SALVIATI, Antonio Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SALVIATI, Antonio Maria

Pierre Hurtubise

– Nacque a Roma il 21 gennaio 1537 da Lorenzo di Jacopo e Lucrezia de’ Medici, sorella di Leone X, e da Costanza Conti, unica figlia di Giovambattista e Ginevra della Mirandola, sorella del celebre umanista.

Il primo dei fratelli, Iacopo, era nato a Ferrara nel 1525 ed era morto prematuramente. Restavano la sorella Ginevra, nata a Roma nel 1531, che andò in sposa al condottiero Astorre Baglioni da Perugia, e il fratello Gian Battista, nato anche lui a Roma nel 1535, che sposò Porzia Massimo, di Luca e Virginia Colonna.

Romano per parte di madre, figlia di una delle più illustri famiglie della città, Antonio Maria testimonia insieme con il fratello Gian Battista il riuscito trapianto dei Salviati a Roma. Aveva solo due anni quando il padre morì a Ferrara.

Iniziato agli affari e alla politica da suo padre Iacopo, Lorenzo aveva ricevuto una solida formazione umanistica. Tra il 1520 e il 1525 si mise successivamente al servizio del re Francesco I, poi del fratello il cardinale Giovanni, all’epoca legato in Lombardia, e infine di Carlo V, non tanto nel proprio interesse, a quanto sembra, quanto in quello della famiglia e del cugino Clemente VII. Quest’ultimo, per ricompensarlo dei servizi resi, gli affidò nel 1532 il governo delle province di Campagna e Marittima, incarico che perdette nel 1534 all’ascesa sul trono pontificale di Paolo III. Non tralasciò mai di interessarsi alle vicende fiorentine. Quando il nipote Cosimo de’ Medici prese il potere, si lasciò persuadere da sua sorella Maria, madre di Cosimo, a sposarne la causa: conservò così il titolo di senatore fiorentino e godette dei favori del nuovo signore di Firenze. Di qui gli eccellenti rapporti che Antonio Maria conservò sempre con quest’ultimo.

Il testamento di Lorenzo Salviati stabiliva che, nel caso in cui i figli fossero stati ancora minorenni al momento della sua morte, l’amministrazione dei beni da essi ereditati sarebbe stata affidata a due tutori, tra cui il fratello minore Alamanno. Ogni altra responsabilità sarebbe rimasta nelle mani della moglie Costanza Conti.

Della prima formazione di Salviati sappiamo poco. È ragionevole pensare che se ne sia occupato lo zio, il cardinale Giovanni. Nel 1552, Gian Battista e Antonio Maria – di diciassette e quindici anni rispettivamente – vivevano a palazzo Della Rovere, residenza del cardinale, dove furono probabilmente iniziati alle lettere greche e latine dai literati al servizio dello zio. Stando all’inventario della sua biblioteca, Salviati coltivò per tutta la vita l’amore per le lettere, appassionandosi in particolare alla storia, come si evince a più riprese, a partire dal 1572, dalla sua corrispondenza diplomatica.

È più che probabile che già nel 1558 – all’età di ventuno anni – abbia trascorso un primo soggiorno a Padova per studiare diritto. Vi ritornerà dal 1563 al 1565 in compagnia di un certo dottore Mazzinghi, che lo zio, il cardinale Bernardo, gli aveva assegnato come tutore. Nel frattempo lo zio, persuaso come il fratello Giovanni prima di lui che quel nipote sarebbe dovuto diventare il terzo cardinale Salviati, cominciò a preparargli la strada che lo avrebbe portato al Sacro Collegio. Nel gennaio 1555 Salviati prese la tonsura per poter ricevere le due abbazie – S. Dionisio a Milano e S. Giovanni delli Capucci ad Alessandria – che lo zio Bernardo intendeva cedergli. Tre anni più tardi, nel 1558, ricevette i quattro ordini minori. Quattro anni dopo fu la volta della sede episcopale di Saint-Papoul in Francia, feudo dei Salviati dal 1538, cedutagli sempre dallo zio Bernardo. Decise di farsi consacrare immediatamente.

Intanto, verso il 1555, tramite il fratello Gian Battista che ne era un fervente ammiratore, aveva fatto la conoscenza di Filippo Neri: l’incontro avrebbe trasformato profondamente la sua visione della Chiesa e della missione dell’uomo di Chiesa. Sarebbe rimasto sempre molto legato al santo fondatore dell’Oratorio, fino alla morte di quest’ultimo. Alla riapertura del Concilio di Trento decisa da Pio IV nel 1562, si affrettò a raggiungere la città di convocazione. A Trento partecipò assiduamente ai lavori del concilio, fino a intervenire a proposito dell’obbligo di residenza dei vescovi che, sull’esempio del gruppo dei cosiddetti giovani vescovi, voleva di diritto divina. Ma dovette abbandonare il concilio a dicembre: il fratello Gian Battista era morto improvvisamente e il papa l’aveva autorizzato a rientrare a Roma per occuparsi della successione. La nuova situazione familiare lo indirizzava ormai a una carriera curiale più che alle responsabilità dell’episcopato. Coerentemente, rinunciò nel 1564 alla diocesi di Saint-Papoul.

Nel 1568 acquistò la carica di segretario apostolico, che ormai era soltanto un titolo di rendita, ma che servì comunque ad aprirgli le porte della carriera desiderata. Solo due anni dopo ottenne, al prezzo di 36.000 scudi, un ufficio di chierico della Camera apostolica. Nel 1571 due nunziature straordinarie alla corte di Francia, la prima in primavera e la seconda a dicembre, l’avrebbero tenuto lontano da Roma per sei e tre mesi rispettivamente. Tale prima attività diplomatica in Francia si inscriveva in una precisa strategia familiare dei Medici - Salviati, come provano le biografie degli zii cardinali, Giovanni e soprattutto Bernardo, che era stato grande elemosiniere presso la cugina Caterina de’ Medici. In occasione delle due nunziature straordinarie, Salviati fu ricevuto assai calorosamente da Carlo IX e sua madre: quest’ultima in particolare si spinse fino a chiamarlo pubblicamente «cugino».

Ma la sua vera aspirazione era un incarico di nunzio residente. Cosimo I, che da qualche tempo cercava di prendere le distanze dalla Spagna per avvicinarsi alla Francia, vide in Salviati l’uomo ideale per la missione. Della nuova manovra si occuparono il figlio di Cosimo, il cardinale Ferdinando, e il suo ambasciatore a Roma, Alessandro de’ Medici, cugino del granduca e di Salviati. Il 14 maggio 1572, eletto soprattutto grazie all’appoggio dei Medici, salì al soglio pontificio Gregorio XIII: il momento non poteva essere più propizio.

Nominato nunzio a Parigi all’inizio di giugno, Salviati lasciò Roma l’11 giugno e fece il suo ingresso a Parigi il 24, dove, due giorni più tardi, fu ricevuto dal re per la consegna delle lettere credenziali. Sarebbe rimasto in carica per sei anni, fino al 1578, divenendo così il nunzio a Parigi più longevo del XVI secolo.

In questo lasso di tempo si dedicò principalmente a tre grandi questioni: la lotta contro i protestanti tanto in Francia quanto nei vicini Paesi Bassi; la difesa degli interessi del clero di fronte alle ingerenze del potere civile e alla cupidigia di una Corona costantemente a corto di liquidi; la promozione dell’ideale tridentino e l’applicazione dei decreti del concilio in Francia. La prima di tali preoccupazioni è di gran lunga la più presente nella sua corrispondenza. Nel 1585, al momento di tirare un bilancio complessivo della sua nunziatura, Salviati sostenne che solo il massacro di S. Bartolomeo, il 24 agosto 1572, aveva evitato la guerra tra Francia e Spagna che tanto si paventava a Roma.

Gli eventi traumatici della notte del 24 agosto 1572 segnarono profondamente la sua nunziatura, rivelando in lui, se pensiamo alla delicatezza delle circostanze, una rara capacità di analisi a freddo e giudizio critico.

Gli storici sono concordi nel riconoscere che Salviati fu tra i pochi testimoni del massacro che si resero conto sin dall’inizio di cosa fosse davvero successo. Perfettamente informato sui fatti, Salviati fornì prestissimo al cardinale di Como Tolomeo Galli un resoconto dettagliato degli eventi e delle loro conseguenze. Un resoconto piuttosto dissonante rispetto a quelli fortemente orientati che arrivavano intanto a Roma, redatti con un occhio di riguardo agli interessi del papa e della sua corte. Per diverse settimane la Curia preferì questi ultimi a quelli di Salviati, tanto che si prese addirittura in considerazione l’ipotesi di richiamarlo a Roma. Se è vero che in un primo momento si era lasciato trascinare anche lui dal clima euforico che aveva pervaso il mondo cattolico, che si illudeva che Caterina de’ Medici e suo figlio avrebbero fatto tabula rasa del protestantesimo francese, già dalla seconda settimana di settembre Salviati si era reso conto che, nonostante tutte le promesse fatte al papa, Caterina perseguiva la sua politica di sempre, negoziando in segreto con i protestanti, quando non con i turchi, qualsiasi accordo che potesse favorire gli interessi della Francia, fosse anche a scapito della Lega Santa creata da Pio V e alla quale Gregorio XIII cercava di restituire vitalità. La prova migliore della marcia indietro di Caterina fu il totale fallimento della missione di ottobre del cardinale Flavio Orsini, che aveva per obiettivo l’adesione della Francia all’alleanza.

Nel suo già citato bilancio della nunziatura, Salviati lamentava che le scelte politiche della cugina avessero limitato i suoi successi sul piano diplomatico, ma si rallegrava d’altro canto per le proprie riuscite in campo religioso. Un giudizio che non sembra corrispondere alla realtà come la ricostruiamo a partire dalla corrispondenza, ma che testimonia quantomeno l’emergere di un nuovo interesse, suo e dei suoi successori, per l’ambito spirituale: non si poteva dire lo stesso di quanti l’avevano preceduto.

A metà di gennaio del 1578, Salviati fu richiamato a Roma. Al rientro, verso la fine di giugno, fu ricevuto immediatamente da Gregorio XIII, al quale fece un lungo resoconto degli anni trascorsi in Francia. Forse si aspettava che il pontefice gli annunciasse la prossima promozione al cardinalato, come gli aveva lasciato intendere il cardinale di Como. Ma così non fu. Nel frattempo dovette accontentarsi di riprendere le proprie funzioni alla Camera apostolica. Nel giugno 1583 i colleghi chierici lo nominarono decano: solo pochi mesi più tardi avrebbe finalmente rivestito la porpora. Ricevette come primo titolo cardinalizio la chiesa di S. Maria in Aquiro, rimpiazzata nel 1587 da S. Maria della Pace e infine nel 1602, poco prima della morte, dalla ben più prestigiosa S. Lorenzo in Lucina.

Nel 1585 Gregorio XIII, che ben conosceva le sue inclinazioni riformiste, lo fece membro della congregazione del Concilio. Subito dopo l’elezione, Sisto V lo inserì nella congregazione incaricata di reprimere il banditismo, che all’epoca era una vera e propria piaga. Il 15 maggio successivo gli affidò la legazione di Bologna, dove Salviati portò avanti un’azione vigorosa contro i fuorilegge emiliani. Fin troppo vigorosa, anche per i gusti del papa, se si pensa che Sisto V lo richiamò a Roma l’anno successivo. Appena rientrato fu promosso alla congregazione degli Studi, poi nel 1588 alla congregazione Pro ubertate Annonae e nel 1590 alla congregazione di Francia.

Ma è sotto Clemente VIII, eletto nel 1592, che la carriera di Salviati raggiunse il suo punto culminante, con la nomina nella Consulta di tre membri che il papa aveva istituito per affiancarlo nelle sue funzioni di capo di Stato. Vi occuperà sin dal primo momento una posizione di preminenza, tanto da essere ricordato come il consigliere principale di Clemente VIII. Già all’epoca era considerato un valido candidato per il soglio pontificio, ma le sue simpatie per la Francia gli valsero il veto del re di Spagna in tutti i conclavi successivi alla morte di Sisto V.

Se da una parte si era fatto dei nemici in Spagna per le sue posizioni francofile e a Roma per il rigore e la severità dimostrati nell’esercizio delle sue funzioni, dall’altra era apprezzatissimo dal popolino romano per la sua sollecitudine verso la povera gente e la sua grande generosità. In vent’anni finanziò l’edificazione o il restauro di tre chiese (S. Giacomo in Augusta, S. Maria in Aquiro e S. Gregorio in Celio), due ospedali (S. Giacomo degli Incurabili e S. Rocco delle Partorienti) e un convitto (il collegio Salviati destinato agli orfani di S. Maria in Aquiro). Secondo fonti contemporanee, tali opere edilizie gli sarebbero costate la somma di 140.000 scudi.

Morì il 16 aprile 1602. Secondo le sue ultime volontà, i funerali si svolsero a S. Maria della Minerva, dove si trovava la cappella di famiglia. Per la sepoltura preferì invece la chiesa di S. Giacomo, non lontana dall’ospedale omonimo, opera a lui particolarmente cara.

Fonti e Bibl.: Biblioteca apostolica Vaticana, Archivio Salviati, 308-316; P. Hurtubise, Comment Rome apprit la nouvelle du massacre de la Saint-Barthélemy, in Archivum historiae pontificiae, X (1972), pp. 187-209; Id., Correspondance du nonce en France A.M. S., Roma, 1975; Id., Mariage mixte au XVIe siècle, in Archivum historiae pontificiae, XIV (1976), pp. 103-134 passim; Id., Une famille-témoin: les Salviati, Città del Vaticano 1985, ad indicem.

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