AQUINO

Enciclopedia Italiana (1929)

AQUINO (A. T., 24-25-26)

V. E.
G. L.
E. Mar.

Comune già appartenente alla provincia di Caserta ed ora a quella di Frosinone. La città antica, grandemente danneggiata al tempo dei Longobardi, fu sin d'allora abbandonata per le condizioni poco salubri della contrada e non poté più risorgere all'antica importanza. La città moderna, assai piccola (presso l'antica via Latina) tende ad ingrandirsi per le migliorate condizioni di salubrità. Occupazione prevalente degli abitanti (3027 res.; 2971 pres.) è l'agricoltura. Il territorio (ettari 1923) dà principalmente cereali, uva, olio, ma ha pure una buona sorgente di acqua sulfurea e ferruginosa.

Tra le cose più notevoli che l'antichità ha lasciato ad Aquino sono: un arco trionfale detto di Marcantonio, sull'antica via Latina, costruito con grossi blocchi senza malta nel sec. I a. C.; e una porta romana, detta di S. Lorenzo, a grandi blocchi di calcare, con bell'arco a sesto pieno. Notevoli resti della costruzione romana conserva un tempio creduto di Cerere Elvina, dedicato poi a San Pietro e perciò detto Basilica di S. Pietro Vetere. Del tempo medievale rimangono: la chiesa benedettina di S. Maria della Libera, del 1125, costruita, con materiale frammentario, sulle rovine d'un tempio romano, nella quale è notevole il musaico nella lunetta del grandioso portale maggiore e due torri medievali. Vi sono anche avanzi di un portico e di un anfiteatro.

Storia. - Aquino è l'antica Aquinum, uno dei quattro municipî volsci del circondario di Sora. Sembra che dopo le guerre sannitiche fosse città federata. Ebbe la cittadinanza romana, se non prima, certo al tempo della guerra sociale; e come municipio ebbe per magistratura principale i quattuorviri. Fu poi colonia, forse al tempo dei triumviri, e come tale ebbe per magistrati supremi i duoviri. Era assai stimata come luogo di soggiorno e fu un tempo assai fiorente per il tralfico che esercitava fra l'Italia centrale e l'Italia meridionale attraverso la via Latina, lungo la quale essa era situata.

Ebbe approssimativamente la forma di un castro, cinto da mura a grossi blocchi ancora in parte visibili, con quattro porte, di cui una serve tuttora per ingresso alla città, col nome di Porta S. Lorenzo. Un altro arco vi fu eretto in ricordo delle libertà municipali conseguite dalla città, forse al tempo di Cicerone.

La località fu devastata probabilmente da Totila, al tempo della guerra greco-gotica (Procopio, B. Goth., I, 14), e dai Longobardi di nuovo saccheggiata verso il 577. Si hanno scarse notizie della sua chiesa: un vescovo Giovino e un Costanzo, ricordato da Gregorio Magno e coevo di S. Benedetto. Poi, di essa non si hanno più notizie. Tutta l'importanza di quel centro passò a Sora, che con Teano e Capua - tre antichi gastaldati - s'ebbe un conte residente a Capua. Aquino, invasa da Radelchi, fu pressoché dimenticata; divenne capoluogo di un nuovo gastaldato solo quando Guido di Spoleto, sceso nella valle del Liri, per le contese sorte tra quei tre gastaldi, s'impadronì di Sora, Arpino, Atina e Vicalbo Radoaldo fu il primo gastaldo, a contatto con le terre cassinesi, che, per difendersi dal conte capuano, intraprese la costruzione di Pontecorvo (l'antica Fregelle?). Ligio agl'imperatori franchi, nella lunga guerra contro Capua (866-887), tradito da Magenolfo, già suo ospite molti anni prima, si vide privato delle sue terre (882), ai cui coloni longobardi il nuovo signore impose di vivere more palatii, a modo franco. Ma rimasero improntati alle vecchie consuetudini, come lo Schupfer ha dimostrato, alcuni istituti barbarici in quella regione ed anche nel ducato gaetano: la wadia, il launechilt, la thinx, ecc. Passato per poco alla dipendenza del conte di Capua, nel sec. IX-X, come capostipite dei gastaldi di Aquino s'incontra un Rodiperto, il quale s'imparentò col duca di Gaeta, sposandone la figlia Megalu. Il nipote Adenolfo II (946-963), usurpatore di terre cassinesi, ribelle al principe di Capua e di Benevento, assunse il titolo di comes. Così, anche qui scomparve la vecchia nomenclatura longobarda, pur rimanendo incerto se il nuovo titolo, concesso per semplice distinzione a parenti di principi, portasse seco attribuzioni di ordine superiore. La nuova contea, ricca di Pontecorvo e S. Angelo, a mezzo il sec. XI era ormai molto temuta: Adenolfo V, suo signore, divenne anche duca di Gaeta. Di qui il secondo periodo della storia di Aquino, il cui vescovado, ricostituito con il vescovo Adelgiso, divenne suffraganeo di Capua. Ma i conti si stremarono via via nel secolo XII: nemici di Ruggiero I e di Guglielmo I, quando le milizie di Asclettino nuovamente diroccarono la loro città, che cadeva in possesso del conte di Andria, essi non eran che i semplici "de Aquino".

Storia di complesse lotte feudali, quella degli anni seguenti, in cui balzano due personaggi, entrambi figliuoli di Rinaldo di Aquino, signori di Roccasecca: Sibilia, moglie di Tancredi, conte di Lecce, e regina di Sicilia; e Riccardo, suo fratello, conte di Acerra, privato della contea da Errico VI e condannato a morte. Questi fu l'avo di S. Tommaso d'Aquino, al cui padre spettò Roccasecca per la fedeltà mostrata a Federico II, anche nel periodo più torbido di sua vita. Ligi o nemici agli Svevi, i d'Aquino in questo periodo accrebbero i loro dominî anche fuori della Campania, onde li troviamo un po' dappertutto, nell'Abruzzo, nell'Irpinia, nella Calabria: moltiplicatisi i rami principali, discendenti da Adenolfo IV (1022-1040), le frequenti omonimie generarono spesso confusione. Notevole fra gli altri Tommaso, conte di Acerra, sposatosi a Costanza, figlia di Federico, che nel 1221, dopo aver conquistato Boiano e la contea di Celano, ridusse il regno di Napoli all'ubbidienza dello Svevo, comandò la crociata in Oriente e fu viceré. Il feudo di Aquino che fin dai tempi di Rinaldo Buccavicello, figlio di Adenolfo VII (sec. XII) era stato scisso in piccole parti, passò ai Berardo; successivamente, per diritto ereditario o di conquista, ai d'Avalos, ai della Rovere, ai Granella, ai Boncompagni. Alle porte del regno e dello stato pontificio, esso non poté non mescolarsi alle contese politiche del tempo, parteggiando con Giovanni, suo vescovo, per l'antipapa Clemente VII, e inalzando più tardi, sotto la pressione del Vitelleschi, la bandiera aragonese (1435), di cui Francesco d'Aquino, conte di Loreto, fu audace sostenitore al tempo di Alfonso d'Aragona. Presa e donata a Giovanni della Rovere, restituita ai d'Avalos da re Federigo (1496), in seguito, con Ferdinando il Cattolico, la vecchia contea ottenne nuovi privilegi e, per un momento, assurse a grande importanza nella storia dell'Italia centrale; le successive lotte con Sora e Pontecorvo, alla cui diocesi fu poi unita, la immiserirono. Prima a risentire le guerriglie del regno vicino, fu alla mercé di tutti: aprì le porte agli Austriaci col conte Daun, poi a Carlo VI (1722) e al principe di Belmonte che la fortificò (1727); più tardi vi si accamparono gli Spagnoli con Carlo di Borbone. In ultimo divenne patrimonio reale per la vendita che i Boncompagni, principi di Piombino, ne fecero a re Ferdinando.

Bibl.: T. Grossi, Aquinum, Roma 1907; Corp. Inscr. Lat., X, Berlino 1883, pp. 530, 979, 1013; per la magistrature vedi J. Beloch, Röm. Geschichte, Berlino 1926, pp, 501, 514; per le monete vedi Mommsen, Röm. Münzwesen, p. 1117; Pistelli, Descrizione stor.-filologica delle antiche e moderne città e castelli, esistenti accosto ai fiumi Liri e Fibreno, Napoli 1824; Cayro, Storia sacra e profana di Aquino e sua diocesi, Napoli 1808; F. Gregorovius, Passeggiate per l'Italia, Roma 1906; F. Scandone, Il Gastaldato di Aquino, Napoli 1909; Nissen, Italische Landeskunde, Berlino 1902; F. Schupfer, Gaeta e il suo territorio. Studi sul diritto privato gaetano, ecc., in Mem. Accademia Lincei, XXI, p. 5.

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