ARA PACIS AUGUSTAE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

ARA PACIS AUGUSTAE (v. vol. I, p. 523)

E. La Rocca

Le ricerche negli ultimi trent'anni hanno determinato un mutamento radicale nell'interpretazione delΙ’A. P. e del suo programma figurativo.

Studi basilari sui rilievi «storici» romani e sul sistema di comunicazione visiva, hanno offerto lo spunto per nuove chiavi di lettura. È stata così abbandonata l'idea più diffusa, che la processione snodantesi lungo le pareti dell'A P. sia la descrizione di un evento realmente avvenuto in occasione del reditus di Augusto dalle province occidentali dell'impero nel 13 a.C. Non può trattarsi della cerimonia di inauguratio dell'ara perché in quell'occasione non risultavano presenti a Roma né Druso Maggiore né, verosimilmente, Agrippa. Altrettanto improbabile sembrerebbe l'ipotesi che sia raffigurata la cerimonia della consecratio dell'ara, avvenuta invece nel 9 a.C., in quanto erano già morti sia Agrippa che Druso Maggiore. Il rilievo «statale» romano, del quale è ormai riconosciuta la più specifica forma simbolica, è destinato certo a commemorare eventi storici, ma secondo schemi figurativi capaci di trasmettere sub specie aeternitatis, in un linguaggio semplice e di facile lettura, quei concetti universali che potevano essere considerati, secondo l'ottica dell'epoca, i pilastri su cui si fondava il sistema politico e costituzionale e l'ordine sociale. La processione potrebbe essere pertanto non la raffigurazione del reditus del 13 a.C. ma piuttosto una proiezione, indeterminata nel tempo e slegata da fattori contingenti, del concetto stesso di reditus, di quel che significava per la città il ritorno del princeps quale garante dell'assetto statale e della pace, e quale simbolo della grandezza e della prosperità di Roma. Augusto è pertanto raffigurato nell'ambito di una processione dove, in un'atmosfera di solenne dignità resa figurativamente con il quieto distacco carico di èthos di ascendenza classica, sono presenti tutti i principali esponenti politici e religiosi di Roma secondo un preciso ordine gerarchico; dove sono presenti anche i membri della sua famiglia, allineati secondo il grado di parentela (e quindi di eventuale successione al principato).

Si ammette per lo più che la doppia processione sui due lati del recinto vada letta secondo una concatenazione «a pettine». Le vestali quasi certamente non comparivano nella raffigurazione. Augusto è preceduto dai membri dei quattuor amplissima sacerdotia, e seguito dai flamines maiores tra i quali fa spicco il nuovo flamen Iulialis: il princeps occupa quindi la posizione che conviene al pontifex maximus, carica che avrebbe occupato solo nel 12 a.C., dopo la morte di M. Emilio Lepido, del quale fin dal 44 a.C. era stato designato come successore.

La specifica lettura simbolica dell'evento, non rigorosamente legato agli avvenimenti concreti del reditus, è ulteriormente confermata dalla presenza del flamen Dialis che nel 13 a.C. non era stato ancora eletto (l'importante carica sacerdotale restò vacante dall'87 all' 11 a.C.). La lunga discussione sui personaggi della famiglia imperiale presenti nella processione non ha finora sortito risultati definitivi. Sono riconosciuti senza contrasti, oltre naturalmente Augusto, raffigurato secondo il tipo ritrattistico detto «Forbes», Agrippa e Livia con i figli Tiberio e Druso; sugli altri membri manca ancora una concordanza di vedute, resa più difficile dallo stato frammentario della composizione sul lato N. Non dovevano comunque mancare la figlia e la sorella di Augusto, Giulia e Ottavia, con i loro figli, a esclusione di Marcello che all'epoca del reditus era già morto.

I due bambini con torques e exomis, l'uno aggrappato alla toga di Agrippa, l'altro dinanzi a una donna velata (Giulia?) sul lato settentrionale della processione, sono ritenuti per lo più Gaio e Lucio Cesari, eredi diretti di Augusto; ma recentemente, e più volte, è stata avanzata la possibilità che si tratti piuttosto dei figli di principi orientali clientes dei Romani (Simon; Rose).

Secondo la più comune opinione, e seguendo la serie, da sinistra verso destra, sul lato meridionale si dovrebbero incontrare: pontefici, Augusto, in posizione privilegiata destinata al pontifex maximus, e che, come imperator, è circondato da dodici littori (di cui due sul lato settentrionale), i quattro flamines seguiti dal rex sacrorum (Koeppel; ma la sua ipotesi dovrebbe essere più approfonditamente discussa), Agrippa, Gaio Cesare (o un giovane principe orientale), Livia, Tiberio, Antonia Minore, il piccolo Germanico, Druso, Antonia Maggiore con due figli forse morti in tenera età e il marito Lucio Domizio Enobarbo, infine un personaggio incerto, iconograficamente simile al «Cicerone» (Gotte), nel quale si è riconosciuto Paolo Emilio Lepido. Sul lato settentrionale, da destra a sinistra, sarebbero invece raffigurati: due littori (pertinenti al gruppo di dodici che circondavano Augusto), i XVviri sacris faciundis, i Vllviri epulones, Lucio Cesare (o un principe orientale), Giulia, un fanciullo che indossa la veste dei camilli, forse un figlio di Agrippa e della prima moglie Marcella Maggiore (o, secondo un'ipotesi recente, meno verosimile di Ch. Β. Rose, Gaio Cesare), Ottavia Minore, Iullo Antonio, figlio di Marco Antonio e di Ottavia, Marcella Maggiore. La presenza di personaggi già defunti al momento in cui l'A.P. venne consacrata, potrebbe essere interpretata in base alla loro funzione di cerniera dinastica ed ereditaria con i membri ancora viventi della famiglia, con Gaio e Lucio Cesari e con Germanico che avrebbero assunto nei decenni seguenti una posizione giuridica considerevole. Per il mutevole gioco del destino, che l'A.P. pare presagire con la partecipazione diretta alla processione di tutti i personaggi di spicco affiliati alla gens Giulio-Claudia (è presente forse persino L. Domizio Enobarbo, nonno di Nerone), proprio da Agrippa e dai figli di Livia, malgrado la morte di quasi tutti gli eredi diretti, discendono gli imperatori della gens Giulio-Claudia.

È ridimensionata anche l'ipotesi così spesso avanzata di una componente specificamente «italica» nella struttura dell'altare, pensato nella forma di un recinto di legno (quello eseguito al momento della inauguratio?) decorato a guisa di una pergola con velari dipinti e con festoni di frutta. Le cose non sono esattamente in questi termini (Borbein).

Come la processione presenta forti assonanze negli schemi figurativi e nello stile con il fregio del Partenone, così la struttura stessa, con recinto e due ingressi, ha precedenti in Grecia, a partire dall'altare dei Dodici Dei nell'agorà ateniese (datato intorno al 520 a.C.). Il sistema decorativo con il motivo delle doghe di legno trova confronti significativi nel palazzo reale di Verghina e nell'altare dell'Artemìsion di Efeso. Anche il partito compositivo con zoccolo decorato con motivi floreali e parete figurata ha in ambiente greco o grecizzato riscontri di un certo interesse (p.es. l'altare di Augusto nel bouleutèrion di Mileto).

Il linguaggio artistico ripropone la fondamentale flessibilità con la quale a Roma elementi tipologici desunti dal patrimonio figurativo di età ellenistica si amalgamano con elementi della cultura figurativa di età classica in una fusione cui il linguaggio specifico di età augustea offre una patina d'insieme. Vuol dire che i Romani hanno spinto all'estremo un fenomeno già presente in ambiente ellenistico, sebbene non organizzato a tale livello. Formule e schemi figurativi desunti dalla cultura artistica greca, dallo stile arcaico a quello severo e poi classico, allo stile «barocco» e a quello «paesistico», sono assunti come un articolato vocabolario pronto a essere adoperato per la realizzazione di nuove composizioni. La mescolanza degli schemi, come nel caso dell'AP., è resa obbligatoria nel momento in cui i singoli pannelli esigevano, per ragioni narrative, strutture, tipologie e ambientazioni differenti, dall'aura aulica e sovratemporale della processione, cui il richiamo al fregio del Partenone serve a offrire ai personaggi la necessaria dignitas e auctoritas, al paesaggio sacrale di tradizione ellenistica del rilievo di Enea che sacrifica ai Penati, per il quale la cultura figurativa classica non offriva modelli imitabili; eppure, come si è osservato (Hölscher), Enea è raffigurato comunque secondo una forma «classica», in quanto rappresentante ideale dell'aristocrazia romana, mentre l'inserviente per il sacrificio piegato verso la scrofa, dal volto con i lineamenti più marcati, dipende da ben differenti schemi tipologici. Ma l'insieme ha ricevuto una marcata coloritura classicistica, secondo una composizione chiara e regolare, senza forti contrasti; sia per le figure che per lo sfondo paesistico è assunta di base una trattazione calligrafica con scarsi effetti chiaroscurali, ossia lo specifico linguaggio figurativo di età augustea.

Nulla di realmente «italico» neppure nella processione raffigurata sull'altare stesso (in questo caso quasi certamente la descrizione minuziosa del rituale del sacrificio in onore di Pax, con la presenza delle vestali), la cui composizione additiva, destinata a chiarire figurativamente (si potrebbe dire «giuridicamente», secondo la lex arae) la sequenza del rito, trova anch'essa esempi in ambiente greco o grecizzato (p.es. la base di Atarbos ad Atene; la decorazione figurata del c.d. Monumento delle Nereidi a Xanthos).

Bibl.: La bibl. sull'AP. fino al 1986 è ora raccolta in appendice ai lavori di: G. Koeppel, Die historischen Reliefs der römischen Kaiserzeit 5. Ara Pacis Augustae, Teil 1, in BJb, CLXXXVII, 1987, pp. 101-157; S. Settis, Die Ara Pacis, in Augustus und die verlorene Republik (cat.), Berlino 1988, pp. 400-426. Tra i lavori più significativi pubblicati fino al 1986: E. Simon, Ara Pacis Augustae, Tubinga 1967; Ch. Börker, Neuattisches und Pergamenisches an der Ara-Pacis-Ranken, in Jdl, LXXXVIII, 1973, p. 283 ss.; Α. Η. Borbein, Die Ara Pacis Augustae. Geschichtliche Wirklichkeit und Programm, ibid., XC, 1975, pp. 242-276; Η. Büsing, Ranke und Figur an der Ara Pacis Augustae, in AA, 1977s p.247 ss.; J. Pollini, Studies in Augustan «Historical» Reliefs (diss.), Berkeley 1978, in part. pp. 75-172; G. Sauron, Le message symbolique des rinceaux de l'Ara Pacis Augustae, in CRAI, 1982, pp. 81-101; M. Torelli, Typology and Structure of Roman Historical Reliefs, Ann Arbor 1982, pp. 27-61; E. La Rocca, Ara Pacis Augustae. In occasione del restauro della fronte occidentale, Roma 1983; R. De Angelis Bertolotti, Materiali dell'Ara Pacis presso il Museo Nazionale Romano, in RM, XCII, 1985, pp. 221-236; G. Koeppel, Maximus Videtur Rex: The Collegium Pontificum on the Ara Pacis Augustae, in ANews, XIV, 1985, pp. 17-22; E. Simon, Augustus: Kunst und Leben in Rom um die Zeitenwende, Monaco 1985, in part. pp. 30-46; L. Berczell, Ilia and the Divine Twins. A Reconsideration of two Relief Panels from the Ara Pacis Augustae, in Acta Instituti Romani Norvegiae, V, 1985, pp. 89-149; J. Pollini, Ahenobarbi, Appulei and Some Others on the Ara Pacis, in AJA, XC, 1986, pp. 453-460. Tra i lavori pubblicati dopo il 1986: T. Hölscher, Römische Bildsprache als semantisches System (Abhandlungen der Heidelberger Akademie der Wissenschaften), Heidelberg 1987, in part. pp. 17-19, 45-49; G. Koeppel, Die historischen Reliefs der römischen Kaiserzeit 5. Ara Pacis Augustae, Teil 2, in BJb, CLXXXVIII, 1988, pp. 97-106; G. Sauron, Le message esthétique des rinceaux de l' «Ara Pacis Augustae», in RA, 1988, I, pp. 3-40; Ch. B. Rose, «Princes» and Barbarians on the Ara Pacis, in AJA, XCIV, 1990, pp. 453-467; N. Thomson De Grummond, Pax Augusta and the Horae on the Ara Pacis Augustae, ibid., pp. 663-677; P. J. Holliday, Time, History and Ritual on the Ara Pacis Augustae, in ArtB, LXXII, 1990, p. 542 ss.; J. Eisner, Cult and Sculpture: Sacrifice in the Ara Pacis Augustae, in JRS, LXXXI, 1991, p. 51 ss.; D. Atnally Conlin, The Reconstruction of Antonia Minor on the Ara Pacis, in JRomA, V, 1992, pp. 209-215; G. M. Koeppel, The Third Man: Restoration Problems on the North Frieze of the Ara Pacis Augustae, ibid., pp. 216-217.

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