Appropinquare

Enciclopedia Dantesca (1970)

appropinquare

Federigo Tollemache

È sempre usato intransitivamente. Se questo latinismo ricorre solo quattro volte nelle opere in volgare, è altrettanto vero che in ciascun caso il contesto indica chiaramente perché D. l'abbia adoperato a preferenza di ‛ appressare ' (v.) o altro verbo di uguale significato.

In Vn XVI 4 dimenticando quello che per appropinquare a tanta gentilezza [della donna] m'addivenia, D. descrive i vari effetti prodotti in lui dalla vicinanza di Beatrice. La solennità dell'espressione rende bene il concetto elevatissimo che il poeta aveva della ‛ gentilissima '. La scelta di a. parrà ancora più naturale qualora si confronti questo passo con quello di XI 2 quando ella [Beatrice] fosse alquanto propinqua al salutare, e XIV 5 Allora fuoro sì distrutti li miei spiriti per la forza che Amore prese veggendosi in tanta propinquitade a la gentilissima donna. In Cv III X 2 quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore, il verbo viene adoperato non tanto per il carattere strettamente filosofico del passo, quanto per il fatto che ricorre nei testi di Aristotele e di s. Tommaso da cui il passo dipende. Si confronti inoltre con Mn I XI 15 omne diligibile tanto magis diligitur, quanto propinquius est diligenti. Analogamente in Cv IV XXVIII 3, in un passo che si rifà a Cicerone. Cfr. inoltre Pd XXXIII 47 E io ch'al fine di tutt'i disii / appropinquava, sì com'io dovea, / l'ardor del desiderio in me finii, dove l'uso del latinismo è richiesto dalla particolare solennità del momento.

Va notato infine che D. usa il verbo latino appropinquare in Mn I XI 15 e 16 e in Quaestio 67, e propinquare in VE I XVI 2, Mn II VIII 8, Quaestio 9.

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