Biscioni, Antonio Maria

Enciclopedia Dantesca (1970)

Biscioni, Antonio Maria

Giuseppe Izzi

Letterato ed erudito (Firenze 1674 - ivi 1756). Nel 1741 fu nominato da Francesco I di Lorena prefetto della biblioteca Laurenziana, della quale era già stato in precedenza custode, e iniziò la compilazione del catalogo dei manoscritti, mai completato. Pubblicò e annotò molti classici italiani soprattutto del Trecento (Sacchetti, Grazzini, Passavanti, ecc.). Di D. fu cultore entusiasta ma superficiale; pubblicò nel 1723 a Firenze un'edizione critica di Prose di D.A. e di Messer Boccacci, in cui sostenne l'inconsistenza storica di Beatrice e, di conseguenza, la necessità di un'interpretazione esclusivamente allegorico-simbolica della Vita Nuova. A questa edizione, a giudizio del Foscolo condotta con scarsa agilità critica e con criteri " da grammatico senza dar noia al senso comune " lasciando però " molto da fare ai critici che siano più sagaci di lui e meno dotati di erudizione che di sapere " (Discorso sul testo della Commedia, p. 323), fece seguire le Lezioni di G. Boccaccio sopra D. (la data sul frontespizio reca " 1723-24 ", ma in realtà la pubblicazione completa è del 1725). L'opera di maggiore importanza del B. fu l'edizione delle opere minori di D. (esclusa la Monarchia), pubblicata dal Pasquali a Venezia nel 1741 in 2 volumi, il IV e il V della collezione Delle opere di D.A. (i primi tre, con le cantiche della Commedia, erano stati pubblicati nel 1739), contenenti l'uno Il Convito e una Pistola; l'ultimo la Vita Nuova, Il trattato della volgare eloquenza e le Rime.

Il B. loda il metodo " di certificarsi de' fatti col mezzo delle scritture e documenti autentici, siccome di presente si costuma " (p. 34); apprezza le moderne edizioni venete, fatte sulla base della collazione di codici " quanti se ne possono ritrovare " (p. 12); lavora per le sue edizioni sulle stampe migliori, emendate poi sui codici; arriva infine a enunciare un principio metodologico assai vicino a quello della lectio difficilior: " Nel correggere gli errori degli antichi manoscritti si vogliono osservare, trall'altre, queste due regole: che la voce più oscura è sempre per lo più la legittima; talché le più usate sono glossemi o cattive interpretazioni, poste quivi da' copisti per ispiegare le voci oscure, o mutate da loro, perché essi non intendevano le proprie; e che le voci corrotte, quando si vedono replicate in più testi, servono d'indizio per rintracciare le vere vie degli autori. E però quando si fanno le collazioni, si dee far conto delle scorrezioni ancora; perché per mezzo di queste si ritrova molte volte la verità " (p. 187). Non sempre, purtroppo, il B. applicò tali principi nel preparare le sue edizioni: i testi della Vita Nuova e del Convivio, ad esempio, furono basati sull'escussione di un solo codice, per di più tardo; ma è pur indubbio che egli possedette un buon discernimento filologico e una notevole erudizione.

Bibl. - G.M. Mazzuchelli, Scrittori d'Italia, II II, Brescia 1760, 1273-1279; F. Del Furia, A.M.B., in E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, III, Venezia 1836, 448-456; A. Panella, Firenze e il secolo critico della fortuna di D., in " Arch. stor. It. " LXXIX (1921) 105-107; C. Frati, Dizionario biobibliografico di bibliotecari e bibliofili italiani, Firenze 1933; A. Cosatti, La riscoperta di D. da Vico al primo Risorgimento, Roma 1967, 68, 92-93; A. Petrucci, A.M.B., in Dizion. biogr. degli Ital. X (1968) 668-671.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata