APPENNINO

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

APPENNINO (III, p. 737; App. III,1, p. 115)

Piergiorgio Landini

Come l'area alpina, la fascia appenninica si può definire, ormai, una vera regione-problema per lo sviluppo sociale ed economico: nella penisola italiana, infatti, il divario fra le zone interne e quelle costiere o sub-costiere, sia pianeggianti che collinari, si è andato progressivamente accentuando, specie negli anni Sessanta. E la difficile situazione in cui versa questa montagna si deve a fattori di molteplice natura: fisici e storico-antropici.

In primo luogo, la costituzione per larga parte calcarea o argillosa, con la carenza di circolazione superficiale delle acque, o, per contro, con i ben noti fenomeni di erosione (calanchi), e in genere con la frequenza dei dissesti (frane, alluvioni), rende necessaria un'opera di risanamento idrogeologico i cui risultati positivi si devono prevedere a medio e lungo termine, specie per quanto concerne il rimboschimento. La regolazione dei bacini montani consentirebbe anche il recupero e la migliore utilizzazione di buona parte delle risorse idriche, dato il regime stagionale complessivamente irregolare delle piogge. Finora, tuttavia, la creazione di laghi-serbatoi ha avuto prevalenti scopi di sfruttamento idroelettrico (così nel bacino del Sangro-Aventino, per la fornitura di energia a Roma), e solo in alcuni casi (per es., nel bacino del Chienti) il coordinamento con le esigenze dell'irrigazione e dell'approvvigionamento idrico urbano è abbastanza soddisfacente.

Ma soprattutto va ricordato che buona parte del sistema appenninico ricade nell'area del Mezzogiorno, di cui avverte in pieno i malesseri, con l'aggravante delle condizioni morfologiche e altimetriche. Un interessante saggio di geografia comparata (H. Desplanques) dedicato a uno tra gli elementi più caratteristici dell'A., i bacini intermontani, pone in chiara evidenza il divario fra la sezione centro-settentrionale - che rientra nel contesto della civiltà di tipo urbano dell'Italia centrale, con un'ancora notevole dispersione dell'insediamento come conseguenza di una prevalente conduzione mezzadrile, peraltro in forte declino - e quella meridionale (per es., la conca di Sulmona o Valle Peligna), che proviene dalla matrice del feudalesimo, con un insediamento pressoché esclusivamente accentrato e un'estrema frammentazione in piccole proprietà a conduzione diretta; fenomeno quest'ultimo assai vistoso anche in altre regioni (per es., in Calabria) e dovuto sia alle riforme fondiarie che a tendenze spontanee e a motivazioni socio-economiche. Ma, quel che è più grave, neppure queste aree pianeggianti - a causa delle difficoltà di evoluzione delle strutture agrarie e dei collegamenti - si sottraggono a un progressivo impoverimento demografico, per frenare il quale si sono avviati, in tutta la fascia appenninica, diversi tentativi d'industrializzazione.

A questo punto subentra, però, un altro fattore negativo: la debole consistenza dell'armatura urbana, cioè la carenza - con parziali eccezioni per la Toscana (Arezzo) e per l'Umbria (Perugia, Terni) - di città sufficientemente attrezzate in servizi per favorire la localizzazione di attività produttive, e abbastanza evolute, in senso demografico ed economico, per rappresentare potenziali mercati di consumo. Vengono a mancare, pertanto, le industrie di base con elevata capacità traente, e la stessa siderurgia (San Giovanni Valdarno, Terni, Potenza) non rispecchia certo condizioni tecniche di avanguardia. Né l'insediamento "politico" di qualche grosso stabilimento (FIAT a Sulmona, a Cassino e, in progetto, a Grottaminarda; SIT-Siemens a L'Aquila) consente d'ipotizzare un'effettiva e sostanziale modificazione delle strutture economiche.

Le attività tradizionali, peraltro, non sembrano più in grado di svolgere un ruolo di sostegno delle economie locali, anche se la transumanza - in forma meccanizzata, con il trasporto delle greggi su autocarri - conserva una certa importanza in alcune zone appenniniche del versante adriatico.

La migliore prospettiva, per queste come per altre regioni montane, sembra allora l'incentivazione del turismo e dell'escursionismo, strettamente connessa al miglioramento del sistema di comunicazioni. Esigenza fondamentale è la realizzazione di validi collegamenti trasversali fra le aree metropolitane (Firenze, Ancona, Roma, Pescara, Napoli, Bari, Taranto) e le zone appenniniche: le prime centri di emissione dei flussi turistici, le seconde in grado di migliorare la propria dotazione ricettiva e impiantistica (funivie, cabinovie, bidonvie, sciovie). E in effetti l'apertura del tronco autostradale da Roma per L'Aquila e Avezzano ha favorito lo sviluppo ulteriore delle località abruzzesi di soggiorno montano e di sport invernali.

Nel contempo, l'autostrada Napoli-Bari ha determinato una prima saldatura tra i fasci longitudinali di comunicazioni tirrenico e adriatico. Alle grandi opere viarie (è in fase di realizzazione il traforo del Gran Sasso, pur tra ingenti difficoltà per la natura geologica del massiccio) si dovrebbe affiancare la ristrutturazione della rete ferroviaria - in massima parte ormai superata per la tortuosità dei percorsi, i notevoli dislivelli e la complessiva inadeguatezza alle moderne esigenze del traffico - al fine di agevolare sia la penetrazione dall'esterno che gli spostamenti interni al sistema montuoso: è questa la condizione per un possibile "decollo", anche in senso globale, dell'economia appenninica.

Bibl.: F. Rodolico, L'esplorazione naturalistica dell'Appennino, Firenze 1963; H. Desplanques, Les bassins intérieurs de l'Apennin. Observations de géographie agraire, in Méditerranée, 1971; Atti del convegno sul tema: Moderne vedute sulla geologia dell'Appennino, Roma 1973. Si vedano inoltre, per le singole regioni interessate al sistema appenninico, i volumi della coll. Le regioni d'Italia, Torino, pubbl. a partire dal 1960.

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