ARABESCO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

ARABESCO

O. Grabar

Il termine compare per la prima volta come sostantivo, con un significato che prelude a quello moderno di 'decorazione a motivi stilizzati a intreccio', negli scritti di autori del sec. 16°, italiani e poi francesi, con riferimento all'arte del loro tempo. È all'incirca sinonimo di 'moresco' e viene a volte confuso con 'grottesca'. Sono infatti chiamati a. elementi ornamentali utilizzati da Raffaello nelle Logge Vaticane. I manuali tradizionali di ornato offrono la definizione di "elemento riempitivo costituito da tralci o steli intrecciati o collegati, spesso ornato da segni o frutti" o, più genericamente, di "disegno simmetrico in sé completo, che riempie uno spazio definito" (Valentine, 1965). Questo tipo di disegno fu anche considerato di origine essenzialmente romana (Ware, Stafford, 1974), ma il gusto rinascimentale all'inizio lo associò alla propria visione dell'Oriente islamico, osservando probabilmente i tessuti della Persia e della Turchia, le ceramiche ottomane o spagnole e forse certi tipi di metalli ageminati. Quale che fosse l'origine delle forme identificate come a., il termine in sé aveva connotazioni ideologiche: era senza dubbio oggettivamente descrittivo, ma nello stesso tempo implicava un giudizio critico, in quanto non riconosceva questi motivi come appartenenti alle forme più alte dell'arte.Il mondo dell'a. era un mondo puramente decorativo in cui le forme non avevano significato che in sé e in funzione del piacere estetico. Per quanto potesse essere ricco ed elaborato, rappresentava implicitamente qualcosa di ludico, in qualche modo estraneo alla tradizione dell'arte occidentale. Questa interpretazione, tuttavia, permetteva di identificare l'a. sia come procedimento sia come forma; esso poteva essere perciò applicato variamente, dall'ornato fitomorfo alla calligrafia e persino alla rappresentazione di esseri viventi; in quanto procedimento non aveva una precisa identificazione culturale o regionale. Tale era l'interpretazione prevalente fino alla fine del sec. 19°, ancor oggi diffusa nei testi generali sull'ornato.Riegl (1893) propose un'interpretazione più specificamente storica dell'a. - accolta in seguito da Kühnel (1949; 1960) e da altri specialisti di arte islamica - secondo la quale il termine va limitato allo sviluppo unicamente islamico di un ornato fitomorfo non naturalistico, composto di germogli o foglie biforcate su viticci e steli inorganici. Gli steli possono essere ondeggianti, a spirale o intrecciati, con le foglie piatte o incurvate, appuntite o tondeggianti, simmetriche o no, ma sempre chiaramente connesse a uno stelo generatore.La struttura degli a. si fonda su alcuni princìpi di base: l'unità modulare di base (in genere circolare o tendente al cerchio) è ripetuta con continuità o per crescita simmetrica o per alternanza nella direzione degli steli; di conseguenza l'a. diviene una forma chiusa che, per così dire, cresce su se stessa. Il secondo principio è la tendenza a riempire al massimo lo spazio, sia mediante il movimento su diversi livelli, sia suddividendolo in varie piccole unità compositive; quando lo spazio è riempito, il contrasto viene ottenuto variando le relazioni tra steli e foglie. Infine - terzo punto base - il carattere di ogni singolo a. è sempre determinato dallo spazio disponibile, mentre il suo schema specifico ne è indipendente; l'a. è quindi nello stesso tempo padrone della propria forma e servo del proprio supporto. La storia dell'a. è tuttavia ancora tutta da scrivere.La tendenza a riempire lo spazio di motivi ornamentali era già presente nella ricca decorazione dei palazzi e degli edifici religiosi omayyadi (661-750), ma un vero a. ancora non sembra esservisi sviluppato. La decorazione abbaside, a partire da Samarra nel sec. 9°, affascinata dalla simmetria, formula invece motivi floreali fortemente astratti ed è precisamente in province abbasidi quali l'Egitto, la Tunisia o lo Yemen, e poi nella Spagna del sec. 10°, che inizia ad apparire in modo coerente il vero e proprio arabesco. Dipinto sul legno e sullo stucco, scolpito nel legno, presente nelle illustrazioni dei libri, tessuto nelle stoffe, esso si trova praticamente in tutte le tecniche di cui si avvale la produzione artistica islamica. A partire da un certo momento, forse non prima del sec. 11°, acquista peraltro la funzione secondaria di sfondo per altri motivi decorativi: nei metalli ageminati del sec. 13°, per es., compare spesso dietro ad animali o personaggi, oppure riempie gli spazi vuoti. In seguito, sulle mattonelle persiane o negli stucchi della Spagna nasride (1231-1492) e dell'arte mudéjar, lunghe iscrizioni si svolgono su uno sfondo di a.; complessi motivi di a. circondano spesso il frontespizio nei manoscritti miniati persiani.In breve, dal sec. 9° in poi l'a. divenne uno dei motivi più diffusi nell'arte islamica e le sue variazioni e particolarità corrispondono all'evoluzione degli stili decorativi. È perciò legittimo sostenere, come fece Riegl (1893), che si ebbe uno sviluppo della decorazione lineare proprio e caratteristico del mondo musulmano ed è possibile che il termine arabo tawrīq ('elaborazione nella rappresentazione di foglie') fosse il termine tecnico usato dagli artigiani medievali per definire quello che noi chiamiamo arabesco. Il termine occidentale, al contrario, è un'associazione arbitraria di un documentato fenomeno storico con un giudizio rinascimentale sulle forme decorative.Più difficile è spiegare perché l'arte islamica abbia creato l'a.; le origini potrebbero ricercarsi facilmente in alcune forme decorative dell'Antichità classica, in particolare nelle foglie d'acanto disposte ritmicamente che compaiono a volte su elementi architettonici quali capitelli o trabeazioni. Ma è anche possibile che esso derivi dai più diffusi motivi che decorano i bordi di oggetti, in tutta l'Europa e l'Asia. Il mondo islamico avrebbe quindi trasformato un motivo derivato dalle arti applicate in uno dei più importanti temi della creatività artistica: la causa di questo fenomeno potrebbe essere individuata nell'aniconismo islamico. Quando si cominciò, soprattutto dopo il sec. 12°, a rappresentare gli esseri viventi con maggiore frequenza, l'a., assieme alla geometria, era ormai divenuto una norma consueta nella creazione estetica al punto che i nuovi motivi ne furono a loro volta condizionati e talora sopraffatti.A una spiegazione alternativa, ma non necessariamente in contraddizione, accennò Kühnel (1960), definendo l'a. una 'meditazione decorativa' e una 'esperienza estetica' (egli usò il termine Askese) e dunque ben più di un gioco artificioso. L'a. sarebbe piuttosto uno sviluppo formale che, per la sua intrinseca complessità, richiede il coinvolgimento personale sia del fruitore sia dell'esecutore nella scoperta dell'ordine intrinseco a sequenze di forme, elaborate e complesse. Diversamente dal decorativismo nordico, quest'ordine è sempre profondamente strutturato e razionale; la sua complessità non risiede nell'invenzione di forme e associazioni curiose, ma nell'animazione della struttura che gli è sottesa. In questo senso si tratterebbe dunque dell'espressione visiva di una cultura urbana islamica, in cui poesia e ordinamenti legislativi cercano di conciliare forme rigide con l'esperienza umana. In ultima analisi, l'a. è sia una forma sia un procedimento, consistendo essenzialmente nella costruzione di strutture razionali che ordinano forme scelte arbitrariamente.

Bibl.: A. Riegl, Stilfragen, Berlin 1893 (trad. it. Problemi di stile, Milano 1963); E. Kühnel, Die Arabeske, Wiesbaden 1949; id., s.v. Arabesque, in Enc. Islam2, I, 1960, pp. 576-579; L. N. Valentine, Ornament in Medieval Manuscripts, London 1965; O. Grabar, The Formation of Islamic Art, New Haven-London 1973 (trad. it. Arte islamica. La formazione di una civiltà, Milano 1989); D. Ware, M. Stafford, An Illustrated Dictionary of Ornament, London 1974.O. Grabar

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