MANCINELLI, Antonio. - Nacque a Velletri, nel 1452, secondogenito di Giovanni e di Angela Pesanti.
Dopo avere ricevuto la prima formazione nella città natale, assecondando la volontà paterna il M. studiò medicina e logica nell'Università di Padova, diritto civile a Perugia, a Pisa e di nuovo a Padova. Nel 1473 cominciò l'insegnamento pubblico a Velletri. Poiché i testi in circolazione non lo soddisfacevano, fin dall'inizio affrontò un intenso lavoro di preparazione del materiale didattico. All'estate 1474 risale la composizione dell'Epitoma seu Regulae constructionis e della Summa declinationis, che circolarono manoscritte tra i suoi studenti per un paio d'anni finché furono consegnate alle stampe nell'autunno 1476 (la Summa, Roma, B. Guldinbeck [Catalogue of books printed in the XVth century, IV, n. 70]; per l'Epitoma non sono documentati esemplari superstiti fino alla edizione S. Plannck, 1490 [IGI, 6060] e quella attribuita a E. Silber, 1490 circa [IGI, 6059]). All'anno seguente risalgono il De oratore brachylogia e il Regimen verborum (Roma, B. Guldinbeck [IGI, 6078, 6083]).
Il 18 giugno 1477 sposò Angela (non è noto il cognome), dalla quale ebbe otto figli: Porfirio, Marta, Prisca, Pindaro, Quinto, Festo, Aquilino, Tito (tre soli dei quali, Pindaro, Quinto e Festo, ancora in vita nel 1492).
In quel periodo il M. cominciò a comporre versi d'occasione sugli avvenimenti di qualche rilievo, privati e pubblici, di cui fu testimone.
Nel 1485 il M., peste fugatus, si rifugiò a Sermoneta, dove insegnò per un anno e continuò a lavorare ai suoi testi. Lì nacque probabilmente il De poetica virtute, citato nella prolusione al corso su Georgiche e Bucoliche tenuto nello Studio romano nel 1486-87, la cui prima edizione nota risale intorno al 1490 (IGI, 6059). Nel 1486 il M. era approdato allo Studium Urbis con un incarico che mantenne fino al 1490-91. Suoi promotori furono, a quanto trapela dalle opere di quegli anni, in primo luogo il giurista Domenico de' Buonauguri, lettore ordinario di diritto civile di sera, e il rettore Orso Orsini, che compare come dedicatario del Carmen de floribus nel 1488 (IGI, 6054) e successivamente del commento a Virgilio (Roma, E. Silber, 1490 [IGI, 10.237]).
Il M. inaugurò la cattedra nel 1486-87 con il corso su Bucoliche e Georgiche, proseguì commentando Giovenale, Valerio Massimo, Orazio lirico e in ultimo la Rhetorica ad Herennium. Di questo impegnativo programma, prima di lasciare Roma, diede alle stampe solo il commento a Virgilio, salutato dai distici di Pomponio Leto.
I testi degli altri corsi universitari romani furono pubblicati a Venezia. Il commento oraziano uscì, per i tipi di F. Pinzi, editore Bernardino Resina, nel 1492 (IGI, 4887); nello stesso anno G. Tacuino stampò il commento a Giovenale, unitamente a quelli di D. Calderini e L. Valla (IGI, 5597); il Commentariolus in Rhetoricam ad Herennium fu stampato da S. Bevilacqua nel 1494 (IGI, 6067), preceduto da un'accorata difesa del M. della paternità ciceroniana dell'opera, che evidentemente iniziava a essere messa in dubbio.
L'attività nello Studio non esaurì gli impegni del M. a Roma. Non vennero meno l'impegno nell'insegnamento inferiore né l'abitudine di prepararsi da sé le opere di supporto alla didattica o, se già edite, di riproporle e divulgarle in veste più o meno rinnovata. Tra i suoi studenti, da quanto si desume da dediche e prefazioni alle opere pubblicate in questo periodo, vi erano i rampolli di eminenti famiglie.
L'impegno del M. si estese anche a opere consolidate nell'insegnamento del latino. A dispetto degli sforzi dell'umanesimo di sbarazzarsi della tradizione grammaticale medievale, il Donatus e i Disthica Catonis restavano passaggio obbligato per chi volesse accedere allo studio del latino, ma secondo il M. andavano ripuliti dalla ruggine da cui il tempo e l'incuria avevano permesso fossero intaccati. Provvide allora a curarne una nuova edizione per i figli Pindaro, Quinto e Festo: il primo incunabolo superstite risale al 1491 (Roma, S. Plannck [Gesamtkatalog der Wiegendrücke, n. 9019]), ma dal 1487 doveva circolare un'altra edizione di cui non risultano oggi esemplari, ma di sicuro attestata da almeno un'altra testimonianza dello stesso M., la dedica a Battista Gorio, protonotario apostolico, della ristampa delle due opere eseguita dal Plannck nel 1490 (IGI, 6060). Alla stessa data risale il De poetica virtute et studio humanitatis impellente ad bonum, raccolta di citazioni da poeti greci e latini (Roma, E. Silber [IGI, 6059]).
Dopo questa intensa attività, docente universitario e autore di successo, il M. lasciò Roma. Il motivo non trapela dalle sue opere, ma nel 1490-91 aveva un incarico di pubblico insegnamento a Fano, e nei due anni successivi, grazie alla mediazione di Pomponio Leto, era a Venezia, dove tenne con certezza lezioni private, mentre non sono attestati incarichi pubblici. In quel periodo l'attenzione del M. si concentrò sulle Elegantiae Latinae linguae di Lorenzo Valla, divenute una sorta di spartiacque nella storia degli studi grammaticali. Dallo studio delle Elegantiae trasse due opere: Lima quaedam Laurentii Vallensis, stampata insieme con le Elegantiae (Venezia, F. Pinzi, 1492 [IGI, 10.095]), e un'Epitome (Venezia, S. Bevilacqua, 1494 [IGI, 6067]).
Intanto l'interesse per la retorica si concretizzò nello Scribendi orandique modus, stampato a Venezia (S. Bevilacqua, 1493 [IGI, 6072]), mentre dava contemporaneamente vita a numerose ristampe di opere edite, che egli si premurò per lo più di curare personalmente e corredare di dediche a personaggi veneziani. Particolarmente importante doveva essere il legame con Niccolò Rossi, canonico di S. Leonardo, che lo aveva ospitato all'arrivo a Venezia, se il M. dedicò a lui tre ristampe delle Regulae constructionis (Hain, nn. 10.605-10.607), il commento a Giovenale, l'edizione della traduzione valliana di Erodoto (Venezia, C. de' Pensi, 1494 [IGI, 4695]) e la Lima. A Girolamo Omfredi Giustinian, protonotario apostolico, è dedicato il commento alla Rhetorica ad Herennium.
Con la dedica della traduzione di Strabone eseguita da Guarino Veronese (Venezia, G. Rosso, 1494 [IGI, 9174]) a Giustino Carosio, avvocato concistoriale, intimus papae, il M. preparò il ritorno in patria e la possibilità di un rientro a Roma (né dimenticò di menzionare nella dedica un altro personaggio importante: Battista Gorio). Terminato l'anno accademico 1493-94, lasciò Venezia per tornare a Velletri e riprendere il vecchio incarico di professore pubblico, accettando uno stipendio inferiore a quello offertogli dalla Comunità di Sebenico in Dalmazia. Anche altre città si contesero la sua presenza: dovette declinare l'invito di Foligno per l'anno 1494-95, riservandosi la possibilità di accettare l'incarico in futuro.
Costretto da un'epidemia di peste a sospendere l'insegnamento, il M. approfittò della pausa forzata per raccogliere e sistemare i discorsi scritti per sé o per altri, editi nella Sermonum decas (Roma, E. Silber, 1503). Nell'estate 1497 riprese l'insegnamento a Velletri, ma l'anno seguente accettò un incarico a Orvieto a condizioni vantaggiose. Dopo avere soggiornato per un mese a Roma si trasferì nella nuova sede; la condotta per il 1499-1500 migliorò il trattamento economico, ma l'ennesima epidemia di peste vanificò ulteriori accordi e nel dicembre 1500 il M. era di nuovo a Roma con un nuovo incarico allo Studio procurato stavolta da Giustino Carosio, come ricordato nella lettera di dedica del De parentum cura et de filiorum oboedientia, iniziato a Orvieto nel 1500 e dato alle stampe a Milano nel 1502, insieme con altre opere, per i tipi di P.M. Mantegazza.
Il M. morì probabilmente a Roma nel 1505 (Teoli, p. 140).
Chi passava allo studio della retorica aveva a disposizione: l'Elegantiae lima, l'Elegantiae portus, il Versilogus, le Figurae, lo Scribendi orandique modus, il commento alla Rhetorica ad Herennium e i commenti ai classici.
Chiara, nell'opera del M., la determinazione a scrivere testi di uso scolastico: i destinatari che egli ha costantemente davanti sono maestri e studenti nella loro pratica quotidiana. Nessuno spazio alle speculazioni: lo sforzo costante è chiarire, semplificare, trovare una misura che superi le logiche della grammatica medievale senza cadere nella trappola di studi troppo specialistici. In questo senso trovano spazio le inserzioni di traduzioni in volgare e l'uso del verso, per facilitare la memorizzazione delle regole. Nell'introduzione al Carmen de floribus offre un modello di organizzazione del lavoro didattico. Il maestro deve dedicare la lezione del mattino alla spiegazione dei versi tratti dai carmi prescelti, avendo cura di soffermarsi sui vocaboli degni di attenzione e da mandare a memoria. Nel pomeriggio, ripetendo la lezione del mattino, deve interrogare tutti gli studenti, inducendoli a declinare le parole più difficili. Poi il sabato deve riepilogare, interrogando sulle lezioni di tutta la settimana.
I continui rimandi nelle sue opere non solo ai lavori già pubblicati, ma anche a quelli a venire, se da un lato ribadiscono il piano di studi a cui il M. dedicò tutta la vita, dall'altro tradiscono un chiaro intento autocelebrativo. Esemplare di questo atteggiamento è la Vitae sylva, aggiunta in calce alla ristampa, a Venezia presso G. Tacuino nel 1493 (IGI, 6055), di alcune sue opere. Già nelle intenzioni l'operetta autobiografica doveva restare aperta, e infatti dopo sette anni, nel 1500 (IGI, 6058), il M. non solo provvide a integrare il testo per il periodo trascorso, ma aggiunse ex novo sette distici che ripercorrono gli anni di insegnamento nelle diverse città: i Publica munia (IGI, 6084). Postumi uscirono gli Omnia opera (Venezia, G. Tacuino, 1519).
L'impegno profuso dal M. nell'insegnamento e nella redazione di opere grammaticali gli valse una considerevole fama nei secoli XVI e XVII. Erasmo da Rotterdam lo menziona tra coloro che non si attennero all'imitazione pedissequa di Cicerone (Erasmo da Rotterdam, Dialogus Ciceronianus, a cura di P. Mesnard, in Id., Opera omnia, I, 2, Amsterdam 1971, p. 667). Mentre a Parigi nel 1505 Iodoco Badio Ascensio curò l'edizione delle sue opere corredandole di un vero e proprio commento. Nel Seicento il M. è ancora inserito a pieno titolo nel canone dei grandi grammatici, addirittura anteposto al Valla da Girolamo Urbani (Discorso in difesa di Donato, et di Guarino, Camerino 1615). Tra Seicento e Settecento anche i suoi versi godono di una certa fama, tanto da venire annoverato tra i poeti illustri del Cinquecento nelle Delitiae CC Italorum poetarum huius superiorisque aevi illustrium (II, Francoforte s.M. 1608, pp. 6, 11) raccolte da Ranutius Gherus (Jan Gruytère), e nella raccolta Carmina illustrium poetarum Italorum (VI, Firenze 1720, pp. 156-163).
Fonti e Bibl.: B. Teoli, Teatro istorico di Velletri, II, Velletri 1644, pp. 140, 178, 185 s.; G.B. Corradi, Schola humanitatis sub praeceptore Aelio Donato Romano, Romae 1654, c. A10; R. Sabbadini, A. M., saggio storico-letterario, Velletri 1878; V. Zabughin, Giulio Pomponio Leto, I, Roma-Grottaferrata 1909, p. 264; G. Curcio, Quinto Orazio Flacco studiato in Italia dal secolo XIII al XVIII, Catania 1913, pp. 84 s.; G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, I, Il Medio Evo, Milano-Palermo-Napoli 1914, pp. 243-245; J. Leonhardt, Dimensio syllabarum. Studien zur lateinischen Prosodie und Verslehre von der Spätantike bis zur frühen Renaissance, Göttingen 1989, pp. 167-171, 262 s.; P.F. Grendler, La scuola nel Rinascimento italiano, Bari 1991, ad ind.; F. Lo Monaco, Alcune osservazioni sul commento umanistico ai classici nel secondo Quattrocento, in Il commento ai testi. Atti del Seminario, Ascona( 1989, a cura di O. Besomi - C. Caruso, Basel 1992, p. 131; D. Coppini, M., A., in Enc. oraziana, III, Roma 1998, pp. 334 s.; M. Campanelli - M.A. Pincelli, La lettura dei classici nello Studium Urbis tra umanesimo e Rinascimento, in Storia della facoltà di lettere e filosofia de "La Sapienza", a cura di L. Capo - M.R. Di Simone, Roma 2000, pp. 108-110, 119 s., 161 s.; R. Black, Humanism and education in Medieval and Renaissance Italy, Cambridge 2001, pp. 145, 158, 235; A. M., a cura di F. Lazzari, Velletri 2005; J.A. Fabricius, Bibliotheca Latina Mediae et Infimae Aetatis cum Supplemento Christiani Schoettgenii, Patavii 1754, pp. 126-128; L. Hain, Repertorium, nn. 1.577-10.629; Catalogue of books printed in the XVth century( now in the British Museum, V, n. 70; Indice generale degli incunaboli, nn. 6052-6093 e vol. VI, pp. 234 s.; D. Reichling, Appendices ad Hainii-Copingeri Repertorium bibliographicum, n. 1801; P.O. Kristeller, Iter Italicum, VI, ad nomen.