APOCALISSE

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

APOCALISSE

P. K. Klein

L'A. è un genere letterario giudaico-protocristiano che ha per contenuto la rivelazione (in gr. ἀποϰάλυψιϚ) di eventi passati, presenti e futuri: in particolare la predizione della fine dei tempi e del Giudizio universale. A questo genere letterario, che fiorì in un periodo compreso all'incirca fra il 200 a.C. e il 200 d.C., appartiene sostanzialmente, oltre al libro di Daniele dell'Antico Testamento, anche l'A. di Giovanni, scritta intorno al 95 d.C. con intenti e mentalità affatto particolari che oggi si tende a vedere rivolti, piuttosto che non a preconizzare i tempi ultimi, a presentare una visione eminentemente cristologica della storia della salvezza. Il Giovanni che si dichiara autore del testo non sempre viene identificato oggi con l'apostolo ed evangelista omonimo, come vuole invece una tradizione antica, di fatto tuttora autorevole. La vasta letteratura apocrifa apocalittica (che annovera fra gli altri i nomi di Enoc, Abramo, Mosè, Baruc, Esdra, Pietro e Paolo) non ha rilevanza per l'arte figurativa del Medioevo.I capitoli introduttivi dell'A. si rivolgono ai cristiani delle comunità dell'Asia (Ap. 1-3); nei capitoli seguenti audaci visioni del regno di Dio si alternano a sconvolgenti metafore di persecuzioni, distruzioni e catastrofi (fra l'altro, il crollo di Babilonia come immagine dell'auspicata caduta dell'Impero romano, Ap. 18). Dopo l'interregno di "mille anni" di Cristo in terra (Ap. 20, 1-6), Satana e i suoi seguaci ritornano per breve tempo e seducono i popoli, ma vengono sconfitti nella battaglia decisiva e gettati nel fuoco eterno (Ap. 20, 7-10). L'età finale si conclude con la resurrezione dei morti e il successivo Giudizio universale (Ap. 20, 11-15), la visione della nuova Gerusalemme (Ap. 21) e del trono di Dio sul fiume della vita e infine lo scambio di appelli e risposte ("Vieni!" "Sì, verrò presto!") tra lo "Spirito e la Sposa", nonché "chi ascolta" e il "Signore Gesù" (Ap. 22).

Temi iconografici singoli

I temi dell'A., fondamentalmente estranei all'arte cristiana dell'età precostantiniana, si diffusero dopo la vittoria del cristianesimo con Costantino e la sua affermazione come religione di stato con Teodosio (391). Significativamente furono motivi tratti da singole teofanie - immagini del trionfo di Dio e della magnificenza celeste - a fondersi con i precedenti temi cristiani, creando nuove tipologie figurative. Come esempio di questa tendenza si potrebbero menzionare l'agnello sul monte, l'albero della vita e la Gerusalemme celeste nelle immagini della c.d. Traditio legis (mosaici nelle absidi dell'antica basilica di S. Pietro e del mausoleo di Costanza a Roma; vetro dorato in Vaticano: tutti del sec. 4°); inoltre il libro dei sette sigilli o l'agnello al centro dei quattro viventi in immagini dell'Etimasia, cioè del trono pronto per Cristo e simboleggiante il suo dominio (tituli della scomparsa abside della basilica Paoliniana di Fondi; mosaici della cappella di S. Matrona in S. Prisco presso Santa Maria Capua Vetere e nell'arco trionfale di S. Maria Maggiore a Roma; cofanetto d'avorio di Pola, Arheološki muz. Istre: tutti della prima metà del sec. 5°); troviamo infine l'agnello sul monte, i quattro viventi, la Gerusalemme celeste o l'alfa e l'omega nella rappresentazione di Cristo al centro del gruppo degli apostoli (affresco nella catacomba dei Ss. Pietro e Marcellino a Roma, sarcofago detto di Stilicone, del tipo 'a porte di città', in S. Ambrogio a Milano; mosaico absidale di S. Pudenziana a Roma: tutti della fine del sec. 4°). Un po' più tardi, nei secc. 5° e 6°, si trovano a Roma anche singole scene tratte integralmente dall'A., soprattutto l'adorazione di Cristo o dell'agnello da parte dei ventiquattro vegliardi (Ap. 4-5) nel tipo dell'aurum coronarium derivante dall'antico cerimoniale di corte (mosaici originari della facciata dell'antica basilica di S. Pietro e dell'arco trionfale di S. Paolo f.l.m. a Roma, ambedue della prima metà del sec. 5°; mosaico dell'arco trionfale dei Ss. Cosma e Damiano a Roma, del 526-530). In quest'ultimo caso l'immagine tradizionale dell'Etimasia è talmente ricca di motivi apocalittici (l'agnello sul trono, il libro dei sette sigilli, i sette candelabri, i quattro viventi, gli angeli, l'adorazione dei ventiquattro vegliardi) che si può qui parlare piuttosto di una raffigurazione dell'A. con elementi dell'Etimasia. Resta insoluto il problema se i sette candelabri della frammentaria decorazione musiva sulla facciata della basilica Eufrasiana a Parenzo, risalente alla metà del sec. 6°, si trovassero o meno originariamente in un contesto analogo. Va ricordato anche il mosaico dell'arco trionfale di S. Michele in Africisco a Ravenna, del sec. 6° (ora a Berlino, Staatl. Mus., Bode-Mus.) raffigurante Cristo in trono fra gli angeli con le sette trombe (Ap. 8, 1-2).A proposito di questa 'invasione' di motivi desunti dall'A. si è parlato di una 'escatologizzazione' dell'arte paleocristiana. In altre parole, tali motivi e scene sono stati per lo più interpretati in senso escatologico, ovvero in rapporto alla fine dei tempi. In contrasto con questa concezione va però sottolineato il carattere principalmente acronico e trionfale dei su citati motivi, chiaramente raffiguranti una 'Parusia attuale'. La creazione di questo complesso tematico procedette in modo significativo di pari passo con la destoricizzazione dell'esegesi dell'A. - attraverso le interpretazioni di Ticonio e Agostino - e con l'affermazione politica, sociale e religiosa del cristianesimo: lo stretto vincolo fra l'Impero e la Chiesa, fra la divina clemenza imperiale e il dominio universale di Dio e la progressiva conversione al cristianesimo del vecchio patriziato di cultura classica fecero sì che a Dio e in particolare a Cristo non si attribuisse più, di preferenza, l'immagine del mite Buon Pastore bensì quella, di desunzione tardoimperiale, dell'Imperatore e Pantocratore trionfante.I motivi figurativi paleocristiani dell'adorazione dell'agnello da parte dei ventiquattro vegliardi e della Traditio legis nella versione apocalittica ebbero una grande diffusione nell'arte monumentale di Roma e del Lazio, nel periodo fra i secc. 9° e 13°; a Roma, per es., nella Sala del Concilio del Laterano, a S. Prassede, S. Cecilia, S. Maria in Trastevere, S. Giovanni a Porta Latina, S. Sebastiano al Palatino, S. Clemente; per quanto riguarda il Lazio si potrebbero menzionare le absidi e gli archi trionfali della basilica di Castel Sant'Elia, di S. Pietro a Tuscania, di S. Silvestro a Tivoli e dei Ss. Abbondio e Abbondanzio a Rignano Flaminio. Il mosaico carolingio nella cupola della Cappella Palatina di Aquisgrana (800 ca.; scomparso nel sec. 18° e ripristinato nel 19°), raffigurante l'adorazione di Cristo in trono da parte dei ventiquattro vegliardi, rientrava anch'esso nella scia della tradizione romana dell'aurum coronarium e dei mosaici degli archi trionfali paleocristiani; un riflesso tardocarolingio di questa tradizione e del mosaico nella cupola di Aquisgrana si trova nella miniatura con l'agnello del Codex aureus di St. Emmeram (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14000, 870 ca.). In altre singole raffigurazioni carolinge con temi dell'A., il legame con la tradizione paleocristiana e tardoantica è meno evidente; così l'illustrazione del prologo di Girolamo Plures fuisse nell'Evangeliario di Saint-Médard a Soissons (Parigi, BN, lat. 8850, inizio del sec. 9°) coniuga una libera versione del tema paleocristiano romano dell'adorazione dell'agnello da parte dei ventiquattro vegliardi con elementi figurativi di un'immagine tardoantica del mare (il "mare di cristallo" di Ap. 4, 6) e con motivi architettonici illusionistici della frons scaenae del teatro classico (per la Gerusalemme celeste di Ap. 21). Ancor più difficile da stabilire è l'origine del tipo occidentale della Maiestas Domini che, a differenza di quello orientale, deriva non tanto dalla visione veterotestamentaria di Ezechiele, quanto piuttosto dalla grande immagine di Dio di Ap. 4, 5. Il 'prototipo' occidentale in versione ancora approssimativa, tramandatoci in copie altomedievali, mostra Cristo con il libro dei sette sigilli seduto sul globo o sul trono, circondato dai quattro viventi a figura intera, disposti a quadrato in un composizione centripeta: si vedano, per es., le immagini della Maestà nell'insulare Codex Amiatinus (Firenze, Laur., Amiat. 1, 700 ca.) e nell'A. di Treviri, risalente alla prima età carolingia (Treviri, Stadtbibl., 31, inizio sec. 9°), ambedue copie di esemplari del sec. 6° originari dell'Italia. Nel secondo quarto del sec. 9°, a questo prototipo si aggiunsero nel centro scrittorio carolingio di Tours elementi tratti dal tipo orientale della Maestà (mandorla, trono e sgabello arcuati, disposizione centrifuga dei quattro viventi), dando così vita all'archetipo di numerose raffigurazioni dei secc. 9°-13°, sia nelle arti minori (miniature, legature, reliquiari, paliotti, croci, fonti battesimali, ecc.) sia nell'arte monumentale e in particolare nelle pitture absidali (soprattutto in Spagna, Francia e Germania). Nel sec. 11° questa tipologia venne arricchita con il tema dell'adorazione dei ventiquattro vegliardi, che ora, diversamente dalla tradizione tardoantica romana, appaiono seduti in trono, con in mano calici o strumenti musicali, disposti a semicerchio o a quadrato intorno a Cristo. Come esempi più antichi giunti fino a oggi si possono menzionare: una miniatura nel codice di Beato di Saint-Sever (Parigi, BN, lat. 8878, metà del sec. 11°), il frammento di un messale nel tesoro della cattedrale di Auxerre (fine del sec. 11°) e il timpano del portale dell'ex chiesa abbaziale di Saint-Pierre a Moissac (1120-1130 ca.). Questo modello ritorna non solo in numerosi portali romanici, ma, a partire dal portale mediano della facciata occidentale della cattedrale di Chartres (1145-1155), anche nell'arte monumentale gotica. Un altro tema di stampo apocalittico che quasi altrettanto di frequente si incontra nell'arte monumentale dell'Occidente è il Giudizio universale, posto, a partire dal sec. 9°, a decorare le facciate occidentali delle chiese. L'esempio più antico conservato è l'affresco nella controfacciata di S. Giovanni a Müstair nei Grigioni (800 ca.). Rispetto al modello bizantino di Giudizio universale, che appare per es. su un avorio del sec. 10° conservato a Londra (Vict. and Alb. Mus.) o su un evangeliario del sec. 11° a Parigi (BN, gr. 74), quello occidentale è più fedele al testo dell'A. (per es. nei due angeli con i libri del giudizio alla destra e alla sinistra di Dio giudice di Ap. 20, 12).Un altro tema apocalittico che ricorre spesso per tutto il Medioevo come motivo singolo, tanto nelle arti minori quanto nell'arte monumentale, è l'immagine dell'arcangelo Michele che uccide il drago (Ap. 12, 7-9). Michele è raffigurato per lo più in atto di trionfo sul drago che ha appena ucciso con la lancia: si vedano, per es., l'avorio della scuola di corte di Carlo Magno conservato a Lipsia (Kunstgewerbemus., 810 ca.) o la scultura del Maestro di Saint-Michel sulla facciata occidentale di Saint-Gilles-du-Gard in Provenza (secondo quarto del sec. 12°).Anche la Gerusalemme celeste, "sposa dell'agnello" e città celeste del Paradiso (Ap. 21, 2; 22, 5), viene spesso rappresentata come motivo singolo, ma in questo caso hanno importanza decisiva anche elementi non derivanti dall'Apocalisse. Così a volte la Gerusalemme celeste si ricollega all'immagine dei cori dei santi che circondano Cristo in paradiso, insieme alle schiere angeliche, o che vengono accompagnati da s. Pietro e dagli angeli alla porta della città celeste: come per es. sull'arco trionfale di S. Prassede a Roma (817-824), dove Pietro e Paolo e due coppie di angeli accolgono le schiere dei beati alla porta della Gerusalemme celeste, mentre all'interno delle mura della città Cristo è circondato da angeli, apostoli, profeti, Maria e, forse, dalla Mater Ecclesia. Un tema analogo ricorre, anche se in forma ogni volta diversa, nei dipinti murali romanici di Saint-Chef nel Delfinato (chiesa abbaziale, cappella conventuale, terzo quarto del sec. 11°) e di St John the Baptist a Clayton nel Sussex (secondo quarto del sec. 12°), come anche nei capitelli romanici della torre d'ingresso di Saint-Benoît-sur-Loire (secondo terzo del sec. 11°) e del chiostro di Moissac (1100); in questi ultimi due esempi, però, manca il motivo del corteo dei beati alla porta del cielo. Nelle pitture tardoromaniche della volta sull'incrocio del duomo di Brunswick in Bassa Sassonia (secondo quarto del sec. 13°) e del matroneo occidentale del duomo di Gurk in Carinzia (1260-1270 ca.) il modello radiale della nuova Gerusalemme nel tipo del Liber floridus (per es. Parigi, BN, lat. 8865) è collegato a un ciclo cristologico (Brunswick) o a raffigurazioni di profeti veterotestamentari (Gurk). In altre due pitture romaniche nelle volte dell'atrio di Saint-Savin-sur-Gartempe nel Poitou (intorno al 1100) e della chiesa superiore di Schwarzrheindorf (terzo quarto del sec. 12°) si trovano nuovamente i cori dei beati, ma senza la città celeste, dato che qui la nuova Gerusalemme sembra essere considerata come sposa di Cristo (in entrambi i casi con connotazioni mariologiche o ecclesiologiche). In un contesto iconografico diverso si colloca la schiera apocalittica dei beati nel complesso schema delle pitture parietali della cappella di Ognissanti nel chiostro del duomo di Ratisbona in Baviera (intorno al 1165). Sulla base della liturgia di Ognissanti e dei commenti di Onorio di Autun e Ruperto di Deutz le scene e i motivi desunti da Ap. 7 (i quattro venti trattenuti dagli angeli, l'angelo che sale dall'Oriente, le tribù d'Israele segnate con il sigillo, la schiera degli eletti davanti al trono di Dio) si uniscono infatti con il modello del Pantocratore delle volte mosaicate bizantine (per es. nella Cappella Palatina di Palermo) a formare un originale schema figurativo.Anche in altre pitture parietali romaniche singole scene dell'A. sono state evidentemente fuse insieme sotto l'influsso della tradizione esegetica. Così nella cripta della cattedrale di Auxerre (metà del sec. 12°) il Cristo cavaliere "fedele e verace" di Ap. 19, 11-16 e le sue schiere angeliche stanno al di sopra del Cristo, raffigurato nella calotta dell'abside dove appare tra due candelabri a sette braccia (Ap. 12-13). Inoltre, nella parete absidale della chiesa di Saint-Pierre-les-Eglises nel Poitou (sec. 12°) Michele contro il drago dalle sette teste (Ap. 12, 7-9) è collocato accanto all'Adorazione dei Magi: il drago rovescia 'acqua' da una delle bocche (Ap. 12, 15) in direzione della Maria in trono nella scena dell'Adorazione; infatti, secondo una concezione diffusa (Ambrogio Autperto, Aimone e Remigio di Auxerre, Berengaudo), la Madre di Dio è qui identificata con la mulier amicta sole (Ap. 12, 1).Anche le singole scene dell'A. su alcuni capitelli romanici vanno intese in prospettiva esegetica, più esattamente escatologica. Nei capitelli del coro della chiesa di Saint-Nectaire in Alvernia (metà del sec. 12°) e di Saint-Pierre a Chauvigny nel Poitou (prima metà del sec. 12°), il motivo dell'arcangelo Michele che pesa le anime nel giorno del Giudizio universale è legato a scene dell'A.: a Chauvigny appare con la meretrice Babilonia e la 'Babilonia deserta' (Ap. 18, 2-6), a Saint-Nectaire con il primo cavaliere dell'A. (su un cavallo bianco con frecce e arco) che è qui unito a elementi del Cristo cavaliere "fedele e verace" (il mantello intriso di sangue) e dei suoi eserciti celesti (lo scettro di ferro del cavaliere, Ap. 6, 2; 19, 11-16).Anche le raffigurazioni dell'A. nella pittura gotica su vetro del sec. 13° sono di tipo piuttosto sintetico che narrativo. Come nelle miniature, il tema più frequente è la Visione dei candelabri di Ap. 1, 12-20; per es., nel deambulatorio della cattedrale di Bourges (1210-1215), nella vetrata absidale della cattedrale di Lione (inizio del sec. 13°), nel rosone sud della cattedrale di Chartres (metà del sec. 13°) e nel rosone della Sainte-Chapelle a Parigi (rifatto alla fine del sec. 15°). Sono qui da segnalare paralleli iconografici con la famiglia III dei cicli romanici dell'A., per es. nella scena della Visione dei candelabri nelle vetrate di Bourges e Lione (rappresentazione frontale del Figlio dell'uomo, le due spade nella sua bocca, la posizione dei candelabri e di Giovanni). Analoghe corrispondenze risultano anche in alcune scene della vetrata con motivi dell'A. nel deambulatorio della cattedrale di Auxerre (1222-1235): nella mulier amicta sole, nel Figlio dell'uomo con la falce e nei sette angeli con le trombe da una parte e dall'altra del Signore. Le vetrate francesi con motivi apocalittici e con scene attinenti alla leggenda di Giovanni (per es. a Chartres, Lione e Auxerre) potrebbero aver utilizzato per modello cicli romanici analoghi a quelli ripresi da manoscritti inglesi dell'A. di data di poco più recente. Peraltro il più ampio ciclo pervenuto di pitture su vetro con soggetti apocalittici - le ottantuno scene della vetrata orientale tardogotica della cattedrale di York (1405-1406) - segue già molto fedelmente il tipo gotico dei manoscritti inglesi dell'Apocalisse. Il carattere tipologico-allegorico delle vetrate gotiche con temi apocalittici trova la sua più chiara espressione nel deambulatorio sud della cattedrale di Bourges, dove tre teofanie centrali di Cristo (la Visione dei candelabri, il Signore in trono tra i vegliardi, il Figlio dell'uomo sulla nube) sono collegate al Battesimo dei neofiti da parte di Pietro, ai dodici apostoli e ai dodici profeti veterotestamentari e a una Ecclesia lactans (che nutre al petto un rappresentante dell'antico e uno del nuovo patto) intesa come sposa dell'agnello vittorioso; nell'immagine di Cristo in trono e in quella del Figlio dell'uomo sulla nube riecheggiano anche le tematiche della Pentecoste e dell'Ascensione. Le fonti dello schema di Bourges sono state ricercate nel commento all'A. attribuito ad Anselmo di Laon (Enarrationes in Apocalypsim; PL, CLXII, coll. 1499-1586), ma si è anche supposto che il suo ideatore sia stato il vescovo Guglielmo di Bourges (1199-1209). Non è ancora chiaro invece quali siano le fonti esegetiche della vetrata del coro della cattedrale di Auxerre in cui compaiono contrapposizioni tipologiche (per es. la donna vestita di sole in trono al di sopra del Figlio dell'uomo a sua volta in trono con la falce, il Signore seduto in trono al di sopra dell'agnello con il libro dei sigilli e, sotto, il primo cavaliere con l'arco).Si trovano riferimenti all'A. anche in opere di tipo diverso: se è discussa la possibilità che determinati tipi di edifici ecclesiastici (quali la basilica paleocristiana e la cattedrale gotica) o singole costruzioni (come il 'nucleo architettonico romano' della basilica di Treviri, il Westwerk dell'abbazia di Corvey in Sassonia, la torre d'ingresso di Saint-Benoît-sur-Loire) possano essere considerati come forme simboliche della Gerusalemme celeste, non vi sono dubbi, invece, per una serie di candelabri a corona e turiboli ottoniani e romanici (per es. il candelabro di Hezilo del 1054-1079 nel duomo di Hildesheim e quello di Barbarossa del 1165-1170 nella Cappella Palatina di Aquisgrana). Le loro iscrizioni e la loro struttura formale consentono infatti di metterli in rapporto in modo inequivocabile con la Gerusalemme celeste dell'Apocalisse. Motivi apocalittici hanno trovato applicazione anche in altri settori della produzione artistica, come per es. nell'arte dei paramenti. Così il mantello dell'Incoronazione ungherese donato nel 1031 da s. Stefano (Budapest, Magyar Nemzeti Múz.) presenta fra i suoi ricami motivi apocalittici e addirittura l'intera A. era raffigurata sul mantello offerto da Ottone III al convento romano di S. Alessio ("manthum [...] in quo omnis Apocalipsis erat auro insignata", MGH. SS, IV, 1841, p. 620).Naturalmente la maggior parte delle singole scene di tema apocalittico si trova fra le miniature che illustrano manoscritti della Bibbia, del Nuovo Testamento, dell'A., dei commentari all'A. e, sporadicamente, anche in altri testi. Uno dei primi esempi è costituito dalle due iniziali miniate dell'A. nel carolingio Codex Juvenianus (Roma, Vallicell., B. 252, primo quarto del sec. 9°), che raffigurano la scena dell'incarico conferito da Dio a Giovanni (Ap. 1, 1) e la visione di Giovanni in estasi a Patmos (Ap. 1, 10). Nessuna delle due scene presenta, in questa forma, paralleli in codici miniati successivi ma la scena di Giovanni dormiente o in estasi sdraiato su un letto e risvegliato da un angelo che si avvicina trova alcune corrispondenze in un capitello romanico del chiostro di Moissac (1100).Altrove i singoli motivi apocalittici nelle miniature si limitano per lo più alla scena della visione del Figlio dell'uomo fra i sette candelabri (Ap. 1, 12-20), concepita come immagine entro un riquadro o come iniziale miniata (per es. in alcune bibbie tardoromaniche, come quella di Oxford, Bodl. Lib., Laud. Misc. 752; Clermont-Ferrand, Bibl. Mun., 1). A volte questa scena si fonde con elementi della Maiestas Domini cosicché il Figlio dell'uomo, identificato con Cristo, troneggia sul globo o sull'arcobaleno, ha un libro in mano o è inserito in una mandorla, come per es. nell'Evangeliario di Saint-Maximin di Treviri (Berlino, Staatsbibl., Theol. lat., fol. 283, primo quarto del sec. 11°) e nella Bibbia salisburghese di Admont (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Ser. nov. 2701-2, metà del sec. 12°). In alcune scene della visione dei candelabri è possibile evidenziare influssi esercitati dalla famiglia III dei cicli romanici dell'A., per es. nella raffigurazione frontale del Figlio dell'uomo con le braccia distese e le due spade nella bocca o nella posizione di Giovanni prostrato alla sua destra, come nel manoscritto protoromanico dell'A. di Praga (Kapitulni Kníhovna, A. 60/3), nella Bibbia salisburghese di Admont e nella Bibbia bavarese dell'abbazia di St. Gumbert a Erlangen (Universitätsbibl., 1).In alcuni di questi manoscritti la visione dei candelabri è associata senza un'intima ragione ad altre scene: nell'A. protoromanica di Praga all'immagine votiva, nella Bibbia di Admont all'uccisione dei due testimoni (Ap. 11, 7) e nella Bibbia di St. Gumbert a scene della vita di Gesù. Nell'iniziale istoriata dell'A. della Bibbia romanica di Saint-Bénigne (Digione, Bibl. Mun., 2, primo quarto del sec. 12°) alcuni elementi della visione dei candelabri sono invece fusi con motivi dell'Antico Testamento a formare un complesso schema tipologico. Da una parte Cristo viene raffigurato in tre modi distinti: in primo luogo come il Figlio dell'uomo della visione dei candelabri di Ap. 1, 12-20 (i sette candelabri, le sette stelle e i sette angeli nelle sette chiese); in secondo luogo come il Cristo della Parusia di Ap. 1, 7, che appare "sulle nubi" e "ognuno lo vedrà" (le nubi, le braccia distese di Cristo, gli angeli e i due profeti in atto di indicare); in terzo luogo come 'figura onnicomprensiva' cosmologica (le mani di Cristo contengono quasi l'intera ampiezza dell'iniziale), simbolo dell'immensità di Dio che abbraccia il cosmo infinito. A sua volta la Chiesa di Cristo dalle sette forme (i sette angeli nelle sette chiese) è associata al Tempio dell'Antico Testamento: il grande candelabro mediano e i sei piccoli che lo fiancheggiano ricordano il candelabro a sette bracci del Tempio (come anche nell'esegesi e nell'illustrazione del commento di Beda della Ramsey Abbey, Cambridge, St John's College, H. 6, 1160-1170 ca.); il drappo a tendaggio del campo superiore dell'arco è assimilabile alla cortina del Sancta Sanctorum ebraico, i due angeli sui candelabri rievocano i due cherubini sull'arca dell'alleanza e il tavolo con i pani fa pensare alla tavola per il rito ebraico del pane della proposizione del Tempio. Infine - sulla scorta dell'esegesi (per es. Ambrogio Autperto) - i due profeti nei pennacchi inferiori potrebbero raffigurare Mosè e Aronne, ai quali - come in Ap. 1, 7 - appare su una nube la "maestà di Dio" (Nm. 16, 7) e che qui sembrano compiere con un braciere per l'incenso un rito di espiazione per il popolo ebraico colpito da un flagello (Nm. 16, 11-12). Di analoga complessità è il frontespizio di un manoscritto inglese del De civitate Dei di Agostino (Oxford, Bodl. Lib., Laud. Misc. 469, 1130-1140 ca.), dove appaiono al di sotto della città di Dio (con Cristo in trono tra gli apostoli) due scene da Ap. 12 a cui è stato conferito un significato cristologicoecclesiologico: a sinistra Michele, simile a Cristo, scaccia Satana e il suo seguito dalla città celeste (Ap. 12, 7-9); a destra l'Ecclesia, nelle sembianze della donna vestita di sole dell'A., salva l'anima di un battezzato risorto dal peccato, sottraendolo agli attacchi di Satana, il drago di Ap. 12, 3; in basso il 'vecchio' corpo morto del battezzato (Rm. 6, 2 ss.) è disteso su un letto.A differenza della ricca iconografia offerta dalle singole immagini dell'A. nei manoscritti della Bibbia, le raffigurazioni analoghe nei commenti all'A. sono concepite in modo sorprendentemente semplice. Un manoscritto ottoniano, del sec. 10°, contenente il commento di Beda (Einsiedeln, Stiftsbibl., 176) e un'antica copia inglese, pubblicata solo di recente, del commento di Berengaudo, risalente al 1100 ca. (Warminster, Longleat House, Lib., 2) mostrano concordanze nei frontespizi rappresentanti ciascuno, nella zona superiore, Cristo in trono e, nella parte inferiore, la scena dell'incarico conferito a Giovanni (Ap. 1, 1): l'angelo inviato da Dio ordina a Giovanni, che siede in posizione da scriba, di mettere per iscritto la rivelazione divina. Mentre nel codice di Beda di Einsiedeln il Signore in trono è presentato come Cristo trionfante nella sua Parusia in mezzo a due angeli acclamanti, nel Berengaudo di Longleat House egli appare nel tipo della Maestà trinitaria, con Cristo-agnello e con la colomba dello Spirito Santo in grembo, incorniciato dalla mandorla e circondato dai quattro viventi.

Cicli

Le raffigurazioni di gran lunga più ricche dell'A. si trovano nei cicli dei manoscritti illustrati, il cui influsso è evidente anche nella pittura (su parete, su tavola e su vetro), nella scultura monumentale, nell'oreficeria e nella grafica. I cicli medievali dell'A. si contraddistinguono non solo per il gran numero di immagini (per lo più da cinquanta a ottanta scene), ma anche per una ininterrotta tradizione che assume, secondo le epoche e i paesi, diversi caratteri. I cicli si possono dunque suddividere in famiglie e gruppi che hanno il loro fulcro ognuno in un periodo o in una regione determinati: per es., i manoscritti di Beato nella Spagna dell'Alto e del maturo Medioevo, le A. anglo-francesi nell'età gotica dei secc. 13° e 14°, i cicli italiani nel Trecento e infine le illustrazioni dell'A. dei libri xilografici e delle bibbie a stampa nel Tardo Gotico quattrocentesco in Olanda e in Germania.

Tarda Antichità ed epoca paleocristiana

Non si è conservato in forma diretta nessun ciclo dell'A. risalente all'età tardoantica e paleocristiana, benché debbano esserne esistiti fin dal 5°-6° secolo. Si possono ricostruire due linee di trasmissione del modello nettamente distinte: da una parte una tradizione paleocristiana romana che, attraverso molteplici trasformazioni, influenzò i cicli centro-europei dell'A. sino alla fine del Medioevo; dall'altra l'illustrazione, limitata quasi esclusivamente alla Spagna, del commento all'A. di Beato derivante da un archetipo nordafricano o antico-ispanico del 5°-6° secolo. Mentre è possibile dedurre solo indirettamente quale fosse l'archetipo paleocristiano dell'illustrazione di Beato, quello romano-italico della tradizione centro-europea è individuabile con maggiore esattezza. Lo si trova infatti tramandato con relativa fedeltà nell'A. di Treviri della prima età carolingia (Treviri, Stadtbibl., 31, inizio del sec. 9°, proveniente dall'area di Tours), che ricalca con lievi divergenze l'iconografia e lo stile di un esemplare del sec. 6° proveniente dall'Italia: si vedano i paralleli stilistici con i mosaici ravennati e romani del sec. 6° e con il coevo Evangeliario di s. Agostino, di area italiana (Cambridge, C.C.C., 286). Dall'esemplare tardoantico sono state desunte non solo le visioni celesti, ma anche le immagini catastrofiche e le raffigurazioni del maligno (per es. il drago nella forma dell'antico serpente alato o la meretrice Babilonia sulla bestia simile al tipo tardoantico della dea Iside sul cane Sothis). In base all'esame della copia di Treviri, il ciclo dell'A. dell'archetipo romano tardoantico doveva essere costituito da quasi cento scene narrative incorniciate e inserite nel testo sul genere del Vergilius vaticano (Roma, BAV, lat. 3225, intorno al 400, Roma). Nell'A. di Treviri e nella sua copia tardocarolingia di Cambrai (Bibl. Mun., 386, prima metà del sec. 10°, Francia settentrionale) questo ampio ciclo tardoantico è riassunto in settantaquattro miniature a pagina intera. All'inizio del sec. 12° un'ulteriore variante (forse altomedievale) di questo stesso ciclo fece parzialmente da modello nella Germania sudoccidentale a un'A. illustrata posta in apertura di un manoscritto con il commento all'A. di Aimone di Auxerre (Oxford, Bodl. Lib., 352).

Alto Medioevo

Oltre alla versione che si rifà direttamente al ciclo tardoantico di ambito italiano dei manoscritti di Treviri, Cambrai e Oxford (famiglia I), si conoscono altre due tipologie altomedievali di cicli dell'A. notevolmente più frequenti e discendenti anch'esse dal medesimo archetipo romano, a cui tuttavia non risalgono direttamente, bensì attraverso un prototipo tardoantico, della seconda metà del sec. 6°, che aveva già ridotto e mutato l'originaria struttura figurativa: per es. era stata omessa la raffigurazione del contenuto delle lettere indirizzate alle Chiese dell'Asia Minore (Ap. 2-3) e nella visione di Dio (Ap. 5) l'agnello era stato collocato sul trono in conformità al modello iconografico dell'Etimasia di stampo apocalittico quale si riscontra nell'arco trionfale dei Ss. Cosma e Damiano a Roma).Dalla tradizione di questo archetipo più tardo si formò, già nel sec. 7°, la famiglia II altomedievale, a cui appartengono solo i cicli d'epoca carolingia e ottoniana e del primo periodo romanico: e cioè i due manoscritti fratelli, carolingi, di Valenciennes (Bibl. Mun., 99, inizio del sec. 9°, proveniente forse dall'area di Liegi) e Parigi (BN, nouv. acq. lat. 1132, inizio del sec. 10°, Francia nordorientale), che risalgono a un comune esemplare della Northumbria del 700 circa. Il ciclo northumbrico che fece da modello era probabilmente una copia di quelle imagines visionum Apocalypsis che Benedetto Biscop aveva portato in Inghilterra dal suo quarto viaggio a Roma per far decorare in base a esse la parete nord della chiesa abbaziale di S. Pietro a Wearmouth. A questo gruppo appartengono inoltre un frammento dell'A. d'epoca tardocarolingia a Monaco (Bayer. Staatsbibl., Clm 29270/12, già 29159, inizio del sec. 10°) proveniente dalla Germania meridionale, area alamanna, forse da Reichenau; la famosa A. di Bamberga (Staatsbibl., Bibl. 140), risalente all'epoca ottoniana e redatta a Reichenau intorno al 1001-1002, e infine il frammento di una A. illustrata che proviene ugualmente dalla stessa area sudoccidentale tedesca ed è conservata a Basilea (Universitätsbibl., N. I 4, c. 100). Fanno infine parte di questo gruppo anche le pitture parietali nel tamburo del battistero di Novara, dell'inizio del sec. 11°, e gli affreschi nell'atrio dell'ex chiesa abbaziale di Saint-Savin-sur-Gartempe (Poitou), dell'inizio del 12° secolo. I cicli di questa famiglia II altomedievale ridussero il numero delle raffigurazioni a un massimo di quaranta-cinquanta scene, spesso semplificando in senso simbolico le composizioni (ciò risulta particolarmente evidente nella versione 'northumbrica' dei manoscritti di Valenciennes e Parigi). Gli affreschi di Novara e di Saint-Savin, di cui si conservano purtroppo solo frammenti, sembrano rappresentare una tradizione propriamente monumentale. La tradizione dell'intera famiglia II rimase evidentemente circoscritta a un periodo cronologico compreso all'incirca fra il 700 e il 1100.

Età romanica

Un gruppo ancora più ampio, anche se meno coerente, di cicli illustrati dell'A. (famiglia III) prevalse in epoca romanica, avendo tuttavia precedenti sin dall'età carolingia e perdurando anche in epoca tardogotica nel 15° e 16° secolo. È difficile dare una definizione generale dei cicli di questa famiglia, che variano molto per consistenza figurativa e particolarità. Così il numero delle immagini oscilla da un minimo di sei a un massimo di sessanta scene. Tuttavia per alcuni temi si possono rilevare delle costanti, così per es. nella visione dei candelabri, nelle Lettere alle sette Chiese dell'Asia Minore, nella visione dell'agnello con il libro, nei quattro cavalieri dell'A. e nella Gerusalemme celeste. Nei cicli della famiglia III - ma anche in alcuni altri cicli romanici dell'A. - si avvertono per la prima volta influssi dell'esegesi, in particolare dei commenti di Ambrogio Autperto e di Aimone di Auxerre.Alla famiglia III e al suo ambito appartengono tanto cicli di miniature e di pitture parietali quanto opere di scultura monumentale. La tradizione di questa famiglia affiora per la prima volta nei frontespizi delle bibbie illustrate carolinge: la Bibbia di Moutier-Grandval (Londra, BL, Add. Ms 10546, 840 ca., Tours), la Bibbia di Viviano (Parigi, BN, lat. 1, 846 ca., Tours) e la Bibbia di S. Paolo f.l.m., forse eseguita a Reims intorno all'870 (Roma, S. Paolo f.l.m., Bibl. dell'abbazia). Si incontra qui per la prima volta la disposizione dell'agnello e del leone ai due lati del trono di Ap. 5, come anche il motivo degli angeli che, nelle scene dei messaggi di Ap. 2-3, appaiono nelle o sulle chiese. I due elementi furono ripresi in seguito anche nei cicli romanici della famiglia III, la cui tradizione doveva dunque già esistere prima della redazione delle bibbie illustrate turoniane (intorno all'835), dato che i miniatori carolingi ne desunsero solo alcuni elementi. La vera e propria tradizione della famiglia III si evidenzia però solo nei secc. 11° e 12°, così, per es., nel ciclo della Bibbia catalana di Sant Pere de Rodha, della seconda metà del sec. 11° (Parigi, BN, lat. 6) e nelle illustrazioni - che non seguono la tradizione di Beato - del codice lombardo di Beato conservato a Berlino e risalente al sec. 12° (Berlino, Staatsbibl., Theol. lat. fol. 562), in precedenza entrambi attribuiti alla famiglia II. Appartengono alla famiglia III anche i cicli di pitture parietali romaniche in S. Severo a Bardolino sul lago di Garda, della prima metà del sec. 12° e, nel Lazio, nell'ex chiesa abbaziale di Sant'Elia a Castel Sant'Elia, del 1120-1130 ca., e nella cripta della cattedrale di Anagni, della metà del sec. 13°, come pure le illustrazioni di due manoscritti veronesi del Nuovo Testamento del primo quarto del sec. 13° (Roma, BAV, lat. 39 e Chigi A. IV. 74). La tradizione della famiglia III non rimase tuttavia limitata all'Italia. Seguono questa tradizione infatti anche i cicli miniati tedeschi del commento oxoniense di Aimone (Oxford, Bodl. Lib., 352), in cui venne parzialmente utilizzato come modello un ciclo della famiglia I, e un manoscritto liturgico, a esso strettamente imparentato dal punto di vista stilistico e iconografico, contenente le messe per le feste dell'angelo (Bruxelles, Bibl. Royale, 3089), ambedue della prima metà del 12° secolo. Strette affinità iconografiche risultano anche tra il ciclo oxoniense e l'illustrazione dell'A. nel Liber floridus, una specie di enciclopedia illustrata redatta da Lamberto di Saint-Omer intorno al 1120: i due cicli comprendono ca. sessanta scene e mostrano anch'essi l'agnello e il leone ai due lati della figura in trono con il libro sigillato (Ap. 5). Nell'autografo del Liber floridus di Gand (Bibl. van de Rijksuniv., 92, 1120 ca., Saint-Omer) il ciclo dell'A. è purtroppo perduto, ma si conserva in copie, come il codice, un po' più recente, a Wolfenbüttel (Herzog August Bibl., Guelf. 1 Gud. lat. 2°, terzo quarto del sec. 12°, Fiandre) e il manoscritto proveniente dalla certosa di Montdieu presso Reims (Parigi, BN, lat. 8865, 1260 ca., Champagne). Altre copie tardogotiche del Liber Floridus del sec. 15° e dell'inizio del 16° sono conservate ad Aia (Koninklijke Bibl., 72. A. 23 e 128. C. 4), Chantilly (Mus. Condé, 724) e Genova (Bibl. Durazzo Pallavicini, A. IX. 9).Nell'ambito della famiglia III rientrano anche le iniziali miniate dell'A. nella Bibbia proveniente da Stavelot, nella regione della Mosa, e risalente al 1097 (Londra, BL, Add. Ms 28107), nonché una serie di dipinti murali romanici in Francia (Saint-Chef, Méobecq), Catalogna (Pedret, Poliny'a) e Inghilterra (Canterbury). A questo proposito sono evidentissimi gli stretti contatti iconografici e in parte anche stilistici tra i cicli catalani e italiani della famiglia III: per es. il singolare abbinamento - stimolato dall'esegesi di Ambrogio Autperto - delle due scene dei martiri sotto l'altare (Ap. 6, 9-11) e dell'angelo con l'incensiere (Ap. 8, 3-4), che si riscontrano tanto negli affreschi di San Quirce de Pedret (Solsona, Mus. Diocesano, intorno al 1100) quanto nelle pitture parietali della cripta di Anagni. Analogamente il quarto cavaliere (Ap. 6, 7-8) ha in mano, sia nell'affresco catalano di San Salvador a Polinyá (Barcellona, Mus. Diocesano, fine del sec. 12°) sia nel codice lombardo di Beato conservato a Berlino, una lunga lancia con cui trafigge gli uomini e le bestie feroci della terra. A un più vasto ambito della famiglia III appartengono anche le sculture romaniche nella torre d'ingresso della chiesa abbaziale di Saint-Benoît-sur-Loire del secondo terzo del sec. 11° (i quattro cavalieri) e del timpano del portale della chiesa di La Lande-de-Fronsac (Gironda) dell'inizio del sec. 12°; sembra peraltro che la visione dei candelabri del timpano del portale di La Lande-de-Fronsac abbia desunto alcuni motivi dall'illustrazione di Beato.Esiste però anche tutta una serie di altri cicli dell'A., di età romanica, che non rientrano nelle diverse tradizioni figurative e rappresentano dunque creazioni indipendenti. Vanno qui menzionati innanzitutto i capitelli con temi dell'A. del chiostro, terminato nel 1100, dell'ex chiesa abbaziale di Moissac, quasi tutti nella galleria sud, vicino all'ingresso della chiesa. Tranne che per quei rilievi che presentano sporadiche analogie con le illustrazioni di Beato (per es. Cristo-angelo con la falce, i quattro viventi antropomorfi) e con quelle del Codex Juvenianus carolingio di Roma (Vallicell., B. 252) (per es. l'incarico a Giovanni), questi capitelli di Moissac debbono essere considerati come creazioni figurative originali: nella ritmica successione dei capitelli (si alternano a quelli di soggetto veterotestamentario altri puramente ornamentali e neotestamentari) la città celeste della Nuova Gerusalemme (Ap. 21) viene a fronteggiare la città di Babilonia (Ap. 17) di analoga struttura. Una contrapposizione analoga si realizza fra i capitelli raffiguranti il re Davide con i suoi musici e il re assiro Nabucodonosor prostrato e umiliato. Ancor più difficile di quanto non sia per i capitellil del chiostro di Moissac è trovare analogie per i dipinti murali nell'ex chiesa abbaziale di Saint-Polycarpe (Aude), della seconda metà del 12° secolo. Così, per es., gli affreschi con la visione dei candelabri e con le Lettere alle Chiese dell'Asia Minore sulle campate occidentali della navata non trovano alcun parallelo in altri cicli. Solo la composizione articolata in anelli concentrici dell'adorazione dell'agnello da parte degli angeli e dei ventiquattro vegliardi (Ap. 5) nella campata che precede l'abside ricorda la rappresentazione dello stesso tema nell'affresco con analoga struttura della cupola di S. Margherita a Neunkirchen nella Renania (ante 1150), dove ugualmente l'agnello al centro di una composizione circolare è attorniato dai vegliardi e dagli angeli disposti a raggiera.Hanno una posizione isolata anche altri cicli romanici dell'A. in quanto fortemente caratterizzati nella loro iconografia da particolari concezioni esegetiche. Così le iniziali miniate del commento all'A. di Ruperto di Deutz in un manoscritto del monastero cistercense austriaco di Heiligenkreuz, presso Vienna, risalente al terzo quarto del sec. 12° (Heiligenkreuz, Stiftsbibl., 83) si riferiscono sempre anche nei particolari all'interpretazione di Ruperto: per es., nell'iniziale di Ap. 4, l'ostium apertum è riferito secondo l'esegesi di Ruperto a Cristo, la meretrice Babilonia è presentata, nell'iniziale di Ap. 18, come sovrana su molte genti e il Cristo, cavaliere "fedele e verace" di Ap. 19, 11-16, attraverso gli attributi della freccia e dell'arco, è equiparato al primo cavaliere di Ap. 6, 1-2. La teologia della storia di Ruperto - che costituisce il fatto veramente significativo e innovativo del suo commento all'A. - trova tuttavia la sua espressione figurativa solo nel manoscritto di un mattutino del convento bavarese di Scheyern (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 17401, 1205-1227 ca.), dove, in tre miniature allegoriche che si susseguono, la storia della donna minacciata dal drago e del suo bambino appena nato (Ap. 12) è riferita tanto alla nascita e crocifissione di Cristo quanto alla minaccia arrecata alla Chiesa protocristiana dalle eresie antitrinitarie di Ario, Sabellio e Fotino. Nella scena corrispondente, presente nell'Hortus deliciarum di Herrada di Landsberg della seconda metà del sec. 12° (già Strasburgo, Bibl. Mun.), la donna e il bambino di Ap. 12 sono interpretati in senso ecclesiologico in conformità a quanto si legge nello Speculum ecclesiae di Onorio Augustodunense. Altre illustrazioni dell'A. di carattere eminentemente esegetico presenti nell'Hortus deliciarum si riferiscono all'uccisione dei due testimoni, alla caduta degli angeli, alla meretrice sulla bestia, al crollo di Babilonia e al Giudizio universale.Anche i motivi e le scene dell'A. presenti sui reliquiari romanici riflettono per lo più interpretazioni esegetiche. I reliquiari possono essere concepiti già nella loro architettura come immagini della Gerusalemme celeste e i dodici apostoli, che spesso vi sono raffigurati sui lati lunghi, possono significare sia le fondamenta della città celeste e della Chiesa terrena sia i giudici a latere del Giudizio universale. Così sui lati lunghi dell'arca di s. Servazio, nella chiesa omonima a Maastricht (regione della Mosa, intorno al 1160-1170), sono rappresentati i dodici apostoli e sul lato frontale Cristo in trono fra gli alberi e sopra l'"acqua viva" (Ap. 22, 1-2), mentre nella zona superiore compaiono scene del Giudizio universale: gli Angeli con le trombe, la Resurrezione dei morti, la Vestizione dei beati e il Denudamento dei dannati (sulla scorta di Ap. 6, 9-11), le Anime pesate e il Conferimento della "corona della vita" (Ap. 2, 10). Si trovano correlazioni analoghe anche nel famoso reliquiario dei re Magi del duomo di Colonia (Nicola di Verdun e scuola di Colonia, tra il 1181 e il 1230): nel piano superiore appare Cristo in trono come giudice universale affiancato dai dodici apostoli che lo assistono nel giudizio, mentre nel rilievo superiore del coperchio oggi perduto scene del Giudizio (gli Angeli con le trombe, la Resurrezione dei morti, la Bilancia per pesare le anime, gli Angeli con le coppe dell''ira di Dio' di Ap. 16, 1, la Caduta di Babilonia) sono intrecciate ad altri motivi apocalittici e apocrifi (Predica e Uccisione dei due testimoni, Caduta dell'Anticristo).

I manoscritti di Beato

Una tradizione particolare, quasi esclusivamente limitata alla Spagna, è rappresentata dalle illustrazioni del commento dell'A. che fu redatto dal monaco spagnolo Beato di Liebana nel 776-784 e che raccoglie commenti patristici precedenti. Dei manoscritti e dei frammenti conservati, di cui solo due esemplari furono redatti fuori della Spagna, ventiquattro sono illustrati mentre dieci presentano solo il testo scritto. Sull'esempio di un modello presumibilmente antico-ispanico o nordafricano del sec. 5°- 6°, già durante la vita di Beato il testo venne provvisto di illustrazioni che, inserite tra il commento e la citazione dell'A., ne ricapitolavano gli elementi essenziali in semplici immagini schematiche. Probabilmente erano state ideate allo scopo di facilitare visivamente la memorizzazione del testo: costituivano perciò un elemento integrante della prassi monastico-spirituale della lectio divina, nel senso inteso da Cassiodoro, consistente in letture, esercizi di memoria, meditazione e contemplazione. Questa originale concezione figurativa è contenuta nei manoscritti di Beato della prima e della seconda versione del testo (per es. Madrid, Bibl. Nac., Vit. 14-1; Escorial, Bibl., &.II.5; Burgo de Osma, Catedral, Bibl., 1). In seguito allo sviluppo culturale del regno delle Asturie-León e ai rafforzati contatti con l'Europa, questa originaria concezione figurativa subì nel secondo quarto del sec. 10° una trasformazione stilistica e compositiva (per es., con l'inserzione di un fondo a zone di diverso colore), nonché un considerevole ampliamento iconografico. Si aggiunsero immagini a doppia pagina degli evangelisti, tabelle genealogiche degli antenati di Cristo e il commento illustrato di Girolamo a Daniele. Rientrano in questa nuova concezione testuale figurativa, fra gli altri, i codici di Beato di New York (Pierp. Morgan Lib., M. 644, 950-960 ca.), Madrid (Arch. Histórico Nac., 1097B, 968-970), Valladolid (Bibl. Univ., 433, del 970) e Gerona (Mus. de la Catedral, Arch. y Bibl., 7, del 975). In alcuni manoscritti di Beato del sec. 11° si riconosce nel testo e nella parte figurativa un riferimento alla liturgia funebre, come nei codici di Saint-Sever (Parigi, BN, lat. 8878), di Santo Domingo de Silos (Londra, BL, Add. Ms 11695) e di San Isidro di León (Madrid, Bibl. Nac., Vit. 14-2). Nei secc. 12° e 13° la tradizione di Beato ebbe un'ultima grande fioritura, certamente favorita dall'elevato numero di monasteri di nuova fondazione (soprattutto cistercensi) che commissionarono nuovi esemplari, in parte riccamente illustrati, di questo testo che godeva di alta considerazione nella cultura monastica della penisola iberica. A questo proposito si possono menzionare i manoscritti dei monasteri cistercensi di San Andrés de Arroyo (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 2290, inizio del sec. 13°) e di Las Huelgas (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 429, del 1220). Nei manoscritti tardi di Beato si nota a volte anche un influsso della tradizione delle A. non spagnole, come per es. nel codice di Navarra a Parigi (BN, nouv. acq. lat. 1366, fine del sec. 12°). I motivi dell'ininterrotta 'popolarità' dei manoscritti di Beato nei secc. 12° e 13° sono da ricercare non tanto nel testo, che all'epoca era ormai superato, quanto piuttosto nella straordinaria ricchezza delle immagini, il cui schematismo concettuale ben si accordava con le tendenze astrattive dell'arte romanica. Nella nuova arte gotica più 'realistica', infatti, esso non trova più un equivalente e con il diffondersi e l'affermarsi dello stile gotico e con il prevalere del mecenatismo cortese la secolare tradizione dei manoscritti di Beato si estinse. L'influsso di questa tradizione su altri manoscritti fu più limitato di quanto generalmente si creda. In Spagna rimase circoscritto essenzialmente al regno delle Asturie-León (da dove proviene anche la maggior parte dei manoscritti di Beato pervenuti). Esempi di questo influsso si trovano già nel sec. 10° in manoscritti dei centri scrittorî castigliani di Valeránica e Millán de la Cogolla (i Moralia in Iob del 945 a Madrid, Bibl. Nac., 80; il Codice di Rodha, della fine del sec. 10°, Madrid, Real Acad. Historia, 78). Questo influsso prosegue negli affreschi della volta del Panteón de los Reyes a San Isidro di León (inizio del sec. 12°), inoltre in un mappamondo della fine del sec. 12° del convento castigliano di Oña (Milano, Bibl. Ambrosiana, F. 105 sup.) e, infine, verso la fine del sec. 13° in una Bibbia del monastero di Uclés nella Nuova Castiglia (Madrid, Bibl. Nac., 922-925). In Catalogna l'influsso della tradizione di Beato è limitato al codice di León conservato a Gerona (Mus. de la Catedral, Arch. y Bibl., 7) che giunse in questa città solo nel corso del sec. 11° e nel 12° vi servì da modello per un manoscritto catalano di Beato (Torino, Bibl. Naz., I. II. 1) e per un capitello del chiostro della cattedrale di Gerona.Fuori di Spagna l'influsso delle illustrazioni al commento di Beato fu ancor più episodico. Oltre a influenze sporadiche nella scultura monumentale romanica della Francia (chiostro di Saint-Pierre a Moissac, portale di La Lande-de-Fronsac), sono documentabili prestiti evidenti della tradizione di Beato solo nei dipinti murali romanici di S. Pietro al Monte a Civate presso Como (1100 ca.) e in alcune miniature dell'A. inglese della prima età gotica conservata a Cambridge (Trinity College, R. 16. 2, intorno al 1250-1260). La presenza di tali prestiti da Beato è dovuta evidentemente, per quanto riguarda Civate, ai propositi didattico-esegetici dei committenti e per quanto riguarda l'A. di Cambridge a scelte artistiche del miniatore.

Cicli gotici

Intorno alla metà del sec. 13°, con l'esaurirsi della tradizione altomedievale, si assiste alla formazione di nuovi filoni gotici che caratterizzarono poi la raffigurazione dell'A. fino alla fine del Medioevo. Va menzionata in primo luogo la tradizione dei cicli inglesi, che si trovano inizialmente in A. dette 'anglonormanne' o 'anglofrancesi', perché il loro testo è spesso redatto in anglonormanno o in francese antico - all'epoca lingua corrente della nobilità inglese - e perché esse erano diffuse soprattutto in Inghilterra e in Francia. Questa nuova tradizione si formò in Inghilterra intorno al 1240 a partire da un esemplare presumibilmente romanico della famiglia III, in un clima legato alle aspettative e alle controversie provocate dall'esegesi storico-profetica dell'A. di Gioacchino da Fiore (m. 1202). Sulla base delle profezie gioachimite molti aspettavano intorno al 1260 l'arrivo dell'Anticristo e l'inizio della nuova età dello Spirito Santo. L'archetipo della tradizione inglese è stato in un primo momento soltanto un semplice ciclo figurativo con brevi citazioni dell'A. ed excerpta del commento di Berengaudo (sec. 11°) utilizzati come note marginali: per es. nei manoscritti del 'gruppo Morgan' (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 524; Oxford, Bodl. Lib., Auct. D. 4. 17). Questo ciclo figurativo dell'archetipo venne ben presto collegato al testo integrale dell'A. e a più ampi estratti del commento di Berengaudo e le immagini vennero collocate a metà pagina sopra il testo (così già intorno al 1245-1255 in un altro codice del 'gruppo Morgan', Parigi, BN, fr. 403). Il ciclo inglese, che comprende da ottanta a cento illustrazioni, include spesso anche immagini con storie dell'Anticristo e scene della Vita apocrifa dell'evangelista Giovanni. Queste ultime sono per lo più poste o prima o dopo rispetto al ciclo apocalittico vero e proprio, cosicché anche l'illustrazione dell'A. assume alcuni tratti agiografici. Verso la fine del sec. 13° la tradizione del ciclo inglese si estese alla Francia settentrionale e alle Fiandre e nel 14°, infine, si diffuse anche nel resto d'Europa. Sono conservati complessivamente, per il periodo compreso fra il sec. 13° e il 15°, quasi cento manoscritti di questa tradizione che si sviluppò diramandosi in numerosi gruppi e sottogruppi. Dopo una fase puramente didattico-esegetica (dovuta soprattutto al tipo di committenza, clericale e monastica), nei cicli inglesi emersero ben presto anche forti tendenze cavalleresco-cortesi. Le A. inglesi vennero infatti commissionate in misura crescente anche da cerchie aristocratiche e cortesi come manoscritti di lusso e utilizzate sia per edificazione privata sia come forma di intrattenimento colto. Dal 'gruppo Morgan' dell'archetipo si sviluppò, alla metà del sec. 13°, il 'gruppo di Metz' di impronta clericale (già Metz, Bibl. Mun., Salis 38; Londra, Lamb., 209; Lisbona, Mus. Calouste Gulbenkian, L.A. 139); subito dopo dalle tradizioni dell'archetipo e del 'gruppo di Metz' si formò il 'gruppo di Westminster' di orientamento cortese (Malibu, J. Paul Getty Mus., Ludwig III 1; Oxford, Bodl. Lib., Douce 180). Dalla tradizione di Metz derivano anche due sottogruppi più tardi del sec. 14°: le A. provenienti dalla regione di Fens nell'Inghilterra orientale (fra le altre Oxford, Bodl. Lib., Canon bibl. lat. 62) e il gruppo localizzato nella Normandia francese che ha per fulcro l'A. dei Cloisters (New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters). L'A. del Trinity College di Cambridge (R. 16. 2) costituisce una summa dei primi cicli inglesi, dato che fonde in una sintesi convincente modelli dei gruppi di Metz e di Westminster con prestiti tratti dall'illustrazione di Beato. Verso la fine del sec. 13° il tipo dell'A. del Trinity College venne ripreso in forma ridotta e semplificata dalle A. inglesi redatte in una versione in prosa in francese antico (Londra, Lamb., 75; Parigi, BN, fr. 9574). Similmente il 'gruppo di Westminster' costituì intorno al 1300 la premessa per le A. in versi in francese antico (per es. Oxford, Bodl. Lib., Ashmole 753) e più tardi, nel sec. 15°, per i dipinti murali nella sala capitolare dell'abbazia di Westminster. Verso la fine del sec. 13° si formò un altro sottogruppo inglese da elementi della tradizione di Metz (già Basilea, Coll. Burckhardt-Wildt; Firenze, Laur., Ashb. 415; Londra, BL, Add. Ms 22493). Un manoscritto perduto di questo sottogruppo più tardo deve essere stato il modello usato per il famoso arazzo dell'A. di Angers (Château, Mus. des Tapisseries, Gal. de l'Apocalypse), eseguito per incarico del duca Luigi I d'Angiò, tra il 1375 e il 1379, nelle officine parigine di Robert Poisson in base agli schizzi del pittore fiammingo Jean de Bandol (Hennequin di Bruges). Il modello del ciclo inglese un po' povero e mediocre venne splendidamente tradotto nel genere monumentale degli arazzi e nel leggiadro stile cortese dell'arte franco-fiamminga.Indipendentemente da quelle inglesi anche sul continente furono elaborati nel sec. 13° diversi cicli gotici dell'A. sulla base della famiglia romanica III. Nacque così, intorno al 1220-1230 a Parigi, l'illustrazione dell'A. della Bible moralisée, una grande Bibbia miniata, creata per ordine della casa reale francese, con illustrazione parallela del testo e del commento in forma di piccoli medaglioni posti uno accanto all'altro (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 1179; Toledo, tesoro della cattedrale, III; Londra, BL, Harley 1527). Alle ca. centocinquanta scene dell'A. si contrappone uno stesso numero di immagini di commento di tipo esegetico-moralistico. Anche un altro ciclo francese - le sculture del portale sud della facciata della cattedrale di Reims risalenti agli anni sessanta del Duecento (oltre cento scene dell'A. e della Vita di Giovanni) - fu realizzato in gran parte in base a un esemplare della famiglia pregotica III. Probabilmente qui fece da modello effettivo la copia gotica, nata poco prima nella stessa zona, del Liber floridus proveniente dalla certosa di Montdieu presso Reims (Parigi, BN, lat. 8865).Anche i cicli gotici dell'A. creati in territori di lingua tedesca si basavano in gran parte su modelli precedenti, in particolare sulla famiglia romanica III. Questo vale per l'illustrazione del commento dell'A. redatto nel 1242 dal minorita Alessandro di Brema, il cui ciclo iconografico comprendente ottantacinque miniature intese tradurre per la prima volta in immagini l'intera interpretazione storico-profetica dell'A. di Giovanni data da Gioacchino da Fiore (Praga, Kapitulni Kníhovna, Cim. 5; Dresda, Staatsbibl., A. 117; Breslavia, Bibl. Uniw., I Q 19). L'illustrazione strettamente letterale dell'esegesi storica e allegorica del testo avviene attraverso l'identificazione delle figure dell'A. con personaggi storici per mezzo dell'aggiunta di una seconda testa con i relativi attributi: così nella scena dei quattro venti trattenuti dagli angeli (Ag. 7, 1-2), dietro alla testa dell'angelo del sole appare il capo dell'imperatore cristiano Costantino, mentre i quattro angeli del vento hanno i volti degli imperatori pagani Massimo, Massenzio, Licinio e Severo. Il commento di Alessandro, benché conservato solo in poche copie, esercitò ugualmente una certa influenza: sulla base delle sue illustrazioni, infatti, furono realizzate le immagini dell'A. di un altare a sportelli di grandi dimensioni, dipinti intorno al 1400 nell'officina amburghese di maestro Bertram. Anche il ciclo composto da trentadue miniature della Bibbia praghese di Velislav della metà del sec. 14° (Praga, Státni Kníhovna, XXIII C 124) potrebbe essere stato influenzato dall'illustrazione del commento di Alessandro o almeno risalire a esemplari analoghi. Gli affreschi coevi dell'A. che decorano la cappella dedicata alla Vergine nella fortezza di Karlštejn vicino a Praga (1357-1361 ca.) hanno invece le loro radici in altre tradizioni derivanti certamente dall'Italia e in rapporto con l'iconografia imperiale di Carlo IV, improntata alla storia della Salvezza, che caratterizza tutto l'arredo della fortezza. Anche l'illustrazione dell'A. dell'Ordine teutonico di Heinrich von Hesler (una versificazione dell'A. in lingua tedesca redatta intorno al 1310) occupa un posto particolare, ma potrebbe presupporre la conoscenza del commento di Alessandro (Kaliningrad, Staatsbibl., 891 e 891b; Stoccarda, Württembergische Landesbibl., HB XIII. poet. germ. 11). Nelle immagini traspare a volte la specifica ideologia degli ordini cavallereschi tedeschi, così nell'illustrazione delle battaglie contro Gog e Magog è possibile vedere anche un cavaliere dell'Ordine con la croce sul mantello bianco, mentre la scena immediatamente successiva rappresenta il Battesimo dei pagani e degli ebrei da parte dei cavalieri dell'Ordine nei territori orientali di recente conquista.Una tradizione trecentesca specificamente italiana indipendente dai cicli inglesi e tedeschi è rappresentata dai cicli napoletani dell'A. del sec. 14°, i cui inizi sono da ricercare certamente nell'opera di Cimabue e Giotto. Gli affreschi monumentali dell'A. eseguiti da Cimabue e dalla sua bottega, tra il 1277 e il 1280, nel transetto meridionale della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi consistono in poche scene, in ognuna delle quali compaiono angeli (l'Adorazione dell'agnello da parte dei vegliardi e degli angeli, gli Angeli dei quattro venti e l'angelo del sole, i Sette angeli con le trombe e l'angelo con il turibolo, la Caduta di Babilonia e l'angelo annunciante, la Lotta degli angeli contro il drago). Poiché il transetto meridionale aveva l'altare consacrato all'arcangelo Michele (ed era detto quindi anche cappella dell'Angelo), la scelta dei soggetti apocalittici doveva essere evidentemente in rapporto con la liturgia delle feste dell'Angelo e la loro esegesi, per es. di Bonaventura (De sanctis Angelis, in Opera omnia, IX, Quaracchi 1901, pp. 609-631); essi non vanno dunque affatto intesi come propaganda antipapale di stampo francescano-radicale, come si è a volte supposto. Gli affreschi dell'A. che Giotto avrebbe eseguito a S. Chiara durante il suo soggiorno a Napoli (1328-1332) per il re Roberto d'Angiò non sono conservati. Tuttavia quelli con lo stesso soggetto nella cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze (intorno al 1335) e le pitture murali dell'A. a S. Maria Donnaregina di Napoli, eseguite dopo il 1317 da pittori romani anonimi, dimostrano paralleli così evidenti con i cicli napoletani più tardi (per es. nel modo di disporre le scene o nella posizione accovacciata di Giovanni a Patmos) da far ritenere che anche gli affreschi perduti di Giotto a S. Chiara potessero rientrare nella medesima tradizione. I capolavori di questa tradizione sono due tavole di piccolo formato della scuola napoletana, risalenti agli anni tra il 1330 e il 1340 ca. (Stoccarda, Staatsgal.), in cui compaiono, su un fondo blu scuro e su quattro registri, complessivamente quarantaquattro scene dell'A. dipinte a colori chiari. L'iconografia di queste tavole ritorna sia nei cicli dei manoscritti napoletani della metà e del secondo cinquantennio del sec. 14° (per es. nella Bibbia Hamilton a Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kupferstichkab., 78. E. 3), sia nei dipinti murali e su tavola dell'Italia settentrionale risalenti alla fine del sec. 14° (affreschi di Giusto de' Menabuoi nel battistero di Padova del 1378; tavole di un polittico di Torcello, opera di Jacobello Alberegno della fine del sec. 14° nel Mus. Correr a Venezia). Questa tradizione è specificamente italiana, ma lasciò tracce anche fuori d'Italia: per es., già alla metà del sec. 14°, negli affreschi boemi della fortezza di Karlštejn e poi, nel sec. 15°, nella seconda parte, eseguita a partire dal 1482 da Jean Colombe, dell'A. di casa Savoia (Escorial, Bibl., E. Vitr. V); sull'ala destra dell'altare di S. Caterina di Hans Memling (1475-1479, Bruges, Memlingmus.-Sint-Janshospitaal) e, infine, intorno al 1500, nell'icona russa del maestro Dionisii nella Cattedrale della Dormizione a Mosca.

Libri xilografici e bibbie a stampa nel periodo tardogotico

Le più antiche A. a stampa illustrate sono i libri xilografici ottenuti come stampe da matrici incise in legno con procedimento di pressione a mano. Furono redatti nel secondo quarto del sec. 15° nei Paesi Bassi (forse a Haarlem), in base a un manoscritto illustrato fiammingo dell'A. appartenente al tipo dei più antichi cicli inglesi ('gruppo Morgan'), la cui nuova versione modificata del sec. 15° si rispecchia anche in alcune A. coeve, fiamminghe e tedesche (per es. New York, Pierp. Morgan Lib., M. 133; Chantilly, Mus. Condé, 28; Londra, BL, Add. Ms 38121 e Add. Ms 19896; Londra, Wellcome Inst. for the History of Medicine Lib., 49). I libri xilografici dell'A. mostrano, in uno stile semplificato di lineare espressività, oltre novanta scene dell'A. e della Vita di Giovanni su quarantotto o cinquanta tavole per lo più divise orizzontalmente. All'interno delle immagini si trovano citazioni della Bibbia e glosse esplicative in latino. Gli oltre sessanta esemplari pervenuti documentano l'ampia diffusione di questi libri xilografici nei Paesi Bassi e in Germania, soprattutto fra il pubblico del ceto medio che sapeva leggere e conosceva il latino (in particolare fra il basso clero e la borghesia istruita). La diffusione delle A. xilografiche fu probabilmente in rapporto con l'attività degli ordini riformisti popolari (per es. i Fratelli della vita comune).Più importanti dei libri xilografici furono, per i successivi sviluppi innovativi della grafica a stampa tardogotica, quei manoscritti fiamminghi dell'A. che sintetizzavano le solite ottanta-cento illustrazioni dei cicli inglesi riducendole a poche composizioni iconografiche, come per es. le ventitré miniature a pagina intera di una A. delle Fiandre occidentali risalente al 1400 ca. (Parigi, BN, néerl. 3). Questa tendenza alla semplificazione e alla concentrazione dei tradizionali cicli gotici si fece più netta nell'ultimo quarto del sec. 15° nella serie di xilografie delle bibbie tedesche a stampa. Così nelle illustrazioni della Bibbia tedesca stampata a Colonia nel 1478-1479 presso Heinrich Quentell, la c.d. Bibbia di Colonia, l'intera materia dell'A. è condensata in sole nove immagini, tanto che, per es., i quattro cavalieri di Ap. 6 - che nei libri xilografici erano distinti secondo la tradizione inglese in quattro singoli campi figurativi - vennero rappresentati come un unico corteo di cavalieri in una stessa immagine. Le xilografie della Bibbia di Colonia furono poco dopo riutilizzate nella Bibbia di Norimberga di Anton Koberger (1483) e copiate in ordine inverso di pagina in quelle della Bibbia Grüninger di Strasburgo del 1485.La serie di xilografie della Bibbia Quentell/Koberger e della Bibbia Grüninger e forse anche i libri xilografici dell'A. diedero lo spunto per la famosa serie delle quindici xilografie dell'A. eseguite da Albrecht Dürer e apparse nel 1498 presso la casa editrice dell'incisore contemporaneamente in una edizione tedesca e in una latina (nel 1511 si ebbe una nuova edizione della versione latina con un diverso frontespizio). Dürer riprese le idee figurative e compositive fondamentali delle precedenti bibbie a stampa e dei libri xilografici (soprattutto il principio della concentrazione di più scene in una composizione globale unica oltre a singoli motivi), ma seppe conferire loro, grazie alla sintesi creativa propria al dinamismo lineare tardogotico unita alle capacità di resa realistica del Rinascimento e a una concezione di stampo borghese e umanistico, una forza di persuasione visionaria e un'immediatezza che, pur divenute subito esemplari, non furono più eguagliate (si veda la serie di xilografie di Cranach il Vecchio, Holbein il Giovane, Schäufelein, Altdorfer, ecc.) e che dominarono l'illustrazione occidentale di soggetto apocalittico fino al 19° secolo. Le xilografie di Dürer si situano così esattamente nel punto di passaggio dall'illustrazione medievale a quella moderna dell'Apocalisse.

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