APPROPRIAZIONE INDEBITA

Enciclopedia Italiana (1929)

APPROPRIAZIONE INDEBITA (fr. abus de confiance; sp. apropiación indebida; ted. Unterschlagung; ingl. embezzlement)

Arturo Del Giudice

Tra i delitti contro la proprietà (cod. pen., tit. X) o, più esattamente contro il patrimonio, secondo la terminologia del progetto Rocco del nuovo codice penale (titolo XII), - poiché la legge punitiva tutela anche il possesso separato dalla proprietà - è l'appropriazione indebita. Questa denominazione serve a designare alcune figure criminose, nelle quali l'illecito appropriarsi non avviene mediante l'apprensione (adprehensio) materiale, clandestina o violenta, della cosa altrui, perché questa si trovava già nel possesso di colui che illegittimamente se ne appropria. Si presuppone che il colpevole - prima di commettere il fatto - avesse il possesso, senza la proprietà, della cosa, oggetto materiale del reato di appropriazione.

Le figure criminose che nel codice penale italiano si raggruppano sotto il capo delle appropriazioni indebite sono cinque: a) appropriazione indebita comune, o, secondo altra teminologia, distornamento della cosa affidata; b) abuso di foglio firmato in bianco; c) appropriazione di cosa smarrita; d) appropriazione del tesoro; e) appropriazione di cosa avuta per errore o per caso fortuito.

L'appropriazione indebita in senso stretto, o distornamento di cosa affidata, è il reato commesso da chiunque si appropria, convertendola in profitto di sé o di un terzo, una cosa altrui che gli era stata affidata o consegnata per qualsiasi titolo che importi l'obbligo di restituirla o di farne un uso determinato (art. 447 codice pen.). Questo delitto ha comune con il reato di truffa la consegna della cosa da parte del proprietario, ma se ne differenzia per la natura del consenso con il quale la consegna avviene: nella truffa il consenso di colui che consegna la cosa è viziato per l'artifizio o raggiro che, inducendolo in errore, lo ha indotto a effettuare la consegna; nell'appropriazione indebita quel consenso è stato libero e valido. In entrambi i delitti ricorre la frode, poiché anche nell'appropriazione indebita il colpevole inganna il proprietario della cosa, tradendone la fiducia, dopo averne ottenuta la consegna, onde nel codice penale francese l'appropriazione indebita viene denominata abus de confiance (art. 408). Col reato di furto l'appropriazione indebita ha comuni l'oggetto materiale - cosa (mobile) altrui - e il fine di lucro; ma se ne distingue per la mancanza, in essa, della contrectatio, ossia dell'impossessarsi della cosa altrui, togliendola dal luogo ove si trova. Nel diritto penale romano il delitto di appropriazione indebita fu considerato come furto in senso improprio (prope furtum: Dig. XXXXVII, 2, de furtis, 67 pr.) e anche i pratici la dissero furto improprio. Soggetto attivo del reato d'appropriazione indebita è colui al quale fu affidata o consegnata la cosa altrui, per qualsiasi titolo che importi l'obbligo di restituirla o farne un uso determinato. All'affidamento corrisponde l'obbligo di restituire la cosa; alla consegna quello di farne un uso determinato. Soggetto passivo è il proprietario, che conserva il dominio della suddetta cosa, per quanto questa sia nel possesso materiale del soggetto attivo del reato. L'elemento psichico consiste nella volontà consapevole di appropriazione della cosa altrui e nel fine di trarne un illecito profitto, il qual fine resta escluso dall'intento di recuperare il proprio ed evitare a sé un danno. L'elemento materiale è dato dall'appropriarsi la suindicata cosa, violando l'essenza di un patto fiduciario (deposito, mandato, pegno, comodato, locazione di cosa mobile, esazione, custodia, amministrazione) con il convertire la cosa medesima in profitto proprio o di un terzo, senza averne diritto. Il momento consumativo è nell'appropriazione, ossia nel fatto del distornamento, che importa l'impossibilità di restituire la cosa (non basta il momentaneo uso di essa).

Non si procede che a querela di parte. Si procede d'ufficio e la pena della reclusione si aggrava (art. 419), quando l'appropriazione abbia come oggetto cose affidate o consegnate per ragione di professione, industria, commercio, azienda, ufficio, servizio e deposito necessario. L'aggravamento di pena e la perseguibilità d'ufficio si spiegano per la ragione che, in tali casi, l'affidamento o la consegna avvenne per fiducia sì, ma non spontanea, del soggetto passivo, il quale fu determinato ad affidare o consegnare dalla qualità del colpevole. Tra l'esercizio delle attribuzioni inerenti a una delle suddette qualità e l'affidamento o la consegna è necessario interceda un rapporto causale, per cui quell'esercizio funzionale sia la ragione unica o prevalente (causa), che determini il proprietario, o chi per lui, ad affidare o consegnare la cosa al colpevole. Tal fatto può verificarsi o per necessità (deposito necessario), o per la speciale fiducia che, per il suddetto esercizio funzionale, ispira la persona cui la cosa si affida o si consegna. Nel fatto si nota un più alto grado di criminosità, perché il colpevole viola il dovere di una più rigorosa probità imposta dalla circostanza di aver ricevuto l'affidamento o la consegna in conseguenza di una necessità.

L'abuso di foglio firmato in bianco si ha quando chiunque, abusando di un foglio firmato in bianco, a lui affidato con l'obbligo di restituirlo o di farne un uso determinato, vi scrive o fa scrivere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico a danno di chi firmò quel foglio (art. 418 cod. pen.). Una condizione, che funziona da presupposto del reato, è che il foglio in bianco porti la sola sottoscrizione. Se il foglio non sia stato affidato, ovvero già contenga una scrittura e vi si aggiunga una clausola o una dichiarazione, si commette falso documentale e non più abuso di foglio in bianco. E se per farsi consegnare il foglio intervenga violenza, si avrà estorsione. In verità il fatto che nel codice penale italiano vigente si prevede come abuso di foglio in bianco, potrebbe rientrare nella classe dei delitti di falso, alla quale categoria lo assegna il progetto preliminare del nuovo codice penale (artt. 484 e 485).

Il codice francese (art. 407) fu il primo ad attribuire prevalente importanza al presupposto dell'affidamento, scorgendovi la caratteristica della frode per l'abuso della fiducia di colui che affidò il foglio, e collocando perciò il reato tra quelli contro la proprietà. Varî codici, tra cui tutti i codici degli ex stati italiani, ad eccezione del toscano, seguirono il criterio adottato nel codice francese, criterio che venne accolto anche nel codice Zanardelli.

Soggetto attivo del reato è colui al quale venne affidato il suddetto foglio; soggetto passivo chi lo firmò. L'elemento psichico è la volontà consapevole di abusare del foglio affidato. L'elemento materiale consiste nello scrivere o fare scrivere su quel foglio, abusivamente, ossia violando il patto di restituire o di farne un uso determinato, un atto che importi qualsiasi effetto giuridico a danno del firmatario. Trattandosi d'un delitto contro il patrimonio, per effetto giuridico deve intendersi quello che importi un danno patrimoniale. Non è necessario che il danno si verifichi o che l'atto si usi per aversi reato consumato, bastando il pericolo del danno, e avverandosi la consumazione nel momento in cui il foglio firmato in bianco siasi distratto dall'uso cui era destinato, riempiendolo abusivamente, e così creando l'atto. Questo però deve importare pericolo di danno, ossia deve avere idoneità a produrlo. Si procede a querela di parte; ma, ove ricorrano le circostanze aggravanti già esaminate in rapporto all'appropriazione indebita propriamente detta, si procede d'ufficio e la pena è la stessa di quella comminata per l'appropriazione indebita aggravata.

L'appropriazione indebita di cosa smarrita (art. 420, n.1, cod. pen.) si ha quando alcuno, trovate cose da altri smarrite, se ne appropria senza osservare le prescrizioni della legge civile sull'acquisto della proprietà di cose trovate. Presupposto del reato è il ritrovamento d'una cosa smarrita e perciò, a differenza dell'appropriazione indebita comune, qui il soggetto attivo s'impossessa della cosa altrui, senza prima detenerla. Tale ipotesi criminosa si distingue dal furto perché in essa l'impossessamento non è doloso; il dolo sopravviene, consistendo l'essenza del delitto nella successiva appropriazione. Cosa smarrita è la cosa mobile o semovente uscita dalla sfera di dominio del possessore, senza la volontà del medesimo, e che si trovi in condizione da non poter essere da lui recuperata senza ricerche di dubbio esito e da essere obietto di apprensione, senza violazione di custodia, da parte di chiunque vi s'imbatta. È chiaro pertanto che tali non sono le res derelictae e nullius, delle quali è lecita l'occupazione (art. 711 cod. civ.). Deve trattarsi di res deperdita, che sia vacuae possessionis, ma non vacui dominii, cioè che non si trovi nel possesso né del proprietario, né di un terzo. Non basterebbe perciò che il proprietario o il possessore l'avesse semplicemente dimenticata in qualche luogo, ove gli fosse agevole ritrovarla, o che non rammentasse ove avesse collocata una cosa, rimasta però sempre nella sfera della sua attività. Il ritrovamento della cosa, fuori del possesso di chiunque, deve essere casuale; l'elemento materiale del reato è nel fatto di appropriarsi di quelle cose, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull'acquisto della proprietà delle cose trovate (art. 715 segg. cod. civ.); e il reato si consuma con l'appropriazione, non bastando il ritrovamento ed il semplice impossessamento. Il dolo sta nella volontarietà non solo del fatto dell'appropriazione, ma anche dell'omissione dell'adempimento dei doveri stabiliti dalla legge civile, e nella coscienza di agire illegittimamente. Il reato esulerebbe se alcuno si appropriasse della cosa smarrita con la ragionevole opinione che fosse res derelicta, cosa abbandonata e priva di padrone. La conoscenza deve riferirsi al momento consumativo del reato: quella postuma non avrebbe efficacia d'aggravare il delitto.

L'appropriazione del tesoro si ha se alcuno, trovato un tesoro, si approprî, in tutto o in parte, la quota dovuta al proprietario del fondo ove il tesoro trovavasi (art. 420, n. 2, cod. pen.).

Presupposto del reato è il ritrovamento casuale del tesoro. La definizione del tesoro deve attingersi dal cod. civ., che all'art. 714 dice doversi, per tesoro, intendere qualunque oggetto mobile di pregio che sia nascosto o sotterrato, e del quale nessuno possa provare di essere padrone. La materialità del reato consiste nell'appropriazione, totale o parziale, della quota di tesoro dovuta al proprietario, a norma dell'articolo suindicato del codice civile, ov'è detto che il tesoro appartiene al proprietario del fondo ove si rinviene, e se lo scopritore non sia lo stesso proprietario, spetta per metà a costui e per metà al primo. Mancherebbe il presupposto del reato se lo scopritore fosse un operaio incaricato dal proprietario di ricercare il tesoro: in tal caso, il rinvenimento non sarebbe casuale, e l'operaio, nell'asportare il tesoro, commetterebbe un furto. Commetterebbero altresì furto il terzo che s'impadronisse, invito domino, del tesoro da altri scoperto e il proprietario che si appropriasse della metà spettante all'inventore, poiché questi con la scoperta acquista il dominio e il possesso di detta metà. L'elemento psichico consiste nella volontà consapevole di commettere il suddetto fatto di appropriazione.

L'ultima delle figure di appropriazione indebita è l'appropriazione di cosa avuta per errore o per caso fortuito (art. 420, n. 3. cod. pen.). Quest'ipotesi criminosa non era configurata in alcuno dei codici preesistenti in Italia, ma non era ignota al diritto penale romano (Dig., XXXXVII, 2, de furtis, 21,1; XIII,1, De condictione furtiva, 18) ad alcuni codici stranieri (austriaco, par. 201; belga, art. 308; ungherese, art. 367) e alla dottrina (Carrara). In giurisprudenza si dubitava se il fatto costituisse reato e, in caso affermativo, se di furto o di appropriazione indebita, onde ben fece il legislatore a statuirne espressamente nel codice Zanardelli, e la previsione è ripetuta nel progetto Rocco (art. 666).

Questa speciale ipotesi delittuosa presuppone che il soggetto attivo sia venuto in possesso della cosa altrui esclusivamente in conseguenza di un errore o di un caso fortuito. Esempî della prima ipotesi sono il fatto di colui che si appropria di una cartolina vaglia o di un plico ad altri diretto e a lui consegnato per errore dal portalettere, o di chi, avendo comperata carta fuori uso e avendovi rinvenuto un titolo al portatore, non lo restituisca al venditore. La seconda ipotesi, si ha, ad esempio, nel fatto di appropriarsi di cosa di cui siasi venuto in possesso per alluvione, per uragano o altro disastro.

Se sia un pubblico ufficiale che riceva il non dovuto, giovandosi dell'errore altrui, si ha il reato di concussione (art. 170, capoverso1, cod. pen.) e non quello di appropriazione indebita. L'elemento materiale consiste nell'appropriazione della detta cosa, e l'elemento psichico nel dolo generico di cui sopra è parola.

Per la pena, la circostanza aggravante della conoscenza del proprietario e la necessità della querela, vedi quanto è detto sopra.

Bibl.: Alpi, Appropriazione indebita e furto di tesoro, in Supplem. alla Rivista pen., I (1892), p. 35; Baviera, Appropriazione indebita del colono, in Scuola posit., 1904, p. 681; Borrè, Asportazione dei libri da una biblioteca, in Rivista univ. di giur. e dottrina, IV (1891), p. 107; Campili, Appropriazione di cosa smarrita, in Supplem. alla Riv. pen., XII (1903), p. 5; Campolongo, Abuso di cambiale in bianco, in Giust. pen., 1895, col. 1425; F. Carrara, Consumazione dell'appropriazione della cosa ritrovata, in Opuscoli di diritto criminale, V, Lucca 1874, p. 475; Cigolini, L'appropriazione indebita nell'associazione in partecipazione, in Scuola posit., 1926, p. 42; Del Giudice, Furto e appropriazione indebita di cosa smarrita, in Scuola posit., 1916, p. 634; Diana, Il momento consumativo dell'appropriazione di cosa smarrita, in Foro napoletano, 1899, p. 57; Gismondi, Il "pactum reservati dominii" in rapporto al delitto di appropriazione indebita, in Giust. pen., XV, p. 635; A. Rocco, In tema di abuso di foglio in bianco, in Foro ital., 1899, col 226; id., Intorno al delitto d'abuso di foglio in bianco, in Supplem. alla Riv. pen., VII (1898), p. 226; Santoro-Faiella, Truffa e appropriazione indebita, in Scuola posit., 1892, p. 464.

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