DA PONTE, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DA PONTE (Dal Ponte), Antonio

Mauro Petrecca

Nacque nel 1512 da un maestro Battista (o Giambattista: Magrini, 1845, p. XXXV). II Temanza (1778) lo dice originario di Venezia e fratello di Paolo, ingegnere del Magistrato delle acque (che però era di origine vicentina; cfr. Cadorin, 1858, p. 107), nonché fratellastro (per lo Stringa invece, cfr. Sansovino, 1604, p. 108b, era fratello) di Bernardino Conte, architetto, autore nel 1520 del restauro della chiesa di S. Giovanni in Oleo a Venezia.

Da un documento pubblicato dal Lorenzi (1868, p. 281) sappiamo che l'11 genn. 1554 il D. si iscrisse alla prova per il posto vacante di proto al Sal, carica pubblica a vita di soprastante ai lavori ordinati sul bilancio della magistratura al Sale, tra i quali erano anche quelli relativi alla fabbrica di Rialto. Nella lista dei partecipanti alla prova, tra i quali era il Palladio, il D. è indicato come "marangon", cioè falegname carpentiere. Tra i concorrenti fu prescelto Piero de' Guberni, ma nel 1563, alla morte di questo, il D., che l'anno precedente era stato vice proto dei Savi ed Esecutori alle Acque (Arch. di St. di Venezia, Savi ed Esecutori alle Acque, filza 119), gli succedette come proto al Sal, ed iniziò un'intensa attività testimoniata da numerosissimi preventivi di spesa e consuntivi, stime e memorie, generalmente riguardanti, tuttavia, semplici lavori di manutenzione e riparazione, o acquisti di materiali e di suppellettili.

Nello stesso 1563 lavorò alla Dogana di Terra a Terranova (prima sua polizza come proto al Sal, ibidem, Consiglio dei Dieci, Parti Comuni, filza 87) e curò lavori minori in Palazzo e nel fondado della Farina; l'anno successivo fu pagato per il magazzino del Sale n. 10 e per riparazioni al fondaco dei Tedeschi (ibidem, filza 91). Nel 1567 mise in opera i due Giganti del Sansovino e intervenne nuovamente, nel fondaco dei Tedeschi (finestre e copertura). Tra gli incarichi estranei alle incombenze di proto al Sal: almeno dal 1566 (Cicogna, 1842, p. 310) soprintendeva alla fabbrica della chiesa degli Incurabili, già iniziata da diversi anni, la cui ideazione va fatta risalire ad Antonio Zantani e a Iacopo Sansovino; anche il Temanza (1778, p. 507) ritiene che il D. abbia portato a compimento la chiesa già iniziata dal Sansovino; solo lo Stringa (cfr. Sansovino, 1604, p. 193) gli attribuisce il modello della chiesa. Questa, finita nel 1568, è stata distrutta nel 1831 (Franzoi-Di Stefano, 1976, p. 227). Un ruolo più determinante ebbe probabilmente il D. nell'annesso ospizio degli Incurabili, la cui costruzione, iniziata quasi contemporaneamente alla chiesa, si protrasse sino al 1591 (Bassi, 1963, p. 49). Nel marzo del 1592, morto lo Zantani da cinque anni, il D. fu pagato per aver fornito disegni relativi alla fabbrica dell'infermeria degli uomini (Cicogna, 1842, V, p. 310 n.). Il D., che nel 1566 risultava possedere tre casette nella parrocchia di S. Martino, in una delle quali abitava (Cadorin, 1858, p. 106), doveva, ormai cinquantenne, aver acquisito una certa notorietà, in particolare come perito idraulico, se nel 1568 venne consultato dal Maggior Consiglio di Belluno per la ricostruzione del ponte sul Piave, crollato in una piena l'anno precedente.

Infatti si deliberò, essendo sorte perplessità sul progetto di ricostruzione di Rizzardo Vairotto, "che si faccia venir qualche perito da Venetia o altro loco per aver l'opinion et parer vero" (Da Borso, 1946, p. 1472). Il Vairotto si recò a Venezia col suo modello e lo sottopose al D., il quale gli dette alcuni consigli e si apprestò ad inviare un nuovo modello, ma poi ottenne dai provveditori al Sal licenza di recarsi a Belluno, ove giunse i primi di aprile. Il 12 dello stesso mese presentò al Maggior Consiglio la sua relazione, accompagnata da disegni, in cui proponeva delle modifiche al progetto del Vairotto, per rendere il ponte più resistente alle piene. Il Maggior Consiglio accolse pienamente le osservazioni, e deliberò di far costruire il ponte "secondo l'opinione et resolutione di Mº. Antonio". Il D. ripartì per Venezia, dopo aver ricevuto 25 ducati come compenso per i disegni e modelli forniti per il ponte, nonché per alcuni pareri richiestigli relativi al palazzo e alla torre comunali (Da Borso, 1947, p. 29, n. 1). Il nuovo ponte in legno, terminato nel novembre dello stesso 1568, rovinò in una piena dieci anni più tardi. Il Maggior Consiglio bandì allora un concorso per la ricostruzione; tuttavia il 20 genn. 1579 fece chiamare il Palladio, stabilendo, quattro giorni più tardi in una nuova delibera, che "in caso che non si possa haver il Palladio... si mandi a chiamar m. Antonio dal Ponte Proto, qual sta a Venetia per haver la sua opinione" (Magrini, 1845, p. 158). Ma per l'arrivo del Palladio il D. non fu poi chiamato.

Intorno al 1570, alla ripresa delle ostilità con i Turchi, il D. fu incaricato di provvedere alle forniture necessarie per la costruzione di una "fabbrica" a Castel Nuovo al Lido (Arch. di Stato di Venezia, Provv. alle Fortezze, reg. 20). Nel settembre e ottobre 1573 fu pagato per misurazioni e consulenze nella vigna dei Pisani a Malamocco (Temanza, 1778, p. 517). Nello stesso periodo il D. partecipò ai lavori di rifacimento dell'ospedale dei Derelitti (Ospedaletto), stendendo nel dicembre 1573 il contratto relativo all'esecuzione dei pavimenti (G. Cristinelli, in Arte e musica all'Ospedaletto, 1978, p. 26). L'11 maggio 1574 un incendio distrusse una parte delle sale site al terzo piano dell'ala orientale del palazzo ducale di Venezia (sale del Senato, Collegio, Anticollegio e Quattro porte). Il proto al Sal fu immediatamente impegnato nella ricostruzione, limitandosi tuttavia - non avendo il D. esperienza come architetto decoratore (Zorzi, 1953, p. 125) - a curare l'esecuzione dei lavori, basati in gran parte su progetti del Palladio e di G. A. Rusconi.

Al D., secondo le indicazioni del Temanza (1778, p. 500) riprese da altri autori, va riferito il disegno del soffitto della sala del Collegio; ed effettivamente il D. stesso se lo attribuisce in una supplica indirizzata al Senato (Cecchini, 1860, p. 30). Lo Zorzi (1951 p. 130) lo ritiene invece opera di un artista già provetto in tale tipo di lavori, escludendo per lo stesso motivo l'attribuzione al D. del soffitto della sala dello Scrutinio (Zanotto, 1853, p. 147).Nel 1575 a Venezia scoppiò la peste, che infierì soprattutto tra l'agosto ed il settembre dell'anno successivo. Proprio in questo periodo, e fino ad ottobre, il D. non è presente ai lavori del palazzo ducale, ove fu sostituito da Giovanni di Baldissera. Quest'ultimo il 3 sett. 1576 è pagato per essersi recato in barca al lazzaretto dal proto al Sal, che probabilmente si occupava della costruzione dei ricoveri per gli appestati (Zorzi, 1953, p. 125). In seguito ad un voto fatto dal Senato per la liberazione della città dalla peste, nel febbraio del 1577 il Palladio, assistito dal D., presentò il preventivo per la costruzione della chiesa del Redentore (Magrini, 1845, p. 212), che venne iniziata nello stesso anno e ultimata nel 1592. Dato che il Palladio dopo il 1579 non si allontanò più da Vicenza, è da ritenere che la fabbrica sia stata diretta dal D. con assoluta fedeltà al progetto originale (Franzoi-Di Stefano, 1976, p. 270); la presenza di quest'ultimo è tuttavia messa in dubbio dallo Zorzi (1966, p. 129). Il 20 dic. 1577 scoppiò un secondo e più grave incendio nel palazzo ducale, dove ancora non erano state ultimate le riparazioni conseguenti al primo: andarono distrutti i due piani superiori dei corpi di fabbrica verso il molo e verso la piazzetta, con la perdita tra l'altro delle sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio.

Il D., unitamente al Palladio e ad altri due proti della Repubblica, fu interpellato per il reperimento di un locale per le sedute del Maggior Consiglio: un parere venne consegnato il 27dicembre (Lorenzi, 1868, p. 417).Si poneva frattanto il problema del restauro del palazzo: sui provvedimenti da operare furono interrogati il D. e numerosi altri proti e architetti. Con delibera del Senato del 16 genn. 1578furono nominati tre provveditori che chiesero nuovi e più dettagliati pareri scritti ad un più ristretto numero di architetti, tra cui di nuovo il D. e Palladio (Zorzi, 1956-57, p. 23). Il Temanza (1778, pp. 501-05) afferma che in tale occasione Palladio propose la ricostruzione integrale del palazzo, mentre il D. sostenne con altri la possibilità di recuperarlo senza sostanziali modifiche; che per merito del D. venne preferita questa soluzione, e che fu lui l'architetto poi scelto a dirigere l'opera. Ma, nota lo Zorzi (1956-57, p. 41), il D. non poteva essere considerato nemmeno un vero e proprio architetto, e quindi non poteva essergli affidata l'esecuzione dei lavori, per i quali avanza il nome di Francesco Zamberlan, collaboratore del Palladio, che in un documento rivolto al doge, vivente il D., ricorda i propri meriti nel tenere in piedi il palazzo. Tuttavia è da notare che il D. ebbe notevoli capacità tecniche, tali da poter dirigere i lavori in questione, almeno per quanto riguardava le strutture murarie; e che - vivente lo Zamberlan - egli scriveva nella già citata supplica al Senato (Cecchini, 1860, p. 30):"sostenni in concorso di tutti gli Architetti principali d'Italia, che si doveva restaurar le fabbriche vecchie senza distrugger così antica e nobil macchina... in spazio di soli otto mesi redussi quelle fabriche quasi destrutte nel stato che si vedette con stupor d'ognun".

Nel 1568-73 il D. intervenne probabilmente nelle "Gaggiandre" dell'Arsenale (Concina, 1984, p. 157); nel 1579 iniziò la ricostruzione della tana (o corderia, o casa del canevo) dell'Arsenale, disadorna ma grandiosa costruzione a tre navate lunga m 316, destinata alla fabbricazione delle gomene (Temanza, 1778, p. 506), che venne modificata nel 1584 su ordine del Senato; nel 1580 preparò un piano e un modello per isolare l'Arsenale dalla città (E. Concina, in Architettura e utopia…, 1980, p. 106) e nel 1581 apparve in relazione alla sistemazione della dasena delle Galeazze (Concina, 1984, p. 160). Nel 1582, comunque, tutte le fabbriche dell'Arsenale vennero demandate alla sua sovrintendenza. Nel 1580 fu incaricato, con Zamaria dai Piombi, di studiare la sistemazione di nuove prigioni al di là del rio di Palazzo (Lorenzi, 1868, p. 469), essendosi decisa, dopo l'incendio del 1577, l'eliminazione delle prigioni del palazzo ducale, insufficienti e inumane.

Il D. presentò il 6 febbr. 1581rilevamenti e conteggi relativi ai terreni da acquisire (ibid., p. 470), indicando l'area più adatta ed elaborando anche un progetto di massima. In particolare la descrizione del corpo di fabbrica sulla riva degli Schiavoni corrisponde abbastanza, anche nelle misure, all'edificio poi realizzato (Franzoi, 1966, p. 44).

Va inoltre ricordata in questo periodo, a riprova degli interessi del D. nel campo della ingegneria idraulica, l'invenzione di una macchina per "levar acqua da loco a loco, asciugar terre ed adacquarle" e di un'altra per "cavar fanghi", per le quali, il 5 marzo 1580, ottenne dal Senato il privilegio per vari anni (Cadorin, 1858, p. 106). Nel 1582 il D. possedeva ancora le tre case nella parrocchia di S. Martino, ma era passato ad abitare con il genero in contrada di S. Maria Zobenigo (ibid.). Continuava a seguire sia i lavori per la decorazione delle ricostruite sale del palazzo (risalgono al 1582 i dissensi con il decoratore C. Sorte: cfr. Zanotto, 1853, p. 155 n. 9) sia la fabbrica dell'ospedale degli Incurabili, ove è forse di suo disegno la porta principale verso la Giudecca, inizialmente destinata ad una sala del palazzo ducale (Temanza, 1778, p. 507). Nel 1582 il D. dette il suo parere sulle fondazioni della Libreria sansoviniana, di cui Scamozzi aveva progettato una sopraelevazione; il suo parere, come quello di Scamozzi e di Siman Sorella, fu positivo (Tafuri, 1985, p. 257).

Nel 1583 iniziò la ricostruzione della chiesa di S. Croce sul Canal Grande, ora scomparsa, con spoglia facciata animata solo dai portali d'ingresso (Cicogna, 1824, p. 239). Con il 1588 iniziò per il D. la partecipazione alla vicenda ideativa e costruttiva del ponte di Rialto, impresa che lo assorbirà in maniera sempre crescente per oltre tre anni, dandogli grande fama.

Divenuta indilazionabile la necessità della ricostruzione del vecchio ponte di Rialto, il Senato istituì nel dicembre 1587 tre provveditori sopra il Ponte, che richiedevano a diversi proti la presentazione di modelli e progetti. Furono presentate, tra il 20 e il 23 dicembre, varie soluzioni concernenti ponti in legno o in pietra ad unica arcata, o in pietra a triplice arcata: la soluzione del D. era in pietra a tre volte, con due file di botteghe e tre strade. I provveditori, acquisiti questi primi dati, proposero ai vari periti un questionario di nove punti, attinenti la scelta, della soluzione a tre arcate od una. Il D. presentò un secondo parere il 2 genn: 1588, nel quale, a differenza del primo, si mostrava favorevole alla arcata unica (Cessi-Alberti, 1934, p. 368; Zorzi, 1966, p. 229). Il 7 gennaio venne stabilita l'esatta posizione del ponte, che doveva essere realizzato in pietra, con due file di botteghe e tre strade scoperte; rimase tuttavia aperta la questione del numero delle volte, e venne chiesto al D. di preparare due distinti preventivi che egli presentò il 16 genn. 1588 (Cessi-Alberti, 1934, p. 369) mettendo in risalto i vantaggi economici dell'arcata unica. In tale occasione preparò anche due modelli (Zorzi, 1966, p. 229 n. 55). Finalmente, il 20 gennaio, il Senato deliberò che il ponte fosse costruito ad una sola volta, e il 1º febbraio il D., che sino ad allora aveva solo contribuito alla sua ideazione, fu incaricato dell'assistenza ai lavori (Zorzi, 1966, p. 235), entrando a pieno titolo nella realizzazione dell'opera. Alla scelta del D. non era estraneo l'appoggio di Alvise Zorzi, uno dei tre provveditori, in contrapposizione in particolare a Marco Antonio Barbaro, che avrebbe preferito Vincenzo Scamozzi.

Al D. vennero affiancati man mano vari collaboratori, tra cui il nipote Antonio Conte (Contin), figlio di Bernardino. Il D. aveva ideato un originale sistema di fondazione, che prevedeva per ogni pilone una palificata con le teste dei pali disposte a formare non un piano orizzontale, com'era l'uso corrente, ma tre gradoni; cioè i pali, di uguale lunghezza, erano infissi in tre gruppi a profondità crescente verso il centro del Canal Grande, sia per creare un piano inclinato su cui impostare l'arcata, sia per non arrecare danni alla stabilità degli edifici circostanti. Già il 12 febbraio il D. assistette all'incanto per la battuta della palificata dalla parte di Rialto, che però gli appaltatori eseguirono male, per cui egli si offrì, senza compenso personale, di ripararla. Alla fine di luglio le fondazioni verso Rialto erano ultimate, e si iniziavano quelle verso S. Bartolomeo, quando veniva sparsa ad arte la voce che esse erano insufficienti e mal eseguite. L'attacco si fece diretto con una memoria stesa dal protetto del Barbaro, lo Scamozzi (Cessi-Alberti, 1934, pp. 211-15, 390 ss.; Zorzi, 1966, p. 235 n. 85), che non perdonava al D. di aver ottenuto l'incarico della costruzione; nella memoria, senza fare esplicitamente il nome del D., si affermava che il sistema usato per le fondazioni avrebbe causato la rovina del ponte. Il Senato, dopo qualche perplessità, istituì una commissione per accertare se i lavori effettuati e da effettuare fossero idonei. Furono interrogati in più riprese diversi periti e lo stesso D., che il 26 agosto illustrava in dettaglio il suo progetto (Cessi-Alberti, 1934, p. 408). Infine, nonostante una seconda critica presentata il 29 agosto dal Barbaro, ma ancora una volta stesa dallo Scamozzi (Zorzi, 1966, p. 235 n. 85), nella quale si ponevano esplicitamente in dubbio le capacità del D., il Senato, ascoltati di nuovo i precedenti periti, deliberò il 5 settembre di eseguire i lavori secondo le intenzioni del D., apportandovi solo modifiche marginali. I lavori potevano così procedere senza ulteriori impedimenti; il D. iniziò a percepire, a partire da ottobre, un mensile di 60 ducati (ibid., p. 236), cioè sei volte quanto riceveva come proto (Lorenzi, 1868, p. 553). Nel corso del 1590 venne completata la volta del ponte, e si iniziarono su suo progetto le botteghe. Nell'ottobre dello stesso anno il Senato gli concesse l'esclusiva per venti anni della pubblicazione della prospettiva del ponte e dell'armatura fatta per la costruzione (Cadorin, 1858, p. 106).

Egli, ormai ottantenne, attendeva anche alla costruzione delle prigioni: il 6 agosto 1591, il D. e Zaccaria Briani presentarono due progetti, e venne stabilito di prendere il meglio da ognuno (Scarabello, 1979, pp. 3, 213 n. 2).Il progetto del D. sembra essere simile a quello da lui presentato nel 1580-81. Sempre nel 1591 venne iniziato il portale dello Stradale Campagna nell'Arsenale, da attribuire al D. (Concina, 1984) p. 167).

I suoi ultimi anni vennero angustiati da infermità e da difficoltà economiche: fu costretto a vendere ogni sua proprietà per mantenere una numerosa famiglia di cinque figlie, di cui tre vedove con prole, e due nubili; l'unico figlio, avvocato, si era fatto sacerdote. Durante la costruzione del ponte di Rialto si era ammalato, ed era rimasto "tutto tremante". Il nipote Antonio Contin, a partire dal 1590, lo sostituì sempre più spesso come proto al Sal: il 19 luglio 1595 firmò una polizza "per nome de messer Antonio... per non poter scriver lui" (Lorenzi, 1868, p. 544). Il D. fu costretto infine a rivolgere una supplica al Senato per ottenere un aiuto economico, che gli venne concesso in considerazione dei suoi meriti; in essa, nel ricordare come il suo impegno nelle fabbriche pubbliche lo avesse portato a trascurare ogni interesse privato, si soffermava con orgoglio sull'impresa di Rialto: "Nel voltar il ponte trovai quel novo modo di voltarlo così facilmente mai più da anticho né da moderno recogitato" (cit. in Cecchini, 1860, p. 30).

Il D. morì a Venezia il 20 marzo 1597, a 88 anni, e venne sepolto nella chiesa di S. Maurizio, sua parrocchia (Temanza, 1778, p. 517). Il nipote Antonio Conte gli successe nella carica di proto al Sal, prevalendo nel concorso su Vincenzo Scamozzi.

Del D. fu eseguito un ritratto dal Tintoretto, lasciato in eredità al papa Urbano VIII, nel 1624, dal vescovo Raffaele Inviziati; tale ritratto, di cui fa menzione il Cicogna (1842, p. 104), è da considerarsi perduto (M. Florisoone, J. Bassano portraitiste...,in Arte veneta, X [1956], p. 116). Al Museo del Louvre è un ritratto (inv. M.I.1138) che, pubblicato come opera di Iacopo Bassano dal Florisoone (cit.), è invece una libera derivazione dall'originale del Bassano, dal 1971 nel J. Paul Getty Museum di Malibu (A. Ballarin, Un ritratto inedito...,in Arte veneta, XXV [1971], p. 269). Da questo originale è tratta un'incisione del 1769 di Domenico Cunego.

Il D. non fu una personalità di grande rilievo artistico: le sue costruzioni denunciano il tipico pragmatismo dei proti veneziani del '500. La sua partecipazione, a vario titolo, a molte delle grandi fabbriche del momento, e in particolare a quella di Rialto, traguardo delle possibilità tecniche e conclusione di una famosa vicenda progettuale, gli riserva comunque un ruolo non secondario nel quadro delle realizzazioni architettoniche del secondo Cinquecento a Venezia.

Fonti e Bibl.: I documenti inediti citati nel testo sono dovuti a cortese segnalazione di Manfredo Tafuri. F. Sansovino, Venetia città nobilissima... ampliata dal M. R. D. Giov. Stringa, Venezia 1604, pp. 108, 193, 254; T. Temanza, Vite dei più celebri architetti…, Venezia 1778, pp. 499-518; G. A. Moschini, Guida per la città di Venezia, Venezia 1815, I, pp. 178, 485; II, pp. 325, 542, 554; L. Cicognara-A. Diedo-G. A. Selva, Fabbr. e monum. cospicui di Venezia, Venezia 1857, I, pp. 345, 347, 393; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Venez., I,Venezia 1824, p. 239; V, ibid. 1842, pp. 104, 302, 310 n., 438; A. Magrini, Memorie intorno la vita e le opere di A. Palladio, Padova 1845, pp. XXXV, 149, 158, 200, 204, 212, 272; P. Selvatico, Sulla archit. e scultura a Venezia, Venezia 1847, pp. 353-62; F. Zanotto, Il palazzo ducale di Venezia..., I,Venezia 1853, pp. 125 n. 6, 132, 139, 141 ss., 145-48, 155 n. 9, 161; II, ibid. 1858, passim; A. Magrini, Intorno il vero architetto del Ponte di Rialto, Vicenza 1854, pp. 7-9, 11-21; G. Cadorin, Pareri di XV archit., Venezia 1858, pp. 105-09; G. B. Cecchini. Della vita e delle lodi di A. da P. ...,Venezia 1860; G. B. Lorenzi, Monumenti per servire alla storia del pal. ducale di Venezia..., I,Venezia 1868, pp. 281, 318-553 passim, 597; R. Cessi-A. Alberti, Rialto. L'isola, il ponte, il mercato, Bologna 1934, pp. 191-201, 204, 207 s., 213-20, 346, 368 ss., 378, 390 ss., 408; A. Venturi, Storia dell'arte ital., XI,3, Milano 1940, pp. 186-190; A. Da Borso, Il ponte sul Piave a Belluno, in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, XVIII (1946-47), 97, p. 1472; 98-99, pp. 26-29; 100, p. 40; G. Zorzi, Nuove rivel. sulla ricostruz. delle sale del piano nobile del pal. ducale di Venezia...,in Arte veneta, VII (1953), pp. 123 ss., 130 s., 137 s., 141 s.; Id., Il contributo di A. Palladio e F. Zamberlan al restauro del pal. Ducale…, in Atti dell'Ist. veneto di sc. lett. e arti, CXV (1956-57), pp. 12, 15 ss., 21, 23, 37, 40 ss., 46 s., 50, 53, 56; S. Casaburi-O. Longhetto, Il ponte di Rialto a Venezia, in L'Architettura, IV (1958), 32, pp. 124 s., 128 s.; E. Bassi, L'architettura del Sei e Settecento a Venezia, Napoli 1962, pp. 63 s.; E. Bassi, Il Sansovino per l'ospizio degli Incurabili, in Critica d'arte, X (1963), pp. 49, 55; G. Zorzi, Le opere pubbliche e i palazzi privati di A. Palladio, Venezia 1964, ad Ind.; U.Franzoi, Le prigioni della Repubblica di Venezia, Venezia 1966, pp. 43 s.; G. Zorzi, Le chiese e i ponti di A. Palladio, Venezia 1966, ad Ind.;. W.Timofiewitsch, La chiesa del Redentore, Vicenza 1969, pp. 11, 67; A. Cavallari Murat, Contributo storico del Rondelet sui progetti Scamozzi, Palladio e D. per il ponte di Rialto, in Boll. d. Centro internaz. di studi di architett. A. Palladio, XIV (1972-73), pp. 353 ss.; L. Puppi, A. Palladio, Venezia 1973, II, pp. 302, 409, 420, 424; U. Franzoi-D. Di Stefano, Le chiese di Venezia, Venezia 1976, pp. 86, 227, 270; Arte e musica all'Ospedaletto, Venezia 1978, pp. 26, 99; G. Scarabello, Carcerati e carceri a Venezia...,Roma 1979, pp. 3, 5, 59, 72 s., 79, 88, 213 n. 2; Archit. e utopia nella Venezia del Cinquecento (catal.), Milano 1980, pp. 22, 85, 106, 122, 125 ss., 246 s., 250, 279 s.; D. Calabi, La direz. del nuovo ponte di Rialto..., in Boll. d. Civici Musei venez., XXVII (1982), nn. 1-4, pp. 57, 59 s., 62, 64, 65 n., 66 n.; G. Bellavitis, L'Arsenale di Venezia, Padova 1983, ad Ind.; E.Concina, L'Arsenale della Repubb. di Venezia, Milano 1984, passim; M. Tafuri, Venezia e il Rinascimento, Torino 1985, ad Indicem; U.Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, p.245 (s. v. Ponte, Antonio da, con bibl.).

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