FRANCINI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)

FRANCINI, Antonio.

Franco Bacchelli

Nacque a Montevarchi, probabilmente dopo il 1480; nulla si sa dei suoi maestri, né della sua formazione, che dovette essere però di alto livello, considerata la sua padronanza del latino e del greco. Verosimilmente il F. lavorava già dall'inizio del Cinquecento come maestro in alcune delle più ricche case di Firenze: nel 1503 - se è lui, come probabile, l'"Antonius praeceptor" di cui parla B. Riccardini nella dedica del Sallustio giuntino di quell'anno - era precettore di Antonio Canigiani, il futuro genero di Tommaso Soderini, nipote del gonfaloniere Piero.

Più di dieci anni dopo lo ritroviamo tra i collaboratori editoriali prima di Filippo - fino alla sua morte nel 1517 - e poi di Bernardo Giunti: presso di loro, pur continuando a esercitare il suo mestiere di maestro, egli sarà infatti, dal 1515, accanto a Niccolò Angelio da Bucine, a Eufrosino (Frosino) Bonini e ad altri, il più operoso emendatore e curatore di testi greci e latini che egli andrà offrendo, con le sue eleganti dedicatorie latine, greche e italiane, soprattutto ai suoi più illustri e promettenti allievi. Il F. inizia questa sua collaborazione nel marzo del 1515, in una Firenze da tre anni di nuovo medicea, dando in luce uno Svetonio dedicato a Luigi del Rosso, cui fanno seguito, nel 1517, in marzo un volume di storici romani (Erodiano, Aurelio Vittore, Eutropio), offerto al cugino di Leone X, Palla Rucellai, in giugno, un Curzio Rufo, inviato ad A. Angenio, suo collaboratore nella correzione del testo, e un Valerio Massimo, indirizzato all'allora ventiduenne Luigi Alamanni. Nel dicembre del 1518 - anno nel quale i Giunti avevano ristampato la Moria di Erasmo, senza alcuna prefazione, ma probabilmente su suo impulso - il F. offriva al lettore la riedizione della traduzione erasmiana di due tragedie di Euripide, premettendovi una lettera nella quale si fa un ampio elogio del Dioscoride tradotto da Marcello Virgilio, uscito dai torchi della stamperia in ottobre. Nel 1519 il F. cominciava a curare anche testi greci: infatti, insieme con una serie di volumi latini - un Pomponio Mela e Solino, dedicato al futuro grande filologo P. Vettori, allora ventenne, un Claudiano, inviato a F. Spinelli, un Asconio Pediano, offerto ad A. Serristori e un Ovidio - egli edita un Omero - indirizzando l'Iliade a L. Bartolini Salimbeni e l'Odissea a B. Cavalcanti - e, con un'epistola greca agli studiosi, un volume con Museo, Orfeo e la Batrachomyomachia. Ed è forse sempre sotto suggerimento del F. che in quello stesso anno i Giunti pubblicarono senza prefazione un importante volume di traduzioni lucianee, contenente, oltre le declamazioni pro e contro il tirannicidio di Erasmo e di T. Moro, anche l'Utopia di quest'ultimo: testi, questi, significativi per la discussione politica viva a Firenze in quegli anni.

Mentre il F. svolgeva quest'attività per i Giunti, continuava a tenere scuola: infatti, proprio verso il 1519, Filippo del Migliore (in certi suoi Ricordi citati in S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. 110 s.) e G.B. Gelli (lettera a F. del Migliore premessa a Hecuba tragedia di Euripide poeta greco tradotta in lingua volgare…, s.d., c. A2rv) ricordano di avere assieme frequentato le sue lezioni di latino. Nel gennaio del 1520 il F. offriva a Giovanni di Bernardo Neretti (che sarà tra i primi priori della nuova Signoria del 1527) il primo dei quattro volumi delle opere in prosa di G. Pontano, con una lettera in cui, oltre a una lode del defunto concorrente Aldo Manuzio, erano chiaramente dichiarati i criteri con i quali i Giunti si erano da tempo divisi il lavoro: ai Giunti di Venezia i testi scolastici e universitari, a quelli di Firenze i testi greci e latini. In questo stesso anno, dopo avere dedicato, nell'agosto, un Virgilio, emendato con l'aiuto di N. Angelio, ad A. Dazzi, il F. fece uscire due testi greci già editi dal Manuzio: un Esichio, offerto a Pier Francesco Portinari, futuro ambasciatore in Inghilterra per la Repubblica nel 1527-30, e un Polluce. In questo era premessa una lettera a Th. Linacre, medico di Enrico VIII: dedica eccezionale per le stampe giuntine, suggeritagli da G.P. Machiavelli (precettore di Lorenzo Bartolini Salimbeni e amico di C. Longolio), un fiorentino che era evidentemente in contatto con l'umanista inglese e che potrebbe anche aver sollecitato le riedizioni giuntine di Erasmo e Moro di cui sopra si è discorso.

Nel 1521 il F. curò altre due edizioni greche: in febbraio l'Organon di Aristotele, offerto al benedettino I. Squarcialupi, e in dicembre il commento di Alessandro di Afrodisia agli Analitici primi, dedicato ad A. Nifo, allora professore in Pisa, con una lettera ricca di lodi per l'appena defunto Virgilio e per il suo lavoro di emendazioni di testi aristotelici. Probabilmente sempre al 1521 appartiene una lettera di C. Longolio al Machiavelli, nella quale si allude a una visita che il F. gli aveva fatto a Padova in quell'anno (Christophori Longolii Orationes duae… eiusdem epistolarum libri quattuor, Florentiae, per haeredes Philippi Iuntae, 1524, c. 143 r); da due altre lettere del fiammingo, verosimilmente di questo stesso anno, una indirizzata a L. Bartolini Salimbeni e una al F., ci vien dato di conoscere gli amici e i patroni che egli frequentava in questi anni e ai quali il Longolio inviava i suoi saluti: i fratelli Bartolini Salimbeni, Filippo Strozzi e Alessandro de' Pazzi (ibid., cc. 143v-144r).

Nel 1522 il F. curò, offrendolo a Zanobi Bartolini Salimbeni, un volgarizzamento anonimo di Erodiano e nel novembre un Sofocle, cui egli premise una lettera a G.B. Egnazio. Dopo un silenzio di due anni ricompare come curatore di testi giuntini nel 1525, quando, oltre a un volume di scritti grammaticali di Prisciano e Rufino, emendato con la collaborazione di N. Angelio, egli pubblica di nuovo per i Giunti un corpus di nove commedie di Aristofane, ove, con notevole progresso rispetto alla giuntina del 1515 curata da E. Bonini, integra nella Pace una sessantina di versi fornitigli da Arsenio di Monembasia (O. Langwitz Smith, Arsenios and Parisinus Graecus 2070, in Greek, Roman, Byzantine studies, XII [1971], pp. 107-111). Nel novembre 1526 il F., dopo avere offerto agli studiosi un corpus grammaticale greco (la Grammatica di Teodoro Gaza, l'Enchiridion di Efestione, ecc.) e avere emendato le Epistulae ad familiares di Cicerone, dedicava, con una lettera greca, un Tucidide al pallesco Alessandro Corsini. Fecero seguito nel 1527, nel maggio, in una Firenze già ribellata ai Medici, un Tacito - cui è preposta una lettera nella quale si allude al generale sommovimento d'Italia e al danno che gli studi ne stavano soffrendo - e nel giugno un Sallustio, offerto al filorepubblicano G. Borgherini. In questo stesso anno, secondo una contrastata tradizione raccolta da V. Borghini, egli avrebbe collaborato anche, assieme ad alcuni giovani fiorentini, al testo della famosa edizione del Decameron pubblicata dai Giunti nell'aprile (A. Virgili, Francesco Berni, Firenze 1881, p. 156, ma vedi contro questa opinione C. Dionisotti, Machiavellerie, p. 336).

Il Sallustio, a parte una riedizione (dicembre 1528) dell'Ovidio del 1519, è l'ultimo libro curato dal F. per i Giunti di Firenze. Non si sa se egli sia rimasto in Firenze fino all'epilogo tragico dell'assedio: probabilmente o prima o dopo la capitolazione di Firenze, il F., amico di tanti cittadini avversi ai Medici, raggiunse Venezia. Qui egli riprese la sua attività di maestro, insegnando il greco anche al giovane F. Sansovino (Del secretario… libri VII, in Venetia, appresso Cornelio Arrivabene, 1584, p. 219 v), e collaborò all'edizione di alcuni testi per l'officina veneziana di Lucantonio Giunti: nel 1535 offriva l'Etica aristotelica nella traduzione dell'Argiropulo e col commento di D. Acciaiuoli all'amico del Fracastoro, il veronese Raimondo Della Torre, e una edizione greca di Luciano al giovane Gerolamo Priuli, con una dedicatoria nella quale egli ne ricorda con gratitudine il maestro, Giovita Rapicio, e l'allora nunzio pontificio a Venezia, Girolamo Aleandro (che gli aveva prestato, per l'emendazione, un suo codice greco). Nel 1537 il F. curò un'edizione complessiva delle opere di Omero e nella epistola ai lettori, ricordando la sua vecchia edizione fiorentina di questo poeta, dichiarava sdegnosamente che non avrebbe più commesso l'errore di dedicare il libro a un principe o a un maggiorente.

Dopo quest'anno non abbiamo più alcuna notizia sul Francini.

Fonti e Bibl.: G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 60; A.M. Bandini, De Florentina Iuntarum typographiaeiusque censoribus, Lucae 1791, ad nomen; I Giunti tipografi editori di Firenze1497-1570. Annali, a cura di D. Decia - R. Delfiol - L.S. Camerini, Firenze 1978, ad Indicem; C. Dionisotti, Machiavellerie, Torino 1980, pp. 132, 191, 213-215, 336.

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