Scorgiano, e da Onorata Mignanelli, sorella uterina di Fabio Chigi, il futuro Alessandro VII. Si addottorò nello Studio senese in diritto civile e canoniconel 1638 ed il 16 maggio di quello stesso anno fu accolto nel Collegio dei legittimi. Fabio Chigi, inviato nunzio a Colonia nel 1639, scelse il giovane nipote come auditore della nunziatura. Fatta così a Colonia la prima esperienza delle questioni politiche e religiose del tempo, il B. fu proposto dallo zio al cardinal nepote Francesco Barberini per l'importante carica di internunzio a Bruxelles, benché lo stesso Chigi non potesse nascondere qualche perplessità a causa della sua giovane età, mentre "Bruselles in questi tempi vorrebbe un curiale e più vecchio e più fino" (La correspondance anti-janséniste..., p. 4). La presentazione del nunzio fu però per la Curia argomento sufficiente a vincere ogni riserva sull'esperienza e capacità del B. e questi, nominato perl'occasione abate di S. Anastasia, partì per Bruxelles nell'aprile del 1642, essendo stato designato l'8 febbraio: lo accompagnavano le raccomandazioni del Chigi ai maggiori esponenti gesuiti della provincia fiandro-belga. Così, con la duplice e concorde ispirazione della Compagnia di Gesù e di Fabio Chigi, che negli affari della nunziatura di Bruxelles ebbe, attraverso il nipote, una grande influenza, il B. si trovò ad affrontare la controversia dottrinale e disciplinare suscitata dalla condanna dell'opera postuma di Cornelio Iansen, l'Augustinus.

Pubblicata a Lovanio nel 1640, l'opera del vescovo di Ypres era stata immediatamente denunziata alla S. Sede dai gesuiti. La prima condanna dell'Augustinus era avvenuta con un decreto del S. Uffizio del 1º ag. 1641, ed il 6marzo 1642 era seguita la più solenne condanna di Urbano VIII con la bolla In eminenti, pubblicata però, di fatto, alquanto più tardi, il 19 giugno 1643. Nella ristampa della bolla fatta dal B. in Anversa furono parzialmente riprodotti gli errori formali che già figuravano nella ristampa curata dal Chigi a Colonia, sicché i giansenisti avanzarono contro i gesuiti l'accusa di aver falsificato il documento pontificio.

Inviata la bolla, nel luglio seguente, a tutti i vescovi dei Paesi Bassi, perché la pubblicassero nelle rispettive diocesi, il B. incontrò la tenace resistenza di una parte del clero che faceva capo all'arcivescovo di Malines J. Boonen e quella dell'università di Lovanio, dove soltanto una parte minore dei professori si dichiarò in favore della condanna di Giansenio.

Tale resistenza fu sostanzialmente tollerata dal governatore generale delle Fiandre, Francisco de Melo: infatti, sebbene questi promettesse più volte al nunzio "et in voce, et in scritto, che non lassarebbe fare cosa alcuna contro della bolla", come scriveva l'8maggio 1644il B. a G. Panciroli, nunzio a Madrid (La première bulle..., I, p. 94), si limitò in realtà ad ingiungere all'università di Lovanio di cessare le discussioni sull'Augustinus e ad informarsi presso i vescovi dei Paesi Bassi se l'opera avesse suscitato scandalo nelle rispettive diocesi.

Questo atteggiamento del governatore incoraggiò naturalmente la resistenza giansenista. L'università di Lovanio inviò due suoi delegati al B., l'oratoriano C. Pape ed il premostratense G. Maes, i quali respinsero a nome dell'università la bolla pubblicata dal B. e chiesero il testo autentico del documento pontificio "afin d'être certains de la volonté de Sa Sainteté" (Boûoaert, p. 802).Poiché il nunzio non poté, ovviamente, soddisfarli, l'università inviò a Roma, per prendere diretta conoscenza della condanna presso il pontefice, lo stesso Pape e l'irlandese J. Sinnich, presidente del Gran Collegio dei teologi e dottore reggente della facoltà di teologia di Lovanio. La risposta a queste iniziative furono i brevi inviati da Urbano VIII al governatore dei Paesi Bassi, agli arcivescovi di Cambrai e Malines ed alle università di Douai e di Lovanio che confermavano l'autenticità della bolla ed invitavano alla sua pubblicazione. La situazione non cambiò sostanzialmente, tuttavia, sino a che al Melo non fu sostituito nella carica di governatore generale, nel 1644, il marchese di Castel-Rodrigo Manuel de Mora.

Da questo, che era deciso avversario dei giansenisti e largamente influenzato dai gesuiti, il B. ricevette nella sua missione quell'aiuto delle autorità civili che sino allora gli era mancato.

Esortato dal nunzio "ad operare conforme con tanta efficazia ne è richiesto da Nostro Signore, avanti che il male diventi di peggior condizione" (La première bulle..., I, pp. 281 s.), il B. pretese dagli ecclesiastici titolari di benefici regi che si sottomettessero alla bolla In eminenti, equesta misura servì in alcune circostanze particolari ad impedire l'espansione del movimento giansenista e ad evitare l'attribuzione di importanti cariche ecclesiastiche a sostenitori dichiarati dell'Augustinus, come fu il caso di E. van Caelen e di L. Froidmont, che dovettero rinunziare rispettivamente ai vescovati di Roermond e di Tournai; il B. ottenne inoltre che il Castel Rodrigo ordinasse la pubblicazione ufficiale della bolla ai rettori delle università ed ai vescovi: presto però apparve chiaro che iniziative del genere non potevano costituire un serio ostacolo alla diffusione del movimento giansenista, il quale difatti dilagò tra il clero regolare, affermandosi tra i premostratensi, gli oratoriani ed i domenicani, fra quello secolare, alcuni tra i rappresentanti più influenti del quale respinsero l'ingiunzione del Castel-Rodrigo, come il Boonen ed i vescovi di Bruges, Gand ed Ypres, ed infine in larghissima parte della popolazione.

Il B. fu però incapace di interpretare rettamente il fallimento di questa iniziativa antigiansenista che si affidava sostanzialmente all'azione repressiva delle autorità civili, poiché non gli riuscì di intendere la vera natura del movimento che apriva nella Chiesa cattolica una profonda e duratura crisi: di fronte al fervore religioso ed all'intransigenza morale dei suoi avversari, il nunzio non seppe vedere se non una mera questione disciplinare, come del resto lo inducevano a fare la sua formazione giuridica e la sua completa mancanza di preparazione e di interessi teologici, nonché l'influenza dei gesuiti e del Chigi, anche lui largamente indifferente agli aspetti dottrinali e morali della resistenza giansenista. Il limite di una iniziativa del governo civile contro i sostenitori dell'Augustinus, quale il nunzio e la stessa Curia romana pretendevano, era chiaramente rilevato dal presidente del Consiglio privato P. Roose, convinto che solo le normali vie canoniche potevano piegare i dissidenti a "la loi intérieure de l'obéissance" (ibid., p. 529). Ma ormai anche il richiamo alla disciplina ecclesiastica era sentito dai giansenisti soltanto come estrinseca costrizione: era naturale dunque che dopo tanti appelli inascoltati il nunzio non vedesse altro rimedio se non il ricorso al braccio secolare; anche su questo piano però la situazione era tutt'altro che favorevole al B. ed ai suoi sostenitori gesuiti, poiché al Castel-Rodrigo facevano riscontro numerosi autorevoli personaggi ed istituzioni che appoggiavano largamente i giansenisti: così il Consiglio privato, con il suo presidente Roose, così l'università di Lovanio, dove era influentissimo il Froidmont, così infine il Consiglio del Brabante. D'altra parte neppure il governatore delle Fiandre era disposto a soddisfare sino in fondo le pretese del nunzio, il quale era costretto spesso a lamentarsene a Roma. In realtà il Castel-Rodrigo doveva tener conto degli aspetti politici della questione che sfuggivano parzialmente al nunzio: in particolare egli riteneva che una azione troppo decisa nei confronti dei giansenisti avrebbe potuto influire negativamente sulla situazione politica generale, resa precaria per gli Spagnoli dallo sfavorevole andamento del conflitto con la Francia. Perciò, scrivendo l'8 luglio 1645 al cardinale Alfonso de la Cueva, deprecava lo zelo eccessivo del nunzio e rivendicava, contro le pressioni di lui, l'opportunità di perseguire un metodo più duttile che non esacerbasse le resistenze e non offendesse il geloso autonomismo dei Paesi Bassi. Al B., tuttavia, non mancò mai la solidarietà ufficiale della Sede apostolica, come dimostra la risposta del de la Cueva, in nome del papa, del tutto favorevole alla sua zelante attività (ibid., p. 263).

Non c'è dubbio comunque che il B. aggravasse per suo conto la già difficile situazione della Chiesa nei Paesi Bassi. Gli mancava, innanzitutto, il prestigio intellettuale e morale necessario per imporre il rappresentante pontificio al rispetto degli avversari: il Boonen, scrivendo a Filippo IV il 30 sett. 1649, poteva infatti definirlo "homme de petit talent et de fort peu de savoir et d'expérience", giudizio che pare fosse largamente condiviso anche da molti esponenti dell'ortodossia (La première bulle, I, p. 731). Se possibile, ancora minore era il prestigio morale dell'internunzio, il quale, sprovvisto di patrimonio personale, usava a proprio vantaggio i poteri giudiziari ed amministrativi attribuitigli dalla carica. Le accuse che in proposito i giansenisti levavano contro il B. sono chiaramente confermate dal duro giudizio che al momento della sua definitiva partenza da Bruxelles esprimeva su di lui l'autorevole giurista P. Stokmans, tutt'altro che sospetto di simpatie gianseniste: "Advenerat pauper, redit dives. Spiritualia non seminavit, messuit tamen temporalia" (ibid., p. XXXVIII). Sebbene le pratiche del B. non mancassero di precedenti nella nunziatura di Bruxelles, le cose giunsero a tal punto che il vescovo di Gand, il giansenista A. Triest, poté levare contro di lui una pubblica protesta nell'assemblea dei vescovi belgi del 1645, e che vari esponenti di ordini religiosi dovettero citarlo a più riprese, nel 1645 e nel 1649, innanzi al Consiglio del Brabante, il quale aprì contro l'internunzio una serie di clamorosi processi.

Rimasero a sostenere il B., che già nel 1645, sotto la pressione degli attacchi rivoltigli, aveva offerto a Roma le dimissioni, i gesuiti, i quali avevano nell'internunzio uno strumento a tal punto docile che lo stesso Castel-Rodrigo se ne lamentava nella lettera citata al de la Cueva. Nel 1647, all'arrivo a Bruxelles di Leopoldo Guglielmo d'Asburgo, in sostituzione del Castel-Rodrigo, i gesuiti tentarono di ottenere al B. la carica di nunzio permanente ed anche l'elevazione al vescovato: il B., infatti, si indusse con questa prospettiva a ricevere gli ordini sacri; tuttavia l'appoggio dei gesuiti non valse per il momento ad ottenergli le cariche desiderate.

Fin dal principio apparve evidente che il nuovo governatore avrebbe appoggiato ancor più energicamente del Castel-Rodrigo l'azione antigiansenista dell'internunzio. Leopoldo Guglielmo era infatti largamente legato ai gesuiti, e aveva del resto istruzioni assai rigorose da parte di Filippo IV, per piegare la resistenza dei ribelli, non soltanto in difesa dell'ortodossia, ma anche perché "en razón politica tiene grandes inconvenientes mantener en un Estado opiniones encontradas y mucho más en las materias de religión" (La première bulle, I, p. 527). E in effetti Leopoldo Guglielmo inaugurò una politica di massiccia repressione del movimento giansenista: decise di non concedere alcun beneficio a chi rifiutasse una dichiarazione giurata contro l'Augustinus, sostituì il rettore dell'università di Lovanio con l'ortodosso Guglielmo ab Angelis, chiese ed ottenne nel 1649 che il Roose, presidente del Consiglio privato, fosse allontanato dalla sua carica, e si preparò ad annunziare con un decreto il suo proposito di avocare al braccio secolare la pubblicazione ufficiale della bolla. A questo punto l'appoggio del potere civile minacciava di spingersi troppo oltre, e persino il B. dovette rendersi conto, anche per le allarmate reazioni della Curia, che il drastico atteggiamento del governatore non solo era pericoloso all'evoluzione della controversia religiosa, poiché offriva ai giansenisti la possibilità di considerare condannato il Giansenio "per materia politica, non dogmatica" (ibid., p. 558), ma minacciava le stesse prerogative giurisdizionali della Chiesa nelle Fiandre.

Da allora tutta l'attività del B. si rivolse perciò ad impedire la pubblicazione del decreto, o almeno a temperarne gli aspetti compromettenti per gli interessi ecclesiastici: con poca fortuna, tuttavia, ché ormai tanto la corte di Madrid che il governatore generale erano decisi a condurre sino in fondo la loro azione. Così, nonostante le sue proteste, nell'aprile del 1651 veniva pubblicato il decreto che imponeva la bolla In Eminenti in tutto lo Stato con la forza ed il vigore di una legge civile: un colpo gravissimo per i giansenisti, ma anche per il B., costretto il 20 aprile a dichiarare pubblicamente abusiva l'iniziativa del governatore e a minacciare gravi misure canoniche se l'editto non fosse stato revocato. La risposta di Leopoldo Guglielmo, sul quale la responsabilità politica pesò in questa occasione assai più che i suoi forti scrupoli religiosi, non fu meno decisa: con una circolare del 23 giugno ai Consigli di stato dichiarò nulla la protesta dell'internunzio, ordinò il sequestro di tutti gli esemplari a stampa di essa e preannunciò la punizione dello stampatore. Il Consiglio del Brabante minacciò poi di ricorrere alla forza contro l'internunzio se questi non avesse accettato i provvedimenti. In questa situazione lo stesso Innocenzo X si vide costretto ad intervenire a favore del proprio rappresentante dapprima presso Leopoldo Guglielmo, poi sollecitando l'intervento di Filippo IV perché fossero ristabiliti buoni rapporti con il Bichi. Ma ormai questi, compromesso anche sul piano personale dalle vertenze con il Consiglio del Brabante per le sue sentenze in materia di giustizia contenziosa, aveva rivelato chiaramente i propri limiti anche alla corte di Roma: nel marzo del 1652 fu designato a succedergli nell'internunziatura di Bruxelles il forlivese Andrea Mangelli e il B. fece definitivo ritorno in Italia nel giugno di quel medesimo anno.

Quanto poco conto facesse la S. Sede delle qualità del B. e della sua attività diplomatica a Bruxelles fu confermato dalla modestia del premio accordatogli al suo ritorno: l'11 dic. 1652 Innocenzo X lo creò infatti vescovo della piccola diocesi di Montalcino ed è da credere che la sua carriera ecclesiastica non avrebbe fatto in futuro sostanziali miglioramenti se egli non avesse avuto l'appoggio dello zio Fabio Chigi. Eletto questi al pontificato nell'aprile del 1655, il 6 marzo dell'anno successivo promosse il nipote alla sede più importante di Osimo e nel concistoro del 1º dic. 1659 lo creò cardinale con il titolo di S. Agostino.

Questa decisione dimostra come anche Alessandro VII pagasse il suo tributo alla pratica del nepotismo, pur da lui appassionatamente deprecata. Vero è comunque che il Chigi non esagerò nella protezione del nipote, al quale, come ricorda lo Sforza Pallavicino, "molti auguravano il posto di cardinal dominante", senza effetto, tuttavia, poiché "era presso il pontefice di mediocre concetto dal quale più che dall'affetto regolava egli le sue elezioni" (Della vita di Alessandro VII, pp. 282s.).

Così la carriera del B. si restrinse a cariche di secondaria importanza, la più impegnativa delle quali fu quella di legato di Urbino, cui fu nominato il 17 apr. 1662.

Soprattutto, però, si occupò della propria diocesi di Osimo, facendone la visita pastorale subito dopo il suo trasferimento da Montalcino e riunendo tre volte il sinodo diocesano, il 17 maggio 1661, il 6sett. 1677ed il 19 giugno 1690. Il 2maggio 1662curò la translazione delle reliquie dei santi Vittore, Corana e Filippo; fu incaricato, inoltre, del processo di beatificazione del conventuale Giuseppe da Copertino. In Osimo ordinò che fossero restaurati il palazzo episcopale, il vicariato e la prigione ecclesiastica. Il 3 maggio 1687 Innocenzo XI lo trasferì dalla diocesi di Osimo alla sede episcopale di Palestrina, accordandogli però l'autorizzazione a conservare sino alla morte l'amministrazione della diocesi marchigiana.Il B. partecipò ai conclavi di Clemente IX, Clemente X, Innocenzo XI e Alessandro VIII. In nessuna occasione assunse un ruolo di qualche rilievo nel collegio dei cardinali, confermando così, anche per questo verso, la sua sostanziale mediocrità. Morì ad Osimoil21febbr. 1691.

Fonti e Bibl.: Constitutiones et decreta edita in synodo Auximana, 17 maii 1661, Maceratae 1661; Constitutiones et decreta edita in secunda Auximana synodo, 6 septembris 1677, Maceratae 1678; Constitutiones et decreta edita in tertia Auximana synodo, 16 iunii 1690, Maceratae 1690. La corrisp. del B. con lo zio Fabio Chigi ed altri utili documenti biogr. in La correspondance anti-janséniste de F. Chigi nonce a Cologne…, a cura di A. Legrand e L. Ceyssens, Bruxelles-Rome 1957,passim; la sua corrisp. ufficiale relativa al periodo della internunziatura a Bruxelles, in La première bulle contre Jansénius. Sources relatives à son histoire (1644-1653), a cura di L. Ceyssens, Bruxelles-Rome 1961-1962,passim. Altri importanti docum. in Documents relatifs a l'admission aux Pays-Bas des nonces et internonces des XVIIe et XVIIIe siècles, a cura di J. e P. Lefèvre, Bruxelles-Rome 1939,passim; Documents relatifs a la jurisdiction des nonces et internonces des Pays-Bas pendant le règime espagnol, a cura di J. Lefèvre, Bruxelles-Rome 1943,passim. Cfr. inoltre: F. Sforza Pallavicino,Della vita di Alessandro VII libri cinque, I, Prato 1838, pp. 282 s., 285; Recueil des instructions générales aux nonces de Flandre, a cura di A. Cauchie-R. Maere, XXXIX, Bruxelles 1904, p. 196; L. Martorelli,Mem. stor. dell'antichissima e nobilissima città d'Osimo, Venezia 1705, pp. 432-449; E. Cecconi,Storia di Palestrina, Ascoli 1756, p. 381; M. Talleoni,Istoria dell'antichissima città di Osimo, II, Osimo 1808, p. 173; A. Legrand,Le jansénisme dans les Pays-Bas espagnols, in Mélanges Moeller, II, Louvain 1914, p. 337; L. Van der Essen,Un document inédit sur les débuts du jansénisme et l'université de Louvain…, in Académie Royale de Belgique. Bulletin de la Commission royale d'histoire, LXXXVIII (1924), pp. 313-318; C. Boûoaert,L'opposition de quelques évêques belges à la bulle "In Eminenti", in Revue d'hist. ecclès., XXIII (1927), pp. 801-817; L. von Pastor,Storia dei papi, XIV, I, Roma 1932, pp. 200, 228, 230, 231 ss., 235-239, 241 s., 244, 248, 325, 327; 2, pp. 4, 387; P. Gauchat,Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, IV, Monasterii 1935, pp. 33, 104, 208; W. Brulez,La crise dans les relations entre le Saint-Siège et les Pays-Bas au XVII siècle, in Bulletin de l'Institut hist. belge de Rome, XXVIII (1953), pp. 63-104; L. Ceyssens,Michel Paludanus. Ses attitudes devant le jansénisme, in Augustiniana, V(1955), pp. 125-161, 205-240, 325-361; VI (1956), pp. 849-899,passim.

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