FORNAINI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)

FORNAINI, Antonio

Maria Letizia D'Autilia

Nacque a Massa Cozzile in Val di Nievole (oggi Massa e Cozzile in prov. di Pistoia) il 20 genn. 1755 da famiglia agiata. Nel febbraio 1779 entrò nella Congregazione di Vallombrosa dell'Ordine benedettino prendendo il nome Luigi. Continuò gli studi teologici e filosofici presso il monastero di S. Michele in Forcole di Pistoia, dove ebbe modo di conoscere l'abate L. Guidi, uomo di grande cultura e famoso astronomo e ottico di cui si ricordano i frequenti incontri con il granduca Pietro Leopoldo e con importanti studiosi europei (Gazzetta toscana, 1777, n. 45, p. 149). La formazione del F. proseguì presso il monastero di Passignano, dove scrisse il suo primo trattato Dei doveri dei sudditi verso il principe e del principe verso i sudditi (stampato, poi, a Firenze nel 1815).

Ordinato sacerdote, gli fu affidata l'amministrazione dei beni della badia di S. Fedele di Poppi nel Casentino, ove ebbe occasione di approfondire gli studi di agraria, verso i quali mostrò subito grande curiosità. Dopo tale esperienza fu chiamato, nel 1792, ad amministrare le ampie tenute di Vallombrosa. Fu proprio in tale contesto che il F. avviò i primi studi in materia di selvicoltura, sperimentando la coltivazione dell'abete bianco, una particolare specie di conifera presente nell'alto Appennino in rari popolamenti puri o in associazione con il faggio. Fu merito dei vallombrosani, e del F. in particolare, ottenere la salvaguardia della specie con l'applicazione di nuove tecniche di riproduzione.

Di grande rilievo, per l'ampliamento delle conoscenze agronomiche del F., ma soprattutto per l'elaborazione di una nuova concezione dell'intervento sul territorio, fu l'incontro con il vallombrosano L. Ducci, grande esperto di botanica e attento conoscitore di amministrazione agraria. Andava maturando in quegli anni tra i vallombrosani l'idea che la sistemazione agricola di un fondo dovesse essere accompagnata da una più ampia azione di risanamento delle zone circostanti, prestando particolare cura ad interventi infrastrutturali, quali la costruzione di strade, la fabbricazione di case coloniche, la coltura degli alberi d'alto fusto. Alla diffusione di queste idee, soprattutto in Toscana e in Lombardia, contribuì con i suoi scritti il F.: orientandosi verso interessi specificamente forestali, riteneva la selvicoltura disciplina autonoma rispetto all'agronomia, secondo un orientamento già in atto in Germania e in Francia.

Egli sostenne sul Giornale agrario toscano l'importanza dell'istruzione agraria per una corretta impostazione colturale di fondi forestali spesso convertiti impropriamente a colture di uso domestico. In Toscana, dove la Congregazione di Vallombrosa possedeva numerosi luoghi tra badie, monasteri, ospizi, chiese, ospedali, cappelle, la propaganda fatta dai monaci - anche attraverso il Collegio dei nobili da essi tenuto - convinse molti proprietari a una parziale forestazione dei propri terreni.

Con la dissertazione dal titolo Della coltivazione degli abeti dedicata al senatore U. Feroni, presidente della R. Accademia dei Georgofili, di cui il F. era socio corrispondente, e pubblicata a Firenze nel 1804, oltre ad esporre le tecniche più adatte per lo sviluppo e la riproduzione delle abetaie, sostenne che la tutela del patrimonio boschivo rientra nell'ambito della "buona amministrazione" che uno Stato deve applicare alle proprie risorse (p. 3). Egli ritornava ancora sul tema con il Saggio sopra l'utilità di ben conservare e preservare le foreste (Firenze 1825) descrivendo con cura il metodo per migliorare lo sviluppo delle diverse specie arboree.

Comparando le tecniche di coltivazione applicate in Toscana con quelle in uso in altri paesi europei, il F. sosteneva che, anziché liberalizzare il disboscamento come era avvenuto con la legge leopoldina del 24 ott. 1780, lo Stato dovesse promuovere una legislazione a difesa del patrimonio boschivo. Pur nel rispetto della "libertà personale, diritto sacro ed immutabile dei cittadini" (p. 105), il F. riteneva che l'unica possibilità di salvare i boschi dall'estinzione fosse attribuirne la proprietà non più al singolo individuo, bensì alla collettività, dal momento che la proprietà boschiva ha una particolare funzione sociale di mantenimento dell'equilibrio del territorio.

Nel 1815 lasciò l'Ordine e si ascrisse al clero secolare di Firenze, ove morì il 29 giugno 1838.

Fonti e Bibl.: T. Sala, Diz. storico biogr. di scrittori, letterati ed artisti dell'Ordine di Vallombrosa, I, pp. 220 ss., Firenze 1929; E. Lucchesi, Un insigne cultore di boschi e foreste: l'abate L.A. F. (1756-1838), Firenze 1939 (estr. dagli Atti della Soc. Colombaria fiorentina, 1938-39), pp. 29-35; Don L.A. F. (1755-1838), in Il Faggio vallombrosano, 1938, n. 4, pp. 97-111; A. Gabbrielli, Il pensiero di un georgofilo per i boschi dell'Abetone nella prima metà dell'Ottocento, in L'Italia forestale e montana…, XLIV (1989), pp. 132-147.

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