COCCHI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

COCCHI, Antonio

Ugo Baldini

Nacque il 3 ag. 1695 a Benevento da Giacinto, di Borgo San Lorenzo nel Mugello, e da Beatrice Bianchi di Baselice, nel Beneventano. Il padre si trovava in Campania per curare i possedimenti della casata fiorentina dei Rinuccini; in seguito il marchese Carlo Rinuccini sarà protettore del giovane Antonio, che corrisponderà anche con Bartolomeo Intieri, successore del padre in Campania e animatore della cultura napoletana verso la metà del Settecento. I Cocchi dovettero tornare in Toscana e stabilirsi a Firenze poco dopo la nascita del C. perché questi studiò nelle scuole fiorentine degli scolopi, dove ebbe per docenti i padri G. Cremona e F. Moneglia, e dove conseguì risultati brillanti, specie negli studi letterari. Non è da escludere che dagli studi con gli scolopi il C. traesse alcuni elementi della sua successiva ostilità a certo dogmatismo religioso e ai suoi sostegni culturali, se si ricorda che fin dal Seicento l'Ordine era incline ad un'accezione umanitaria e attiva della religiosità, con aperture tecnico-scientifiche, e ostile al gesuitismo.

Nel 1713 il C. s'iscrisse al corso di laurea in medicina a Pisa, che dopo il declino della fisico-matematica galileiana restava l'unico caposaldo della tradizione scientifica toscana; l'influsso di L. Bellini, scomparso da poco, vi aveva radicato una impostazione iatromeccanica con implicazioni materialistiche sottaciute, ma reali: la formazione medica del C. avverrà entro i parametri (e quindi i limiti) di questa tradizione, e la sua cultura tecnica non li oltrepasserà mai, in quanto egli tenderà a vedere gli sviluppi italiani ed esteri in biologia e medicina, ancora alla metà del Settecento, entro i suoi moduli, sentiti come gli unici congruenti col volto moderno dell'attività scientifica. A Pisa il C. seguì i corsi matematici di G. Grandi e, pare, anche le sue lezioni private di filosofia (una lettera del C. al Grandi, del 3 ag. 1717, è nel carteggio di quest'ultimo nella Bibl. universitaria di Pisa, ms. 90, cc. 1-2); ciò è indicativo perché il Grandi, rivendicatore della tradizione scientifica del galileismo, era filosoficamente un cartesiano, capace quindi di suggerire un fondamento epistemologico al meccanicismo fisiologico che il C. poté assorbire da alcuni docenti di medicina, come A. D. Gotti, G. Zambeccari e P. Giannetti. Costoro, in quanto allievi del Bellini e di A. Marchetti, erano sostenitori d'un atomismo filosofico, tramite il quale il meccanismo fisiologico della tradizione iatromeccanica trapasserà, in particolare nel C., nel materialismo illuministico.

Laureatosi nel 1716 il C. tornò a Firenze e nel luglio 1717, dopo aver frequentato nell'ospedale di S. Maria Nuova un corso pratico richiesto per l'esercizio della professione, fu ammesso nell'Ordine dei medici, cerusici e speziali fiorentini. Nel contempo fece pratica con T. Puccini, ex allievo del Redi e professore di filosofia naturale nello Studio fiorentino; se in fisiologia resterà fedele alla iatromeccanica belliniana, in terapia seguirà l'empirismo medico rediano, fino alla svalutazione quasi totale dei farmaci e all'insistenza quasi esclusiva sulle autonome capacità di recupero degli organismi.

Attorno al 1718 il C. accettò l'incarico di medico della guarnigione di Porto Longone, nell'isola d'Elba, dove rimase circa un anno; tornato a Firenze, esercitò privatamente e si dette, praticamente da solo, allo studio di varie lingue classiche e moderne: apprese così, spagnolo, francese e inglese, oltre al greco antico, e si dedicò anche all'arabo ed all'ebraico. In questo suo interesse linguistico si sono viste la volontà di emulare il poliglotta Redi e la valutazione dell'utilità delle conoscenze linguistiche per una formazione medica basata sulle fonti; questi elementi non vanno trascurati, ma va ricordato che verso il 1720 la cultura medica si stava ormai emancipando dalla dipendenza da fonti classiche, e che lingue come arabo, ebraico e spagnolo erano ormai praticamente estranee alla professione. In realtà agì in lui una disposizione spontanea, forse il tratto più caratterizzante nell'arco differenziato dei suoi interessi e competenze, che compare in modo tipico nel diario, comunemente noto come Effemeridi, che tenne con regolarità quotidiana dall'ottobre del 1715 fin quasi alla morte.

Le Effemeridi, contenute in circa centodieci quadernetti, che sono conservati in gran parte tra i manoscritti dell'universitaria Bibl. centrale medica di Firenze, a Careggi (ms. R 207, 24), adottano come lingua base l'italiano, sostituito da altre in varie circostanze. Si tratta d'un documento che per ampiezza e carattere ha pochi analoghi anche in un secolo ricchissimo di memorialistica; il C. non fissa solo i fatti intimi più rilevanti e gli aspetti salienti delle sue attività, ma sembra aspirare a una biografia "totale", registrando dati meteorologici, astronomici e sismici, contenuto dei pasti, situazione finanziaria, vicende del momento, fogge del vestiario, appunti di viaggio. L'attenzione ad aspetti minori e minimi della vita quotidiana, che al Fabroni parve indizio negativo d'una disposizione narcisistica, ebbe naturalmente radici psicologiche, che vanno però considerate astraendo dalle categorie morali del biografo settecentesco e correlate alla cultura del C. stesso. L'attenzione scupolosa a dettagli anche minuti del proprio stato e della propria immagine pubblica si può intendere come aspetto d'una globale strategia di qualificazione sociale, sentita in modo apprensivo pur se dissimulato sotto i panni aulici del distacco sapiente d'origine lucreziana e scettica; così il rilievo dato a fatti nutritivi ed alle regole di vita, a fattori connessi alla vita della persona, come quelli meteorologici, l'attività motoria e l'igiene, e alla creazione d'un quadro di serenità e agì il più possibile posto al riparo da turbolenze esterne, oltre a rivelare il medico meccanicista, per il quale ogni variabile capace d'agire sull'organismo richiede controllo, mostra anche il risvolto materialistico e individualistico di quella impostazione: l'illuminismo cocchiano è quasi completamente alieno da disposizioni utopiche in materia politico-sociale; il suo materialismo tende a restringere i fatti vitali "reali", i soli degni della cura dell'intellettuale illuminato, a quelli fisici di sopravvivenza e benessere, pur ampiamente intesi, e a configurare come irrazionale qualsiasi interesse non rapportabile ad essi. Vera in questa posizione una contraddizione intrinseca, le cui conseguenze si colgono più volte nella vita del C.; se per un lato portava ad accettare la realtà dell'epoca come quadro in cui operare per raggiungere "quella beatitudine di cui l'uomo s'osserva esser tanto bramoso, e che consiste nella facoltà di eseguire buona parte delle sue voglie" (come scriverà nel Discorso... sopra l'istoria naturale), qualificando come irrazionale il posporre il benessere quotidiano ad aspirazioni remote ed incerte, dall'altro, in quanto derivava da un quadro filosofico generale alternativo a certi valori della tradizione religiosa, si poneva come scelta ideologica rischiosa, atta a compromettere gli obiettivi che indicava come primari, e smentiva con la sua stessa coerenza la riduzione dell'"ideale" al "piacevole". Si spiega così come il C., pur allacciando solidi legami con le autorità e conseguendo una posizione prestigiosa, e pur mascherando pubblicamente le proprie posizioni, particolarmente in sede religiosa, non poté evitare sospetti diffusi divenendo punto di riferimento della polemica contro la minoranza intellettuale incredulo-libertina, e ciò anche per componenti di ambizione che talora incrinarono le sue cautele. Si trovò quindi in una situazione di parziale isolamento dal suo ambiente professionale e sociale, che tentò di razionalizzare teorizzando (secondo una testimonianza di G. Lami) la necessità di muoversi in una cerchia ristretta di amici: il cosmopolitismo e razionalismo scettici, approdati all'ideale d'una vita piacevole costruita in un ambiente familiare ed al di fuori di tensioni, venivano così, in quanto teorizzati, ad essere un motivo di distacco da quello stesso ambiente. Questa dinamica biografica è il tessuto in cui si inseriscono i vari fatti della vita e dell'attività del C., ed essa appare nel modo più chiaro nelle Effemeridi, che perciò non sono solo un deposito vasto, e finora poco utilizzato, di dati per la storia sociale, culturale e politica, ma un documento rivelatore d'un momento evolutivo dello spirito preilluministico e illuministico in Italia; per questo sarebbe necessario un loro studio completo, anche se la destinazione privata e la stesura affrettata ne riducono spesso le notizie ad accenni e le rendono stilisticamente ben diverse dalle opere edite.

Dopo il ritorno a Firenze il C. amò esplorare i fondi librari e manoscritti della città. Questa sua consuetudine, che è di per sé una prova dell'origine molto più che utilitaria dei suoi interessi linguistici, dette frutti notevoli: nel 1722 lavorò su di un codice della Laurenziana contenente la collezione di scritti chirurgici greci del bizantino Niceta, che pubblicherà anni dopo; nella stessa Laurenziana studierà codici di Gregorio di Nissa e di Filone Ebreo, e nella Cassinese trarrà copia del Cherea e Calliroe di Caritone d'Afrodisia con l'intento di pubblicarlo (ma poi rinuncerà, vendendo la copia ad un conoscente inglese). Forse è da riferirsi a questi anni anche la lettura del manoscritto della Vita del Cellini, che il C. pubblicherà anni dopo (Colonia, ma Napoli, 1728) con una breve presentazione che costituisce l'inizio della storia critica di quel testo: le intemperanze dell'artista, la sua capacità d'esaltazione fantastica e la fede nelle apparizioni e nella magia vi sono caratteristicamente inserite in un quadro esplicativo clinico e non storico-culturale (il Baretti denuncerà l'insensibilità del C. ai peculiari pregi del testo celliniano), ma si rileva il valore umano e documentario dell'opera. Nel C. l'interesse linguistico si fa filologico e palcografico e si unisce al gusto per la letteratura: questi studi, che furono forse quelli che sentì maggiormente, e per i quali limitò il lavoro scientifico e la stessa attività professionale, sono documentati, oltre che da scritti editi che si verranno citando, da una considerevole quantità di scritti ed appunti poi confluiti in vario modo nella Biblioteca nazionale di Firenze (Adversaria variae eruditionis; Observationes in gramaticam graecam; Adversaria in Platonem; In Dantem adnotationes; Studi di lingua ebraica; Schedae variae; Notizia della lingua greca, e classazione di greci scrittori; Emendazioni a Senofonte Efesio; Note di vocaboli propri d'Asclepiade; Studi greci; Appunti di lingua olandese, una traduzione da Saffo, ed altri).

Così il C., mentre come medico si poneva come seguace rappresentativo della più qualificata tradizione toscana, al punto d'incontro tra anatomo-fisiologia belliniana e terapeutica rediana, si rendeva noto anche ai circoli umanistici fiorentini ed allo stesso A. M. Salvini, il maggiore grecista toscano del primo Settecento.

L'interesse filologico-letterario comparirà in seguito anche nelle opere scientifiche, e non solo sotto l'aspetto della raffinatezza stilistica e dell'abbellimento erudito: vi si nota un tentativo consapevole d'inquadramento storico-erudito della genesi di dottrine e di analisi etimologica dei termini e delle concezioni che sottintendono. Quest'aspetto, che differenzia la produzione del C. entro la tradizione medico-biologica d'ascendenza galileiana, per solito più strettamente tecnica, costituisce forse oggi il suo maggiore interesse: mentre egli non fornì contributi nuovi né in isiologia né in terapia, la sua scrittura scientifica pare alludere ad un ideale di scienza unica, associante il contributo ermeneutico della nuova erudizione con quello di verifica ed incremento dei dati dello sperimentalismo.

Per la competenza linguistica, a Firenze il C. divenne il medico preferito dalla considerevole colonia inglese, nucleo di rappresentanza nella capitale del granducato dei forti interessi commerciali gravitanti su Livorno. In questo ambiente conobbe Theophilus Hastings, conte di Huntingdon, che (1722) apprestandosi a tornare in Inghilterra gli propose di seguirlo come suo medico; il C., la cui posizione professionale non era evidentemente ancora consolidata, accettò, e le Effemeridi sono ricche di dati interessanti sul viaggio, che iniziato nell'aprile si svolse attraverso Bologna, Ferrara, Venezia, Bolzano, Strasburgo e Parigi, con soste talora anche lunghe. Già in questi primi appunti di viaggio. si impone la vastità degli interessi, ed insieme la cura con cui il C. cerca d'utilizzare ogni occasione ricreativa o formativa, di allacciare rapporti e di crearsi una solida reputazione: visita musei e biblioteche, acquista libri, incontra dotti, frequenta teatri e salotti, è attento ai dati del costume e dell'economia; ancora otto anni dopo il Lami raccoglierà a Parigi echi del suo soggiorno. Egli guarda alle realtà che attraversa con un atteggiamento oscillante tra l'aspettativa entusiasta del provinciale, formatosi con stimoli culturali più ampi del suo ambiente, e le riserve di chi si sente comunque portatore d'una tradizione illustre e si inorgoglisce nel notare che per alcuni aspetti il proprio paese è superiore ad altri più favoriti dalla circolazione economica e delle idee. Così, ad esempio, nel giudizio su Parigi il C. oscilla tra l'ammirazione per la grandiosità ed il fervore di vita mondana e intellettuale e il rifiuto di aspetti degenerativi dell'epoca della reggenza del duca d'Orléans, "il peggiore libertino d'una società corrotta e dedita ad ogni sorta di libidine".

Questa stessa oscillazione si verifica anche nel suo giudizio sulla società inglese, spesso presentato impropriamente come del tutto entusiastico. Giunto in Inghilterra nel marzo 1723 il C. resta al servizio di Huntingdon fino al luglio successivo, quando per divergenze ed anche per il trattamento economico non proprio generoso si separa da lui, pur senza una rottura formale, e decide di vivere a Londra con l'esercizio della medicina. L'abilità nello stabilire rapporti sociali gli consente d'inserirsi nei circoli nobiliari e scientifici, assimilando a fondo lo stile di vita locale; visita poi diverse zone, approfondendo storia e cultura. Se dopo il ritorno a Firenze, fors'anche in seguito ai contrasti coi tradizionalisti e coi piccoli interessi locali, la società inglese gli apparirà spesso come un riferimento inattingibile alla vita continentale, i giudizi formulati durante il soggiorno nell'isola sono più limitativi: se non escludono l'ammirazione per certi aspetti politici, sono meno entusiastici circa il costume e la cultura, i cui pregi paiono al C. precorsi e superati dalla tradizione galileiana.

In questo senso si pronuncia in due lettere scritte nel 1726 da Londra ad Antonio Conti, conosciuto a Parigi (nelle Lettere scelte... all'abate A. Conti, Venezia 1812, pp. 20-33); in esse giunge ad affermare la netta superiorità della cultura fiorentina su quella inglese ed a ridimensionare la figura d'un Newton, che egli conobbe e che lo invitò ad una seduta della Royal Society. Un giudizio più meditato, ma anch'esso non totalmente positivo, si trova in una lettera a T. Puccini del 6 ag. 1724, che sarà poi stampata nel primo volume delle Opere (Milano 1824) col titolo Lettera intorno all'educazione e al genere di vita degl'Inglesi (pp. 443-453). La lettera, che dovette circolare a Firenze (se ne hanno due copie manoscritte, nel codice cartaceo XI della Riccardiana e nel ms. Bigazzi 30a, cc. 2-7, della Moreniana), presenta un acuto confronto tra la formazione della nobiltà inglese e quella vigente a Firenze ed in genere in Italia, mettendone in chiara luce le conseguenze quanto al ruolo politico ed economico della nobiltà nelle due situazioni. L'analisi del C., più breve ma più penetrante delle relazioni di viaggio del Magalotti (1668 e 1688), è forse il primo segno in Italia dell'emergenza del modello inglese, altrove così essenziale per la nascita delle idee illuministiche, ed in molti aspetti ricorda gli scritti pedagogici del Locke, che forse egli lesse.

Nel triennio 1723-26, secondo le sue consuetudini, il C. lesse attentamente gli scrittori inglesi di medicina tra cui Sydenham, di filosofia (in particolare Hobbes e Locke), di fisica (in parte Newton e più ancora la fisico-teologia da lui ispirata), di letteratura (Milton); visitò l'osservatorio di Greenwich, dove incontrò Halley. Si affermò come medico, anche per la protezione d'una anziana gentildonna, la duchessa di Shrewsbury, e nell'ambiente medico-naturalistico divenne amico dei botanici Sherard e Dillen; sarà inoltre ben noto ai residenti italiani in Inghilterra, tra i quali G. Riva ne scriverà più volte al Muratori in termini elogiativi. A rafforzare la sua notorietà contribuì la pubblicazione londinese, nel 1726, d'una sua versione latina d'un romanzo amoroso di Senofonte Efesio, già tradotto in italiano da A. M. Salvini (Xenophontis Ephesii Ephesiacorum libri V. De amoribus Anthiae et Abrocomae; in Italia, la versione del C. fu ritenuta più corretta e pregevole di quella del Salvini, cui sarà unita in una edizione del 1757 ed in quella lucchese del 1781). Dall'Inghilterra il C. tenne contatti epistolari con la famiglia e con personalità fiorentine: tra queste, il marchese C. Rinuccini ed il conte G. Rucellai si adoperarono presso il granduca Gian Gastone per ottenergli una lettura di medicina a Pisa; l'iniziativa, avviata già all'inizio del soggiorno inglese, tardò tre anni a concretizzarsi, e solo nell'estate del 1726 il C. ricevette assicurazioni tali che, unitamente alla notizia della morte del padre, l'indussero a tornare in Italia. Riuscirono invece nulli i suoi sforzi per ottenere una cattedra a Roma da Benedetto XIII, che era stato amico del padre. Anche il viaggio di ritorno è descritto in pagine interessanti delle Effemeridi; partito a fine luglio, egli attraversò le Fiandre, l'Olanda (dove visitò il Boerhaave, con cui corrisponderà, e il Ruysch), la Germania e l'Austria, sempre mosso da molte curiosità ed attento ad utilizzare ogni ritaglio di tempo. Giunto a Trento, proseguì per Verona e Modena, preceduto dalla notorietà e ricevuto dalle autorità; a Modena incontrò il Muratori, che nello scriverne a Riva notava che "Cocchi ha molto bevuto" in Inghilterra, e che ne parlava in modo tale da destar sete anche nell'interlocutore.

Il rapporto C.-Muratori, nato con ottime premesse, ebbe invece sviluppi di breve durata: l'archivio Soli-Muratori della Biblioteca Estense di Modena contiene solo undici lettere del C., dal 1725 al 1734 (mentre le lettere del Muratori andranno ricercate nella parte superstite del carteggio del C., che fonti settecentesche valutavano in dieci volumi). La spiegazione più plausibile, dato che diverse pubblicazioni del C. successive al 1734 sarebbero state interessanti per lo storico, è ideologico-culturale: nell'entusiasmo del corrispondente per gli aspetti più laicizzanti della cultura inglese, presente ad esempio nella lettera del 10 genn. 1734 (Arch. Soli-Muratori, filza 61, fasc. 4) in cui gli consigliava la lettura di Hobbes e Locke, il Muratori dovette avvertire una divergenza dal proprio intento d'un cristianesimo rinnovato ma attento ai suoi valori di fondo; il razionalismo "tecnico" dello storico cattolico veniva troppo oltrepassato da quello ideologico del Cocchi. Così in due lettere al Riva del 1728 il Muratori stigmatizzerà l'ammirazione del C. per Hobbes, e in una del 1746 ad A. Conti ricorderà che anni prima una persona proveniente dall'Inghilterra aveva sostenuto con lui le ragioni degli atei: "il pregai di tacere, perch'io desiderava chi mi aiutasse a confermarmi nella mia credenza, e non già chi mi mettesse delle pulci negli orecchi".

Giunto nell'ottobre a Borgo San Lorenzo presso la famiglia, il C. ebbe accoglienza festosa dalla popolazione, ma contrasti da parte dell'intellettualità fiorentina, forse risentita per la sua ostentazione di novità culturali; dovette inoltre affrontare notevoli difficoltà finanziarie. Consolidata la lettura pisana con la presentazione ai Medici d'una commendatizia della principessa di Galles, fece un viaggio a Roma nel novembre-dicembre in compagnia della madre. Posteriormente al 1727 egli effettuerà pochi viaggi fuori della Toscana: tra essi uno l'anno successivo, ancora a Roma; uno a Parma nel 1731, come consigliere medico del residente inglese a Firenze F. Colman per la questione della supposta gravidanza di Enrichetta d'Este, vedova del duca di Parma Antonio Farnese, sulla quale scriverà una relazione (Parere sulla supposta gravidanza di S. A. S. Enrichetta di Modena, in Opere, III, Milano 1824, pp. 501-73), avendo occasione di conoscere C. I. Frugoni che gli sarà guida ai monumenti e biblioteche della città; uno infine nel 1744 in Emilia e nel Veneto, durante il quale incontrò a Padova il Morgagni, che lo ricorderà nel De sedibus morborum. Il C. iniziò il suo corso pisano, di medicina teorica, nel 1727, tenendo la consueta prolusione latina poi stampata (Medicinae laudatio Pisis publice habita... ab A. Cocchio Florentino, Lucae 1727; l'originale manoscritto nella Bibl. naz. di Firenze, Nuovi acquisti, 872, 4), e proseguendo poi con buon successo (i testi delle sue lezioni in Bibl. naz. di Firenze, ms. II, V, 175). Ebbe però difficoltà con i colleghi, spesso attribuite alla gelosia e chiusura culturale di questi: gli fu rimproverato di non saper tenere a memoria le lezioni, che leggeva, e perfino l'essersi detto fiorentino nel titolo a stampa della prolusione (successivamente si dirà puntigliosamente, e quasi antonomasticamente, "mugellano", anche per distinguersi da un omonimo docente di botanica a Roma); in realtà, se simili motivi vi furono, è più corretto, dato il valore dei docenti, alcuni dei quali erano stati suoi maestri, pensare col Fabroni che gli nuocesse soprattutto una certa esterofilia e la "iactatio doctrinae", elemento questo persistente anche in seguito. Trovandosi così a disagio, alla fine del primo anno di docenza chiese la dispensa dalla cattedra, che nel 1729 domanderà di sostituire con una nello Studio fiorentino, ottenuta nel 1731. Dal 1728 quindi il C. ricomparve nei circoli intellettuali fiorentini, trovandosi sistematicamente vicino al gruppo ideologicamente più innovativo, con personalità come De Soria, Lami, Perelli, Neri, Tanucci. Divenne cruscante, membro dell'Accademia fiorentina e di quella degli Apatisti, ed in questi ambienti lesse diversi componimenti in prosa e versi (alcune dissertazioni ed elegie in Bibl. naz. di Firenze, Nuovi acquisti 872, e ms. II, II, 40, f. 63); questi scritti non saranno inseriti nella raccolta postuma curata da A. Bonducci, dei Discorsi toscani del dottore A. Cocchi medico..., I-II, Firenze 1761-62), e neppure nell'edizione milanese delle Opere curata dal Gherardini per la collezione dei "Classici italiani" (1824; il primo volume s'intitola Discorsi e lettere, il secondo volume contiene il trattato dei Bagni di Pisa, il terzo Consulti medici con un'appendice d'altri scritti in parte inediti). Prese anche contatto col gruppo di naturalisti, tra cui P. A. Micheli e N. Gualtieri, che tra il 1716 e il 1718 avevano costituito la Società botanica fiorentina, di cui fu membro dall'ottobre 1729 e segretario dal 1734 al 1743. Egli si impegnò per riqualificare l'attività del gruppo, appoggiandone la trasformazione in una accademia scientifica polivalente per la quale nel 1734 contribuì a redigere gli statuti e a ottenere l'assenso governativo (nel 1743-44 sarà nella commissione per una nuova modifica statutaria, in seguito alla quale si ammetteranno soci onorari esteri tra cui lo Swedenborg e Voltaire). Il nuovo assetto della società prevedeva comunicazioni periodiche di soci, e il C. stesso contribuì con le memorie Sopra tre casi di morte per inedia in seguito a chiusura dell'esofago e Sopra i vermi cucurbitini, quest'ultima su un particolare parassita dell'uomo. Più importante, in quanto consapevole manifesto epistemologico e ideologico del naturalismo toscano, fu il discorso del 2 sett. 1734 col quale il C., come segretario, inaugurò la nuova fase d'attività (Discorso di A. Cocchi Mugellano sopra l'istoria naturale, poi in Discorsi toscani, cit., I, pp. LXIX-LXXXV, e in Discorsi e lettere, cit., pp. 77-98).

Il Discorso, tenuto davanti alle autorità e alla nobiltà fiorentina, ebbe il carattere di messa a punto cauta, ma precisa, dei temi della tradizione osservativo-sperimentale (che il C. fa discendere direttamente dall'Accademia del Cimento) di fronte ai forti gruppi sociali e culturali che seguitavano a contrastarli. Vi si considera la gamma di motivi teorici, pedagogici e sociopolitici connessi alla diffusione dell'attività scientifica vista, in una interpretazione baconizzante del galileismo, come focalizzata nel momento osservativo, e affermata come essenziale alla formazione intellettuale dei singoli e alle funzioni amministrative e di governo. Al Discorso, come sviluppo più tecnico di certi suoi spunti, vanno collegate le prolusioni pronunciate in seguito all'assunzione di incarichi didattici: quella De usu artis anatomicae (edita a Firenze nel 1736 e nel 1761), tenuta nel 1736 nell'assumere l'insegnamento d'anatomia nell'ospedale di S. Maria Nuova, e il Discorso intorno l'anatomia (Firenze 1745; poi in Opere, I) pp. 3-43) tenuto nel 1742 per la riorganizzazione del medesimo insegnamento.

Oltre che agli impegni accademici il C. dedicò tempo anche alla ricerca naturalistica: nel 1729 accompagnò il Micheli nel Mugello in una campagna erboristica; raccolse un ampio erbario e formò un museo di "curiosità naturali", secondo l'accezione dell'epoca, entrambi poi confluiti per donazione del figlio Raimondo nel Museo della Specola; da appunti esistenti nella Biblioteca medica di Firenze, inoltre, appare che pensò ad una classificazione botanica alternativa a quella di Tournefort. Queste attività non fornirono risultati di spicco; più storicamente notevole è forse il sostegno continuo offerto al Micheli per le sue vastissime ricerche, contro i conformisti che gli rimproveravano la mancanza di studi: G. Targioni attestò che il C., insieme con il Salvini e con T. Perelli, curò il testo latino del Nova plantarum genera (Florentiae 1729), opera principale del Micheli e capolavoro della botanica italiana del primo Settecento. Alla morte di questo, nel 1737 il C. ne lesse poi un Elogio (in Opere, I, pp. 99-137), dove oltre a tracciarne un ritratto eloquente ne inquadrò l'opera nelle vicende della botanica italiana sin dal Cesalpino; dell'amico egli volle anche eseguire l'autopsia, secondo un'usanza degli iatromeccanici sin dal Malpighi, per la quale l'esame del corpo del maestro costituiva per i discepoli una sorta d'atto d'omaggio alla comune disciplina: quest'uso di chiaro significato laicistico sarà poi seguito verso lo stesso C. da suoi ex allievi e amici quali S. Manetti e F. Tozzetti (del Manetti si veda la Lettera... sopra la malattia di A. Cocchi, pubbl. prima nel Giornale de' letterati di Roma, 1758, pp. 1-25, e poi a parte, Roma 1758 e Firenze 1759).

L'accennato elemento laicistico mostra il raccordo dell'attività scientifica del C. con posizioni ideologiche e religiose. Dopo il ritorno dall'Inghilterra, egli riprese i rapporti con la comunità inglese di Firenze: tra l'altro fu medico e amico strettissimo di H. Mann, il più noto e durevole dei successori di Colman. Per certi aspetti pare che egli fungesse da suo segretario e da tramite col governo ed i gruppi dirigenti fiorentini, ruolo in cui gli subentrerà, con maggiore coinvolgimento politico, il figlio Raimondo.

In questo quadro s'inserisce l'ammissione tempestiva del C. nella loggia massonica formatasi tra gli inglesi di Firenze, di cui fu probabile membro lo stesso Mann. Nelle Effemeridi la data d'ammissione risulta il 4 agosto del 1732; si tratta della prima affiliazione d'un toscano alla massoneria e forse anche della prima di un italiano nell'intera penisola (alcuni s'erano probabilmente affiliati all'estero). Il fatto non fu ignorato nell'ambiente culturale fiorentino, nel clero e nel governo, e vi alludono obliquamente vari accenni: ancora nel 1758 G. Lami, pur vicino culturalmente al C. e sospetto anche lui d'adesione alla massoneria, deprecava il suo rifiuto di tenere nella sua biblioteca testi della letteratura cristiana antica, anche sotto il semplice profilo di documenti storici. Successivamente uno spirito aperto ma di schietta religiosità, come A. Fabroni, apprezzerà i contributi scientifico-eruditi del C. ma ne giudicherà criticamente la personalità; più in generale, l'intera serie di giudizi su di lui e la sua opera rinvenibili nel Settecento e ancora nell'Ottocento, letta in trasparenza, mostra spesso prese di posizione ideologica contrastanti dissimulate dietro giudizi psicologico-morali o culturali. Il C. fu poi più volte interrogato dalla Inquisizione fiorentina durante le indagini sulla circolazione di libri posti all'Indice, ed in relazione alla vicenda più nota della storia della prima loggia fiorentina, l'arresto e la prolungata detenzione del poeta T. Crudeli. L'episodio è ben presente nelle Effemeridi, che mostrano come il C. s'adoperò per la liberazione dell'amico, scrivendone anche a Roma al cardinale D. Passionei (due lettere del C. a Passionei sull'argomento, del 16 maggio e del 7 luglio 1739, sono in Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 12564, ff. 220-21 e furono pubblicate dal Berra; un'altra lettera inedita del C. al Passionei, del 24 sett. 1745, è nello stesso codice, ff. 222-24).

Che l'adesione alla massoneria non fosse un atto di ribellismo contingente o mera conseguenza dei legami con la comunità inglese appare dalla coloritura ideologica accentuatamente materialistica che nel C. assume l'anatomo-fisiologia dell'epoca, e in genere l'intera evoluzione scientifica dell'ultimo secolo; in lui l'indirizzo iatromeccanico, che nei fondatori secenteschi era limitato al puro ambito tecnico, punta chiaramente verso un'interpretazione naturalistica della realtà umana, anche negli aspetti intellettuali: se in questo il C. fu influenzato da autori francesi ed inglesi, va ricordato che egli presenta queste idee, in modo non del tutto improprio, come estensione naturale della tradizione biologica del galileismo. Ciò è visibile in uno degli scritti più discussi, Del matrimonio. Ragionamento d'un filosofo mugellano che, stampato nel primo volume dei Discorsi toscani, fu poi edito due volte isolatamente nel 1762 con la falsa indicazione di stampa a Londra e Parigi; altre tre edizioni, con l'indicazione altrettanto fittizia di Colonia, si avranno nel 1763, 1764, 1786. Lo scritto fu posto all'Indice nel 1762 (una analisi anonima puntigliosamente negativa, probabilmente il parere d'un teologo consulente della Congregazione dell'Indice, è nella Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 8223, p. II, ff. 363-68).

Si è più volte supposto che l'operetta, più che esprimere un corpo ragionato di convinzioni, rappresenti lo sfogo per esperienze negative connesse al primo matrimonio del C. con Gaetana Debi, sposata nel 1728 e morta nel maggio 1733 poco più che ventenne, senza che dall'unione fossero nati figli. Dalle Effemeridi risulta che i parenti ritennero il C. responsabile della morte, attribuendogli maltrattamenti e metodi di cura eterodossi, e risulta altresì che il C. scrisse il suo Ragionamento nei mesi immediatamente successivi. Alcuni spunti dello scritto, come uno circa le parentele sgradevoli che il matrimonio può imporre, e il fatto che secondo la testimonianza di G. Targioni il C. lo lesse a lui e ad altri amici poco prima di contrarre un secondo matrimonio (nello stesso 1733 o nel 1734 si risposò con Teresa Piombanti, la cui famiglia era cospicua nella burocrazia fiorentina; dal matrimonio nasceranno due figli, Raimondo e Beatrice), possono far pensare ad un atto liberatorio. Un poco diversamente A. Buonafede, nel reagire alla stroncatura dell'operetta da parte del Baretti, sosterrà (Il bue pedagogo, Bologna 1764, pp. 102-106) trattarsi d'una esercitazione scherzosa; in realtà il C. sostenne le sue tesi con perfetta serietà, come appare dal testo e com'è implicito sia nella pubblicazione da parte del figlio sia nella loro accettazione da parte di G. A. De Soria, conoscitore del C. e del suo ambiente. Nello scritto il C. esordisce affermando su basi fisiologiche la necessità per la vita umana dell'alternanza piacere-dolore, e presenta una definizione utilitaria di "bene" e "male"; sostiene poi idee di derivazione scettico-libertina, come l'origine puramente biologica del sentimento amoroso, quella politica dell'istituto del matrimonio e la prevalenza dei danni rispetto ai vantaggi del procreare, il tutto sullo sfondo d'una teoria materialistica della mente. La famiglia è vista come articolazione sociale artificiosa, e la psicologia femminile come prodotto d'una educazione con scarse componenti realistiche, cosicché il C. ne auspica una riforma parziale. A Firenze fu comune l'accusa d'una discordanza tra queste idee ed il secondo matrimonio del C., dal quale ebbe figli di cui curò molto la formazione, ma la sostanza dell'operetta concorda con la sua intera impostazione culturale, e l'origine classica di alcuni spunti (vi sono echi di Teofrasto, del teatro greco e del Della Casa) non sminuisce la chiarezza del ripensamento, in termini di materialismo settecentesco, d'un istituto cardinale della vita civile. Prima e dopo la stampa, il Ragionamento circolò ampiamente, destando reazioni di vario segno, e certo fu uno dei tramiti della vasta notorietà del C., che nel Settecento fu maggiore di quella di personalità scientificamente più significative. Ad esso va avvicinato per analogia tematica uno scritto più tardo, la Lettera ad una sposa tradotta dall'inglese da una fanciulla mugellana (Firenze 1751, poi in Opere, I, pp. 373-88), traduzione ad opera della figlia del C., Beatrice, poi moglie di A. Tavanti, futuro ministro delle Finanze del governo lorenese, d'un originale inglese che molti ritennero scritto dal C. stesso.

Con gli anni, egli percorse un importante itinerario professionale. Dopo l'assunzione nel 1731 della cattedra nello Studio fiorentino, nel 1735 entrò nel Collegio medico occupando il posto reso vacante dalla morte dell'archiatra G. Del Papa (all'attività in questo organo appartiene la Informazione in nome del Collegio medico di Firenze circ'al diritto di approvare i chirurghi, a Firenze, Bibl. naz., ms. II, V, 172); nel 1736 assunse l'insegnamento di anatomia nell'ospedale di S. Maria Nuova, che nel 1742, divenuto direttore sanitario dell'ospedale stesso, impostò su nuove basi, per poi assumere nel 1751 anche quello di chirurgia. Essendogli delegata anche la formazione pratica degli studenti in medicina, la impostò su moduli moderni affidando a ciascuno studente due degenti ed esigendo da loro relazioni scritte periodiche; secondo il Lami, l'esame di queste relazioni rafforzò la sua convinzione sulla inutilità dei farmaci allora disponibili (è probabilmente a queste relazioni di allievi che si riferiscono fonti settecentesche parlando dell'esistenza, tra i suoi inediti, di circa tremila storie mediche, che non potrebbero attribuirsi tutte alla sua personale attività; i testi delle sue lezioni a S. Maria Nuova, col titolo di Istituzioni di anatomia e Istituzioni di chirurgia, che pare intendesse pubblicare, si trovano alla Bibl. naz. di Firenze). Ancora nel 1742, nel quadro delle prime riforme lorenesi, il C. fu il relatore d'una commissione delegata a proporre norme per l'ospedale, accettate completamente tranne quella d'una accademia mensile da riunirsi presso l'ospedale sul modello della Lancisiana di Roma; il nuovo assetto proposto dal C. resterà vigente per tutto il Settecento ed è uno dei momenti salienti della storia ospedaliera del secolo in Italia (la Relazione dello Spedale di S. Maria Nuova... a S. E. il Signor conte di Richecourt è manoscritta nel codice Palatino 633 della Nazionale di Firenze; materiali preparatori sono nei mss. II, V. 173, e II, I, 361). Divenuto così la figura di maggior spicco nel mondo medico fiorentino, il C. fornì frequenti pareri e consulenze per organi pubblici o parapubblici; hanno questa natura una lettera del 1744 a mons. Rucellai, responsabile dell'Ospedale degli Innocenti, cui erano affidati i neonati abbandonati, sull'allattamento artificiale (Intorno al modo di nutrire i bambini a' quali manchi il latte materno e della nutrice, poi nel terzo volume delle Opere), che è uno dei primi scritti italiani sull'argomento, e la relazione Sopra il contagio della tabe polmonare scritta a nome del Collegio medico, in cui il C. esclude la contagiosità diretta della tisi, suggerendo misure d'igiene personale e domestica recepite dal governo in ordinanze del 1754 (tredici scritti di tale carattere, di cui il più notevole è Sopra la Cagione della morte frequente fra le colonie lorene trasportate nella Maremma di Siena, saranno poi inseriti nel terzo volume delle Opere). Dato l'ammontare degli incarichi sorprende che il C. trovasse tempo ed energie per l'esercizio medico privato, anche se fu incline a limitarlo, sia per dedicarsi ai suoi interessi sia per curare suoi modesti possedimenti nel Mugello; fu tuttavia noto ben oltre i confini toscani, e richiesto di consulti epistolari, centocinquantanove dei quali furono pubblicati da G. Pasta a Bergamo nel 1791 (Consulti medici del celebre A. Cocchi; su questa edizione si basa il citato volume terzo delle Opere): buon numero di essi riguarda sovrani e personalità eminenti dell'Europa del tempo.

Nei consulti, sia pubblici sia privati, il carattere più notevole è l'accennata sfiducia nei farmaci, tanto che il C. riduce i mezzi terapeutici quasi alla sola dieta e all'igiene. Se in questo è seguace della tradizione rediana egli la porta verso esiti pressoché scettici, che sono al di fuori dei contemporanei sviluppi dell'anatomia patologica di un Morgagni. L'importanza data all'igiene e all'azione dei fattori "naturali" nel risanamento è alla base anche dell'opera medica più ampia - e unica basata su ricerche sperimentali - del C., il trattato Dei bagni di Pisa (Firenze 1750, poi nel volume secondo delle Opere), che concerne le terme di San Giuliano, già studiate nella letteratura medica toscana. Il lavoro del C. è però nettamente il più ampio, e si presenta come monografia totale che parte da considerazioni geografiche e geologiche, floristiche e climatiche, per passare all'analisi chimica delle acque, alla fisiologia della loro azione, alle risultanze cliniche, al loro uso ed alle notizie storiche sulla loro conoscenza. Nell'opera furono criticate la correttezza dei risultati chimici e l'ampiezza delle capacità terapeutiche attribuite alle acque (uno scritto del 1757 di G. Bianchi fu inteso come smentita di molte tesi del C.), ma all'epoca essa fu un modello di monografia geoidrologica e medica. Secondo testimonianze, fu l'interessamento alle terme pisane che ottenne al C. la nomina a docente emerito a Pisa, dove non insegnava dal 1728, senza l'obbligo di tenere lezione e col pieno stipendio. Un altro documento significativo dell'impostazione medica del C. è il discorso alla Crusca Del vitto pitagorico per uso della medicina (Firenze 1743, poi Napoli 1746; ristampato a Roma nel 1754 da D. A. De Bellis nella Animadversio medico-pratica de corporis exercitatione, ed isolatamente a Firenze nel 1793; inserito poi da L. Cornaro nella sua raccolta di Discorsi... intorno alla vita sobria, Milano 1841, pp. 151-205, più volte ristampata). In questo, che fu uno degli scritti medici più noti dell'epoca, il C. intende per vitto pitagorico, secondo la tradizione, una dieta vegetariana integrata da latte e miele, che ritiene atta a tutte le esigenze nutritive e priva di controindicazioni (contro queste tesi ci furono prese di posizione di G. Bianchi e G. A. Pujati, cui risposero seguaci del Cocchi). In una valutazione storica, più che da un punto di vista medico l'operetta interessa come documento del peculiare modo del C. d'intendere la storia della scienza; probabilmente originata dalla corrispondenza con un'altra personalità milanese, ravvisata in A. Tolomeo Gallio Trivulzio, cui il C. raccomandò la dieta "pitagorica" per alcuni disturbi, essa si sofferma sulla figura di Pitagora, che vede come rappresentante d'un filone iniziatico mai interrotto, e più ancora di uno fisico-razionalistico di cui la scienza moderna non sarebbe che la ripresa su basi più raffinate (altrove, il C. attribuisce a Socrate l'interruzione di questo spregiudicato naturalismo e l'inizio della tradizione verbalistico-speculativa). Queste tesi sono sostenute ancor più chiaramente nell'opera storico-scientifica più importante del C., una ricostruzione della figura di Asclepiade di Bitinia prevista in cinque discorsi, cui lavorò nei suoi ultimi anni e di cui approntò per la stampa solo il primo, lasciando incompiuto il secondo (dei discorsi, il primo considera biografia e formazione del medico greco, ed il secondo le sue teorie fisiologiche. I tre rimanenti avrebbero dovuto riguardare patologia, terapia, igiene e regole di vita. Il Discorso primo di A. CocchisuAsclepiade fu pubblicato nel 1758 a Firenze dal figlio; il ms. del Discorso secondo, a lungo inedito, nell'Ottocento venne in possesso di G. Capponi, che nel 1824 lo pubblicò nell'Antologia; sarà poi ristampato dal Puccinotti nella sua Storia della medicina, e più recentemente dal Green e dal Chelini). In Asclepiade, come in Ippocrate, Erofilo ed Erasistrato, al quale ultimo pare che volesse dedicare uno studio analogo, il C. rinviene l'anticipazione sistematica del meccanismo biologico, in parte riducendo la distanza delle loro formulazioni da quelle moderne, in parte spiegandone storicamente alcune "ingenuità".

La stessa meccanica della giustificazione indiretta di posizioni proprie mediante esempi storici è osservabile nel discorso Sopra l'uso esterno presso gli antichi dell'acqua fredda sul corpo umano, tenuto all'Accademia fiorentina (stampato nelle Dissertazioni dell'Accademia Etrusca di Cortona, Roma 1738, poi nel vol. XXXVI degli Opuscoli scientifici e filologici editi da A. Calogerà, Venezia 1747, infine in Opere, I, pp. 45-76); il discorso suscitò anch'esso polemiche, e lo stesso G. Lami, amico del C., ne giudicò le proposte bizzarre e dovute a smania di novità. Di probabile origine accademica e simile per carattere risulta anche la Lettera sopra il male detto volgarmente del Miserere (Opere, I, pp. 437-41), che studia l'etimologia del nome e le condizioni storiche da cui fu motivato. A questo aspetto delle attività del C., si possono ricollegare, in quanto esaltazione del meccanicismo biologico moderno, le prefazioni ai due volumi dei Discorsi di anatomia di L. Bellini da lui curati (Firenze 1741 e 1744) e, soprattutto, la pubblicazione della collezione chirurgica di Niceta tratta dal codice della Laurenziana, da lui studiato poco dopo il 1720 ed alla quale era stato incoraggiato in Inghilterra e dal Muratori. Dopo il 1750, reperiti adeguati mezzi finanziari mediante la sottoscrizione anticipata di copie dell'opera da parte di vari amici, anche in Inghilterra, il C. si dedicò al lavoro con l'aiuto del figlio, rinunciando alla stampa dell'intero codice e scegliendo solo gli scritti più significativi, documenti essenziali e fin allora poco noti della chirurgia nell'antichità; i testi furono presentati nell'originale greco con traduzione latina a fronte, e corredati d'un notevole apparato storico-linguistico (Graecorum chirurgici libri, Sorani unus de fracturarum signis, Oribasii duo de fractis et de luxatis,e collectione Nicetae ab antiquissimo et optimo codice Florentino descripti,conversi atque editi ab A. Cocchio anatomes professore publico et antiquario Caesaris, Florentiae 1754).

La molteplicità di attività e interessi fin qui elencati non va dissociata dal volto pubblico del C., buon curatore dei rapporti personali e delle occasioni conviviali pur entro l'accennata ristrettezza di cerchia sociale e ideologica. Furono frequentatori della sua casa molti intellettuali toscani e forestieri di passaggio a Firenze (nel capitolo XLVIII dei Mémoires, tra le sue amicizie fiorentine del 1744, il Goldoni ricorderà "celle du docteur Cocchi, médecin systématique et philosophe agréable"). Costoro gravitarono anche sulla sua biblioteca, ricca di sedicimila volumi, compresi codici e manoscritti: furono in possesso temporaneo del C. anche manoscritti galileiani e l'intera biblioteca di V. Viviani. La competenza paleografica e storica gli procurò nel 1738 la nomina ad antiquario granducale, preposto alle vaste collezioni ex medicee, e l'incarico di predisporre, assieme al Targioni-Tozzetti, il materiale librario della Magliabechiana per l'apertura al pubblico, avvenuta nel 1747 (lo schema d'ordinamento dei libri, dovuto essenzialmente a lui, fu desunto da una epistemologia fondamentalmente sensistica: esso distingueva quaranta classi di argomenti, dagli scritti di linguistica pura a quelli religiosi); fu per questa competenza che P. Neri gli chiese d'interpretare un manoscritto su tavolette cerate venuto in suo possesso, e presentante numerose sigle ed abbreviazioni che ne ostacolavano l'intelligenza: nella Lettera critica sopra un manoscritto in cera (Firenze 1746, poi in Opere, I, pp. 389-435) il C. individuò correttamente il testo come la cronaca coeva d'un viaggio di Filippo il Bello nelle Fiandre, e ne dette la versione completa.

La notorietà del C. e il suo ruolo nell'evoluzione illuministica della cultura italiana si potrebbero equamente misurare ove fosse interamente disponibile l'epistolario, che fu amplissimo e non limitato alla sola Italia (minute di lettere del C. in Bibl. naz. di Firenze, ms. II, V, 175; tre sue lettere, a J. Panzanini, B. Panciatichi e ad un anonimo, Ibid., Lettere antiche, VII, 96; Nuovi acquisti, 872, I e 5. Una lettera a G. Gori dell'8 maggio 1747 è a Roma, Bibl. naz., ms. A 133, 51; altre sono nella Bibl. univ. di Bologna, ms. Ital. 1268, 8, nella Bibl. Ambrosiana di Milano [cfr. inventario di E. Giordani, Indice generale... di sette codici della Bibl. Ambrosiana..., Milano s. d., p. 4], nella Bibl. d. Società napoletana di storia patria, ms. XXXI, c. 9); un'attività di scrittore così varia come la sua provocò polemiche e dissensi, ma un aspetto sul quale vi fu unanimità di giudizio (con la sola, parziale, eccezione del Baretti) fu quello stilistico, per il quale il C. fu ritenuto fin dai contemporanei uno dei maggiori prosatori italiani del secolo XVIII: dal 1776 la Crusca, di cui era stato membro, accoglierà le sue opere tra i testi di lingua.

Morì a Firenze il 1º genn. 1758, e fu sepolto a S. Croce.

Fonti e Bibl.: Un elenco completo delle opere, comprendente anche docum. di critica letteraria come un giudizio sul Paradiso perduto di Milton e uno sulla Henriade di Voltaire, si trova negli scritti del Fabroni e del Corsini citati in seguito. Oltre a quelli già citati, altri manoscritti del C. si trovano a Firenze nelle biblioteche Medica, Laurenziana, Nazionale, Riccardiana, Marucelliana, e in quella dell'istituto botanico; le carte rimaste in possesso della famiglia, che non sono state completamente studiate né descritte (con una parte sostanziale dell'epistolario), passarono nell'archivio privato dei conti Baldasseroni, discendenti del C., nel quale si trovano. Oltre che in varie pubblicaz. tra quelle che seguono, lettere del C. furono stampate in Raccolta di prose e lettere scritte nel secolo XVIII, II, Milano 1830, pp. 287-93; in Lettere inedite d'illustri italiani che fiorirono dal principio del sec. XVIII fino ai nostri giorni, Milano 1835, pp. 102-126; e da A. Mercati, Lettere di scienziati dell'Archivio Segreto Vaticano, in Pontificia Academia Scientiarum. Commentationes, V (1941), 2, pp. 131-134 (lettere a Benedetto XIII). Ampie notizie sul C., inoltre, sono nelle storie della medicina italiana, e nei repertori biobibliogr. medico-naturalistici, qui omessi. Cfr. anche G. Lami, in Novelle letter. di Firenze, VII (1746), col. 321; VIII (1747), col. 394; XV (1754), coll. 385 ss.; XIX (1758), coll. 129-132, 245 s., 354-58, 369-73, 385-91, 433-40, 449-52; XX (1759), coll. 386 s.; F. Fossi, Elogio di A. C., in Dei discorsi toscani del dottore A. Cocchi medico, a c. di A. Bonducci, I, Firenze 1761, pp. XL-XLVIII (quindi in Opere, I, pp. VII-XXV); S. Manetti, Lettera... sopra la malattia di A. C., Roma 1758; G. Baretti, La Frusta letteraria, Rovereto [ma Venezia] 1763-64, I, pp. 3-6; IV, pp. 55-60; VIII, pp. 109-116; G. A. De Soria, A. C., in Raccolta di opere ined., I, Livorno 1773, pp. 112-120; G. L. Targioni, A. C., in Elogi d'illustri toscani, IV, Lucca 1774, pp. 728-39; G. Targioni-Tozzetti, Notizia degli aggrandimenti delle scienze fisiche, III, Firenze 1780, p. 181; A. Fabroni, Vita A. C., in Vitae Italorum, XI, p. 1515-1785, pp. 342-72; Id., Historia Academiae Pisanae, III, Pisis 1795, pp. 438, 641-653; G. Prezziner, Storia del pubblico Studio e delle società scientifiche e letter. di Firenze, II, Firenze 1810, pp. 130 ss.; G. A. Del Chiappa, Sui consulti e sulle lettere di A. C. ..., Milano 1831; E. De Tipaldo, Biografie degli Italiani illustri, IV, Venezia 1837, pp. 88-96; G. Targioni-Tozzetti, Notizia della vita e delle opere di P. A. Micheli botanico fiorentino, Firenze 1858, pp. 188 ss., 244, 253, 319-323; D. Carutti, Una lettera inedita di A. C. a P. Wesseling, in Arch. stor. ital., s. 3, XXIII (1876), 3, pp. 528-530; D. R. Doran, "Mann" and manners at the court of Florence,1740-1786, London 1876, I, pp. 15, 57, 426-30; O. Andreucci, Dei manocritti di F. Redi,M. Malpighi, L. 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