ANTONIO da Rho

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANTONIO da Rho

Riccardo Fubini

Frate minorita e umanista. Nato verso il 1398, di umile origine campagnola, entrò a diciotto anni nell'Ordine francescano, per sottrarsi, come egli accenna in uno scritto apologetico, ad una situazione critica. Appassionato agli studi ebbe come primo maestro a Padova nel 1413 Giacomo della Torre da Forlì. Nel 1425 è a Brescia, di dove indirizza una lettera a Bartolomeo Baiaguerra, che gli aveva inviato un suo Itinerario bresciano;a quella data già si accompagna al suo nome il titolo di "magister theologiae". A poco prima del 1430 risale la menzionata Apologia rivolta al vicario generale dell'Ordine Antonio da Massa, per difendersi dalle accuse di "ignoranza" di un arcidiacono e di altri calunniatori.

Si tratta di un documento singolare: A. vi dà una enumerazione degli studi compiuti, rivelando una sovrapposizione di dottrine scolastiche tradizionalí e di spiriti umanistici. Pur percorrendo con relativa regolarità gli schemi tradizionali del trivio e quadrivio, A. tiene a presentarsi con indipendenza di giudizio e come animato da personale spirito di ricerca. Ostile alla dialettica e avvinto dallo studio della retorica, studioso di geometria, aritmetica, musica, astrologia, filosofia, lettere sacre e teologia, sente infine la vocazione degli "studia humanitatis" ("quae veluti barbara quaedam apud me lacerantes prae ignoratione et insulsitate habentur"): ed enumera gli autori letti (fra cui poeti di recente divulgazione come Plauto, Catullo, Tibullo, Properzio, Marziale, e persino il Panormita) e la "frequentissimam turbam" dei moderni, da lui indirettamente o direttamente conosciuti (fra questi, il Loschi, Guarino, F. Barbaro e altri veneziani). In ultimo accenna alla produzione propria (poesia latina su diverso metro, "cantilene" volgari), cui si accinse quando "incalescentibus ingeniis", più non volle presentarsi al cospetto dei dotti nelle vesti di mero lettore; nonché ai successi riportati nel predicare.

In rapporto fin dai primi anni (1413) col Loschi (cfr. Philippica contro il Panormita, Cod. Ambros. B 124 sup.), A. assume una posizione di rilievo nella cultura milanese e nel 1431 tiene nella capitale un pubblico insegnamento di eloquenza alle dirette dipendenze del duca, succedendo a Gasparino Barzizza. Di questi anni (1429-32) è la nota polemica, con scambi di epigrammi e di invettive, seguita alla pubblicazione dell'Ermaphroditus del Panormita, del quale A. è tra i più accaniti avversari. Si tratta, più ancora che di preoccupazioni moralistiche, della rivalità di gruppi umanistici (A. era strettamente legato a P. C. Decembrio) e dell'intento di allontanare la forte e invadente personalità dell'umanista siciliano. È pure in contatto con L. Valla, durante la permanenza di questo a Milano, è al corrente delle sue lezioni, ne ottiene la stima e l'interessamento al proprio lavoro. È discussa la testimonianza del Decembrio, secondo cui A. sarebbe caduto in disgrazia presso il duca: certamente vi è allusione a qualche fatto preciso, come è pure accennato in altra fonte, che può forse essere la sostituzione di A. con Guiniforte Barzizza nell'insegnamento di eloquenza. Ma, quel che più importa, al di là di un singolo episodio, è che da queste stesse testimonianze ci viene indicato come A., nonostante l'appartenenza all'Ordine, è personaggio che vive, in posizione eminente, nell'ambito della capitale e della corte viscontea. Assunto dal Valla tra i protagonisti del dialogo De vero bono, nella sua riedizione ed ambientazione lombarda, è più di una volta oratore ufficiale in allocuzioni al duca; nel 1444 commemora Niccolò Piccinino; ad uso del duca compie diversi volgarizzamenti; è in relazione con alti dignitari come l'arcivescovo di Milano Bartolomeo della Capra, il giurista Niccolò Arcimboldi, il segretario ducale Maffeo di Muzzano, il legato genovese Andrea Imperiale; nel 1439 è giudice delegato dal duca, insieme con gli esponenti degli Ordini domenicano e celestiniano, in un delicato processo contro due umiliati; nel 1440 presenzia all'inventario delle reliquie e dei beni della sacrestia della chiesa di S. Gottardo; nel 1446 fa parte della commissione di ecclesiastici e teologi incaricata di sanare gli scrupoli del Visconti circa la liceità, ai fini della salvezza dell'anima, di una politica di esosità fiscale e di conquista (cfr. E. Verga, Un caso di coscienza di Filippo Maria Visconti, in Arch. Stor. lombardo, s. 5, XLV [1918-1919], pp. 427 ss.). Come esponente della cultura milanese lo ricorda il Biondo, insieme con A. Biglia, nell'Italia illustrata (Biondo, Opera, Basileae 1559, p. 367). Ma anche fuori dell'ambito milanese troviamo spesso attestato il nome di A. come uno dei dotti più accreditati del tempo. Nel 1436 egli è convocato dal concilio di Basilea tra i "periti utriusque linguae, de quibus noticia habebatur" (insieme, fra gli altri, all'Aurispa, al Filelfo, ad A. Traversari, a Vittorino da Feltre, a Guarino), in vista delle trattative per la riunificazione con la Chiesa greca. Non risulta peraltro che l'invito abbia avuto seguito. È interessante, per altro riguardo, che intorno al 1435 il Panormita, evidentemente alla ricerca di nuovi favori, sentisse il bisogno di scusarsi presso Cosimo de' Medici e il card. Giordano Orsini delle offese recate a "Rhodi famam nomenque celebre". Così, retrospettivamente, fra i personaggi celebri del tempo, viene ricordato da Iacopo Filippo Bergomate e dal Sabellico (Supplementum Chronicarum, Venetiis 1486, f. 272 v.; Enneades, X, 2, Venetiis 1504, p. 132).

Morì poco dopo il 1450 (già risulta morto nel 1453, data a cui risale la prima redazione dell'Italia illustrata del Biondo).

Le opere sono rimaste in gran parte inedite. Fra queste, due meritano particolare attenzione per vastità di concezione e interesse intrinseco: il De imitatione eloquentiae e i libri del Dialogus in Lactantium.

Composto dietro esortazione di Cosma Raimondi intorno agli anni 1430-143, il De imitatione va ricondotto agli sforzi di elaborazione e sistemazione delle cognizioni conseguite a fini scolastici e divulgativi, caratteristici dell'ambiente umanistico lombardo ed è insieme saggio delle tendenze enciclopediche di Antonio. Concepita in forma di lessico alfabetico, l'opera si allarga a "prontuario di eleganze, di sinonimi, di cognizioni letterarie, retoriche, storiche di ogni genere" (Sabbadini, Giorn. stor. della Lett. Ital., VI, (1885) pp. 165 ss.) e mira ad evadere dalla trattatistica normativa con l'offrire un vasto florilegio di esempi, assumendo così funzione divulgativa; né rimase estraneo il proposito, seppure alquanto generico, di orientarsi verso forme ciceroniane, evitando termini rari, in concordanza, per questo rispetto, con la posizione polemica del Decembrio, espressa, non a caso, in una lettera allo stesso A. del 1434. Una lunga confutazione dell'opera del Rodiense scrisse il Valla nel 1442, che, a parte gli elementi di polemica personale (accuse, in particolare, di plagio) rimane assai importante, sia come fonte di conoscenza dell'opera (tuttora nota solo nel frammento del codice Ambros. H 49 inf., pur restando da vedere il codice Avignonese 1054 segnalato dal Bihl, in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., sub voce) sia come termine di riscontro dei principi direttivi dei due autori. Così per la critica valliana al criterio antologico distornante dalla diretta conoscenza degli autori; per la netta distinzione, postulata dal Valla, dell'uso latino, greco classico da quello "corrotto"; infine per la definizione stessa del Valla della norma grammaticale: "neque vero... legem trado quasi nusquam aliter factuni sit, sed quod frequentissime" (Opera, 1540, p. 412). In altre parole, dove per A. è questione, in linea di massima, di un repertorio delle cognizioni correnti, si tratta per il Valla di un lavoro sistematico di scelta e di discriminazione. Il Dialogus in Lactantium (condotto a termine nel 1443 e dedicato a Eugenio IV) si spiega come frutto della stretta collaborazione col Decembrio, autore, in anni precedenti, di un'operetta omonima, e che, del resto, è inserito come protagonista del dialogo. A. ponendosi sulla linea del Decembrio (pro tuitione Platonis; pro defensione illustrium virorum) mirava ad indebolire ulteriormente le asserzioni di Lattanzio col porne in luce, dietro uno spunto di s. Gerolamo, le discrepanze dall'ortodossia cattolica, e secondariamente la debolezza speculativa. L'opera ebbe una certa eco, soprattutto polemica, incoraggiata da una lettera insultante del Filelfo, di cui è interessante documento il cod. Ambros. D 105 sup., contenente, insieme all'intera opera, una lettera e in margine ampie postille autografe di confutazione di N. Arcimboldi, anch'egli personaggio del dialogo. Di questo si fece subito un sommario (Lactantii errata quibus ipse deceptus est... per clarissimum dominum fratrem Antonium Raudensem theologum collecta et exarata) non si sa se ad opera di A., che, presente già nel codice citato (1445), si accompagnò a tutte le edizioni incunaboli delle Divinae Institutiones, mentre l'intera opera servì di spunto ad ulteriori disamine teologiche di Lattanzio.

Le opere di A. attendono un più accurato studio: oltre alle due principali sopra menzionate (del Dialogus in Lactantium è edito qualche estratto dal Beck, De Orosii fontibus... et de A. R. aliquo opere inedito, Marburg 1832), alle due orazioni "pro Philippo Mariaduce Mediolani", all'orazione in mortedi N. Piccinino, alla Philippica contro il Panormita, all'Apologia, vengono catalogate: De numero oratorio libellus, Genealogia Scipionum et Catonum, Commentaria in libris de fortuna et de bonis et malis feminis Bonini Mombritii, Metrica commendatio S. Pontificis Martini V (cod. Ambros. B 111 sup.); Carmen in laudem Philippi Mariae (cod. Ambros. D 112 inf.) e altra produzione poetica (cfr.Corbellini, Note di vita cittadina e universitaria pavese, in Bollett. stor. pavese, XXX[1931] pp. 123 ss.). Inoltre trelettere a M. Muzzano, a M. Vegio e ad A. Imperiale sono state edite dal Müllner, Wiener Studien, XXIII(1901), che ha pure pubblicato nel volume Reden und Briefe Italienischer Humanisten, Wien 1899, l'orazione inaugurale al corso milanese di eloquenza: Oratio fratris A. R. theologi ad scolares.

La Vita Homeri, tradizionalmente attribuita ad A., deve identificarsi verosimilmente con l'omonima opera di Pier Candido Decembrio, dedicata allo stesso A.

È caratteristico che ciascuno dei principali scritti di A. sia occasionato o seguito da una polemica. Clima polemico in cui non è certo il solo A. a trovarsi, ma che ugualmente pare contraddistinguerlo, in modo non estrinseco e non solo attribuibile a personale iattanza od intemperanza di carattere. Alle liti e controversie su materie specifiche vengono ad aggiungersi le discussioni sull'incompatibilità o meno coll'abito religioso delle predilezioni umanistiche e della consuetudine con i cenacoli di letterati. A. ebbe più di una volta a difendersi contro critiche vivaci, mosse da più parti: a tali accuse, che fornirono pure argomento di polemica al Panormita, si riferisce, almeno in parte, l'Apologia e all'esplicita confutazione di esse è dedicata l'Oratio ad scolares. Così pure il medesimo rimprovero può essere ravvisato in una lettera di Alberto da Sartiano. Ché, effettivamente, A. andava al di là dell'esigenza di cultura che si faceva allora sentire, del resto tutt'altro che incontrastata, all'intemo degli Ordini religiosi, e segnatamente di quello francescano: la sua accettazione dell'umanesimo appare completa e incondizionata, ed egli si pone senz'altro sulla scia degli umanisti d'avanguardia. E ciò può essere una spia del carattere ricettivo, potremmo dire provvisorio della sua cultura, sì che ogni nuova acquisizione, ogni suo attributo, come lo stesso stato religioso, rimane come a sé stante, senza possibilità di un'armonica sintesi o di una direttiva fondamentale. Monaco umanista, dobbiamo studiarlo non tanto accanto ad Alberto da Sartiano, con cui pure fu in contatto, quanto accanto a P. C. Decembrio e al Panormita; e, di contro, filosofo e grammatico di cultura enciclopedica, sente il peso dell'educazione scolastica, e rimane a mezza strada fra una compilazione medievale e le Elegantiae del Valla; maestro di teologia, infine, ne contamina il metodo con quello brillante della polemica umanistica. Si capisce come un tale autore, pur riverito per una non comune dottrina, fosse più fatto per dispiacere che per piacere ai lettori contemporanei, e come, d'altro canto, la sua importanza si circoscriva ad un determinato momento ed ambiente culturale. Ma in ciò trova pure, a suo modo, una nota distinta di individualità, e, nel quadro di una cultura alla ricerca di una definizione nuova, ne segna come un indice, nei suoi slanci e nelle sue contraddizioni.

Bibl.: I dati relativi ad A. da Rho sono stati in massima parte raccolti da F. Fossati che riporta pure ampi passi dell'Apologia e la lettera dell'Arcimboldi, nel commento della Vita Philippi Mariae, del Decembrio in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XX,1, pp. 346 ss., n. 1.

Per i rapporti con i contemporanei cfr. anche Alberti a Sartheano Opera, Roma 1688, pp. 407 s.; L. Vallae Opera, Basileae 1540, pp. 392, 401; [Quirini] Epistulae Fr. Barbari... Diatriba praeliminaris, Brixiae 1741, p. LXXX; Gasparini et Guiniforti Barzizzae Opera, a cura di G. L. Furietti, Roma 1723, II pp.15,26; F. Filelphi Epistulae, Venetiis 1502, f. 32v.v.; Novati-G. Lafaye, in Mélanges d'archéol. et d'histoire, XI, 1891, p. 397.

Nuovi dati potranno essere offerti da un ulteriore spoglio dei manoscritti ambrosiani. Cfr. pure Migne, Patr. Lat., VI, coll. 62 ss.; F. Argelati, Bibliotheca Scriptorum Mediolanensium, II, 1, Mediolani 1756, pp. 1213-1215, 2023; H. Sbaralea, Supplementum, Romae 1908, sub voce; M. Borsa, P. C. Decembrio e l'Umanesimo lombardo, in Arch. stor. lombardo, XX(1893), pp. 28ss.; V. Zaccaria, Studi sull'epistolario di P. C. Decembrio, in Rinascimento, III(1952), pp. 102, 112; Id., Sulle opere di P. C. Decembrio, ibid., VII(1956), pp. 28, 65. Inoltre per la polemica col Panormita cfr. F. Ramorino, Notizie di alcune epistole e carmi inediti d'Antonio il Panormita, in Arch. stor. ital., s. 5, III(1889), pp.447-450; L. Barozzi-R. Sabbadini, Studi sul Panormita e sul Valla, Firenze 1891, p.11; A. Beccadelli, Poesie latine inedite, a cura di A. Cinquini-R. Valentini, Aosta 1907, pp. 25 s.; R. Sabbadini, Ottanta lettere inedite del Panormita, Catania 1910; G. Resta, L'epistolario del Panormita, Palermo 1953, cfr. Indice; E. Garin, La cultura milanese nell'età viscontea, in Storia di Milano, VI(1955), pp. 575 ss.

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