ELIO, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

ELIO, Antonio

Lucy Byatt

Si conoscono solo pochi dettagli dei primi anni di vita dell'Elio. Egli nacque, probabilmente, nel corso del primo decennio del sec. XVI, da Menghino, nobile di Capodistria. Le relazioni familiari ed il grado d'istruzione impartitagli furono sufficienti a raccomandarlo al più anziano dei fratelli Vergerio di Capodistria, Aurelio, che lo prese al suo servizio quando l'E. giunse a Roma. La data del suo arrivo, incerta, è ovviamente precedente alla morte di Aurelio Vergerio, avvenuta nel 1532. In virtù dell'incarico ricoperto da Aurelio Vergerio, segretario a secretis del papa Clemente VII, il giovane ebbe un'eccellente possibilità di apprendere le sottili complessità della professione in cui in futuro avrebbe primeggiato.

Dopo la morte di Aurelio, l'E. entrò nella "famiglia" del cardinale Alessandro Farnese; l'elevazione al soglio pontificio del cardinal Farnese, avvenuta nel 1534, ne assicurò l'immediato futuro (Arch. segr. Vat., Arm. 40, vol. 53, c. 184r; D. Atanagi, De le lettere facete e piacevoli, pp. 346-349). Egli dedicò gli anni successivi a consolidare la sua posizione di cliente favorito e di familiare sia del papa Paolo III sia del giovane cardinale Alessandro Farnese, traendone vantaggi economici (cfr. Arch. segr. Vat., Arm. 40, vol. 53, c. 276r per un "mandato de providendo" per le diocesi di Trieste, Pirano e Capodistria). La preoccupazione principale dell'E. in questo periodo fu però la lite con Pier Paolo Vergerio, fratello minore del suo antico patrono, che era stato nominato vescovo di Capodistria nel 1536.

Dopo la morte di Giovanfrancesco Burla, avvenuta nel 1535, l'E. aveva ricoperto la funzione di agente a Roma di Pier Paolo Vergerio, ed aveva giocato un ruolo importante nel procurare al conterraneo la cattedra vescovile di Capodistria mentre questi si trovava in Germania. La causa del deterioramento dei rapporti risiedeva nella pensione di 50 ducati gravante sulla modesta rendita di soli 200 ducati del vescovado, assegnata all'E. al momento della nomina del Vergerio. Accampando il cattivo stato delle sue finanze, Vergerio rifiutò di pagare la pensione che l'E. continuava a reclamare come giustamente dovutagli.

Nel maggio 1538 Vergerio tentò di istruire una causa civile contro il padre dell'E. davanti ai tribunali veneziani. La querela fu ben presto rigettata; ma l'E. non era interamente esente da colpe poiché i suoi familiari avevano divulgato a Capodistria la notizia della scomunica comminata al vescovo. Nel 1539 la parrocchia vacante di Pirano, sita nella diocesi di Capodistria, destò l'interesse dell'Elio. La parrocchia apparteneva alla giurisdizione del cardinal G. Aleandro, contrario alla nomina di un beneficiario non residente. L'E. ricorse ai Farnese e, nonostante le obiezioni di Aleandro, il 3 apr. 1539 fu nominato titolare della pieve (Arch. segr. Vat., Arm. 41, vol. 13, c. 9r). Tuttavia, come aveva temuto Aleandro, non mostrò alcun desiderio di lasciare Roma.

Nell'estate del 1540 la controversia tra Vergerio e l'E. era ancora irrisolta. Il risentimento del Vergerio verso l'E. si era ulteriormente inasprito perché questi aveva ottenuto nell'ottobre del 1538 l'esenzione dal pagamento delle decime sulla pensione. Paolo III revocò infine la pensione nel giugno 1541 in seguito al crescente allarme provocato dalla presenza del Vergerio a Worms e a Ratisbona. Anche dopo la soppressione della pensione l'E. non cessò di perseguitare Vergerio; negli anni 1541-1546 egli continuò ad operare per far rimuovere e processare il vescovo. Si deve in parte attribuire alla pertinacia dell'E. se alla fine Vergerio fu processato.

L'E. continuò a risiedere a Roma al servizio dei Farnese e la sua abilità di decifratore gli meritò il soprannome di "Antonio delle cifre". Durante la legazione del Farnese del 1539 raggiunse il suo protettore alla corte di Francia, poco dopo Natale. La corrispondenza di questo periodo documenta la sua amicizia con Paolo Giovio, Bernardino Maffei, Marcello Cervini e altri membri della "famiglia" dei Farnese.

La richiesta di ottenere la cittadinanza romana, avanzata nel marzo 1542, poi accolta, è una prova della volontà dell'E. di rimanere a Roma (Arch. di Stato di Roma, Camera Capitolina, Credenze, 1, 17, c. 86v). Nel giugno del medesimo anno venne prescelto per consegnare la "berretta" a Giovanni Morone (Arch. di Stato di Parma, Carteggio Farnesiano Estero, Bologna, 4, 183, fasc. 2); l'E. era stato coinvolto negli affari del Morone allorché questi era legato in Germania.

In una lettera a Maffei del giugno 1546 scriveva che la sua posizione in seno alla casa dei Farnese stava migliorando e a prova di ciò il suo salario era stato aumentato a 20 scudi al mese. Una lettera del suo patrono a Bernardino Maffei, dell'8 maggio 1545, rivela l'intimità esistente tra questo e l'Elio. Già nell'agosto 1546 l'E. aveva raggiunto il cardinale in Germania (Arch. di Stato di Firenze, Carte Cerviniane, 42, c. 29r).

Le sue ambizioni si volsero all'ottenimento della dignità vescovile. In effetti egli potrebbe aver nutrito la speranza di essere nominato alla stessa sede di Capodistria. In una lettera scritta da Roma, il 14 ott. 1546, Maffei lo metteva in guardia da questo proposito, in considerazione dell'imminente decreto sull'obbligo di residenza dei vescovi (Friedensburg, p. 95).

Negli anni successivi l'E. continuò ad operare come ambasciatore stimato e fidato. A seconda della natura della missione l'incarico ufficiale era quello di "secretarius pontificis" o di "secretarius R.mi card. Farnesii". Negli anni 1546-48 i suoi viaggi sono in massima parte da porre in relazione con il trasferimento del concilio a Bologna. Nel luglio 1546 consegnò la berretta al cardinale spagnolo Pietro Pacheco, quindi raggiunse il cardinal Farnese a Bologna. A settembre si trovava ad Ingolstadt e di lì inviò a Maffei un rapporto dettagliato sulla guerra di Smalcalda (Arch. di Stato di Firenze, Carte Cerviniane, 19, cc. 53 ss.). In ottobre lasciò la corte imperiale e si recò a Trento, latore del memorandum d'affari tra il cardinal Farnese e l'imperatore Carlo V, in cui quest'ultimo si dichiarava in disaccordo con la proposta di trasferire il concilio. Dopo averne personalmente riferito il 28 ottobre ai cardinali legati riuniti a Trento, si diresse a Roma, dove il 3 novembre illustrò il rapporto a Paolo III. Nel settembre 1547 consegnò lettere da Roma al cardinal Morone, a Perugia, e fu latore di lettere per Roma dei cardinal legati che si trovavano a Bologna. Gli venne inoltre affidato il breve papale con il quale il cardinal Cervini era nominato legato di Parma e Piacenza.

Venne nominato vescovo di Pola, in ricompensa dei suoi servizi, nell'agosto del 1548 (Arch. segr. Vat., Fondo Concistoriale, Acta misc. 18, c. 464r). Neanche le esortazioni del conterraneo Gerolamo Muzio riuscirono a persuaderlo a risiedere in quella lontana sede.

Nel periodo 1547-1550 le lettere dei nunzi in Francia Girolamo Dandino e Michele Della Torre furono molto spesso indirizzate all'E. o a Maffei. In particolare, l'E. fu incaricato nell'agosto e nel settembre del 1549 di convincere il papa a migliorare le condizioni economiche del Della Torre.

Poco prima della morte di Paolo III l'E. fu scelto per il difficile compito di consegnare a Camillo Orsini il breve papale con cui si ordinava la consegna di Parma al duca Ottavio Farnese. In occasione del funerale del pontefice ricevette la pezza di panno nero spettante ai membri della famiglia papale (Arch. di Stato di Roma, Camerale I, Giustificazioni di Tesoreria, b. 2, ins. 6, c. 1r). La morte del papa, avvenuta nel novembre 1549, determinò una stasi temporanea nella sua carriera. L'influenza dei Farnese parve conoscere un'eclissi e l'E. avvicinò il segretario fiorentino Pirro della Sassetta, con l'intenzione di stabilire un rapporto permanente con Cosimo de' Medici, il quale avrebbe sicuramente apprezzato la sua familiarità con i Farnese. Ma Giulio III si dimostrò più generoso del previsto e l'E. fu ammesso nella famiglia papale (Zenatti, pp. 73 s.).

Il periodo 1550-51 è documentato dalla corrispondenza tra l'E. ed Annibal Caro, segretario del cardinal Farnese. L'E. lasciò Roma nel 1550 inoltrato e nel corso degli anni successivi dimorò a Parma, dove sperimentò di prima mano gli intrighi politici dei Farnese. In questo periodo si recò almeno una volta in Francia. La morte di Giulio III e l'elezione al soglio pontificio il 10 apr. 1555 del cardinal Cervini, protettore ed amico dell'E., rappresentò un'ulteriore svolta nella sua carriera. Il nuovo papa nominò "primo segretario" l'E. e "sotto segretario" Angelo Massarelli. Con il breve papato di Marcello II la carriera dell'E. avrebbe potuto interrompersi, ma dopo l'elezione, il 23 maggio 1555, di Gian Pietro Carafa, egli venne riconfermato membro della famiglia papale (Arch. di Stato di Roma, Camerale I, Giustificazioni di Tesoreria, b. 3, ins. 8; Arch. segr. Vat., Arm. 44, vol. 4, cc. 157rv). Nel "ruolo" del 1556, compilato a fini amministrativi dalla Cancelleria papale, l'E. appare elencato insieme a quattro dei suoi propri familiari: Filandro Pontano, Giuseppe Adalperio, Giovanni Uccellino e Giovambattista Argenti (Bibl. apost. Vat., Ruoli 28, c. 4r).

Il livello del coinvolgimento dell'E. nei negoziati del 1556 con Enrico II, una delle più importanti missioni del cardinal Carlo Carafa, dimostra gli stretti rapporti che egli intrattenne con il nipote di Paolo IV. Ai primi di giugno fu latore di una lettera del duca di Paliano al cardinale, che allora si trovava a Lione. In agosto rimase a Parigi, mentre il cardinale visitava Bruxelles (Zenatti, pp. 74 ss.). In settembre venne incaricato di una missione a Parma, dopo di che ritornò a Roma a ragguagliare Paolo IV.

L'E. non venne però messo a parte di tutti gli intrighi e dei patteggiamenti diplomatici del cardinale, come risultò chiaramente dalla sua dichiarazione al processo a cui fu sottoposto il suo antico protettore nel 1560. In questo periodo, e in special modo dopo l'arrivo in Italia dell'esercito francese, l'E. maturò una conoscenza approfondita della tattica militare, messa in luce dalle sue lettere al Carafa (ibid., pp. 76 s.).

La campagna francese in Italia terminò bruscamente dopo la vittoria asburgica di San Quintino dell'agosto 1557. L'E. faceva parte del seguito del suo patrono durante i negoziati con il duca d'Alba, culminati nei trattati di Calvi; ne portò con sé il testo a Roma per sottoporlo all'approvazione del papa. Nell'ottobre di quell'anno accompagnò il Carafa a Bruxelles, mentre nel 1558 fu inviato a Napoli per discutere con Marcantonio Colonna le compensazioni per la perdita di Paliano. In segno di riconoscimento per questa intensa attività politica il 20 luglio 1558 venne nominato patriarca di Gerusalemme; il 4 dicembre dello stesso anno celebrò messa nella basilica di S. Pietro.

Non pare che l'E. sia stato coinvolto da presso nella disgrazia dei Carafa. Dopo il loro esilio del gennaio 1559 venne presentato al papa Paolo IV un documento recante la sottoscrizione dell'E. e d'altri. Questa dimostrazione di lealtà non sortì effetto ed in giugno l'E. lasciò Roma per visitare il suo vescovado di Pola.

Il ruolo politico e diplomatico dell'E. giunse al termine con l'elezione di Pio IV e il processo e l'esecuzione del cardinal Carafa e del fratello di questo. Egli rimase tuttavia membro della famiglia papale (Bibl. apost. Vat., Ruoli 39, c. 2v) e si continuò ad apprezzarne l'abilità di decifratore (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo 491, c. 226).

L'E. iniziò allora ad interessarsi agli affari ecclesiastici. Fece parte della cosiddetta congregazione di "riforma" (costituita nel 1560, includeva tra gli altri i cardinali Farnese, Santa Croce. d'Este e Saraceni) e fu uno dei quattro delegati scelti per presentare nel febbraio 1560 le "petitiones episcoporum". Arrivato nell'ottobre 1561 (D. Gutierrez, Il carteggiotra Girolamo Seripando e Guglielmo Sirleto, in Analecta Augustiniana, XLVIII [1985], p. 129), soggiornò a Trento sino al dicembre 1563. In qualità di patriarca di Gerusalemme celebrò messa il 26 febbr. 1562. Fu presente a tutti i dibattiti più importanti della sessione: quelli sull'obbligo di residenza dei vescovi, sul sacramento del matrimonio, sulla comunione al calice. Nel dibattito sull'obbligo di residenza si schierò con i "conservatori" e si oppose alla mozione insieme con Giambattista Castagna e Tommaso Stella. Nel dibattito sul sacramento del matrimonio l'E. argomentò con veemenza che l'invalidità dei matrimoni clandestini, proposta nella congregazione generale del settembre 1563, sarebbe stata contraria alla legge divina. Nonostante la sua dichiarazione la mozione venne approvata l'11 nov.1563.

H. Jedin segnala l'esistenza di una raccolta di orazioni, trascritte da Giovambattista Argenti, segretario dell'E.: è possibile che questa raccolta dovesse servire come base per una storia del concilio (Der Quellensapparat der Konziligeschichte Pallavicinos, Roma 1970, pp. 71 s.).

Dopo la conclusione del concilio l'E. tornò a Roma. Nella primavera del 1568 accompagno a Monreale, insieme con Onofrio Panvinio e Gerolamo Mercuriale, il cardinal Farnese. Una sua lettera inviata al cardinal Guglielmo Sirleto il 20 apr. 1568 descrive la morte del Panvinio, che lo aveva nominato unico esecutore testamentario (Zenatti, pp. 72, 79).

Fu confermato il 3 ott. 1568 vicario della basilica di S. Pietro (Bibl. apost. Vat., Arch. del Capitolo di S. Pietro, Arm. 44, vol. 19, c. 119r). In tale funzione il 4 dic. 1571 ricevette nella basilica il vincitore di Lepanto, Marcantonio Colonna. L'E. giunse all'apice della sua personale carriera il 30 luglio dell'anno successivo, data della nomina a vescovo della sua città natale, Capodistria; fino alla morte conservò il titolo di patriarca di Gerusalemme.

L'ultimo incarico ufficiale svolto a Roma pare sia stata la consacrazione del nuovo patriarca di Alessandria, il cardinal Alessandro Riario Sforza, che ebbe luogo nell'agosto 1572. Nello stesso anno l'E. lasciò Roma e si stabilì a Capodistria. Sappiamo poco degli ultimi anni della sua vita, trascorsi nella città natale. È possibile che egli sia tornato brevemente nel 1575 a Roma, poiché la sua presenza è segnalata in una lettera di Girolamo Muzio al cardinal Farnese (Zenatti, p. 69).

L'E. morì nel 1576 e fu sepolto nella cattedrale di Capodistria.

Nel corso della sua carriera nella Curia, eccezionalmente lunga (1532-1572), intrecciò buoni rapporti con molte delle figure più note del tempo: Dionigi Atanagi, Annibal Caro, Girolamo Muzio, Paolo Manuzio e molti altri. Muzio espresse la sua ammirazione per l'E. nella dedica della Difesa del Mutio iustinopolitano della messa, de' santi del papato contra le bestemmie de Pietro Vireto (Pesaro, Gli Heredi del Cesano, 1568). Nelle Rime di Bernardo Cappello (Venezia, Guerra, 1560) l'Atanagi lo descrisse come "il perfetto secretario". La lettera di congratulazioni inviata da Manuzio all'E. quando questi divenne "primo secretario" è pubblicata nei Tre libri di lettere volgari (cc. 70v-71r). Manuzio dedicò all'E. il suo commento all'orazione di Cicerone Pro Sextio (Venetiis, apud P. Manutium, 1556-59, cc. 2r-7r) nella speranza di ottenerne ulteriormente il patrocinio (cfr. Tre libri di lettere volgari, ff. 70v-71r).

Fonti e Bibl.: Le lettere dell'E. al Vergerio e ad Ottonello Vida sono conservate a Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. Ital., cl. V, 63, nn. 53-58, 59bis-60. La corrispondenza fra l'E. e Marcello Cervini, cardinale di S. Croce, è conservata nell'Arch. di Stato di Firenze, Carte Cerviniane, 40-42 e passim. Altre lettere fra l'E. e i cardinali Sirleto, Carlo Carafa, Girolamo Aleandro, si trovano, rispettivamente, nella Bibl. apost. Vaticana, Lat. 6189, parte III, ff. 633rv; Barb. lat. 5717, ff. 11r-17v, e in Arch. segr. Vaticano, Nunziature di Germania 2a, ff. 213rv. Vedi ancora in Arch. segr. Vat., Lettere di principi 12, ff. 345r-346r, per le lettere al Maffei. È possibile che nell'Archivio di Stato di Parma esista ancora parte della corrispondenza fra l'E., il cardinale Farnese e gli altri membri della famiglia. Numerose indicazioni sull'attività dell'E. e buona parte della sua corrispondenza si possono trovare nella collezione del Concilium Tridentinum, a cura della Soc. Goerresiana (Friburgi Br. 1901-1912) e nei Nuntiaturberichte aus Deutschland, I-V, X-XI, XIV-XV, Gotha-Tübingen, 1892-1981 ad Indices (e cfr. L. Bressan, Interventi ined. di A. E. sul matrimonio al concilio di Trento (a. 1563), in Annuarium historiae conciliorum, XXI [1989], pp. 175-211). Vedi ancora P. Manuzio, Tre libri di lettere volgari, Venetia, Aldus, 1556, lettere datate maggio 1555 (ff. 5v-6r) e 10 maggio 1555 (ff. 70v-71r); De le lettere facete et piacevoli, a cura di D. Atanagi, Venetia, Zaltieri, 1561, pp. 356-349; R. Ridolfi-C. Roth, Donato Giannotti, Lettere a Piero Vettori, Firenze 1932, p. 172; P. Giovio, Lettere, a cura di G. G. Ferrero, I, Roma 1956, ad Indicem; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, Firenze 1957, ad Indicem; Nunziature di Venezia, II, a cura di F. Gaeta, Roma 1960, ad Indicem; XI, a cura di A. Buffardi, ibid. 1972, ad Ind.; Correspondances des nonces enFrance, VI, a cura di J. Lestocquoy, Roma-Paris 1966, ad Indicem; XIV, a cura di Id., ibid. 1977, ad Indicem; P. Petronio, Memorie sacre e profane dell'Istria (1621), a cura di G. Borri, Trieste 1968, p. 282; P. Naldini, Corografia ecclestasticaosia Descrizione della città e della diocesi di Giustinopoli, detto volgarmente Capo d'Istria, Venezia 1700, pp. 101 s., 143 s.; P. Bonamicus, De claris pontificorum epistolarum scriptoribus, Romae 1770 (il Buonamico non nomina l'E., ma costituisce una utile fonte di notizie sugli altri membri della segreteria papale); P. Stancovich, Bibl. degliuomini distinti dell'Istria, I, Trieste 1828, pp. 267-270; Lettere d'uomini illustri conservate in Parma nel R. Archivio di Stato, a cura di L. Ronchini, I, Parma 1853, ad Indicem; G. Calenzio, Doc. ined. e nuovi lavori letterari sul Concilio di Trento, Roma 1874, pp. 530- 541; G. Duruy, Le cardinal Carlo Caraffa (1519- 1561). Étude sur le pontificat de Paul IV, Paris 1882, pp. 406 s.; L. Ferrai, Il processo di Pier Paolo Vergerio, in Arch. stor. ital., s. 4, XV (1885), pp. 201-20, 333-44; XVI (1885), pp. 25-46, 153-169; G. Pusterla, I nobili di Capodistria e dell'Istria, Capodistria 1888, p. 10; A. Zenatti, Sette lettere di A. E. capodistriano, in Arch. stor. per Trieste, l'Istria e il Trentino, IV (1889-1895), pp. 66-79; G. Capasso, Nuovi doc. vergeriani, ibid., pp. 207-221; R. Ancel, Nonciatures de Paul IV, II, Paris 1911, pp. 398 ss., 441-446; W. Friedensburg, Vergeriana 1534-1550, in Archiv für Reformationsgeschichte, X (1912), pp. 78 s., 95; L. von Pastor, Storia dei papi, V-VII, Roma 1924, ad Indices; H. Jedin, Geschichte des Konzils von Trient, IV, Freiburg 1975, ad Indicem.

Altre notizie in: R. Ancel, La disgrace et le procès des Carafa (1559-1567), in Revue bénédictine, XXII (1905), pp. 525-35; XXIV (1907), pp. 224-53, 479-509; XXV (1908), pp. 194-224; Id., La secrétairerie pontificale sous Paul IV, in Revue des questions historiques, LXXIX (1906), pp. 408-470; G. Buschbell, Reformation und Inquisition in Italien um die Mitte des XVI Jahrhunderts, Paderborn 1910, pp. 152, 154; A. Jacobensen Schutte, Pier Paolo Vergerio: the making of an Italian reformer, Genève 1977, ad Indicem; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica…, III, Monasterii 1923, pp. 210, 216, 276.

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