GENOVESI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GENOVESI, Antonio

Maria Luisa Perna

Nacque il 1° nov. 1713 a Castiglione (ora Castiglione del Genovesi), piccolo paese dell'Appennino campano a pochi chilometri da Salerno, primogenito dei quattro figli di Salvatore e di Adriana Alfenito. La famiglia, un tempo benestante, era decaduta da "civile" in "basso" stato, e viveva con i modesti proventi del lavoro del padre calzolaio e di una piccola proprietà. Allo sforzo di recuperare una condizione economicamente più solida e socialmente più prestigiosa, nonché alle strategie familiari in uso nella società del tempo e della zona, si deve la precoce destinazione del G. alla carriera ecclesiastica, realisticamente accettata dal ragazzo come unica strada percorribile per accedere agli studi superiori e a una professione intellettuale, per la quale si sentiva particolarmente tagliato, poi vissuta sempre con autentica adesione a una religiosità profondamente sentita. Affidato a parenti membri del clero locale, il G. compì i primi studi nel paese natio, praticamente da autodidatta, completando il corso di lettere latine a tredici anni. Seguirono tre anni dedicati alla filosofia, dapprima quella scolastica, per la quale maturò un rapido rifiuto, poi quella cartesiana, sotto la guida di un medico suo parente, Niccolò Genovesi, a sua volta allievo del medico cartesiano napoletano N. Cirillo. Le due autobiografie redatte dal G. e rimaste incompiute e inedite in vita (la prima si ferma al 1748: Autobiografia I, in P. Zambelli, La formazione, pp. 797-916; la seconda al 1755: Vita di A. G., in Illuministi italiani, pp. 47-83) ci trasmettono il ritratto di un adolescente vivace, intelligente e ricettivo, fortemente motivato allo studio per curiosità intellettuale e desiderio di primeggiare, ambizioso e abile nella dialettica. Nello stesso tempo fu iniziato al gusto della letteratura dai consigli di un altro amico del luogo, S. Parrilli; gliene derivò una passione, che durò tutta la vita, per i poemi cavallereschi, per Dante e Petrarca, alla quale seguì il nascere di un altrettanto intenso interesse per la storia.

Ma il padre sorvegliava attentamente che il ragazzo non si concedesse distrazioni. La rigidezza paterna ebbe modo di manifestarsi più duramente quando il giovane si innamorò, ricambiato, di una giovane compaesana, Angela Dragone. Per impedire che questo amore cambiasse i programmi di vita del giovane, il padre gli impose il trasferimento a Buccino (sempre non lontano da Salerno), in casa di parenti, mentre la ragazza fu costretta al matrimonio con un pastore. Il G., pur profondamente addolorato e deluso, trovò conforto nella maggiore apertura e possibilità di contatti che il nuovo ambiente, sempre provinciale ma più aperto e animato, gli offriva, e nell'amicizia con l'arciprete G. Abbamonte, che migliorò la sua preparazione classica e stimolò l'interesse per la teologia e il diritto civile e canonico.

Nel settembre 1735 il G. prese gli ordini minori. Nel frattempo, spinto dalla necessità di rendersi indipendente economicamente, con l'appoggio dell'arcivescovo di Salerno G.F. Di Capua, che ne aveva apprezzato le doti esaminandolo per il diaconato, ottenne l'insegnamento di retorica presso il seminario della città, dove rimase due anni. Ordinato sacerdote nel Natale del 1737, l'anno seguente, fornito del modesto capitale di 600 ducati ereditato da uno zio materno, insieme con il fratello Pietro, destinato alla carriera forense, si trasferì nella capitale del Regno, dove avrebbe trascorso tutto il resto della vita, allontanandosene solo per brevi periodi di villeggiatura. Abbandonato rapidamente il progetto di intraprendere anche la professione forense, che gli parve avere "poca conformità […] con le massime del puro cristianesimo" (Vita, p. 53), insofferente del formalismo giuridico e dell'ambiente del foro, scelse definitivamente gli studi filosofici. Frequentò le lezioni di N. De Martino e dell'ormai anziano Vico - di cui già conosceva la Scienza nuova -, conobbe P.M. Doria, si legò di amicizia con Appiano Buonafede, che lo descrive, in quei primi anni napoletani, in un acuto ed efficace profilo (Ritratti poetici, storici e critici di vari uomini di lettere, Venezia 1788, p. 266). Lasciò inattuato il progetto di un'opera ispirata a Platone, La repubblica divina, per rivolgersi avidamente alla cultura anglo-olandese, ai neoplatonici di Cambridge, a J. Le Clerc, a Newton, a Locke (progettando una traduzione dal francese del Cristianesimo ragionevole), al giusnaturalismo. Nel 1739 aprì una scuola privata, in cui insegnare i suoi "nuovi piani di filosofia e di teologia", in particolare il "piano di un'etica" (Vita, p. 53), frutto delle riflessioni di quegli anni. Cominciò a maturare in quest'esperienza - che durerà tutta la vita - la vocazione pedagogica che caratterizzerà tutta l'attività del G. e che si realizzerà in un metodo d'insegnamento dinamico, in cui l'ampliarsi dell'orizzonte culturale del docente sollecitava e promuoveva l'apprendimento in interazione costante con i giovani. Il carattere innovativo e il successo della scuola gli procurarono l'amicizia e la protezione di M. Cusano, di G. Orlandi e, soprattutto, del cappellano maggiore C. Galiani, autentico iniziatore della nuova cultura newtoniana a Napoli, fondatore dell'Accademia delle scienze e promotore della riforma universitaria, da poco avviata.

Attraverso il Galiani, il G. ottenne il primo incarico universitario, come professore straordinario di materie metafisiche, e cominciò a insegnare nel novembre 1745. Era nel frattempo approdato a una visione filosofica fondata su un "eclettismo programmatico", che tendeva alla serena composizione di un costante atteggiamento apologetico con la più totale disponibilità verso i portati della cultura innovatrice, di cui si appropriava con onnivora curiosità. Ne dette la prima dimostrazione nel manuale degli Elementa metaphysicae (Napoli 1743), prima tappa dell'ambizioso progetto di un corso completo di filosofia. Proprio per queste caratteristiche, nonostante la sostanziale ortodossia e l'approvazione del revisore regio G. Orlandi, l'opera fu duramente attaccata dagli ambienti ecclesiastici. La protezione del Galiani e la disponibilità ad accettare di chiarire le proprie posizioni in una Appendix pubblicata nel 1744 salvarono il G. dalla denuncia al S. Uffizio. La polemica però accrebbe la sua notorietà a Napoli e fuori del Regno; divenne abituale frequentatore del salotto letterario di M. Di Sarno, bibliotecario di José Joaquín marchese di Montealegre (duca di Salas dal 1740), primo segretario di Stato. Le tesi esposte nella Metafisica attirarono l'attenzione di A. Conti, con il quale il G. avviò uno scambio di lettere filosofiche sulla natura delle idee, stampate nel 1746 (poi in Letterefamiliari, Venezia 1774). Nel 1745 il G. era passato alla cattedra di etica, con buon successo per la rinnovata affluenza di studenti. Nello stesso anno pubblicò, in collaborazione con G. Orlandi, cui si devono le note scientifiche, gli Elementa physicae di P. van Musschenbroek, ai quali premise una Disputatio physico-historica de rerum corporearum origine et constitutione, agile e precisa sintesi delle idee scientifiche dall'antichità al presente. La manifesta adesione al newtonismo si colloca tuttavia ancora all'interno di una visione spiritualizzante e ortodossa, che connette la visione del cosmo di Newton al vitalismo di Cardano e di Campanella e con la platonica anima mundi. L'opera ebbe grande fortuna, come pure il contemporaneo manuale di logica Elementorum artis logico-criticae libri V (Napoli 1745), che gli procurò gli elogi di L.A. Muratori, con il quale avviò un carteggio, quasi totalmente perduto, destinato a durare fino alla morte del modenese. Ma altri e più pericolosi attacchi si andavano preparando nel clima di scontro determinatosi a Napoli a causa del tentativo, peraltro fallito, di introdurre il tribunale dell'Inquisizione, messo in atto dall'arcivescovo cardinale G. Spinelli nel 1746.

Nel 1747 il G. pubblicava la seconda parte della Metafisica, dedicandola a Benedetto XIV con l'evidente scopo di garantirsi un'autorevole tutela, e nel contempo portava a compimento la stesura del manuale di teologia cui attendeva dai primi anni Quaranta: gli Universae theologiae elementa. Quando, nel 1748, si rese vacante la cattedra di tale disciplina, il G. ritenne di avere giusto titolo per concorrervi con buone probabilità di successo. Ma la sua candidatura provocò violente opposizioni. In base alla denuncia di un altro concorrente, l'abate I. Molinari, la Curia romana volle esaminare il manoscritto, mentre la corte di Napoli ne affidò la revisione a un gesuita spagnolo, G. Barba. Nonostante i suoi timori, anche questa volta il G. riuscì a evitare la denuncia per eresia, soprattutto in virtù dell'appoggio dei gesuiti, ostili all'arcivescovo Spinelli, della sua personale amicizia con il padre provinciale della Compagnia e del fatto che, sul piano dottrinale, si definiva "mezzo molinista" in materia di grazia. Ma in questa occasione fu assai tiepido l'appoggio del Galiani, che gli impose la rinuncia non solo alla cattedra, ma anche all'insegnamento privato della teologia e alla pubblicazione degli Universae theologiae elementa, provocando la decisione del G. di abbandonare "studi sì turbolenti e spesso sanguinosi" (Vita, p. 70).

Il G. continuò a insegnare etica fino al 1753, mentre proseguiva il completamento della Metafisica con un quarto volume (1752), dedicato al giusnaturalismo. Reinterpretando Grozio e soprattutto Pufendorf, il G. vedeva nel giusnaturalismo le basi per rinnovare un'etica razionalmente e scientificamente fondabile, in grado di definire il quadro di valori di una società mercantile, i cui problemi si venivano ormai collocando al centro dei suoi interessi. La persecuzione di cui era stato oggetto, oltre ad allargare la cerchia delle sue frequentazioni amichevoli a personaggi come Raimondo di Sangro principe di Sansevero e F.P.B. De Felice, gli aveva offerto infatti l'occasione di entrare a far parte del cenacolo che in quegli anni si era venuto a creare intorno a B. Intieri.

Ormai avanzato nell'età, questo abile e fortunato imprenditore toscano, amico di C. Galiani e cofondatore dell'Accademia delle scienze, ritiratosi a poco a poco dalle sue multiformi attività, aveva raccolto intorno a sé vecchi e soprattutto nuovi esponenti dell'intellettualità napoletana, come A. Rinuccini, G. Orlandi, F. Galiani, con i quali aveva avviato una fruttuosa consuetudine di discussione, tesa a stimolare non solo la circolazione delle idee in rapporto con la cultura internazionale, ma anche l'attività di collaboratori più giovani e la loro concreta azione nel contesto politico e sociale del Regno. Il cenacolo dell'Intieri fu infatti tra i primi a leggere e commentare l'Esprit des lois di Montesquieu. Dalle opere e dai carteggi di quegli anni emerge con chiarezza l'autorappresentazione di questo gruppo di intellettuali come forza operante nel nuovo contesto politico: la ritrovata indipendenza del Regno, che appare loro come conditio sine qua non per l'avvio di un processo di cambiamento e di modernizzazione.

Vero e proprio manifesto del programma riformatore del gruppo, incentrato sull'ineludibile nesso teoria-prassi, che ne costituì la novità immediatamente percepita dai contemporanei, fu il Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze, maturato durante la villeggiatura dell'autunno 1753 nella villa intieriana di Massa Equana, e pubblicato all'inizio dell'anno seguente a Napoli insieme con il Ragionamento sopra i mezzi più necessari per far rifiorire l'agricoltura di U. Montelatici e con la Relazione dell'erba orobanche di P.A. Micheli. Il G. operava così la sua scelta di campo, presentandosi come l'interprete più convinto di quel programma e il più attivamente impegnato nella sua realizzazione.

Requisito indispensabile per il progetto di riforma era la diffusione di una nuova cultura scientifica, economica, tecnologica, posta al centro degli interessi di una intellettualità nuova. A essa, come campo di indagine, ma anche di azione, doveva rivolgersi la "studiosa gioventù" del Regno, distolta dagli studi forensi e da speculazioni astratte, e avviata da un lato a una conoscenza cosmopolita di idee e linguaggi, dall'altro a sviluppare capacità di osservazione e di studio dei fenomeni naturali e sociali della realtà in cui viveva.

A questa istanza della cultura intieriana corrispose il progetto che meglio ne rappresentò la realizzazione istituzionale: la costituzione presso l'Università di Napoli di una cattedra di "meccanica e commercio" - cioè la prima di economia politica in Europa -, che Intieri volle finanziare con un lascito di 7500 ducati che garantisse una rendita di 300 ducati annui, a condizione che essa venisse affidata al G., che l'insegnamento fosse svolto in lingua italiana e che anche in futuro ne fossero esclusi rappresentanti del clero regolare. La nuova cattedra fu inaugurata il 5 nov. 1754, con grande affluenza di pubblico. Il G. presentò il nuovo corso con una prolusione che avrebbe poi sviluppato nel Ragionamento sul commercio in universale, pubblicato in estratto nel 1756 e poi in apertura della Storia del commercio della Gran Brettagna scritta da John Cary (Napoli 1757).

Questo grosso centone in tre volumi conteneva pure la traduzione dell'Essai sur le commerce d'Angleterre di V. de Gournay e G.-M. Butel-Dumont (Paris 1755), i quali avevano a loro volta tradotto e aggiornato l'Essay on the state of England di J. Cary (Bristol 1695), e la traduzione-rifacimento genovesiana dell'England's treasure of commerce di T. Mun (London 1664), corredate dalle ampie e ricche annotazioni dello stesso G. e da altri suoi saggi (Ragionamento filosofico sulle forze e gli effetti delle gran ricchezze e Ragionamento sulla fede pubblica) destinati a ricomparire negli Elementi del commercio e nelle posteriori Lezioni di commercio o sia di economia civile.

Contemporaneamente il G. procedeva alla stesura del suo corso biennale (1757-58) di Elementi del commercio, che anche nel titolo riecheggiavano gli Eléments du commerce di F.-L. Véron de Fortbonnais.

Ambedue le opere avevano un palese carattere propedeutico, non solo per i destinatari, ma in certo modo per lo stesso autore, che nel suo sforzo di informazione e acquisizione di nuove competenze sembra lavorare in parallelo con i suoi allievi e lettori. Il discorso genovesiano assolveva a una duplice funzione: definire contenuti e linguaggi della nuova cultura economica; tracciare le linee di un programma di politica economica per il governo, nel quadro dell'assolutismo illuminato, che viene considerato come la garanzia istituzionale delle riforme. Esso si articola sulla polarizzazione tra il cosmopolitismo culturale, perseguito con la consueta ampiezza e tempestività di letture, e il patriottismo, consistente nell'attenzione alle specifiche condizioni del Regno, su cui misurare l'effettiva validità degli interventi. Sul primo versante i termini di confronto scelti dal G. furono la Spagna e l'Inghilterra. L'una, studiata attraverso le opere di G. Uztáriz e B. de Ulloa, per le evidenti analogie con la situazione del Regno; l'altra, proposta come il modello più avanzato di economia mercantile, nel quale erano ormai operanti le strutture della moderna circolazione di merci, monete e idee. Su di essa il G. si documentava con ostinata puntualità, trovando la referenza più significativa nei Political discourses di D. Hume. L'elemento di mediazione culturale, approdo dei riformatori napoletani alla koinè illuministica degli anni Sessanta, era costituito dalle opere e dai dibattiti francesi, da J.-F. Melon a Fortbonnais, a Plumard de Dangeul. Sull'altro versante, il G. articolava una serie di proposte operative per una conoscenza sperimentalmente e statisticamente fondata delle reali condizioni del Regno (andamento demografico, natura e produttività dei terreni, configurazione della proprietà attraverso il catasto, strade e comunicazioni ecc.), cui dovevano collaborare gentiluomini e parroci, intellettuali e proprietari, creando una rete di società agrarie e scientifiche diffuse sul territorio e radicate nella società provinciale. La politica economica di un paese povero di materie prime e del tutto marginale nel commercio internazionale doveva puntare allo sviluppo qualitativo e quantitativo della produzione agricola, destinata al mercato reso libero dai vincoli interni.

L'adesione piena del G. alla liberalizzazione del commercio interno dei grani si manifestò, in concomitanza con la grave carestia che colpì il Regno nel 1764, attraverso la pubblicazione dell'Agricoltore sperimentato di C. Trinci (Napoli 1764) e delle Riflessioni sull'economia generale de' grani (Napoli 1765; traduzione della Police des grains di C. Herbert, Berlin 1755), da lui prefati e commentati. La fiducia nella possibilità di realizzare le riforme si scontrava, tuttavia, con la crescente consapevolezza della natura strutturale degli ostacoli che vi si opponevano. La concentrazione delle terre nelle mani di una nobiltà feudale ancora detentrice di poteri giurisdizionali e di un clero numericamente eccessivo, attaccato ai propri privilegi, impediva la formazione di una proprietà contadina, che ormai appariva al G. la condizione necessaria perché si sviluppasse non solo l'iniziativa economica, ma pure l'auspicata mobilità sociale. Sono quindi i problemi della società civile quelli cui il G. guarda con maggiore attenzione nell'ultimo quinquennio della sua vita, che rappresenta un'ulteriore scansione della sua attività.

Tra il 1764 e il 1769 il suo impegno politico e culturale si caratterizzava per una sempre più accentuata polivalenza di funzioni, legata alla sua ormai consolidata posizione di maître à penser. All'insegnamento universitario e privato si aggiunsero infatti le consulenze per B. Tanucci e per la giunta degli Abusi, sui problemi più scottanti del momento: dalla liberalizzazione del commercio dei grani ai trattati di commercio, dalla monetazione alla redazione dei nuovi piani di studio per le scuole ex gesuitiche (nel quadro di una vigorosa ripresa della battaglia giurisdizionalistica per l'abolizione della cattedra delle decretali); per l'istituzione di nuove cariche in difesa delle prerogative regie, per la lotta alla manomorta. Si intensificò soprattutto l'attività editoriale, relativa alla pubblicazione di opere proprie e altrui, che investì tutti gli aspetti della sua attività di studioso e di insegnante. Ne fece parte un corso completo di "istituzioni filosofiche per i giovanetti", in italiano, articolato nella Logica (Napoli 1766), nella Diceosinao sia della filosofia del giusto e dell'onesto (ibid. 1766), nelle Scienze metafisiche (ibid. 1767). Contemporaneamente, il G. stendeva i Dialoghi morali e le note all'Esprit des lois (pubblicate postume nel 1777).

In questo contesto si collocano le tre edizioni delle Lezioni di commercio o sia di economia civile, cui il G. lavorò direttamente: le due napoletane, rispettivamente 1765-67 e 1768-70 e quella intermedia del 1768, promossa a Milano dall'allievo T. Odazi. Alle Lezioni fanno da contrappunto, su un tema specifico carissimo al G., le due edizioni delle Lettere accademiche sulla questione se sieno più felici gli scienziati o gl'ignoranti, in cui la ripresa della polemica con Rousseau si amplia a un riesame critico dello sviluppo delle società umana. I testi che nascono da questa attività multidisciplinare rappresentano l'espressione più compiuta di un modusoperandi già sperimentato, fondato su una memoria interna, attraverso la quale il G. riutilizza e riorganizza continuamente i materiali della sua riflessione, in uno sforzo onnicomprensivo che tende a coagulare in una sintesi complessa, pur se talvolta ridondante, tutte le tensioni intellettuali e politiche degli ultimi anni di vita. Le ampie varianti recepiscono anche le spinte di circostanze esterne: per queste caratteristiche, le Lezioni si presentano come l'autentica summa del pensiero genovesiano, un vero e proprio "work in progress" di letteratura militante.

Il G. colloca le problematiche dell'economia in un più ampio quadro di considerazioni sulla società, sulle sue dinamiche, esaminate negli aspetti antropologici e psicologici, secondo una linea storicizzante alla quale contribuisce con una sua versione della teoria stadiale, per approdare a un più ampio affresco della situazione del Regno. Il confronto tra gli Elementi e le tre edizioni delle Lezioni mette in luce l'evoluzione del suo pensiero sui temi più caratterizzanti, dalla popolazione al lusso alla tassazione, e l'intensificarsi della polemica antifeudale e anticuriale. Diventa centrale il problema della comunicazione, elemento caratterizzante della società e del vivere civile e di conseguenza della lingua, alla quale dedica anche una riflessione teorica nella Logica, e dei mezzi, delle sedi, delle modalità attraverso le quali essa può realizzarsi e costituire l'asse portante della formazione dell'opinione pubblica.

La morte lo colse a Napoli il 12 sett. 1769.

Negli anni seguenti la sua opera fu oggetto di aspri attacchi e di appassionate difese, culminate nell'Elogio storico dedicatogli dall'allievo G.M. Galanti (Napoli 1772). Larga ma diversificata fu l'eco della sua opera nelle altre aree d'Italia e di Europa. Nonostante la fortuna dell'edizione milanese delle Lezioni, sulla quale furono esemplate tutte le successive ristampe, in realtà l'opera genovesiana non venne apprezzata nella Lombardia asburgica, proiettata verso la fisiocrazia, perché considerata troppo farraginosa e legata ai problemi di una società sottosviluppata. In Francia l'annunciato progetto di J. Pingeron di tradurre le Lezioni non ebbe seguito. In Germania, invece, vennero tradotti sia la Storia del commercio (Leipzig 1788), sia le Lezioni (ibid. 1776), a cura rispettivamente di A. Witzmann e di C.A. Wichmann. Molto più ampia fu invece la diffusione dell'opera genovesiana, sia filosofica sia economica, nella penisola iberica. In Spagna, infatti, apparve una traduzione in castigliano delle Lezioni (1785-86), a cura di V. de Villava, mentre nei paesi di lingua portoghese i suoi corsi di filosofia costituirono la base dell'insegnamento universitario per tutto l'Ottocento.

Edizioni: Illuministi italiani, V, Riformatori napoletani, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1962, pp. 3-330; Autobiografia, lettere e altri scritti, a cura di G. Savarese, Milano 1962; Della Diceosina o sia della filosofia del giusto e dell'onesto, a cura di F. Arata, Milano 1973; Scritti, a cura di F. Venturi, Torino 1977; Delle lezioni di commercio o sia di economia civile, Varese 1977 (rist. anast. dell'ed. Milano 1768); Scritti economici, a cura di M.L. Perna, Napoli 1984; Se sieno più felici gl'ignoranti che gli scienziati. Lettere accademiche, a cura di G. Gaspari, Carnago 1993; Lezioni di commercio o sia di economia civile con gli "Elementi del commercio", a cura di M.L. Perna, Napoli 1998; Dialoghi e altri scritti. Intorno alle "Lezioni di commercio", a cura di E. Pii, Napoli 1998.

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