GODI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GODI, Antonio

Marino Zabbia

Nacque a Vicenza, intorno alla metà del Trecento, dal notaio Tommaso e da Bona di Viviano Pisone da Barbarano. Dalla fine del XIV secolo il nome del G. compare nella matricola dei notai vicentini e per il periodo che dal 1412 giunge sino agli anni a ridosso della morte - sopravvenuta il 10 sett. 1438 - si conservano documenti che attestano la sua attività notarile nella città. Nel testamento, redatto nel 1414, il G. ricorda il nome della propria moglie, una certa Bartolomea, e di sette figli tra i quali il giudice Pietro Godi, autore del De coniuratione Porcaria dialogus (cfr. i documenti segnalati da Soranzo, pp. X-XIII).

In questo notaio quattrocentesco G. Soranzo ha ritenuto di identificare quell'Antonio Godi cui, fin dal XV secolo, la tradizione vicentina attribuisce la compilazione di una cronaca (edita con il titolo Cronaca di Antonio Godi vicentino dall'anno 1194 all'anno 1260, a cura dello stesso Soranzo, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VIII, 2).

La più antica attestazione del G. come cronista si deve al notaio Giovan Battista Pagliarini (vissuto all'incirca tra il 1415 e il 1506) che affermò di avere utilizzato come fonte per le sue Cronicae una Historia del G. la quale, partendo da una data collocabile nel XII secolo che il Pagliarini non sapeva indicare con precisione, giungeva sino al 1313. Inoltre il Pagliarini ha riportato nella sua cronaca molte notizie relative alla famiglia Godi specificando anche che il cronista Antonio aveva esercitato il notariato; tuttavia nell'unico punto dell'opera in cui avrebbe dovuto essere contenuta una precisa indicazione cronologica dedicata a precisare in quale periodo il G. fosse vissuto, il testo delle Cronicae nei testimoni più autorevoli presenta una lacuna che solo in un successivo volgarizzamento e nei codici più recenti è stata colmata con l'indicazione dell'anno 1344 che, se fosse ritenuta esatta, escluderebbe che questo cronista sia il medesimo notaio individuato dal Soranzo.

Un'opera che copra l'ambito cronologico che il Pagliarini affermava compreso nella Historia del G. non si è conservata, ma alcuni manoscritti riportano un testo che, anonimo nell'unico codice medievale che lo contiene (Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, 21.10.18, in cui l'indicazione dell'autore è stata apposta successivamente), nelle copie di età moderna è attribuito al G. e sembra possa essere lo stesso usato dal Pagliarini poiché riporta la notizia della fondazione dello Studio di Vicenza nel 1204 con gli stessi termini che il Pagliarini affermò di aver desunto dallo scritto del Godi. Il testo in questione è una cronaca che prende le mosse dalla podesteria vicentina di Ezzelino (I) da Romano del 1183-84 e, dopo avere dedicato ampio rilievo all'azione di Ezzelino (III) privilegiando i suoi rapporti con Vicenza, si interrompe bruscamente all'altezza del 1260 nel corso della descrizione dei supplizi cui Alberico da Romano sottopose alcuni nobili trevigiani.

La cronaca si apre con una breve nota che svolge le funzioni del prologo: in poche righe l'autore dichiara di apprestarsi a narrare la storia di Vicenza da quando - nell'anno 1311 afferma esplicitamente il cronista e forse il Pagliarini lesse male questo passo della cronaca e la ritenne giungere al 1313 - la città, perduta l'indipendenza, fu assoggettata al dominio di Padova. Prima di entrare nel vivo della narrazione il cronista ritenne però di dedicare alcune pagine del proprio lavoro a ripercorrere i decenni precedenti l'avvento della Signoria padovana e introdusse questa sezione della cronaca con una puntuale descrizione del distretto di Vicenza. Le fonti sulle quali dichiara di avere ricostruito la descrizione del distretto cittadino sono testimonianze orali: egli afferma, infatti, di fondarsi sui racconti del proprio padre - di cui non è riportato il nome - il quale a sua volta aveva potuto ascoltare i resoconti del notaio Arlotto de Rainone (attestato nel 1316) e di altri vecchi cittadini di Vicenza, il più vecchio dei quali era il notaio Bono Coperio (ancora vivo nel 1321). Conclusa la puntuale descrizione del distretto, rimanendo fedele allo schema delle laudes civitatum, l'autore dedica una breve nota alla storia della popolazione vicentina osservando che da Vicenza provengono alcune delle principali famiglie della Marca trevigiana, ma costatando anche che tali casate non hanno operato per il bene della loro città e sono diventate potenti altrove. Chiusa anche questa nota dedicata alle famiglie cittadine sulle quali il cronista tornerà a richiamare l'attenzione compilando tre liste di famiglie che sono conservate nelle ultime carte della cronaca (dedicate la prima a conservare il ricordo delle stirpi nobili ormai estinte, la seconda a elencare le casate cittadine eminenti, l'ultima a menzionare quelle che si trasferirono da altre sedi a Vicenza), lo scrittore prende a narrare la storia di Vicenza dai tempi della prima podesteria dei da Romano che nel testo non è datata con precisione (da questa approssimazione probabilmente deriva l'incertezza del Pagliarini che non seppe individuare l'anno d'inizio del racconto del Godi). Se per la descrizione del distretto afferma di essersi servito di testimonianze orali, il cronista non fa menzione delle fonti su cui si propone di ricostruire la storia del periodo dei da Romano, ma gli studiosi non hanno tardato ad accorgersi della sua dipendenza dalla Cronica domini Ecelini de Romano composta poco dopo il 1237 dal causidico vicentino Gerardo Maurisio che forse - è un'ipotesi avanzata da G. Arnaldi nel 1963 - il G. poteva leggere in una versione che conteneva una piccola continuazione anonima costituita da note che arrivano agli anni Quaranta del Duecento e riguardano in primo luogo la località di Lonigo. Dopo avere compendiato l'opera del Maurisio riportandone ampi stralci, l'autore continua a ricostruire il passato vicentino estraendo numerose notizie relative alla sua città dalle cronache composte nella Marca trevigiana durante i decenni conclusivi del Duecento e impiegando in primo luogo l'opera che tra quelle ebbe circolazione maggiore, il Chronicon Marchiae Tarvisinae et Lombardiae, noto anche con il titolo di Annales S. Iustinae. Il confronto tra il testo tradizionalmente attribuito al G. e le sue fonti consente di cogliere le caratteristiche dell'opera che si presenta come un prodotto tipico della cronachistica cittadina della seconda metà del XIV secolo. Al posto del largo orizzonte geografico che comprende l'intera Marca, peculiare della cronachistica duecentesca, l'opera del G. mostra un ambito limitato alla storia vicentina che sola assorbe l'intero interesse dell'autore. Come in altri simili testi coevi al restringimento dell'arco geografico corrisponde l'allargamento della spanna cronologica; di conseguenza, prima di dedicarsi alla registrazione degli avvenimenti più recenti, l'autore avverte la necessità di ripercorrere un lungo tratto della vicenda cittadina. Il G. concepì quindi un disegno di sintesi della storia vicentina individuando nel suo svolgimento alcuni momenti di rottura - la podesteria di Ezzelino (I) e poi la conquista padovana - che gli permisero di proporre una periodizzazione. Tuttavia l'autore non fu in grado di portare a compimento il suo progetto e la cronaca ci giunge ancora allo stadio di abbozzo.

La questione della paternità è strettamente legata al problema della datazione dell'opera. Il Soranzo - dopo avere individuato un Antonio Godi notaio vicentino vissuto nella prima metà del Quattrocento - osservando l'ammirazione contenuta in un cenno dedicato ai cittadini di Venezia (pp. 4, 26), concluse che il G. fosse l'effettivo autore dell'opera e che vi avesse posto mano dopo il 1404, quando Vicenza era passata sotto il dominio veneziano. Tale opinione è stata generalmente accolta sino a quando, in un recente contributo (1988), G. Arnaldi ha proposto una nuova e più alta datazione. Analizzando con finezza la descrizione del distretto vicentino che apre l'opera, l'Arnaldi osserva che il quadro prospettato dal cronista - con, per esempio, Bassano ancora in mano ai Padovani - ritrae la situazione come si presentava prima del 1387; esaminando poi la rappresentazione dei borghi vicentini contenuta nella medesima sezione della cronaca, lo studioso osserva che essa presenta caratteristiche riscontrabili prima dei lavori di fortificazione iniziati nel 1381. Di conseguenza le pagine introduttive dell'opera sarebbero state scritte prima del 1387 e molto probabilmente anche prima del 1381. Accogliendo i risultati dell'analisi dell'Arnaldi - che, va osservato, data la cronaca unicamente in base all'esame della descrizione del distretto vicentino - solo con molta difficoltà è possibile ritenere che l'autore della cronaca sia il notaio Antonio Godi riconosciuto dal Soranzo: in questo caso il G. avrebbe dovuto mettere mano alla sua opera in giovane età, facendo tesoro di racconti che suo padre aveva raccolto una sessantina d'anni prima. L'attribuzione diviene a questo punto assai dubbia: piuttosto che l'autore il G. potrebbe essere un copista oppure il proprietario di un manoscritto, oppure ancora è sulla scorta delle indicazioni del Pagliarini che in età moderna si è ritenuto di attribuirgli un'opera anonima.

Prima di escludere un intervento diretto del G. nella realizzazione dell'opera è necessario però valutare la possibilità che egli abbia copiato in apertura della compilazione che si accingeva a raccogliere una descrizione del distretto di cui era giunto in possesso. Così facendo egli si sarebbe comportato con questo scritto in modo analogo a quanto fece riprendendo ampi stralci dell'opera del Maurisio, depurata solo di pochi elementi. Il G. insomma avrebbe raccolto una sorta di zibaldone di scritture di provenienza diversa che, accostate una di seguito all'altra, gli avrebbero permesso di costruirsi una sorta di compilazione di storia locale dedicata a ripercorrere due secoli della vicenda vicentina. Il fatto che la descrizione del distretto riproduca un quadro vecchio di alcuni decenni non costituisce necessariamente un impedimento: non mancano, infatti, casi in cui le descrizioni ospitate nelle fonti narrative siano di seconda mano e rendano conto di epoche precedenti a quelle in cui visse il compilatore. Resta poi da considerare la testimonianza del Pagliarini che se per i motivi che abbiamo visto è approssimativo nel definire l'ambito cronologico dell'opera del G., è però preciso quando afferma di trarre da quel testo le informazioni che inserisce nella sua cronaca. Pertanto non si può escludere che il G. sia stato un raccoglitore di memorie locali e che abbia copiato tali memorie in un quaderno destinato a fungere da punto di partenza per una ricostruzione di due secoli e oltre di storia vicentina. Il progetto che si basava su di un definito quadro interpretativo fondato su una definita proposta di periodizzazione andò però incontro al naufragio. Nel corso del Quattrocento altri cronisti vicentini si provarono nel medesimo campo puntando su fonti analoghe e tentando di ripercorrere la stessa spanna cronologica di storia cittadina: di essi il G. sembra essere stato l'antesignano, e collocare la sua opera nei primi anni del XV secolo è quindi plausibile.

Fonti e Bibl.: G.B. Pagliarini, Cronicae, a cura di J.S. Grubb, Padova 1990, pp. IX s. e ad ind.; G. Arnaldi, Studi sui cronisti della Marca trevigiana nell'età di Ezzelino da Romano, Roma 1963, pp. 72-78; G. Zanato, Ricerche per una edizione critica della cronaca vicentina di G.B. Pagliarini (1415-1506), Vicenza 1979, pp. 31 s.; G. Arnaldi, Realtà e coscienza cittadine nella testimonianza degli storici e cronisti vicentini dei secoli XIII e XIV, in Storia di Vicenza, II, L'età medievale, Vicenza 1988, pp. 296-304; G. Ortalli, Cronisti e storici del Quattrocento e del Cinquecento, ibid., III, 1, L'età della Repubblica veneta (1404-1797), Vicenza 1989, pp. 353 s., 357 s.; A. Sommerlechner, Stadt, Partei und Fürst. Mentalitätsgeschichtliche Studien zur Chronistik der trevisanischen Mark, a cura di G. Scheibelreiter, Wien-Köln-Graz 1988, pp. 21 s.; M. Zabbia, I notai e la cronachistica cittadina italiana nel Trecento, Roma 1999, pp. 70-77; Rep. fontium hist. Medii Aevi, V, p. 173.

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