LOREDAN, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LOREDAN, Antonio

Giuseppe Gullino

Primogenito di Giacomo di Pietro (il padre e il nonno acquisirono alti meriti al comando dell'armata navale e conseguirono la dignità procuratoria) e di Beatrice Marcello di Francesco, nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Maria Formosa, alla fine del 1420. Secondo la tradizione familiare intraprese per tempo la carriera del mare; il 22 maggio 1443, probabilmente in qualità di comandante di galera, informò il Consiglio dei dieci del disordine in cui versava la squadra navale di stanza a Candia; l'anno seguente (7 luglio) fece parte dei sopracomiti che comandavano quattro galere armate nell'Arsenale veneziano per conto del duca di Borgogna, Filippo (III) il Buono, che concorreva alla "crociata" contro gli Ottomani di Murad II.

Poi, per un decennio, le fonti tacciono sul suo nome, che ricompare solo nel 1454, in occasione del matrimonio con Orsa Pisani di Giovanni di Pietro, che gli diede numerosi figli; da questo momento, e per qualche anno, il L. interruppe il servizio nell'Armata di mare per assumere incarichi minori in città o nella vicina Terraferma: il 1° luglio 1455, infatti, fu degli ufficiali di Notte e il 28 ag. 1458 ottenne dal Senato i denari necessari a riparare il palazzo pretorio di Cologna, ove si trovava in qualità di rettore.

Al termine del mandato riprese posto nella flotta; in Levante, Maometto II, dopo aver conquistato Costantinopoli, procedette a nuove annessioni ai danni dei dinasti dell'Arcipelago e nella primavera del 1460 conquistò la Morea, eliminando gli ultimi despoti bizantini, sicché non v'erano più entità politiche di una qualche importanza che si frapponessero tra i domini ottomani e quelli veneziani. Il 21 apr. 1460, pertanto, il Senato ordinò al L. di recarsi, al comando di due navi armate e di una galera, a rifornire Modone, Corone e Negroponte e quindi attendere nuove istruzioni da parte del capitano in Golfo. Il L. iniziò quindi a incrociare fra lo Ionio e l'Egeo senza lasciarsi sfuggire l'occasione di assumere qualche iniziativa, come ebbe a verificarsi il 4 e 5 giugno, allorquando, dopo una battaglia durata due giorni, catturò una nave genovese che aveva rifiutato di farsi ispezionare. Naturalmente i mercanti liguri reclamarono il risarcimento dei danni subiti, stimati in 18.650 ducati; la vertenza che ne seguì ebbe termine solo nel febbraio 1462. Nella circostanza il L. era presente a palazzo ducale; pochi mesi dopo assumeva il comando della "muda" di Aigues-Mortes.

Nel 1463 la Repubblica dichiarò guerra alla Porta, una guerra cominciata sotto felici auspici con l'invasione della Morea, ma ben presto destinata a premiare l'insuperabile tenacia degli Ottomani; nel settembre 1464 il capitano generale da Mar Giacomo, padre del L., bloccò gli stretti nel tentativo di indurre il nemico a trattare; nella circostanza una bombarda scagliata da una delle fortezze che presidiavano i Dardanelli colpì la galera del L., minacciando d'incendio la poppa ove si trovava la polveriera, ma il L. riuscì a salvare la nave con abile manovra. Il 12 sett. 1466 gli furono date le commissioni di provveditore in Morea; il suo compito era di portarsi a Modone ove già si trovava il nuovo capitano generale da Mar, Vettore Cappello, reduce da una bruciante sconfitta patita per opera dei Turchi di Omer Beg sotto Patrasso; si trattava di ristabilire in qualche modo la situazione, provvedendo al rafforzamento delle superstiti piazze veneziane nel Peloponneso, per cui al L. fu assegnato il compito di assicurare i rifornimenti alle truppe; questo lo impegnò per quasi tutto il 1467 in una continua spola tra Corfù e Negroponte. Poi fu inviato in Dalmazia, alla cui conquista il nonno Pietro aveva tanto contribuito; l'11 dic. 1467 entrò conte a Spalato e il 14 marzo 1469 nell'isola di Pago, dove rimase fino al 30 maggio 1471, allorché venne sostituito da Domenico Bollani.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, questo ramo dei Loredan non si era affatto arricchito né con l'esercizio della mercatura, documentato nella generazione cui appartenne il padre del L., né con il servizio nell'Armata marittima, dove pure furono chiamati più volte a ricoprire la massima carica; è anzi possibile che, proprio a causa della responsabilità di provvedere al vettovagliamento degli equipaggi e delle truppe delle piazzeforti, essi abbiano acceso debiti di propria iniziativa; si spiegherebbero in tal modo due successive deliberazioni del Collegio: il 9 dic. 1472, infatti, furono votati provvedimenti a favore del L., che avanzava ingenti somme da fornitori "existentes in diversis et remotis partibus mundi"; il 25 genn. 1473 si accordò allo stesso un accrescimento di salario, in considerazione del fatto che stava per lasciare Venezia per recarsi provveditore in Albania e capitano a Scutari.

Il L. assunse il rettorato della cittadina albanese il 24 sett. 1473, dopo che, in seguito alla vittoria sui Turcomanni di Uzun Hasan, Maometto II si volse nuovamente a Occidente, mirando proprio all'alta Albania per giungere, di lì, all'Adriatico. Tormentato dalla gotta, il quarantaduenne sultano non prese parte alle operazioni e affidò il comando delle truppe al bosniaco Sulaimān Pascià, che pare disponesse di 80.000 uomini. Avvicinandosi il pericolo, nella primavera del nuovo anno al L. fu affiancato Leonardo di Pietro Boldù come provveditore dell'Albania, così da consentire al L. di concentrare ogni sforzo su Scutari, che per la sua posizione strategica era considerata il centro vitale del Paese, benché disponesse di un presidio di soli 2500 uomini. L'assedio ebbe inizio il 15 luglio 1474 con un pesante bombardamento e si protrasse fino al 28 agosto; il grande merito del L. fu di aver saputo organizzare la difesa, sostenendo gli animi dei difensori anche quando la situazione appariva disperata. Sull'eroismo del L. molto scrissero le cronache, verosimilmente enfatizzandone i meriti, poiché la sua azione fu molto facilitata dall'apporto della flotta veneta, tempestivamente condotta presso la vicina foce della Bojana dall'ultraottuagenario Triadano Gritti, da poco subentrato a Pietro Mocenigo nella carica di capitano generale da Mar.

Qualche giorno dopo, il 1° sett. 1474 (probabilmente, quindi, prima ancora che si sapesse a Venezia che l'assedio di Scutari era finito), il Senato deliberò di accordare una dote di 2000 ducati a una figlia del L., in considerazione delle grandi benemerenze acquisite e della sua ben nota povertà ("Non est minus nota maxima necessitas et incredibilis inopia ipsius s. Antonii", Arch. di Stato di Venezia, Senato, Terra, reg. 7, c. 50r). Ancora, essendo morto il Gritti di febbri malariche, l'8 settembre il L. venne eletto capitano generale da Mar al suo posto, raggiungendo in tal modo la stessa carica suprema che avevano tenuto sia il padre sia il nonno. Lasciò Scutari il 28 ottobre e a Venezia fu decorato delle insegne di cavaliere; dopo di che, già in autunno cominciò ad arruolare i marinai per la campagna dell'anno seguente. La guerra contro i Turchi, cominciata nell'ormai lontano 1463, proseguiva stancamente in uno sfilacciamento di colpi di mano e ritorsioni reciproche, per cui la Signoria aveva lentamente mutato i suoi interlocutori e l'area della propria azione, che non era più circoscritta al Peloponneso, ma comprendeva anche Cipro e la Cilicia. Pertanto, lasciata Venezia nella primavera del 1475, il L. dapprima portò aiuto a Lepanto assediata, poi attaccò Lemno; dopo di che, il 15 giugno, il Senato gli ordinò di far vela su Cipro.

Da quasi due anni l'isola era una sorta di protettorato veneziano, da quando cioè vi regnava Caterina Corner, vedova di Giacomo II Lusignano; una donna giovane, e quindi in grado di risposarsi, non poteva non attirare le mire di varie potenze mediterranee, a cominciare dal re di Napoli, Ferdinando I d'Aragona, che già aveva tentato una congiura per impadronirsi di quell'isola così ricca e così vicina alle città siriache dove convergeva il commercio delle spezie. Ora l'Aragonese stava mettendo in atto un'altra manovra, appoggiando Carlotta di Lusignano che rivendicava i suoi diritti su Cipro: di qui la decisione del Senato di inviare una squadra navale a Famagosta. Il L. sbarcò nell'isola truppe e artiglieria, poi, una volta rafforzati i dispositivi difensivi, fece rotta sulle coste dell'Anatolia per assicurare i contatti degli emissari della Signoria con Uzun Hasan, signore della Caramania e in lotta con gli Ottomani; contemporaneamente (26 ag. 1475) il Senato incaricò il L. di avviare nuove trattative di pace col Turco, ma i suoi tentativi non sortirono alcun esito. Per tutto l'anno seguente il L. continuò a incrociare fra Nauplia, i porti della Cilicia e Cipro: in maggio il governatore ottomano della Rumelia assalì Lepanto con un forte esercito, ma l'intervento del L. con undici galere riuscì a sventare il pericolo e a respingere una flotta nemica accorsa a dar man forte alle truppe dell'antico avversario Sulaimān Pascià; il 7 settembre il L. era a Famagosta, donde informava il Senato di un combattimento protrattosi per otto ore verificatosi al largo di Cipro il 20 agosto con la nave genovese "Pallavicina" da 2000 botti, carica di spezie e altre mercanzie delle quali i Veneziani si impossessarono, nonostante la presenza di alcuni mercanti saraceni ai quali, precisava il L., "non è sta facto uno oltrazo al mondo, né dettoli pur una mala parola da nostri, per il comandamento io havia facto" (Cantù). Il L. si era portato nell'isola per prevenire un nuovo tentativo del re di Napoli volto a impadronirsi di Cipro con l'appoggio della nobiltà franca. Dietro sue informazioni, il 30 ott. 1476 il Consiglio dei dieci ordinò l'arresto e l'invio a Venezia di tre figli naturali del defunto Giacomo Lusignano, insieme con Rizzo di Marino e altri presunti cospiratori: la qual cosa il L. effettuò nei primi giorni di dicembre, accompagnando l'operazione con un dispaccio ricco di informazioni sulla situazione politico-militare dell'isola, con particolare riguardo ai sentimenti antiveneziani di quella nobiltà, che proprio nei figli dell'ultimo Lusignano vedeva il simbolo della perduta indipendenza. Quasi contemporaneamente (dicembre 1476) venivano fatte cadere, da parte della Sublime Porta, le trattative di pace avanzate dallo stesso L. nella sua qualità di capitano dell'Armata marittima. Nella tarda primavera del 1477 si portò ancora una volta a Lepanto, minacciata dai Turchi; drastici i suoi provvedimenti: fece anzitutto impiccare diciassette presunti traditori greci, quindi schierò sulle mura le bombarde che aveva prelevato a Modone e infine fece effettuare delle sortite, sicché "mai il Bassà, visto il Zeneral, li volse darli la bataglia […]. Tandem Nepanto si mantene. Et il Bassà, hessendo stato a campo zorni […] si levò con vergogna, e andò via" (Sanuto, pp. 86 s.). Continuavano però, frammezzo agli eventi bellici, le pratiche per giungere alla pace tanto desiderata, e il L. funse varie volte da tramite tra gli inviati veneti e i pascià ottomani; in novembre sembrava finalmente vicino l'accordo, ma ancora una volta il prodigarsi del L. non approdò a risultati positivi.

Qualche concreto successo Venezia lo ottenne a Cipro, che continuava a essere oggetto delle mire espansionistiche di Ferdinando d'Aragona; l'8 ag. 1478 il Senato ordinava al L., che stava operando tra Lepanto e Zante, di portarsi ancora una volta a Famagosta, dove egli giunse con ventiquattro galere il 16 dicembre. Quindi il L., che il 30 agosto era stato eletto procuratore di S. Marco de Supra, inviò al Cairo Giovanni Diedo, per scongiurare l'appoggio del sultano d'Egitto al partito antiveneziano, che faceva capo all'Aragonese e a Carlotta di Lusignano ed era visto con favore dallo stesso pontefice. Il L. riuscì in tal modo a vanificare il progetto del re di Napoli e a catturare i congiurati presenti nell'isola; il 7 giugno 1479 il Consiglio dei dieci gli indirizzò un messaggio di elogio, ordinandogli di disarmare la flotta, cosa che il L. effettuò solo in parte, perché in ottobre inviò quattro galere a Veglia, minacciata dagli Ungheresi.

Il 4 giugno 1480 giunse a Venezia con il grosso dell'Armata marittima (ormai la pace col Turco era stata conclusa) ed entrò subito a far parte dei savi del Consiglio; in tale veste il 9 settembre fu incaricato di recarsi in Friuli con l'avogador Alvise Lando per ispezionare le difese sull'Isonzo; al termine della missione, i due suggerirono di abbattere la fortezza di Fogliano e di rafforzare quella di Gradisca.

Il 9 marzo 1482, essendosi pronunciato il Senato in favore della guerra contro il marchese di Ferrara, Ercole I d'Este, il L., "homo degno et di gran corazo" (Sanuto, p. 236), fu eletto provveditore generale in campo; contemporaneamente entrò a far parte di una giunta "a trovar danari" per le urgenze del conflitto. Il 3 aprile presenziò a palazzo ducale la cerimonia che conferiva a Roberto Sanseverino il comando dell'esercito e nove giorni dopo i due lasciarono Venezia alla volta di Padova, dove si fermarono per il resto del mese. Passato l'Adige, il L. pose l'assedio alla rocca di Ficarolo, sul Po, mentre il duca di Milano inviava truppe in soccorso dei Ferraresi. L'assedio ebbe termine solo il 30 giugno, quando il L. riuscì a issare sulle mura della fortezza il gonfalone di S. Marco; ma non poté godere a lungo del successo: ammalatosi di febbri, forse per l'aria ammorbata a causa della stagione e dei molti cadaveri in putrefazione sui corsi d'acqua, chiese di andare a Padova per curarsi, ove morì il 4 ag. 1482. Fu sepolto nel monastero veneziano di S. Elena, accanto al padre e al nonno.

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