PACHERA, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PACHERA, Antonio

Andrea Ferrarini

PACHERA, Antonio. – Figlio del pittore Natale, nacque a Pescantina, nel Veronese, il 5 luglio 1749 (Ferrarini, 2011B, p. 289).

Suo maestro fu Giambattista Marcola del quale Pachera stesso partecipando, nel 1774, al concorso di pittura dell’Accademia di belle arti di Parma, si dichiarò scolaro (Calbi, 2000). Questa testimonianza, oltre a considerazioni anagrafiche e stilistiche, sposta il suo alunnato, storicamente indicato nella bottega del figlio di Giambattista, Marco (Zannandreis [1831-34], 1891), alla scuola del padre; alcune peculiarità del linguaggio pacheriano quali «l’anticonformismo e la fantasia» sembrerebbero tuttavia derivare proprio dalla personalità di Marco (Marinelli, 2011, p. 26).

Frequentò l’Accademia di pittura di Verona, di cui il 22 settembre 1771 venne eletto «Accademico Professore» e dove svolse attività di insegnante come «Maestro di settimana» dal 1779 al 1781 e dal 1786 al 1788 (Marchini, 1986,pp. 590 s.). Nel citato concorso del 1774, affermandosi «contro diciotto competitori» (Moschini, 1808), gli venne assegnato il primo premio per il miglior dipinto sul tema storico: Lucio Albino accoglie sul carro le vestali.

Del dipinto, «non esente dai ricordi del maestro Giambattista Marcola» (Tomezzoli, 2011, p. 229), conservato nella Galleria nazionale di Parma (Marinelli, 1987, p. 255), esiste una seconda versione, in collezione privata veronese, di dimensioni più ridotte e con alcune varianti rispetto all’opera principale.

Verso la fine dell’ottavo decennio del Settecento, nel «momento di maggior fioritura del genere della quadratura architettonica» (Marini, 1997, pp. 161 s.), partecipò insieme con altri artisti alle decorazione murali in vari palazzi veronesi. Probabilmente prima del 1778, assieme al quadraturista bolognese Filippo Maccari, affrescò il salone della casa canonica di Roverchiara nella Bassa veronese.

Nelle sovrapporte sono inscenati quattro episodi mitologici, immaginati come finti rilievi: Perseo libera Andromeda, il Giudizio di Paride, Mercurio si appresta ad uccidere il pastore Argo e Fetonte chiede ad Apollo il carro del sole; sulle pareti brevi, poste su un piedistallo in finto marmo, risaltano le figure femminili che simboleggiano le Arti liberali: la Pittura, la Scultura, la Musica e la Poesia (Ferrarini, 2011A).

Nel 1779 collaborò a Verona con il napoletano Pasquale Cioffi, artefice delle prospettive architettoniche, alla decorazione di palazzo Pellegrini ‘vecchio’ (nell’attuale via Rosa 5), dove simulò a chiaroscuro, sopra piedistalli, le statue di Apollo, Venere, Mercurio e Diana (Marini, 1988, pp. 80 s.). Successivamente, fu attivo in una saletta del palazzo di Francesco Emilei (ora Forti), dove inventò sopra il camino una decorazione raffiguranteuna complessa fontana (Marini, 2012, p. 118). Sempre in città, nel 1780, lavorò in palazzo Gazzola Arvedi (oggi in piazzetta Chiavica 2) con il veronese Giambattista Svidercoschi detto Gru, autore delle quadrature.

Le firme dei due pittori sono visibili sulle basi dei finti busti raffiguranti i due artisti dipinti nella saletta con ‘boscherecce’ dove, in un tripudio di elementi naturalistici, Pachera realizzò sulle pareti le finte statue dell’Estate, dell’Autunno, della Primavera, dell’Inverno, di Pan, Giunone e Giove; nelle nicchie i finti gruppi di Enea e Anchise, la Metamorfosi di una ninfa inseguita da un satiro, Ercole e Caco, Plutone e Proserpina, Amazzone e Centauro; nel soffitto Bacco e Cerere con varie figure di Satiri e Baccanti.

Nella saletta di palazzo Gazzola Pachera raggiunse il punto più alto della sua arte di raffinato sperimentatore «esatto nel disegno, di belle forme e colorito soave» (Moschini, 1808). Oltre alla straordinaria originalità dell’ambiente, ricreato secondo il gusto illuminato del proprietario Giambattista Gazzola, colpisce nelle decorazioni l’effetto della «luminosità della materia pittorica traslucida» (Marini, 1988, p. 80) che testimonierebbe dell’utilizzo della tecnica a cera punica trattata a encausto. Questa riscoperta di metodi antichi veniva in quel tempo teorizzata a Verona da Anton Maria Lorgna, il quale ricorda come si facessero «sperimenti solenni replicati nelle stanze dell’ornatissimo Signor co. Gio Battista Gazola […] per mano dell’egregio Pittore Antonio Pachera» (Marchini, 1986, p. 514). Nel corso del nono decennio del Settecento, lo studioso veronese per fare conoscere negli ambienti italiani la validità del proprio metodo spedì a vari personaggi diverse opere che aveva commissionato al pittore. Nella capitale della Serenissima, furono omaggiati dei dipinti di Pachera esponenti del patriziatoquali Jacopo Zen, Cecilia Dolfin Lippomano e Jacopo Nani, il quale restò favorevolmente colpito dal quadretto ricevuto, che «a Venezia è stato trovato più bello di quelli precedentemente visti» (Curi, 1993, pp. 61 s.). L’interesse per questa tecnica pittorica condusse Pachera per un breve periodo a Mantova al fine di confrontarsi anche con il metodo del gesuita spagnolo Vincenzo Requeño che in quegli stessi anni, sebbene in maniera diversa rispetto alle teorie di Lorgna,andava sperimentando anch’egli l’uso della cera punica nella «nuova Accademia degli Encausti», promossa dal marchese Massimo Bianchi all’interno del suo palazzo mantovano (Requeño, 1787, p. 340). Nel breve soggiorno a Mantova, Pachera dipinse velocemente con i nuovi metodi a cera quattro opere di piccole dimensioni: la dea Flora, una scena di caccia, «un Amoretto, negli occhi del quale mi parve di ravvisare, che il signor Pachera avesse studiato le forme del Correggio» e un Bacco (ibid., p. 362). Ma dei «molti e bellissimi quadri storiati» (ibid.) realizzati con i metodi appresi alla scuola di Mantova non restano, a oggi, testimonianze e il catalogo di opere mobili del pittore rimane così costituito in prevalenza da lavori di carattere sacro, dipinti a olio.

In questo ambito, sono state attribuite alla mano del pittore, sulla base di confronti stilistici con alcune opere autografe (Giffi, 2012), le 14 stazioni (a esclusione della settima) della Via Crucis istituita nel 1778 nella chiesa di S. Giorgio di Tarmassia (Verona); la scena più riuscita del ciclo, raffigurante la Crocifissione, si presta a raffronti con la pala con S. Zeno vescovo e s. Toscana, oggi conservata nel Museo di Castelvecchio di Verona, ma segnalata da Dalla Rosa ([1803-04], 1996) come opera di Pachera sull’altare laterale della chiesaveronesedi S. Maria del Giglio (o dei Derelitti), soppressa in epoca napoleonica. In particolare, il volto ovale della santa gerosolimitana, appare modellato con lo sguardo rivolto in alto come nella figura della Madonna ai piedi della Croce. Si può accostare a questa tipologia di figure anche la S. Teresa d’Avila della chiesa di S. Maria degli Scalzi di Verona, di «indubbia matrice cignarolesca» (Marinelli, 1987, p. 260). Il linguaggio del veronese Giambettino Cignaroli viene evocato anche nella Madonna con il Bambino e s. Giovanni Evangelista, un tempo allogata nella cappella del Ginnasio di Rovereto e oggi conservata nel Museo civico della città. La paletta, segnalata come opera autografa di Pachera da Francesco Bartolinel 1780(in Emert, 1939), venne probabilmente realizzata entro il 1778 (Marinelli, 2000). A questi stessi anni è ascrivibile anche il dipinto con l’Angelo appare a Zaccaria della chiesa parrocchiale di Pescantina (Verona), stilisticamente vicino, soprattutto nel marcato dinamismo delle figure, alla pala con S. Zeno vescovo e s. Toscana.

La pala di Castelvecchio e gli affreschi di palazzo Gazzola Arvedi offrono lo spunto per ulteriori confronti che portano ad attribuire a Pachera parte delle decorazioni murali di palazzo Pindemonte Ongania a Verona (nell’attuale via Leoncino 5).

L’intervento del pittore, da situare, probabilmente, attorno al 1783 quando il palazzo passò dalla famiglia Pindemonte agli Ongania, riguardò lo scalone d’ingresso (Marinelli, 2012, pp. 63 s.), dove spiccano le figure allegoriche delle Quattro Stagioni. Oltre al soffitto dello scalone, con la rappresentazione di Zefiro e di Aurora e i venti, sono diversi gli elementi figurativi di mano del pittore inseriti entro questo spazio architettonico; tra i riquadri meglio conservati, si possono riconoscere le scene con Diana ed Endimione e con Plutone e Proserpina.

Nel 1785 firmò la Madonna con il Bambino, s. Giovannino e s. Antonio da Padova, paletta un tempo collocata sull’altare dell’oratorio di S. Antonio da Padova a Casaleone (Verona) e oggi in collezione privata (Ferrarini, 2011B, p. 292).

Tra la fine del nono decennio e l’inizio dell’ultimo decennio del secolo sono ascrivibili a Pachera due opere qualitativamente modeste: la pala con i Ss. Giovanni Nepomuceno e Fedele da Sigmaringa, conservata nella sacrestia della parrocchiale di Caprino Veronese ma proveniente dalla demolita chiesa della Trinità, e la Madonna del Rosario, s. Domenico e s. Antonio da Padova della chiesa dei Ss. Pietro e Paolo di Marano di Valpolicella, ultima opera, assai ridipinta, firmata.

Non riuscì a portare a termine l’incarico di eseguire il ritratto di Anton Maria Lorgna con la tecnica della cera punica (Marchini, 1986, p. 516). Artista eclettico, si cimentò anche come incisore di invenzione (Marinelli, 1985, pp. 12 s.)

Morì a Verona il 14 settembre 1791.

Fonti e Bibl: V. Requeño, Saggi sul ristabilimento dell’antica arte de’ Greci e Romani pittori, I, Parma 1787, pp. 340, 362; S. Dalla Rosa, Catastico delle pitture e scolture esistenti nelle chiese e luoghi pubblici situati in Verona (1803-04), a cura di S. Marinelli - P. Rigoli, Verona 1996, p. 167; G. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII fino a’ nostri giorni, IV, Venezia 1808, p. 43; D. Zannandreis, Levite dei pittori, scultori e architetti veronesi pubblicate e corredate di prefazione e di due indici da Giuseppe Biadego (1831-34), Verona 1891, p. 497; G.B. Emert, Fonti manoscritte inedite per la storia dell’arte nel Trentino, Firenze 1939, p. 111; S. Howard, Adoration of the wise man, in New Testament narratives inmaster drawings: selected from the collections of the E.B. Crocker Art Gallery (catal.), Sacramento (CA) 1976, p. 20; S. Marinelli, L’incisione a Verona e la collezione di stampe antiche del Museo di Castelvecchio, in La collezione di stampe antiche (catal., Verona), a cura di G. Dillon - S. Marinelli - G. Marini, Milano 1985, pp. 9-16; G.P. Marchini, L’Accademia di pittura e scultura di Verona, in La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, a cura di P. Brugnoli, Verona 1986, II, pp. 497-592; S. Marinelli, in Proposte e restauri. I musei d’arte negli anni Ottanta (catal.), a cura di S. Marinelli, Verona 1987, pp. 255-260; P. Marini, È dolce folleggiare a tempo e a luogo. Scenografia e decorazione in due sale veronesi del 1780, inVerona illustrata, I (1988), pp. 73-83; E. Curi, Antonio Maria Lorgna e la pittura ad encausto, in Atti e memorie della Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona, CLXVII (1990-91) [1993], pp. 49-76; P. Marini, «Con il meno si fa il meglio». Decorazioni di interni veronesi tra Settecento e Ottocento, in 1797 Bonaparte a Verona (catal., Verona), a cura di G.P. Marchi - P. Marini, Venezia 1997, pp. 147-163; E. Calbi, in Galleria nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, a cura di L. Fornari Schianchi, Milano 2000, pp. 152 s.; S. Marinelli, in L’arte riscoperta. Opere delle collezioni civiche di Rovereto e dell’Accademia roveretana degli Agiati dal Rinascimento al Novecento (catal., Rovereto) a cura di E. Chini - E. Mich - P. Pizzamano, Firenze 2000, p. 196; A. Ferrarini, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Settecento, a cura di G. Pavanello, II, Venezia 2011A, pp. 169-171; Id., A. P., in I pittori dell’Accademia di Verona (1764-1813), a cura di L. Caburlotto et al., Crocetta del Montello 2011B, pp. 288-299; S. Marinelli, La pittura dei professori, ibid., pp. 11-39; A. Tomezzoli, Verona 1740-1799, inLa pittura nel Veneto. Il Settecento di Terraferma, a cura di G. Pavanello, Milano 2011, pp. 229, 250 n. 61; L. Giffi, La Via Crucis, in La chiesa parrocchiale di S. Giorgio Martire a Tarmassia. Storia e restauro, Isola della Scala 2012, pp. 43-45; S. Marinelli, Integrazioni al Settecento veronese, in Verona illustrata, XXV (2012), pp. 59-65; P. Marini, Affreschi e dipinti per palazzo Emilei alla fine del Settecento, in Il palazzo e la città. Le vicende di palazzo Emilei Forti a Verona, a cura di L. Olivato - G. Ruffo, Sommacampagna 2012, pp. 111-120.

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