AQUILA

Enciclopedia Italiana (1929)

AQUILA (veramente L'Aquila; ufficialmente Aquila degli Abruzzi; A. T., 24-23-26)

Cesare RIVERA
Roberto ALMAGIA
Tammaro DE MARINIS

La città più importante dell'Abruzzo, capoluogo della provincia omonima (già detta Abruzzo Ulteriore II, v. oltre), a 42° 21′ lat. N. e 0° 56′ long. E. (M. Mario). Sorge all'incirca al centro della grande conca allungata, detta appunto conca aquilana, solcata dall'Aterno, in un punto dove i rilievi che la limitano a N. e NE. (M. Pettino, C. S. Onofrio, M. di Bazzano), più si protendono verso il fiume, a sinistra, mentre di contro, a destra, si erge ripido il M. Luco (990 m.), dimodoché la conca presenta qui come una strozzatura, che la divide in due parti, una superiore e una inferiore. L'Aquila sorge appunto sulle estreme propaggini del colle S. Onofrio (984 m.) che si spianano come in un grande terrazzo, elevato però di oltre 100 m. sull'alveo del fiume, su cui scende poi con pendii piuttosto ripidi; dirimpetto, a SE., si leva il M. Luco. Il punto più alto della città è a 721 m.; la stazione ferroviaria, in basso presso il fiume, è a 611 m. L'Aquila è dunque in posizione favorevole perché a dominio della conca e della strada che la percorre risalendo l'Aterno, una delle più frequentate tra quelle interne della penisola; si aggiunga poi che alla base della collina sgorgano importanti sorgenti, onde già da tempo antico sorgeva qui un luogo abitato, detto appunto Aquiliae o Acculae.

Il clima di Aquila, data la sua posizione in mezzo a una chiostra montuosa (il cui panorama può godersi dalla spianata del Castello o dall'altura di S. Maria di Collemaggio), è caratterizzato da inverni rigidi e lunghi, ma da periodi estivi pure assai lunghi e caldi (onde nella conca e sui suoi fianchi maturano ad es. il mandorlo e altri alberi da frutto fin verso i 1000 m.) e da piogge non abbondanti (poco più di 700 mm. all'anno), con massimo autunnale; nessun mese è veramente secco (v. specchietto qui sotto).

La città attuale sorse soltanto nel sec. XIII (v. oltre): la cerchia murata fu condotta a termine nel 1316. Ma lo sviluppo di Aquila fu assai rapido: si vuole che verso il 1350 raggiungesse i 50-60.000 abitanti, ed allora era ritenuta il maggior centro dell'Italia meridionale, dopo Napoli.

In questi secoli, tuttavia, la città fu frequentemente afflitta da terremoti: uno grave ne subì nel 1315, un altro nel 1347, uno, ancor più funesto, nel dicembre 1456, in seguito al quale, secondo i cronisti, fu "quasi disfatta"; è probabile che l'originario aspetto della città ne risultasse profondamente cambiato. Dalla seconda metà del sec. XV data la decadenza della città, che si accentua dopo la calata di Carlo VIII, e ancor più dopo il 1529. Così gli abitanti erano nel 1532 discesi a meno di 8000, per risalire poi lentamente nel corso del sec. XVI (circa 10.000 nel 1545 e 11.000 nel 1595). Quale fosse l'aspetto della città alla fine del Cinquecento ce lo mostra la pianta, delineata da Girolamo Pico da Fontecchio verso il 1575 e incisa in rame nel 1600 a Roma da Giacomo Lauro, qui riprodotta: la città aveva allora 13 porte; il reticolato regolare delle strade principali si è conservato ancora: le due arterie principali, quella che va dal Castello a Porta Napoli (corso Vittorio Emanuele) e quella da S. Bernardino a Porta Romana si tagliano ad angolo retto, e al loro incrocio è il centro della città; le porte sono però da tempo ridotte a cinque. Il sec. XVII segna un altro periodo di decadenza: la numerazione del 1669 dà poco più di 7000 ab. (1355 fuochi); al principio del secolo seguente sopravviene il tremendo terremoto (febbraio 1703) che provocò la morte di oltre 2000 cittadini e rovinò interi quartieri. La città risorse sullo stesso piano, ma più raccolta, perché alcuni rioni non furono ricostruiti, e per tutto il secolo rimase sotto il peso della gravissima percossa. Alla fine del sec. XVIII si ritiene avesse circa 12.000 ab., cifra forse esagerata, perché i dati del principio del secolo seguente sono notevolmente inferiori. Nel 1830 aveva poco più di 9000 ab., cresciuti poi lentamente nel corso nel secolo XIX (11.000 abitanti nel 1848, 16.600 nel 1871, 18.500 nel 1881, 21.260 nel 1901, 22.000 nel 1911). Più rapido e promettente è l'incremento recente; la città si amplia oggi con nuovi borghi soprattutto verso Porta Napoli, Porta Rivera e Porta Romana, sempre entro l'ambito delle vecchie mura, il cui perimetro misura ben 6 km.; se ha perduto le sue antiche industrie (tranne quella dei merletti, non mai spenta e da qualche decennio anzi ravvivata), ha ancora fabbriche di cera e di cappelli, ecc.; ma conserva prospera soprattutto l'industria armentizia, che dà luogo anche a fiere cittadine importanti. Nel 1921 il comune (esteso allora 144 kmq.) aveva 24.184 ab., dei quali circa 18.000 nel centro; col decreto 29 luglio 1927 furono poi incorporati 8 comuni limitrofi, onde il comune ha oggi (30 giugno 1928), su un'area di 563 kmq., circa 55.500 ab., superando di gran lunga gli altri comuni capoluoghi di provincia abruzzesi.

Monumenti e sviluppo artistico. - Conferisce un particolare carattere alla città il numero notevole di edifici del periodo delle origini e dei periodi successivi, soprattutto chiese, superstiti nonostante la devastazione dei terremoti susseguitisi con dolorosa frequenza dal 1318 al 1915. Insieme con i monumenti più o meno conservati, in ogni strada sono cospicui elementi e ricordi di ornamentazione d'edifici, per modo che dal sec. XIII al XVIII è largamente esemplificata la storia dell'architettura locale. È anche pressoché completa la cinta delle mura, eretta al principio del sec. XIV.

Risale ai primi anni della seconda metà del sec. XIII la chiesa di S. Giusta di Bazzano, ma la facciata è di un secolo più recente; è della fine del XIII la costruzione originaria del Duomo, il quale però è stato rifatto in gran parte nei secc. XVIII-XIX. Il più importante monumento primitivo, la chiesa di S. Maria di Collemaggio (iniziata nel 1283, consacrata nel 1288), è giunto in buono stato, sia pure attraverso successivi restauri, fino a noi. Tipica costruzione dell'arte romanica d'Abruzzo e prototipo di gran parte dell'architettura successiva nella città e fuori, con la facciata rettangolare e il coronamento orizzontale, presenta nell'ornamentazione la traccia di qualche influsso gotico. Ma soprattutto accresce pregio alla facciata l'elegante policromia ottenuta coll'impiego di conci di pietra bianca e rosa disposti a disegni geometrici. Tra gli edifici del sec. XIII va ancora ricordata la chiesa di S. Pietro di Sassa, mentre S. Maria di Paganica, S. Maria di Rojo e S. Domenico sono del principio del XIV.

Tardi e in modo imperfetto penetra nell'architettura aquilana il Rinascimento: la chiesa di S. Bernardino (alla quale si ricollega il ricordo della lunga ed operosa permanenza del Santo di Siena nella città) presenta ancora strane commistioni con ricordi romanici e gotici benché la facciata, opera di Cola dell'Amatrice architetto e pittore, rechi la data 1540. Inoltre bisogna ricordare qualche buon palazzo cinquecentesco (quello Dragonetti-Cappelli e quello Benedetti) e soprattutto il Castello, notevole esempio di architettura militare, eretto nel 1535. Fra i più interessanti esempî di costruzioni barocche, in gran parte posteriori al terremoto spaventoso del 1703 e legate ai modelli contemporanei di Roma e di Napoli, vanno ricordati specialmente i palazzi Quinzi, Antonelli e Centi. Anche qualche chiesa di questo periodo è meritevole di attenzione.

A lungo dominano nella scultura del Quattrocento in Aquila, come del resto in tutto l'Abruzzo, le forme gotiche a opera di artisti dell'alta Italia, o anche addirittura tedeschi: così la tomba di Lodovico Camponeschi (1432) nella chiesa di S. Giuseppe, opera dì Gualtiero de Alemania, e il fonte battesimale del Duomo, scolpito dal milanese Giovanni de' Rettorii e pervenutoci frammentario. Influssi decisamente toscani caratterizzano le prime manifestazioni di scultura del Rinascimento: l'altare di S. Maria del Soccorso si può forse attribuire ad Andrea dell'Aquila (v.), scolaro di Donatello a Napoli, mentre Silvestro di Giacomo da Sulmona cittadino aquilano si mostra seguace a un tempo di Antonio Rossellino e di Desiderio da Settignano, e non immune da influssi di Andrea Bregno. Di Silvestro dell'Aquila (v.) sono la statua in legno di S. Sebastiano al Museo (1478), il monumento del cardinale Agnifili nel Duomo (1480) e il monumento Pereyra-Camponeschi in S. Bernardino (1488). In questa medesima chiesa è da ricordare anche l'Arca del Santo (1505), solo in parte opera di Silvestro. Influssi di Silvestro, insieme con caratteri decisamente veneti, palesa Girolamo da Vicenza nell'Arca di S. Pietro Celestino in S. Maria di Collemaggio (1517).

Saturnino de' Gatti, che è stato anche scultore, reca un'abbastanza fresca corrente pittorica d'impronta umbra, e non immune da ricordi d'Antoniazzo Romano, sulla fine del Quattrocento ad Aquila, dove scarsissimi e di limitato interesse sono i resti di pittura del Trecento e del Quattrocento: a lui va attribuita la tavola della Madonna col Bambino conservata nel Museo. Influssi più decisamente perugineschi dominano, ma non da soli, nella miniatura alla fine del Quattrocento e agl'inizî del Cinquecento, mentre un troppo largo eclettismo toglie pregio ai dipinti di Cola dell'Amatrice, ondeggiante dai ricordi di Carlo Crivelli sino al culto per Michelangelo e Raffaello. L'unico capolavoro del Rinascimento che fosse in Aquila, la Visitazione, dipinta, secondo la tradizione, da Raffaello per la chiesa di S. Silvestro, è ora a Madrid, nel Museo del Prado. Fu venduto nel 1655 al re di Spagna; ed ora è comunemente attribuito alla bottega del maestro.

Alla scultura e alla pittura del Seicento e del Settecento nessun contributo degno di ricordo è portato da artefici aquilani, o almeno particolarmente operosi nella città, dove indifferentemente gli artisti, e non dei migliori, vengono chiamati da Roma, da Firenze, da Napoli, da Venezia.

All'oreficeria sacra, che ha importanza così singolare per la storia delle arti in Abruzzo, Aquila ha recato il più largo contributo con una scuola sua propria, che lavorò almeno dal sec. XV fino a tutto il sec. XVIII: un notevole saggio, la croce processionale di Giovanni Rosecci, è nel Museo. Ma non è dovuto alla scuola locale il più raro esempio di oreficeria conservato in Aquila, la croce processionale di Nicola da Guardiagrele (1434) che trovasi nel tesoro del Duomo.

Due dei più noti intagliatori in legno dell'Abruzzo nel settecento, Bernardino e Ferdinando Mosca da Pescocostanzo, sono rappresentati rispettivamente in S. Bernardino (soffitto e organo) e nel Duomo (coro). Una buona raccolta di maioliche abruzzesi, soprattutto settecentesche, e di Castelli, è nel Museo. Oltre il Museo aquilano, che ha sede nel palazzo comunale, esistono raccolte d'arte nei palazzi Dragonetti, Persichetti, Cappelli, Rivera.

L'arte contemporanea è in Aquila rappresentata soprattutto da un buon numero di pitture di Teofilo Patini da Castel di Sangro (1840-1906), che adornano il Duomo, il palazzo del governo, il palazzo del regio liceo.

Storia. - Le origini della città si ricollegano al movimento di permanente ribellione che tenne dietro alla forzata annessione delle terre d'Abruzzo alla corona di Ruggero II, re normanno di Sicilia (v. abruzzo). Le popolazioni favorirono straordinariamente la rivolta del conte di Loritello e poi la penetrazione degl'imperiali prima e dopo l'estinzione della dinastia normanna. La reazione centrifuga culminò ai tempi di Federico II, prima con la rivolta di Pietro, conte di Celano, poi con quella del suo successore Tommaso e finalmente con la ribellione generale contro Federico, allorché questi, già scomunicato, partì per la crociata del 1228. Tommaso allora rientrò; i signori di Poppleto, nel contado amiternino, si ribellarono; e tutto l'Abruzzo fu in armi. Appunto in questa occasione, Gregorio IX, il 7 settembre 1229, dichiarando demanio della Chiesa le terre d'Amiterno e di Forcone, esortava a fondare colà una nuova città indipendente ad locum Acculae. Il duca di Spoleto, Rainaldo, riassoggettò ben presto le terre ribelli; ma, essendo Bertoldo suo fratello stato imprigionato da Federico, reduce dall'Oriente, Rainaldo chiamò di nuovo in armi la regione e si fortificò ad Antrodoco. La ribellione si riaccese, allorché Federico, nel 1237, dové recarsi in Lombardia; Tommaso tornò ad appoggiare i Poppletani e Federico dovette venire personalmente a domare i ribelli. E allora egli avrebbe fatto propria l'idea di Gregorio IX ed emanato a tale scopo un diploma: diploma che, non datato né firmato, è di assai discussa autenticità. Ad ogni modo, la fondazione della città non avvenne vivente Federico. Le pratiche ricominciarono dopo la sua morte; e si vuole che Corrado alfine emanasse il desiderato diploma. La realtà è che, nel 1254, i popolani si sbarazzano dei feudatarî imperiali e dànno mano senz'altro alla fondazione della nuova città. Alessandro IV la riconosce come comune in statu libertatis, la pone sotto la sua protezione, la incita a resistere a Manfredi e vi trasferisce da Forcone, nel 1257, la sede vescovile alla cui autorità poco dopo anche il clero amiternino si sottomette. Sennonché Manfredi, riacquistato due anni dopo il sopravvento, assale la città e, fuggiti gli abitanti, la distrugge.

All'avvento di Carlo d'Angiò, gli abitanti dispersi chiesero il permesso di riedificare Aquila. Il vescovo reatino e i baroni ricorsero a Clemente IV, il quale, nel 1265, lamentando le stragi di feudatarî operate dai popolani, raccomandò prima a Carlo prudenza e giustizia; poi, meglio informato, tornò a scrivere al re in favore della città. Carlo, nonostante l'opposizione dei baroni, concesse la riedificazione; e la città, nel 1266, risorse, come libero comune, dalla federazione dei castelli dei due antichi contadi d'Amiterno e di Forcone: sorse sui tre colli, nel cui pendio occidentale era il villaggio di Accule, tra i territorî di Pile, Santanza, Gignano e Torre. Le popolazioni federate si trasportarono in tutto o in parte nella città ove ciascuna ebbe, entro le mura, un locale, dal nome del castello d'origine, in cui costruì la propria chiesa, la piazza e il fonte. Le università, o castelli federati, giunsero dapprima a 68, poi a 99 e ciascuna eleggeva ogni anno il proprio sindaco (secondo la popolare tradizione, invece, i castelli sarebbero stati 99 fin dall'inizio: 99 cannelle reca la fontana della Rivera, costruita da Tancredi da Pentima, e giunta a noi poco alterata; ancora oggi a due ore di notte la campana del Comune suona 99 rintocchi). L'unione dei sindaci formava la camera della città a cui era preposto un camerlengo, che n'era il capo. Fra i nobili presentati dal magistrato il re nominava il capitano: questi esercitava il potere esecutivo, ma era tenuto a render conto al magistrato cittadino. In tale stato di autonomia, la città poté esplicare un'intensa attività, anche in opposizione ai poteri centrali. La sua forza crebbe tanto da permetterle di armare eserciti, dichiarar guerra e stipular trattati di propria autorità, assalire le superstiti ròcche feudali. Così, sebbene Clemente IV intervenisse di nuovo, su protesta del vescovo reatino, il movimento di affrancamento continuò sotto la condotta del fiero tribuno Niccolò dall'Isola, il quale, fra l'entusiasmo popolare, fu proclamato "cavaliere del popolo". Carlo II, insospettito, volle sopprimerlo senza riuscirvi: suo figlio, Carlo Martello, lo sostituì con Gentile di Sangro che poté avvelenare Niccolò. Ne nacquero tumulti e poi lotte tra quartieri, le quali peraltro posarono, allorché, nel 1294, alla presenza di due re, delle due corti e del sacro collegio, fu celebrata in Aquila, nella basilica di Collemaggio, l'incoronazione dell'eremita Pietro d'Angelerio, eletto papa col nome di Celestino V.

Intanto la città s'ingrandiva e s'abbelliva: molte terre e ville venivano annesse al contado e gli abitanti trasportati in città; poco dopo, il capitano Guelfo de Lucca costruiva la grandiosa fontana della Rivera, e, verso il 1305, gli acquedotti cittadini. Nel 1308, Carlo II, che aveva già donato ai domenicani la reggia a lui destinata, fece erigere la vicina chiesa di S. Domenico; e dopo di lui, non vi fu quasi sovrano in Napoli che non visitasse la città e la colmasse di privilegi. Nel 1344, Aquila volle una propria zecca, che coniò dal 1382 al 1556, con lo stemma cittadino, ben 232 tipi di monete, e fu la più feconda nel regno dopo quella di Napoli. Intanto guerreggiava contro i vicini e specie contro Rieti e Amatrice, difesa dagli Spoletini. Ormai, Aquila diventava l'arbitra della politica in tutta la regione; era considerata come la prima città dopo Napoli e i re la temevano e la trattavano più come alleata che come suddita, ad essa ricorrendo nelle necessità più impellenti, politiche e finanziarie. Allorché Andrea, marito di Giovanna I, cadde assassinato, Aquila accolse fra le sue mura Ludovico re di Ungheria, fratello di lui, costringendo poi alla fuga Carlo di Durazzo, che l'aveva assediata. Tornata fedele alla reduce regina, Aquila si ribellò a Luigi di Taranto allorché questi fece trucidare il suo cittadino Lalle Camponeschi (v. campoveschi) conte di Montorio, connestabile del regno.

In questo tempo, venne istituito il magistrato dei quinqueviri, composto dei 5 rappresentanti delle Arti, sostituito all'antico magistrato dei 68; e il contado e la diocesi aquilana s'ampliarono con l'annessione di molte terre valvensi e della diocesi reatina. Miglioravano nel contempo anche le condizioni economiche della città.

Fiorivano nel contado l'industria degli ovini e l'allevamento del baco da seta, per cui il lanificio e il setificio - più tardi anche la fabbricazione di telerie - assunsero in città grande sviluppo, dando incremento ad un commercio di larga estensione. Sin dal secolo XIII, poi, si era introdotta nel contado la coltura dello zafferano, il cui commercio, dal sec. XIV in poi, costituì una delle maggiori fonti di ricchezza per gli abitanti; gran fama ebbe poi la lavorazione dei merletti all'uso di Fiandra, ed in fiore erano anche le industrie del cuoio e i lavori in metallo. Colonie di Veneziani, Fiorentini, Milanesi, più tardi anche di Alemanni si costituirono nella città, che specialmente per il commercio di lana, seta e zafferano si manteneva in strette relazioni con Firenze, Genova, Venezia, e anche con paesi esteri, a cui inviava i proprî prodotti. Ma non erano infrequenti le ribellioni nel suo contado, sedate nel sangue; mentre i partiti dei guelfi e dei ghibellini tenevano in agitazione la città, e risorgevano le inimicizie fra le famiglie più potenti. Nello scisma d'Occidente (1378), la città tenne in parte per la regina Giovanna e quindi per l'antipapa Clemente VII, in parte per Urbano VI e per Carlo di Durazzo. Donde disordini e sangue, entro le mura e fuori. Quando Carlo fece strangolare la regina Giovanna, nel 1382, Aquila acclamò re Luigi d'Angiò e fece coniare monete col suo nome; poi, alla morte di Luigi, acclamò Luigi II suo figlio, incoronato ad Avignone. Solo quando Luigi abbandonò il regno, la città venne a patti con Ladislao che dovette confermarle privilegi e statuti. Ma, venuto in Aquila, egli l'obbligò a costruire un fortilizio e a batter moneta col suo nome. Più tardi, tuttavia, la città venne a patti con Jacopo Caldora che l'aveva assediata per ordine di Giovanna II e ottenne di poter distruggere il fortilizio.

Più grave pericolo minacciò Aquila nel terzo decennio del sec. XV: ché ad essa mirava Braccio da Montone, il quale si andava costituendo un forte dominio nell'Italia centrale. Aquila gli tenne testa, mentre Muzio Attendolo Sforza, che accorreva in aiuto alla città, affogava nel Pescara; e dopo un lungo assedio, in una memoranda battaglia il 2 giugno 1424, Braccio cadde ferito in mano degli assediati, soccombendo tre giorni dopo. Seguirono le lotte tra Angioini e Aragonesi, durante le quali la città parteggiò ostinatamente per i primi, sì che Alfonso d'Aragona la taglieggiò crudelmente; e anche nella "guerra dei baroni", Aquila tornò a ribellarsi: il 17 ottobre 1485, si diede al papa coniando monete col motto Aquilana Libertas. Ma l'anno seguente Alfonso duca di Calabria la sottometteva di nuovo. Intanto era sorto in Aquila uno Studio generale come quelli di Bologna, Siena e Perugia, il quale ebbe poi vita lunga, prospera e non ingloriosa. Nel 1482 era stata aperta nella città una delle prime tipografie per opera di Adamo di Rottwil, allievo del Gutenberg (v. sotto). La città era all'apogeo della sua potenza.

Nel periodo delle grandi guerre d'Italia, Aquila, che aveva nel 1495 inviato ambasciatori a Carlo VIII di Francia, accettandone il dominio, riconobbe nel 1503 il governo spagnolo. Durante la spedizione del Lautrec (1527-1528), gli Aquilani si diedero ai Francesi; ma subito dopo, stanchi per le requisizioni, le taglie, i saccheggi, tornarono all'obbedienza di Carlo V. Sennonché, essendo stata opposta resistenza alle truppe imperiali venute ad occupare la città, il viceré Filiberto di Châlons, principe d'Orange, entrò il 2 febbraio 1529 con l'esercito imperiale nella città, devastandola e saccheggiandola. Ad Aquila venne imposta una taglia, per pagare la quale si dovettero spogliare le chiese e i privati; il territorio aquilano fu diviso fra capitani spagnoli, gli uffici venduti a forestieri. Aquila perdette per sempre la sua autonomia e cominciò a decadere. Durante quasi tre secoli, essa era stata continuamente travagliata da lotte intestine; terremoti disastrosi nel 1315, 1349, 1452 e 1501 l'avevano prostrata; epidemie micidiali nel 1362, 1375, 1464, 1478, 1501 e nello stesso anno 1529 l'avevano funestata. Eppure essa, con mirabile vitalità, era sempre risorta più alacre e più potente. Ma questa volta non si riebbe più. Un formidabile castello fu eretto ed armato ad reprimendam audaciam Aquilanorum, a spese del comune e abbattendo un intero quartiere. Le atrocità e le spogliazioni continuarono, nonostante le ambascierie a Carlo V. Nel 1871, fu inviata a governare la città Margherita d'Austria, figlia naturale dell'imperatore; nel 1641, vi si stabilì l'udienza reale per l'Abruzzo ultra: ma tutto questo non rese alla città che uno splendore apparente. Le continue ribellioni si alternavano con le più feroci repressioni, il banditismo funestava le campagne. Moti più gravi precorsero la rivolta napoletana di Masaniello e il fiore del patriziato fu suppliziato. Il terremoto del 1646 e poi quello disastrosissimo del 1703 compirono l'opera di prostrazione della città. Questa poté risollevarsi solo con l'avvento sul trono di Napoli dei Borboni di Spagna: un periodo di benessere, fecondo di riforme e di lavori pubblici, tenne dietro all'avvento di Carlo III al potere. Lo interruppero gli eventi del 1799. Aquila e l'Abruzzo insorsero contro i Francesi, ma la città fu sottoposta al saccheggio e alla strage. E non benefico fu il regime bonapartiano-murattiano, che iniziò il diboscamento delle montagne, disperse gli archivî dei monasteri, depredò le opere d'arte. Restaurato il governo borbonico, Aquila fu centro dei moti del 1821, del 1831 e del 1841. Quelli del 1848 vi trovarono eco fortissima. L'8 settembre 1860, entrato già a Napoli Garibaldi, fu proclamata in Aquila l'annessione al regno d'Italia; e la città, ch'ebbe a risentire i tristi effetti del brigantaggio, seguì da allora le vicende del regno.

Gl'incunaboli di Aquila. - Fra le piccole città italiane, che produssero libri a stampa nel sec. XV, Aquila è forse la più nota per una preziosa edizione di un volgarizzamento di Esopo, illustrato da figure incise in legno, apparso nel 1493 a cura di una società di tipografi formata da Eusanio De Stella, Jean Picard e Louis de Masson. Di essa si conoscono i soli esemplari delle biblioteche nazionali di Torino e di Parigi, dell'università di Camhridge e della biblioteca di Pierpont Morgan in New York; due esemplari incompleti sono nella Biblioteca Corsiniana di Roma e nella Staatsbibliothek di Monaco, ed un frammento di poche carte al British Museum. Ma l'arte della stampa era stata introdotta in Aquila assai prima dal tedesco Adamo di Rottwil. Ottenuto il privilegio in data 3 novembre 1481 (cfr. T. De Marinis in Boll. d. Soc. Storica Abruzzese, 1897) il 16 settembre dell'anno seguente egli pubblicò le Vite di Plutarco tradotte in volgare da Batt. Al. Iaconello di Rieti: edizione molto bella, impressa con tipi originali.

La provincia di Aquila (o Abruzzo Ulteriore II). - Secondo la circoscrizione fissata dal decreto 31 marzo 1927 ha un'area di kmq. 5038, con una popolazione (censimento 1921) di 325.573 ab. Essendo stati, col suddetto decreto, incorporati nella provincia di Rieti i comuni dell'alto bacino del Velino e dell'alto Tronto, la provincia abbraccia l'intero bacino superiore e medio dell'Aterno, la conca del Fucino e le alte valli del Sangro, del Liri e del Salto. Non ha unità di regione fisica, ma ritrae la sua principale caratteristica dall'alternarsi di dorsali montuose elevate, in genere povere d'acque e di boschi, occupate nell'alto da pascoli, e da conche o bacini quasi chiusi, ben coltivati, nei quali si addensa la popolazione. Le colture prevalenti sono i cereali, la patata, alcuni alberi da frutto (mandorlo, ecc.) e, specialmente nella conca di Sulmona e dintorni, anche la vite, l'ulivo ecc., nella conca del Fucino la barbabietola. L'industria principale della zona montuosa è quella armentizia (ovini). Per maggiori particolari v. abruzzo.

La provincia annovera 106 comuni, molti dei quali comprendono numerosi piccoli centri: di essi ben 65 superano i 1000 m.; la popolazione sparsa in campagna è pochissima (8%). Dei centri solo una trentina superano i 2000 ab. e appena sei i 5000 ab.; sono L'Aquila (18.000 ab.), Sulmona (15.000 ab.), Avezzano (10.000 ab.), Pratola (8.500 ab.), Celano (7750 ab.) e Popoli (7000 ab.).

Bibl.: Per la parte artistica si veda la bibliografia speciale della città, e anche la bibliografia generale della provincia, rispettivamente a pp. 27-38 e 7-23 nell'Elenco degli Edifici Monumentali: XLVI, Provincia di Aquila, Roma 1927 (a opera di V. Balzano). In particolare vedi L. Serra, Aquila Monumentale, Aquila 1912. Cfr. poi I. C. Gavini, Storia dell'Architettura in Abruzzo, Milano (1927-1928), voll. 2; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VI e VII, ii, Milano 1908 e 1913; A. Bertini-Calosso, L'Arte in Abruzzo, in Guida d'Italia del Touring Club Italiano: Italia Meridionale, I, Milano 1926, pp. 110-117.

Per la parte storica v.: B. Cirillo, Annali della città dell'Aquila, Roma 1570; S. Massonio, Dialogo dell'origine della città dell'Aquila, Aquila 1594; F. Ciurci, Familiari ragionamenti delli Comentari et Annali dell'Aquila, ms. nella Provinciale di Aquila; A. Fonticulani, Belli Bracciani Aquilae gesti fidelis narratio, Leida s. a.; C. Franchi, Difesa per la fedelissima città dell'Aquila contro le pretensioni dei Castelli terre villaggi che componevano l'antico contado aquilano, Napoli 1752; A. Dragonetti, La vita degli illustri Aquilani, Aquila 1847; A. Leosini, Monumenti storici e artistici della città di Aquila, Aquila 1848; A. Signorini, La diocesi di Aquila descritta ed illustrata, Aquila 1868; A. Leosini, La vera e le false origini della città dell'Aquila, Aquila 1876; id., Annali della città dell'Aquila, Aquila 1883; M. Oddo Bonafede, Storia popolare della città dell'Aquila degli Abruzzi, Lanciano 1889; G. Rivera, La dedizione degli Aquilani ad Innocenzo VIII, in Bollett. della Soc. di St. patria A. L. Antinori negli Abruzzi, 1889; id., Dei commovimenti abruzzesi e dei sospettosi provvedimenti governativi precursori della rivolta di Masaniello, in Bollett. Soc. St. patria cit., aprile 1892; id., L'invasione francese in Italia e l'Abruzzo Aquilano dal 1792 al 1799, in Boll. St. patria cit., 1905; L. Rivera, Le piante e i prospetti della città dell'Aquila, in Boll. di St. patria abruzzese, XVIII (1905); G. Bragagnolo, l'Aquila degli Abruzzi sotto la dominazione spagnuola nella 1ª metà del sec. XVII, in Bollettino Soc. St. patria, cit., 1890; Id., Carlo VIII e l'Abruzzo, Aquila 1890; I. Ludovisi, Storia delle diocesi di Amiterno e di Forcone, in Boll. Soc. di Storia patria cit., p. 1895; G. Pansa, Otto lettere inedite del celebre umanista Mariangelo Accursio relative all'ambasciata a Carlo V in Germania e nuova critica al Diploma Fridericiano di fondazione dell'Aquila, in Bollettino della Società di Storia patria cit., 1903, pp. 3-60; P. Foà, Condizoni generali di Aquila verso il 1647. La sollevazione 1647-48, Roma 1911; L. Serra, L'Aquila monumentale, Aquila 1912; E. Carusi, Alcuni documenti per la congiura dei baroni negli Abruzzi, in Bullettino della R. D. Abr. di St. patria, 1910, Aquila 1910; A. Panella, La crisi di regime d'un comune meridionale, in Archivio storico italiano, 1923; A. Di Stefano, Le origini di Aquila e il privilegio di fondazione attribuito a Federico II, in Bullettino R. D. Abr. St. patria, 1923, Aquila 1927.

Per quello che riguarda gl'incunaboli di Aquila v. Pansa, La tipografia in Abruzzo dal sec. XV al sec. XVIII, Lanciano 1891; C. Vecchioni, L'Arte della Stampa in Aquila, Aquila 1908; A. Fabrizi, in Rassegna di Storia e d'arte d'Abruzzo e Molise, 1927.

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